domenica 28 aprile 2013

M. Guarini - Fusione delle fonti della Rivelazione: ASSORBIMENTO DELLA TRADIZIONE NELLA SACRA SCRITTURA

Fusione delle fonti della Rivelazione. Assorbimento Tradizione nella Scrittura
Il testo che segue è tratto dal libro: Maria Guarini, La Chiesa e la sua continuità. Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II, Ed. DEUI Rieti 2012, richiedibile anche a maria.guarini@gmail.com - Euro 21 comprese le spese di spedizione.


Fusione delle fonti della Rivelazione 
con l’assorbimento della Tradizione nella Sacra Scrittura 

La Chiesa è la custode del sacro deposito delle verità rivelate in ordine alle quali vengono usati due termini-chiave: Salvaguardia e Trasmissione. La prima indica il dovere e la funzione della Chiesa di custodire le verità rivelate così come le ha ricevute, senza cambiamenti aggiunte o amputazioni; la seconda indica che la Chiesa ha il dovere e la funzione di trasmettere ad ogni generazione tutto ciò che ha ricevuto e solamente quello.

La Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione, la Dei Verbum, nel II Cap. paragrafi 7-10 ha per oggetto La trasmissione della Rivelazione. Il paragrafo 9 sancisce le relazioni tra Scrittura e Tradizione, il 10 quelle tra Tradizione-Scrittura e Chiesa-Magistero. È proprio qui che avviene la confusione con l'espressione “coalescunt un unum”, riferita ai tre concetti: Scrittura, Tradizione e Magistero. E quindi Scrittura Tradizione e Magistero diventano un tutt’uno così “da non poter sussistere indipendentemente”.

Mons. Gherardini dimostra che la Dei Verbum accantona la dottrina definita dal Tridentino e dal Vaticano I sulle “due Fonti” della Rivelazione (Tradizione e Scrittura), per far confluire Tradizione e Magistero nella Scrittura. Infatti, soprattutto nel punto 10 « il precedente Magistero è spazzato via all’insegna d’una radicale tanto quanto insostenibile unificazione. Unificati sono i concetti di Scrittura, Tradizione e Magistero. […]. La “reductio ad unum” della Dei Verbum, pertanto, corregge se non proprio non cancella letteralmente il dettato del Tridentino e del Vaticano I».(1)  E ciò perché la Tradizione si sarebbe travasata nella Scrittura, di cui il Magistero non sarebbe che una formulazione ed una comunicazione; e “quindi in ultima analisi una ritrasmissione, secondo la natura della Tradizione stessa”. Eppure fino al Vaticano II la teologia ha sostenuto la teoria nelle “due fonti” (Sacra Scrittura e Tradizione) e ne ha dedotto la distinzione della regula fidei in prossima e remota: il Magistero è la regola prossima della Fede, mentre Scrittura e Tradizione sono la regola remota. Infatti è il Magistero della Chiesa che interpreta la Rivelazione e ci obbliga a credere ciò che è contenuto in essa come oggetto di Fede, per la salvezza eterna.

Il discorso non può prescindere dal ricorso al Concilio Tridentino che, se non parla esplicitamente di "due fonti", esplicita "de libris sacris et de traditionibus recipiendis" e anzi, « l'unica volta che ricorre al termine "fons", lo riferisce all'azione evangelizzatrice degli apostoli, dichiarandola fonte di tutta la verità salutare..... contenuta "in libris scriptis et sine scripto traditionibus" ».(2)

L’accantonamento della Tradizione e del Magistero a favore della (luterana) sola Scriptura, contenuto nei testi del Vaticano II, è confermato anche dai fatti (“contra factum non valet argumentum”), in primis dalla contestazione dell’enciclica Humanae vitae di Paolo VI del 1968 da parte di interi Episcopati, che criticarono apertamente il Magistero. 

Occorre perciò ribadire che le fonti della Rivelazione sono due: la Scrittura e la Tradizione, che si integrano pur rimanendo distinte. La Tradizione, in genere orale (e se scritta, non scritta per ispirazione divina), trasmette quanto gli Apostoli hanno appreso da Cristo stesso e i loro discepoli dagli Apostoli. La Scrittura non contiene tutta la Tradizione perché vi sono escluse verità trasmesse solo oralmente quali, ad esempio, il Battesimo dei bambini, il numero settenario dei Sacramenti ecc… Perciò tutta l’antichità cristiana esalta, a fianco della Sacra Scrittura, la Tradizione quale canale trasmettitore della divina Rivelazione. Inoltre nella Tradizione mancano quelle Verità contenute nella Scrittura in modo implicito e che la Chiesa ha esplicitato attraverso i dogmi e che si trasmettono poi col Magistero.

Attualmente il problema non è solo ermeneutico, è molto più profondo, perché vede di fronte due concezioni diverse del magistero, frutto di una vera e propria rivoluzione copernicana, collegata con una nuova concezione di Chiesa nata dal concilio, che ha spostato il fulcro di ogni cosa dall’oggetto al soggetto.
  1. Il Magistero bimillenario della Chiesa poteva dirsi ‘vivente’ nel senso che trasmetteva secondo i bisogni di ogni generazione - ma curandone l'integrità nella sostanza: eodem sensu eademque sententia - il Depositum fidei della Tradizione Apostolica, fondamento oggettivo, dato per sempre, pur se sempre ulteriormente approfondito e chiarito nelle sue innumerevoli ricchezze; 
  2. il magistero attuale si dice invece vivente, in senso storicistico, perché portatore dell'esperienza soggettiva della Chiesa di oggi (che sarà diversa da quella di domani) essendo sottoposta all'evoluzione determinata dalle variazioni contingenti legate alle diverse epoche.
Il ruolo del magistero – ha detto l’attuale Pontefice - è di assicurare la continuità di una esperienza, è lo strumento dello Spirito che alimenta la comunione « assicurando il collegamento fra l'esperienza della fede apostolica, vissuta nell'originaria comunità dei discepoli, e l'esperienza attuale del Cristo nella sua Chiesa ». E ancora: « ...Concludendo e riassumendo, possiamo dunque dire che la Tradizione non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti ».(3) Il problema sta nel fatto che le cose o parole definite “collezione di cose morte”, nella vulgata modernista vengono riferite al “magistero perenne” che sarebbe diventato “cosa morta” da sostituire col magistero “vivente”, identificato con quello attuale. In tal modo viene conferita al magistero una prerogativa che non gli è propria: quella di essere sempre riferito al “presente”, con tutta la mutevolezza e precarietà propria del divenire, mentre la sua peculiarità è quella di essere, nel contempo, passato e presente, trasmettendo una Verità rivelata che, pur inverata nell’oggi di ogni generazione, appartiene all’eternità. Altrimenti cosa trasmette la Chiesa a questa generazione e a quelle future: solo un’esperienza soggettiva? Mentre le è proprio esercitare una funzione sempre in vigore, il cui atto è definito attraverso l'oggetto, ovvero attraverso le verità rivelate e tramandate.

Insomma è cambiato il cardine su cui si fonda la Fede, spostato dall'oggetto-Rivelazione al soggetto-Chiesa/Popolo-di-Dio pellegrina nel tempo e di fatto trasferito dall'ordine della conoscenza a quello dell'esperienza. È il frutto della dislocazione della Santissima Trinità, come illustra 'sapientemente' Romano Amerio: « Alla base del presente smarrimento vi è un attacco alla potenza conoscitiva dell’uomo, e questo attacco rimanda ultimamente alla costituzione metafisica dell’ente e ultimissimamente alla costituzione metafisica dell’Ente primo, cioè alla divina Monotriade. […] Come nella divina Monotriade l’amore procede dal Verbo, così nell’anima umana il vissuto dal pensato. Se si nega la precessione del pensato dal vissuto, della verità dalla volontà, si tenta una dislocazione della Monotriade ». Intuibile il sovvertimento della realtà che ne deriva.(4)
Maria Guarini
_________________
1. Brunero Gherardini, Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Lindau 2011 
2. Brunero Gherardini, Continuità o rottura?, Divinitas n.3/2012, pag.335 3. Benedetto XVI, La comunione nel tempo: la Tradizione, Catechesi del 26 aprile 2006
4. Romano Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Lindau 2009, pag.315

Nessun commento:

Posta un commento