Riceviamo da due
amici queste vignette, che volentieri pubblichiamo (clicca sulle vignette per
ingrandire).
da Alfio Krancic:
e da Osvaldo
Ravoni:
Montecatini, 4 dicembre 2 dicembre, 2012
Caro
Direttore,
grazie per avermi
dato la possibilità di leggere il bellissimo libro di P. Serafino M Lanzetta F.
I "Iuxta Modum: il Vaticano II letto alla luce della Tradizione della
Chiesa"(Ed. Cantagalli) che, oltre tutto, mi ha dato la possibilità di chiarire
tante cose, prima fra tutte l'interpretazione di rottura di coloro che
considerano il Concilio come una "Nuova Pentecoste" come se la Chiesa prima non
fosse esistita; dice il Padre Lanzetta: "Perché...ha prevalso la rottura? A
questa domanda non si può rispondere senza andare a quel 'Mysterium iniquitatis'
che purtroppo asservisce e regna. Il Cardinal Suenens-Padre del rinnovamento
pentecostale e non carismatico, come amava definirsi-in un'intervista dichiarò:
'In Concilio ci siamo affidati docilmente allo Spirito Santo, e il Concilio ci
ha condotti là dove non volevamo andare, o almeno, non pensavamo di andare...'
Il Concilio così rischia di diventare lo stesso Spirito Santo di cui parlava
Gesù a Nicodemo. Per tanti il Concilio sarebbe divino e infallibile, ma a
discapito di tutti gli altri. Invece, il Concilio non è lo Spirito Santo. Gesù
aveva detto solo che lo Spirito Santo è come il vento: si sente la voce, ma non
si sa da dove viene e dove va(Cfr. Giovanni, 3-8).Dobbiamo impegnarci perché
finalmente si dilegui un eccessivo entusiasmo carismatico, ritornando al dogma
della fede".
Ecco, caro
Direttore, questo significa parlar chiaro...avrei volentieri scritto una
recensione ma, dopo quella, bellissima, di Piero
Vassallo mi è sembrato inutile. Invio però un'altra vignetta quasi
vergognandomene, dopo aver visto quella stupenda di Alfio Krancic, io sono solo
un vecchio papirologo in pensione e faccio, ogni tanto, qualche vignetta così
per diletto...Comunque venerdì 7 dicembre 2012 sarò a Firenze e così conoscerò
sia il Padre Serafino che l'Avvocato Ruschi che, puntualmente mi invia le
circolari della benemerita Comunione Tradizionale, vi andrò con il Prof. Vinicio
Catturelli (173 anni in due) per cui se la nostra presenza non eleverà il tono
dell'incontro, senz’altro eleverà la media dell’età' delle persone partecipanti
che, mi dicono, in genere, essere tante tra cui numerosissimi giovani e
giovanissimi.
Un grazie di
cuore
Prof. Osvaldo Ravoni
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IL VATICANO II
RILETTO ALLA LUCE DELLA TRADIZIONE - di Piero Vassallo
di Piero
Vassallo
Iniziata dalla
strabiliante lezione di Alexandr Kojève sulla radice nichilistica/thanatofila
della filosofia di Hegel, accelerata dall'interpretazione accademica
(heideggeriana) del furente dionisismo di Nietzsche e perfezionata dal mostruoso
e sbalorditivo influsso della teologia nazista nella scolastica
francofortese, la rivolta del pensiero moderno contro se stesso è ormai al punto
di non ritorno.
Avvertita da
Benedetto XVI, tale evidenza pone la necessità inderogabile di correggere le
tesi dei cattolici modernizzanti intorno alla possibile riconciliazione con un
universo teoretico irrimediabilmente segnato dalla schizofrenia
post-illuminista, ovvero dalla guerra della cometa jettatoria contro i
pensieri della cometa trionfalista.
I moderni
apostati, invece di correggere i loro errori, hanno incrementato la loro
ostilità nei confronti della vera fede e la loro refrattarietà ai princìpi di
ragione, smentendo le tesi che animavano l'indulgenza dei nuovi teologi
e deludendo il generoso apprezzamento della loro inclinazione all'autocritica
formulato da Giovanni XXIII nell'allocuzione inaugurale del Vaticano II,
Gaudet Mater Ecclesia.
L'ottimismo
mordeva i freni della cautela: "Lo spirito della modernità e la Chiesa,
ha scritto di recente Benedetto XVI, non si guardavano più con
ostilità, ma camminavano l'uno verso l'altro. Il Vaticano II era cominciato in
questo clima ottimistico della riconciliazione finalmente possibile fra
epoca moderna e fede; la volontà di riforma dei suoi padri ne era plasmata. Ma
già durante il concilio questo contesto cominciò a mutare".
Di qui l'urgenza, di aggiornare la definizione
dell'errore moderno e di scoprire e neutralizzare, fra le righe del Concilio
Vaticano II e del paraconcilio, le orme della benevolenza tradita e
dell'ottimismo deluso.
L'anacronistica
ostinazione dei teologi modernizzanti, in quelle orme crede, infatti, di leggere
l'intenzione di dialogare con il mondo assumendo "la filosofia prevalente
nella modernità, agnostica e scettica quanto al mistero, dubbiosa e formalmente
fenomenica".
Padre Serafino
Lanzetta, giovane e brillante studioso, all'avanguardia nella corrente dei
teologi fedeli alla Tradizione e obbedienti al Papa, sostiene che la Chiesa è
turbata da un accecamento storicista, incapace di comprendere che
"il Vaticano II non si identifica con la Tradizione della Chiesa, non è il
suo fine: questa è più grande, mentre il Concilio ne è un momento espressivo e
solenne, si dimentica poi il suo carattere magisteriale ordinario, sebbene
espresso in forma solenne dall’Assise conciliare, per sé non infallibile; si
dimentica infine, che i documenti del Vaticano II - a differenza di Trento e del
Vaticano I - sono distinti in Costituzioni, Dichiarazioni e Decreti e pertanto
non hanno tutti il medesimo valore dottrinale, rimanendo pur sempre chiara e
fontale l'attitudine generale del Concilio, di insegnare in modo autentico
ordinario". (Cfr. "Iuxta modum Il Vaticano II riletto alla luce della
Tradizione della Chiesa", Cantagalli, Siena 2012).
Padre Lanzetta
afferma risolutamente che "la Chiesa trascende il Concilio e ogni sua
manifestazione" quindi stabilisce la necessità "di far ritornare il
Concilio Vaticano II nell'alveo della Chiesa: prima la Chiesa e poi i suoi
concili".
E'
tuttavia da respingere la pretesa di correggere il Vaticano II, "utopia di
chi vuole riscrivere la storia che più non c'è o di chi vuole semplicemente
abolire ciò che non gli piace". Il compito che incombe all'autorità
cattolica è interpretare correttamente il Vaticano, "rispettando la sua
posizione magisteriale di Concilio ecumenico con un taglio eminentemente
pastorale, più pastorale che dottrinale".
Opportunamente
padre Lanzetta cita il giudizio comunicato confidenzialmente a Vinicio
Catturelli da un cardinale sudamericano: "Un errore forse è stato quello di
dar troppa importanza al Concilio. ... E' necessario sgonfiare il pallone del
Super-Concilio, o forse si sta già sgonfiando".
Il regnante
pontefice, quasi assolvendo l'auspicio dei teologi fedeli alla Tradizione, ha
avviato la critica di alcune ingenue e abbagliate concessioni al moderno che si
leggono nella Gaudium et Spes dimostrandone la dipendenza da un
equivoco intorno alla realtà dei nuovi tempi: "Dietro l'espressione vaga
mondo di oggi vi è la questione del rapporto con l'età moderna. Per chiarirla
sarebbe stato necessario definire meglio ciò che era essenziale e costitutivo
dell'età moderna. Questo non è riuscito nello Schema XIII".
Il male che
tormenta la Cristianità non è l'eresia ma la banalità del consenso tributato dai
teologi di giornata a un oggetto conosciuto superficialmente.
clicca
sull'immagine per ingrandirla
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VATICANO II, LA
LETTERA E I FUMI DEL PARACONCILIO - di Piero Vassallo
di Piero
Vassallo
La sera
dell'otto ottobre, sulla rete televisiva Sette, Gad Lerner ha pilotato un
dibattito sul Vaticano II nella direzione gradita dagli scolarchi bolognesi,
tardi eredi delle illusioni nutrite dal card. Giacomo Lercaro, da don Giuseppe
Dossetti e dal prof. Giuseppe Alberigo.
La scuola di Bologna, nel dibattito rappresentata dal
mellifluo epigono Giuseppe Melloni, era stata costituita negli anni Sessanta al
fine di promuovere la de-ellenizzazione del Cristianesimo, ossia la separazione
di fede e ragione quale propedeutica all'intesa dei cattolici con gli esponenti
dell'ideologia progressista.
Lercaro,
Dossetti e Alberigo non erano banditori dei torrentizi e innocui documenti
stilati dai padri del Vaticano II ma antesignani di una cristianità conforme
alle illusioni festanti e agli stati d'animo circolanti intorno all'aula
conciliare. Stati d'animo che don Finotti ha puntualmente definito
paraconciliari.
Ora
l'effervescenza paraconciliare aveva avuto origine dalla fantasia dei teologi
giornalisti, i quali, obbedendo ai messaggi lanciati dalla propaganda sovietica
e dalla chiacchiera stampata, pensava fosse in atto una sincera e pia
autocritica dei pensatori comunisti.
Il giornalismo
teologico, venuto allo scoperto dopo la morte di Pio XII, il papa che ne aveva
denunciato e sconfessato il delirio, contemplava, infatti, tre abbaglianti e
consolanti novità:
a. il Vangelo
è vero socialismo.
b. il
socialismo ateo sta diventando cristiano,
c. la Chiesa e
il mondo sono prossimi a una felice e gongolante intesa.
Ingannato
dalle notizie diffuse dai teologi di giornata, Giovanni XXIII, nell'orazione
inaugurale del Vaticano II, "Gaudet Mater Ecclesia", sostenne che la condanna
degli errori non era più necessaria, dal momento che gli erranti avevano
incominciato a correggerli spontaneamente.
A distanza di
cinquant'anni questa è la vera domanda sul paraconcilio: quale fu la fonte
dell'inganno ordito dai teologi ai danni di Giovanni XXIII?
Papa Roncalli
non era tenuto a conoscere lo stato dell'opera ma i teologi che lo consigliavano
non avevano il diritto di ignorare che la revisione dell'ideologia era
indirizzata a nuovi e più deleteri errori, a una delirante
blasfemia.
Fin dagli anni
Trenta le avanguardie comuniste avevano iniziato la trasformazione mistica
dell'ideologia. Il francofortese Walter Benjamin (un pensatore morto nel 1942)
aveva rovesciato l'ateismo di Marx in un furente odio rivolto a
Dio.
La scolastica
fondata da Benjamin era al lavoro da venti anni e stava preparando la cultura di
sinistra a quella rivoluzione decadente, cinerea e borghese (questa è la
calzante definizione di Augusto Del Noce) che esploderà nel
1968.
E' dunque
certo che la correzione degli errori era una fantasticheria, un'illusione
generata dalla disattenzione o spacciata dall'ignoranza invincibile dei teologi
trionfanti dopo la morte di Pio XII (morte che era invocata dall'orante e
coerente prof. Alberigo, come è stato rammentato durante la trasmissione di
Lerner).
La notizia
dell'involuzione gnostica dell'ideologia comunista non era un segreto.
Dell’invincibile attrazione che la capovolta teologia degli gnostici esercita
nei confronti del pensiero moderno il cardinale Giuseppe Siri aveva scritto più
volte a cominciare dal 1957.
In Getzemani
il card. Siri affermerà: “Se si nega la capacità dell’intelletto di conoscere il
mondo e si affida, more kantiano, questa conoscenza alla volontà, diventa
estremamente facile raggiungere la tesi di una inconoscibilità naturale di Dio.
È la fine della teologia razionale. In tal caso la croce di Cristo può non
apparire più come la croce dell’umanità del Signore, che sussistendo nel Verbo
raggiunge la efficacia salvifica, quella che redime, giustifica e fa consorti
della natura divina. Dio allora può persino apparire nel mondo, non come
Signore, ma come impotente; la croce rovesciandosi tutto, può apparire come lo
stesso mistero di Dio. Queste tesi che qualificheremo neognostiche, hanno come
fondamento la linea di pensiero appunto condannata dal Vaticano primo, la linea
che da Kant va ad Heidegger”.
Un allievo del
cardinale Siri, nel 1958 e nel 1962, aveva scritto e pubblicato saggi
finalizzati a richiamare l'attenzione degli studiosi cattolici sul slavina
neognostica che stava devastando la cultura progressista.
L'ottimismo
del paraconcilio era dunque teoreticamente infondato. Ingiustificata l'euforia
che si impossessò del mondo cattolico durante e dopo il Vaticano II. Fatale il
rovesciamento delle sue festanti attese nel fumo di satana, oggetto
dell'accorata denuncia di Paolo VI.
Purtroppo il
dibattito nel salotto di Lerner (e presumibilmente negli altri salotti
televisivi, nei quali si celebrerà il cinquantesimo anniversario del Concilio
Vaticano II) ha girato al largo del paraconcilio. La cultura di massa detesta le
questioni scomode. Senza contare che l'omissione, probabilmente, è dovuta alla
sopravvivenza delle illusioni paraconciliari nei pensieri e nei discorsi - laici
e paracattolici - intorno alla rottura causata dall'immaginario Vaticano
II.
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“Intrigo al Concilio
Vaticano II” (di Piero Vassallo)
RECENSIONE
Rosa Alberoni, “Intrigo al Concilio
Vaticano II”, Romanzo, Fede & Cultura, Verona 2010, pagine 192, euro 15.
Di
Piero Vassallo
Rosa Alberoni è una delle rare intelligenze
cattoliche che hanno smaltito l'ubriacatura sessantottina scendendo alle radici
dell'inganno: l'arruolamento dei teologi progressisti (ossia neo-modernisti)
nelle squadre degli utili idioti, impegnati nella propaganda dei filosofici
inganni intitolati al mondo moderno, e l'incauto ottimismo che indusse Giovanni
XXIII a credere nella buona volontà dei rivoluzionari.
Al protagonista del romanzo,
personificazione letteraria dell'illustre teologo che, in incognito, ha svelato
i tenebrosi misteri della congiura promossa per destabilizzare la Chiesa
cattolica, l'autrice, infatti, fa dichiarare che “I teologi con un'astuzia
ipocrita avevano camuffato l'ideologia comunista dietro l'amore per i poveri, il
desiderio di pace, e offrivano la lotta di classe camuffata. Avevano rovesciato
l'incitamento di Cristo, ama il tuo nemico, in odia il
tuo nemico”.
Raggirati da teologi estenuati
dall'inseguimento di macchinosi filosofemi e di miraggi ideologici in via
d'estinzione, un alto numero di giovani cattolici si consacrò all'illusoria
missione di rinnovare la civiltà cristiana.
Migliaia di giovani entusiasti, formati nei
circoli parrocchiali e nelle associazioni scoutistiche, si convertirono alle pie
assurdità del Sessantotto, diventando inconsapevoli e docili strumenti di
un'ideologia già vecchia, già smentita e consumata dalla tragica, sanguinaria
applicazione sovietica e maoista, dall'esperimento subito da masse naturalmente
refrattarie all'implacabile delirio degli utopisti.
La metamorfosi della fede giovanile,
purtroppo, fu aiutata dal silenzio del Concilio Vaticano II sul comunismo: “I
vescovi erano al corrente delle persecuzioni e dei milioni di morti prodotti dai
gulag. Sulla mancanza di questo argomento anche il Santo Padre [Giovanni XXIII]
si arrese, nonostante le insistenze di alcuni cardinali. Con il tempo si è
mostrata una mancanza irreparabile. L'elusione della condanna del comunismo fu
una vera iattura”.
La narrazione della congiura progressista e
dei suoi esiti disastrosi è svolta da Rosa Alberoni nella forma avvincente del
romanzo.
Nella pagina letteraria, tuttavia, si può
leggere, in filigrana, un'inedita, segreta storia del Concilio ecumenico
Vaticano II e del colpo di stato (o colpo di chiesa) tentato dalla fazione
progressista e finalizzato alla dissoluzione del dogma cattolico.
Ora il risultato più importante della vera
storia in cammino fra le righe del romanzo, è la riabilitazione di Paolo VI, al
cui pontificato si riconosce, finalmente, il merito di aver sventato la manovra
dei novatori olandesi, francesi e tedeschi congiurati nel Concilio Vaticano II
al fine di abbattere l'autorità del successore di Pietro per instaurare la
collegialità. Preambolo alla trasformazione della Chiesa cattolica in una
democrazia profana cioè assoggettata alla tramontante filosofia dei
moderni.
Il 16 novembre del 1965, infatti, Paolo VI
sconfessò apertamente i fautori della collegialità, pubblicando una nota previa
per rammentare che il Sommo Pontefice può esercitare la sua potestà in ogni
tempo e a suo piacimento, come è richiesto dallo stesso suo ufficio.
Da quel coraggioso documento ebbe inizio il
faticoso allontanamento della Chiesa cattolica dagli errori dei modernizzanti,
che avevano tentato di indirizzare il Concilio Vaticano II alla dissoluzione
della fede cattolica.
Vent'anni dopo la pubblicazione della nota
previa, il cardinale Ratzinger potrà ribadire, contro il deviante spirito del
concilio immaginario, che “la la struttura della Chiesa è basata sulla
successione apostolica” dunque che “la Chiesa è una realtà che supera,
misteriosamente e insieme infinitamente, la somma dei suoi membri”.
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Il Concilio Tradito
Padre Giovanni
Cavalcoli - Karl Rahner, Il concilio tradito - Fede e Cultura,
2009Un saggio di padre
Cavalcoli su Rahner - Il Vaticano II tradito dai teologi
Di Piero Vassallo
Di Piero Vassallo
Nel 1985 fu pubblicato “Rapporto sulla fede”, un libro-intervista di
Vittorio Messori al cardinale Joseph Ratzinger, oggi leggibile quale
anticipazione del programma di Benedetto XVI. Il cardinale, infatti, formulava
alcuni degli argomenti indeclinabili, che oggi raccomandano l’interpretazione
del Vaticano II alla luce di un’ermeneutica della continuità.
Nel corso dell’intervista l’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio denunciava il “falso spirito del concilio”, e smentiva i commentatori avventurosi, che, forzando i testi del Vaticano II, vi leggevano l’approvazione e l’incoraggiamento ai teologi della discontinuità, che, in quegli anni precipitosi, erano affaccendati a rivedere e ad aggiornare la tradizionale dottrina della Chiesa cattolica nella luce di un immaginario insegnamento conciliare.
Fondatore della nuova e spericolata teologia, era stato il gesuita Karl Rahner, un autore confutato da Cornelio Fabro nel 1974 e fermamente contestato da Joseph Ratzinger, in articoli e saggi pubblicati nel 1978 e nel 1982.
Influenzato dalla filosofia immanentistica di Hegel, cui lo aveva iniziato Martin Heidegger, Rahner riteneva che la via modernorum fosse senza ritorno e, di conseguenza, progettava il dirottamento della teologia cattolica su di essa.
La prima mossa di Rahner sulla via modernorum fu l’attenuazione buonista della legge, che stabilisce la reciproca incompatibilità del vero e del falso.
Per i seguaci di Rahner, “buono” diventò il qualunque pensatore impegnato a scongiurare i conflitti causati (si presumeva) dalla convinzione che si danno princìpi tra loro irriducibili.
Padre Giovanni Cavalcoli o. p., l’autore del saggio sulla teologia di Karl Rahner, edito dalla veronese Fede & Cultura, rammenta che, in seguito alla predicazione di Rahner, nella Chiesa cattolica si è diffusa la convinzione che “Il voler distinguere con assolutezza il vero dal falso sembra a molti espressione di presunzione e di intolleranza, sorgente di discordia e mancanza di rispetto per le idee e la coscienza degli altri. Il concetto stesso di una religione assolutamente vera che primeggi sulle altre appare a molti una pretesa imperialistica di questa sulle altre religioni” (“Karl Rahner Il Concilio tradito”, pag. 16).
Il pregiudizio buonista esige, pro bono pacis, che si metta in parentesi l’oggetto della verità in sé, e si condivida il paradosso relativista-irenista secondo cui un’affermazione vera dal punto di vista di chi la pronuncia, è vera anche dal punto di vista di chi dichiara l’esatto contrario.
Soggiacente alla flessibile misericordia, che comanda il sacrificio della verità sull’altare dell’armonia ad ogni costo, è la sentenza del guru sessantottino Herbert Marcuse, che (nel saggio “Eros e civiltà”) ha definito fascista il principio di non contraddizione, secondo cui un’affermazione non può essere vera e falsa nello stesso tempo e sotto il medesimo profilo.
Va da sé che il contrasto tra l’intollerante verità e la pace nella menzogna è un argomento sofistico, inventato dai filosofi ultramoderni di scuola heideggeriana e/o francofortese per nascondere la decisione di aggirare i princìpi indeclinabili della logica, princìpi che (a loro avviso) non sono iscritti e leggibili nella realtà ma imposti dal fascismo orrido e immenso.
La ricerca dei possibili ispiratori dell’avversione alla verità, non incontra gli apostoli della pace secondo Cristo, ma il maestro di Karl Rahner, l’astruso Martin Heidegger, autore dello stravolgente principio secondo cui “la verità non sta nel giudizio col quale l’uomo adegua il suo pensiero all’essere, ma sta nella comprensione atematica, nell’esperienza trascendentale, come situazione esistenziale emotiva del soggetto auto-cosciente, nel quale l’essere si identifica con l’essere pensato, in modo tale che la verità del pensiero è al contempo la verità dell’essere e la verità del soggetto”.
Heidegger e al suo seguito Rahner vantavano l’appartenenza alla più alta e aggiornata tradizione metafisica. In realtà il loro pensiero, avendo accolto gli errori della logica kantiana ed hegeliana, approda a risultati non molto diversi da quelli ottenuti da Jean Paul Sartre e da Claude Levy Strauss, autori di disperate chiacchiere antimetafisiche, finalizzate all’abbassamento dell’intelletto umano al livello della sensazione animalesca.
Svilimento della ragione umana e retrocessione dell’immanentismo moderno al panteismo antico costituiscono l’orizzonte ultimo del pensiero heideggeriano e rahneriano.
Ridotto la filosofia ad universale esperienza emotiva, l’errore , la non adeguazione dell’intelletto alla realtà, sprofonda in un cappello a cilindro: di qui l’opinione temeraria (affermata da Rahner) che tutti conoscano la verità attraverso la c. d. esperienza trascendentale.
Rahner sostiene che la concordia inizia dal riconoscimento che tutti gli uomini posseggono la verità e nessuno sbaglia. E propone la tesi che attribuisce agli atei la qualifica di cristiani anonimi, che in quanto tali sono naturalmente destinati alla beatitudine eterna.
Per attingere un tale pensiero Rahner è costretto a condividere il disconoscimento modernista della dottrina cattolica sulla grazia. La grazia, pertanto diventa “la natura-grazia che è sufficiente ad assicurare la felicità e la divinizzazione dell’uomo”.
Oscurata la nozione della grazia la trascendenza divina evapora. Rahner “finisce nel vedere nel soprannaturale niente più che uno sviluppo totale e finale del naturale o un approfondimento di quest’ultimo, come se l’uomo elevandosi al massimo delle sue possibilità potesse diventare Dio”.
Padre Cavalcoli osserva che Rahner cade in un tale errore perché applica il trascendentale alla cristologia: “Ma questo è un fatto grave perché Cristo da mistero di fede diventa un’entità metafisica, un trascendentale, un contenuto apriorico della coscienza trascendentale atematica, un’esigenza strutturale e fisiologica, non liberamente scelta, di ultima pienezza umana, in linea del resto con tutto il pensiero rahneriano, dove il divino e il soprannaturale costituiscono un’esigenza di razionalità e di umanità, che tutti sentono cristiani anonimi) e che in tutti viene soddisfatta” (op. cit. pag. 185)
Come ha dimostrato il cardinale Giuseppe Siri nel saggio “Getsemani Riflessioni sul movimento teologico contemporaneo”, la teologia di Rahner vuole convincere il lettore che “Dio e l’uomo hanno la stessa essenza”. Una conclusione catastrofica che affonda la fede cattolica nella disperata filosofia di Heidegger, dove Dio e l’uomo circolano eternamente intorno all’essere per il nulla.
Il sottotitolo del saggio di padre Cavalcoli (“Il Concilio tradito”) manifesta l’opinione dell’autore sull’influsso dell’antropologia rahneriana (confutata secondo una linea di pensiero che tiene conto e approfondisce le ragioni esposte nel saggio “La svolta antropologica di Karl Rahner”, scritto da padre Cornelio Fabro, nei primi anni Settanta) nelle esorbitanze ecumeniche elucubrate in nome di un presunto “spirito del concilio Vaticano II”.
Non solo nelle stravaganze postconciliari: padre Cavalcoli, infatti, facendo propria e sviluppando una tesi di monsignor Brunero Gherardini, dimostra che il buonismo di Rahner si è insinuato di soppiatto nei testi conciliari, ad esempio nella traduzione italiana della Gaudium et Spes, che invita ad un esame più serio e profondo delle ragioni che si nascondono nella mente degli atei, quasi che esistano delle serie ragioni per essere atei.
Di qui l’auspicio, formulato nella magnifica conclusione, che il Magistero della Chiesa sconfessi apertamente la finzione buonista e “metta in luce con chiarezza quali sono le dottrine nuove del Concilio, non secondo un’esegesi di rottura, ma come esplicazione della Tradizione, lasciando così una giusta libertà di critica nei confronti invece di quelle disposizioni pastorali che sembrano o si sono verificate meno opportune e magari rivedibili o abrogabili per assicurare e promuovere il bene e il progresso della Chiesa nella Verità” (op. cit., pag. 345).
Senza ombra di dubbio l’auspicio di padre Cavalcoli corre incontro alle sapienti intenzioni di Benedetto XVI, oltre che alle speranze di tutti i credenti. La lettura del suo pregevole saggio, pertanto, è raccomandata a quanti hanno a cuore il vero bene della Chiesa cattolica.
il libro può essere richiesto direttamente alla Casa Editrice Fede e Cultura
Nel corso dell’intervista l’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio denunciava il “falso spirito del concilio”, e smentiva i commentatori avventurosi, che, forzando i testi del Vaticano II, vi leggevano l’approvazione e l’incoraggiamento ai teologi della discontinuità, che, in quegli anni precipitosi, erano affaccendati a rivedere e ad aggiornare la tradizionale dottrina della Chiesa cattolica nella luce di un immaginario insegnamento conciliare.
Fondatore della nuova e spericolata teologia, era stato il gesuita Karl Rahner, un autore confutato da Cornelio Fabro nel 1974 e fermamente contestato da Joseph Ratzinger, in articoli e saggi pubblicati nel 1978 e nel 1982.
Influenzato dalla filosofia immanentistica di Hegel, cui lo aveva iniziato Martin Heidegger, Rahner riteneva che la via modernorum fosse senza ritorno e, di conseguenza, progettava il dirottamento della teologia cattolica su di essa.
La prima mossa di Rahner sulla via modernorum fu l’attenuazione buonista della legge, che stabilisce la reciproca incompatibilità del vero e del falso.
Per i seguaci di Rahner, “buono” diventò il qualunque pensatore impegnato a scongiurare i conflitti causati (si presumeva) dalla convinzione che si danno princìpi tra loro irriducibili.
Padre Giovanni Cavalcoli o. p., l’autore del saggio sulla teologia di Karl Rahner, edito dalla veronese Fede & Cultura, rammenta che, in seguito alla predicazione di Rahner, nella Chiesa cattolica si è diffusa la convinzione che “Il voler distinguere con assolutezza il vero dal falso sembra a molti espressione di presunzione e di intolleranza, sorgente di discordia e mancanza di rispetto per le idee e la coscienza degli altri. Il concetto stesso di una religione assolutamente vera che primeggi sulle altre appare a molti una pretesa imperialistica di questa sulle altre religioni” (“Karl Rahner Il Concilio tradito”, pag. 16).
Il pregiudizio buonista esige, pro bono pacis, che si metta in parentesi l’oggetto della verità in sé, e si condivida il paradosso relativista-irenista secondo cui un’affermazione vera dal punto di vista di chi la pronuncia, è vera anche dal punto di vista di chi dichiara l’esatto contrario.
Soggiacente alla flessibile misericordia, che comanda il sacrificio della verità sull’altare dell’armonia ad ogni costo, è la sentenza del guru sessantottino Herbert Marcuse, che (nel saggio “Eros e civiltà”) ha definito fascista il principio di non contraddizione, secondo cui un’affermazione non può essere vera e falsa nello stesso tempo e sotto il medesimo profilo.
Va da sé che il contrasto tra l’intollerante verità e la pace nella menzogna è un argomento sofistico, inventato dai filosofi ultramoderni di scuola heideggeriana e/o francofortese per nascondere la decisione di aggirare i princìpi indeclinabili della logica, princìpi che (a loro avviso) non sono iscritti e leggibili nella realtà ma imposti dal fascismo orrido e immenso.
La ricerca dei possibili ispiratori dell’avversione alla verità, non incontra gli apostoli della pace secondo Cristo, ma il maestro di Karl Rahner, l’astruso Martin Heidegger, autore dello stravolgente principio secondo cui “la verità non sta nel giudizio col quale l’uomo adegua il suo pensiero all’essere, ma sta nella comprensione atematica, nell’esperienza trascendentale, come situazione esistenziale emotiva del soggetto auto-cosciente, nel quale l’essere si identifica con l’essere pensato, in modo tale che la verità del pensiero è al contempo la verità dell’essere e la verità del soggetto”.
Heidegger e al suo seguito Rahner vantavano l’appartenenza alla più alta e aggiornata tradizione metafisica. In realtà il loro pensiero, avendo accolto gli errori della logica kantiana ed hegeliana, approda a risultati non molto diversi da quelli ottenuti da Jean Paul Sartre e da Claude Levy Strauss, autori di disperate chiacchiere antimetafisiche, finalizzate all’abbassamento dell’intelletto umano al livello della sensazione animalesca.
Svilimento della ragione umana e retrocessione dell’immanentismo moderno al panteismo antico costituiscono l’orizzonte ultimo del pensiero heideggeriano e rahneriano.
Ridotto la filosofia ad universale esperienza emotiva, l’errore , la non adeguazione dell’intelletto alla realtà, sprofonda in un cappello a cilindro: di qui l’opinione temeraria (affermata da Rahner) che tutti conoscano la verità attraverso la c. d. esperienza trascendentale.
Rahner sostiene che la concordia inizia dal riconoscimento che tutti gli uomini posseggono la verità e nessuno sbaglia. E propone la tesi che attribuisce agli atei la qualifica di cristiani anonimi, che in quanto tali sono naturalmente destinati alla beatitudine eterna.
Per attingere un tale pensiero Rahner è costretto a condividere il disconoscimento modernista della dottrina cattolica sulla grazia. La grazia, pertanto diventa “la natura-grazia che è sufficiente ad assicurare la felicità e la divinizzazione dell’uomo”.
Oscurata la nozione della grazia la trascendenza divina evapora. Rahner “finisce nel vedere nel soprannaturale niente più che uno sviluppo totale e finale del naturale o un approfondimento di quest’ultimo, come se l’uomo elevandosi al massimo delle sue possibilità potesse diventare Dio”.
Padre Cavalcoli osserva che Rahner cade in un tale errore perché applica il trascendentale alla cristologia: “Ma questo è un fatto grave perché Cristo da mistero di fede diventa un’entità metafisica, un trascendentale, un contenuto apriorico della coscienza trascendentale atematica, un’esigenza strutturale e fisiologica, non liberamente scelta, di ultima pienezza umana, in linea del resto con tutto il pensiero rahneriano, dove il divino e il soprannaturale costituiscono un’esigenza di razionalità e di umanità, che tutti sentono cristiani anonimi) e che in tutti viene soddisfatta” (op. cit. pag. 185)
Come ha dimostrato il cardinale Giuseppe Siri nel saggio “Getsemani Riflessioni sul movimento teologico contemporaneo”, la teologia di Rahner vuole convincere il lettore che “Dio e l’uomo hanno la stessa essenza”. Una conclusione catastrofica che affonda la fede cattolica nella disperata filosofia di Heidegger, dove Dio e l’uomo circolano eternamente intorno all’essere per il nulla.
Il sottotitolo del saggio di padre Cavalcoli (“Il Concilio tradito”) manifesta l’opinione dell’autore sull’influsso dell’antropologia rahneriana (confutata secondo una linea di pensiero che tiene conto e approfondisce le ragioni esposte nel saggio “La svolta antropologica di Karl Rahner”, scritto da padre Cornelio Fabro, nei primi anni Settanta) nelle esorbitanze ecumeniche elucubrate in nome di un presunto “spirito del concilio Vaticano II”.
Non solo nelle stravaganze postconciliari: padre Cavalcoli, infatti, facendo propria e sviluppando una tesi di monsignor Brunero Gherardini, dimostra che il buonismo di Rahner si è insinuato di soppiatto nei testi conciliari, ad esempio nella traduzione italiana della Gaudium et Spes, che invita ad un esame più serio e profondo delle ragioni che si nascondono nella mente degli atei, quasi che esistano delle serie ragioni per essere atei.
Di qui l’auspicio, formulato nella magnifica conclusione, che il Magistero della Chiesa sconfessi apertamente la finzione buonista e “metta in luce con chiarezza quali sono le dottrine nuove del Concilio, non secondo un’esegesi di rottura, ma come esplicazione della Tradizione, lasciando così una giusta libertà di critica nei confronti invece di quelle disposizioni pastorali che sembrano o si sono verificate meno opportune e magari rivedibili o abrogabili per assicurare e promuovere il bene e il progresso della Chiesa nella Verità” (op. cit., pag. 345).
Senza ombra di dubbio l’auspicio di padre Cavalcoli corre incontro alle sapienti intenzioni di Benedetto XVI, oltre che alle speranze di tutti i credenti. La lettura del suo pregevole saggio, pertanto, è raccomandata a quanti hanno a cuore il vero bene della Chiesa cattolica.
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RispondiEliminaInviterei il prof. Osvaldo Ravoni a non pubblicare, spacciandole per sue, le mie vignette, realizzare almeno vent'anni fa.
RispondiEliminaIn alcune, si vede addirittura la mia firma (http://www.riscossacristiana.it/la-chiacchierata-domenicale-5-di-rigoletto-corsini/) e l'anno in cui le ho disegnate.
Grazie.
Pietro Siffi