martedì 30 luglio 2013

Papa Francesco proibisce la S. Messa tradizionale


Papa Francesco,
proibisce la S. Messa tradizionale



Riportiamo la notizia diffusa dal vaticanista Sandro Magister, sul ridimensiomento della congregazione dei Francescani dell'Immacolata e sulla proibizione loro imposta di celebrare la S. Messa tradizionale

Sito Chiesa.espresso.repubblica




Sorpresa, per certi aspetti. Sconcerto, per certi altri. Conferma per certi altri ancora.
Chi si fosse illuso, in questi due ultimi anni, che la moderna Chiesa conciliare potesse lasciare spazio a “pezzi” della Tradizione, oggi avrà di che grattarsi il capo.
Già il Motu Proprio Summorum Pontificum era una grossa trappola, come abbiamo scritto ripetutamente (si veda tra l'altro il numero monografico del nostro giornale), e tendeva a distruggere quanto rimasto della liturgia tradizionale, ma oggi diventa chiaro che il grande disegno era ed è quello di trasformare la Tradizione della Chiesa cattolica in una sorta di reliquario da museo. E anche questo lo abbiamo scritto in tempi non sospetti, soprattutto a proposito della nota vicenda della Fraternità San Pietro, del 2000, che presenta molti risvolti analoghi, sia per la scusa di partenza, sia per l'epilogo (si veda il Dossier San Pietro)

Tutto questo non era scontato, ma era sicuramente prevedibile, se non nella forma, di certo nella sostanza.
Non c'è una sola Chiesa cattolica con al suo interno una perniciosa “tendenza” modernista e conciliare, ma ci sono due chiese in una: e quella prevalente, quella che occupa i posti di comando, quella che cerca comunque di soppiantare la Chiesa di Cristo, seppure persistendo il non prevalebunt, è la Chiesa conciliare.
Con essa non v'è possibilità di rapporto, se non quello dell'opposizione e del rifiuto, se non quello della battaglia continua, del bonum certamen raccomandato da San Paolo, l'unico che permetterà la sopravvivenza della residuale Chiesa cattolica, nonostante i papi e la gerarchia conciliari e nonostante tutti gli accordismi di tanti moderati, di molti conservatori e di certi tradizionalisti.
Nullam partem, diceva Mons. Marcel Lefebvre, e l'operazione sopravvivenza da lui iniziata continua ancora, più aspra, più difficile, più combattuta di prima.

Adiutorum nostrum in nomine Domini



Con La prima volta che Francesco contraddice Benedetto

Su un punto nevralgico: la messa in rito antico. Ratzinger ne ha consentito a tutti la celebrazione. Bergoglio l'ha proibita a un ordine religioso che la prediligeva

di Sandro Magister


ROMA, 29 luglio 2013 – Un punto sul quale Jorge Mario Bergoglio era atteso al varco, dopo la sua elezione a papa, era quello della messa in rito antico.

C'era chi prevedeva che papa Francesco non si sarebbe discostato dalla linea del suo predecessore. Il quale aveva liberalizzato la celebrazione della messa in rito antico come forma "straordinaria" del rito moderno, con il motu proprio "Summorum pontificum" del 7 luglio 2007:

Benedetto XVI liberalizza il rito antico della messa. E spiega perché

e con la successiva istruzione "Universæ ecclesiæ" del 13 maggio 2011:

Due messe per un'unica Chiesa

E c'era chi invece pronosticava da parte di Francesco una restrizione – o addirittura una cancellazione – della possibilità di celebrare la messa con il rito anteriore al Concilio Vaticano II, anche a costo di contraddire le delibere di Benedetto XVI con lui ancora vivente.

A leggere un decreto emesso dalla congregazione vaticana per i religiosi poco prima del viaggio di Francesco in Brasile, con l'approvazione esplicita dello stesso papa, si dovrebbe dare più ragione ai secondi che ai primi.

Il decreto ha la data dell'11 luglio 2013, il numero di protocollo 52741/2012  e le firme del prefetto della congregazione, il cardinale Joao Braz de Aviz, focolarino, e del segretario della stessa, l'arcivescovo José Rodríguez Carballo, francescano.

Braz de Aviz è l'unico alto dirigente di curia di nazionalità brasiliana e per questo ha accompagnato Francesco nel suo viaggio a Rio de Janeiro. Ha fama di progressista, anche se più gli si addice quella di confusionario. E sarà probabilmente uno dei primi a saltare, appena la riforma della curia annunciata da Francesco prenderà corpo.

Rodríguez Carballo gode invece della piena fiducia del papa. La sua promozione a numero due della congregazione è stata voluta dallo stesso Francesco all'inizio del suo pontificato.

Difficile dunque pensare che papa Bergoglio non si sia avveduto di ciò che approvava, quando gli fu presentato il decreto prima della pubblicazione.

Il decreto insedia un commissario apostolico – nella persona del cappuccino Fidenzio Volpi – alla testa di tutte le comunità della congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata.

E già questo è motivo di stupore. Perché i Francescani dell'Immacolata sono una delle più fiorenti comunità religiose nate nella Chiesa cattolica negli ultimi decenni, con rami maschili e femminili, con numerose e giovani vocazioni, diffusi in più continenti e con una missione anche in Argentina.

Si vogliono fedeli alla tradizione, nel pieno rispetto del magistero della Chiesa. Tant'è vero che nelle loro comunità celebrano messe sia in rito antico che in rito moderno, come del resto fanno in tutto il mondo centinaia di altre comunità religiose – per fare un solo esempio i benedettini di Norcia – applicando lo spirito e la lettera del motu proprio "Summorum pontificum" di Benedetto XVI.

Ma proprio questo è stato loro contestato da un nucleo di dissidenti interni, i quali si sono appellati alle autorità vaticane lamentando l'eccessiva propensione della loro congregazione a celebrare la messa in rito antico, con l'effetto di creare esclusioni e contrapposizioni dentro le comunità, di minare l'unità interna e, peggio, di indebolire il più generale "sentire cum Ecclesia".

Le autorità vaticane hanno risposto inviando un anno fa un visitatore apostolico. E ora ecco la nomina del commissario.

Ma ciò che più stupisce sono le ultime cinque righe del decreto dell'11 luglio:

"In aggiunta a quanto sopra, il Santo Padre Francesco ha disposto che ogni religioso della congregazione dei Frati Francescani dell'Immacolata è tenuto a celebrare la liturgia secondo il rito ordinario e che, eventualmente, l'uso della forma straordinaria (Vetus Ordo) dovrà essere esplicitamente autorizzata [sic] dalle competenti autorità, per ogni religioso e/o comunità che ne farà richiesta".

Lo stupore deriva dal fatto che ciò che qui viene decretato contraddice le disposizioni date da Benedetto XVI, che per la celebrazione della messa in rito antico "sine populo" non esigono alcuna previa richiesta di autorizzazione:

"Ad talem celebrationem secundum unum alterumve Missale, sacerdos nulla eget licentia, nec Sedis Apostolicae nec Ordinarii sui" (1).

Mentre per le messe "cum populo" pongono alcune condizioni, ma sempre assicurando la libertà di celebrare.

In generale, contro un decreto di una congregazione vaticana è possibile fare ricorso presso il supremo tribunale della segnatura apostolica, oggi presieduto da un cardinale, l'americano Raymond Leo Burke, giudicato amico dai tradizionalisti.

Ma se il decreto è oggetto di approvazione in forma specifica da parte del papa, come sembra avvenire in questo caso, il ricorso non è ammesso.

I Francescani dell'Immacolata dovranno attenersi al divieto di celebrare la messa in rito antico a partire da domenica 11 agosto.

E ora che cosa accadrà, non solo tra loro ma nella Chiesa intera?

Era convinzione di Benedetto XVI che "le due forme dell’uso del rito romano possono arricchirsi a vicenda". L'aveva spiegato nell'accorata lettera ai vescovi di tutto il mondo con cui aveva accompagnato il motu proprio "Summorum pontificum":
"Con grande fiducia e speranza…"

Ma da qui in avanti non sarà più così, almeno non per tutti. Ai Francescani dell'Immacolata, costretti a celebrare la messa soltanto nella forma moderna, non resterà che un solo modo per fare tesoro di quello che ancora Benedetto XVI auspicava: "manifestare" anche in questa forma, "in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso".

Sta di fatto che un caposaldo del pontificato di Joseph Ratzinger è stato incrinato. Da un'eccezione che molti temono – o auspicano – diventerà presto la regola.

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(1) Curiosamente, ancora sei anni dopo la pubblicazione, il motu proprio "Summorum Pontificum" di Benedetto XVI continua a essere presente nel sito ufficiale della Santa Sede solamente in due lingue e tra le meno conosciute: la latina e l'ungherese.

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Il sito web dei Francescani dell'Immacolata: Francescani dell'Immacolata





mercoledì 17 luglio 2013

Grandi ritorni. "Iota unum" e "Stat veritas" di Romano Amerio


                    

Grandi ritorni. "Iota unum" e "Stat veritas" di Romano Amerio


Tornano in libreria due opere capitali della cultura cattolica. E cade definitivamente il tabù su uno dei più grandi intellettuali cristiani del Novecento. La questione da lui messa a fuoco è la stessa al centro del pontificato di Benedetto XVI: quanto e come la Chiesa può cambiare?

di Sandro Magister




ROMA, 15 luglio 2009 – Da domani fanno ritorno nelle librerie italiane, editi da Lindau, due volumi entrati tra i classici della cultura cattolica, il cui contenuto è in impressionante sintonia col titolo e col fondamento della terza enciclica di Benedetto XVI: "Caritas in veritate".

I due volumi hanno per autore Romano Amerio, letterato, filosofo e teologo svizzero scomparso nel 1997 a 92 anni di età. Un suo grande estimatore, il teologo e mistico don Divo Barsotti, ne sintetizzò così il contenuto:

"Amerio dice in sostanza che i più gravi mali presenti oggi nel pensiero occidentale, ivi compreso quello cattolico, sono dovuti principalmente a un generale disordine mentale per cui viene messa la 'caritas' avanti alla 'veritas', senza pensare che questo disordine mette sottosopra anche la giusta concezione che noi dovremmo avere della Santissima Trinità".

In effetti, Amerio vide proprio in questo rovesciamento del primato del Logos sull'amore – ossia in una carità senza più verità – la radice di molte "variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX": le variazioni che egli descrisse e sottopose a critica nel primo e più imponente dei due volumi citati: "Iota unum", scritto tra il 1935 e il 1985; le variazioni che lo portarono a porre la questione se con esse la Chiesa non fosse divenuta altra cosa da sé.

Molte delle variazioni analizzate in "Iota unum" – ma ne basterebbe una sola, uno "iota", stando a Matteo 5, 18 che dà il titolo al libro – spingerebbero il lettore a pensare che una mutazione d'essenza vi sia stata, nella Chiesa. Amerio però analizza, non giudica. O meglio, da cristiano integrale qual è, lascia a Dio il giudizio. E ricorda che "portae inferi non praevalebunt", cioè che per fede è impossibile pensare che la Chiesa smarrisca se stessa. Una continuità con la Tradizione permarrà sempre, pur dentro turbolenze che la oscurano e fanno pensare il contrario.

C'è uno stretto legame tra le questioni poste in "Iota unum" e il discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 alla curia romana, discorso capitale per quanto riguarda l'interpretazione del Concilio Vaticano II e il suo rapporto con la Tradizione.

Ciò non toglie che lo stato della Chiesa descritto da Amerio sia tutt'altro che pacifico.

Benedetto XVI, nel discorso del 22 dicembre 2005, paragonò la babele della Chiesa contemporanea al marasma che nel IV secolo seguì al Concilio di Nicea, descritto da san Basilio, all'epoca, come "una battaglia navale nel buio di una tempesta".

Nella postfazione che Enrico Maria Radaelli, fedele discepolo di Amerio, pubblica in coda a questa riedizione di "Iota unum", la situazione attuale è paragonata piuttosto allo scisma d'Occidente, cioè ai quarant'anni tra il XIV e il XV secolo che precedettero il Concilio di Costanza, con la cristianità senza guida e senza una sicura "regola della fede", divisa tra due o persino tre papi contemporaneamente.

In ogni caso, riedito oggi a distanza di anni, "Iota unum" si conferma libro non solo straordinariamente attuale, ma "costruttivamente cattolico", in armonia col magistero della Chiesa. Nella postfazione Radaelli lo mostra in modo inconfutabile. La conclusione della postfazione è riprodotta più sotto.

Quanto al secondo libro, "Stat veritas", pubblicato da Amerio nel 1985, esso è in lineare continuità col precedente. Confronta la dottrina della Tradizione cattolica con le "variazioni" che l'autore ravvisa in due testi del magistero di Giovanni Paolo II: la lettera apostolica "Tertio millennio adveniente" del 10 novembre 1994 e il discorso al Collegium Leoninum di Paderborn del 24 giugno 1996.

Il ritorno in libreria di "Iota unum" e "Stat veritas" rende giustizia sia al loro autore, sia alla censura di fatto che si è abbattuta per lunghi anni su entrambi questi suoi libri capitali. In Italia, la prima edizione di "Iota unum" fu ristampata tre volte per complessive settemila copie, nonostante le sue quasi settecento pagine impegnative. Fu poi tradotto in francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco, olandese. Raggiunse decine di migliaia di lettori in tutto il mondo. Ma per gli organi cattolici ufficiali e per le autorità della Chiesa era tabù, oltre che naturalmente per gli avversari. Caso più unico che raro, questo libro fu un "long seller" clandestino. Continuò a essere richiesto anche quando si esaurì nelle librerie.

La rottura del tabù è recente. Convegni, commenti, recensioni. "La Civiltà Cattolica" e "L'Osservatore Romano" si sono anch'essi svegliati. All'inizio del 2009 una prima ristampa di "Iota unum" è apparsa in Italia per i tipi di "Fede & Cultura". Ma questa nuova edizione del libro ad opera di Lindau, assieme a quella di "Stat veritas", ha in più il valore della cura filologica, da parte del massimo studioso ed erede intellettuale di Amerio, Radaelli. Le sue due ampie postfazioni sono veri e propri saggi, indispensabili per capire non solo il senso profondo dei due libri, ma anche la loro perdurante attualità. Lindau, con Radaelli curatore, ha in animo di pubblicare nei prossimi anni l'imponente "opera omnia" di Amerio.

Qui di seguito ecco un brevissimo assaggio della postfazione a "Iota unum": le considerazioni finali.



Tutta la Chiesa in uno "iota"

di Enrico Maria Radaelli



[...] La conclusione è che Romano Amerio si rivela essere il pensatore più attuale e vivificante del momento. Con il garbo teoretico che contraddistinse tutti i suoi scritti, egli offre con "Iota unum" un pensiero molto costruttivamente cattolico, colmando uno spazio filosofico e teologico altrimenti incerto su interrogativi gravi.

Egli individua e indica che nella Chiesa una crisi c’è, ed è crisi che pare anche sovrastarla, ma mostra che non l’ha sovrastata; che pare rovinarla, ma non l’ha rovinata.

Individua poi e indica con chiarezza la causa prima di questa crisi in una variazione antropologica e prima ancora metafisica.

Individua e indica infine gli strumenti logici (iscritti nel Logos) necessari e sufficienti (eroicamente sufficienti, ma sufficienti) per superarla.

E tutto questo Amerio lo fa sviluppando un “modello di continuità” con la Tradizione, di ordinata e perciò perfetta obbedienza al papa, di intima adesione alla regola prossima della fede, che parrebbe chiarire in tutto come va intesa quella "ermeneutica della continuità" richiesta da papa Benedetto XVI nel discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005 per mantenersi sicuri sulla strada della ragione, che è a dire sulla strada della salvezza, ossia sulla strada della Chiesa per perseguire la vita.

Romano Amerio: critico sì, discontinuista mai. Questo "modello di continuità"  tutto ameriano attende solo di essere oggi finalmente riconosciuto, anzi, finalmente apprezzato. Chissà: magari persino seguìto, per il bene comune (teorico e pratico, filosofico ed etico, dottrinale e liturgico) della Città di Dio, con la semplicità e il coraggio necessari.

Se con l’uso di ambiguità e di contraddizioni si è riusciti a compiere una rivoluzione antropologica verso le più vane fantasie, tanto più si potrà compiere, e con meno sforzo, una più sana rivoluzione antropologica verso la Realtà, giacché è più facile essere semplici che essere complessi.

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I libri:

Romano Amerio, "Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX", a cura di Enrico Maria Radaelli, prefazione del card. Darío Castrillón Hoyos, Lindau, Torino, 2009.

Romano Amerio, "Stat veritas. Séguito a Iota unum", a cura di Enrico Maria Radaelli, Lindau, Torino, 2009.

Oltre a quella italiana, è disponibile di "Iota unum" anche la versione inglese:

Romano Amerio, "Iota unum. A Study of Changes in the Catholic Chirch in the Twentieth Century", Sarto House, Kansas City, MO, 1996.

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I precedenti servizi di www.chiesa su Romano Amerio:

> Grandi ritorni: Romano Amerio e le variazioni della Chiesa cattolica (15.11.2007)

> "La Civiltà Cattolica" rompe il silenzio. Su Romano Amerio (23.4.2007)

> Fine di un tabù: anche Romano Amerio è “un vero cristiano” (6.2.2006)

> Un filosofo, un mistico, un teologo suonano l’allarme alla Chiesa (7.2.2005)

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Su Enrico Maria Radaelli, discepolo di Amerio, e sul suo libro "Ingresso alla bellezza":

> Tutti a vedere il "sacro teatro dei cieli". Un teologo fa da guida (15.2.2008)

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Sono recentemente usciti in Italia altri due libri che affrontano da un punto di vista tradizionalista la questione delle "variazioni" della Chiesa cattolica durante e dopo il Concilio Vaticano II.

Il primo è la traduzione italiana di un volume già uscito negli Stati Uniti, scritto da un rinomato filosofo cattolico di scuola tomista, professore all'università di Notre Dame e membro della pontificia accademia San Tommaso d'Aquino:

Ralph McInerny, "Vaticano II. Che cosa è andato storto?", Fede & Cultura, Verona, 2009.


Il secondo ha per autore monsignor Brunero Gherardini, 84 anni, già decano della facoltà di teologia della Pontificia Università Lateranense e direttore della rivista "Divinitas". E si apre con due prefazioni elogiative: una scritta dal vescovo di Albenga, Mario Oliveri, e l'altra dall'arcivescovo di Colombo, in Sri Lanka, Albert Malcolm Ranjith, fino a pochi mesi fa segretario della congregazione vaticana per il culto divino.

L'autore sostiene che nei documenti – non infallibili – del Concilio Vaticano II vi è stata qua e là un'effettiva rottura con la Tradizione. E chiude con una supplica a Benedetto XVI perché ripristini la dottrina autentica:

Brunero Gherardini, "Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare", Casa Mariana Editrice, Frigento (Avellino), 2009.

La crisi della Chiesa e la debolezza del Papa: analisi e riflessioni

 

Fra dichiarazioni di facciata e gli applausi di convenienza, il gesto di debolezza di Joseph Ratzinger che passa il testimone per non consegnarsi ad una curia di cui evidentemente non si fida e di cui teme le oscure trame

  
vaticanoIn attesa che abbia fine una campagna elettorale di cui non sentiremo certo la mancanza, un commento lo merita la clamorosa abdicazione di Joseph Ratzinger. La portata dell’evento è già stata ampiamente sottolineata dalla stampa di tutto il mondo: non solo, infatti, l’ultimo precedente risale a 600 anni fa, ma soprattutto la Chiesa si trova in un momento difficilissimo della sua storia.
Da Papa Giovanni Paolo II a Benedetto XVI il delicato rapporto tra una dottrina millenaria e le sfide poste dalla modernità è ancora lontano dall’essere definito. Per di più mai come in questi ultimi anni è emerso al pubblico il torbido lavorio che si agita segretamente fra le gerarchie ecclesiastiche: dall’opacità nella gestione dello denunce dei preti pedofili, fino alle più recenti polemiche sulla trasparenza dello IOR e sulla guerra intestina per bande documentata dalla ormai celebre inchiesta giornalistica detta “Vatileaks“.
E’ ovvio che in un momento del genere il gesto di Benedetto XVI rischi di essere letto, al di là delle dichiarazioni di facciata e del plauso generale di convenienza, come un’ammissione di debolezza della Chiesa. Il paragone con i precedenti storici non fa che confermare questa valutazione: di Celestino V (1294) tutti ricordano la “viltade”, secondo il giudizio sferzante di Dante (che Ratzinger tuttavia non condivideva assolutamente); e a proposito di Gregorio XII (1415) bisogna rammentare che l’abdicazione servì a chiudere, con il concilio di Costanza, uno dei periodi più bui per la Chiesa, seguito al ritorno a Roma del Papato dopo la “cattività avignonese” (1309-1377): un gioco di potere combattuto a colpi di nomine di Papi e di antipapi e denominato evocativamente “Scisma d’Occidente” (1378-1417).
Questa consapevolezza non può essere mancata a Joseph Ratzinger. L’ormai ex-Pontefice, che già da qualche anno – oggi retrospettivamente non si può dubitarne – andava meditando il coup de theatre e preparandosi la strada, non poteva non sapere che una scelta del genere, anche se formalmente legittima, si sarebbe trasformata in un duro colpo per l’immagine di compattezza della Chiesa. C’è infatti il Pastor Aeternus, cioè il dogma dell’infallibilità del Papa (quando parla ex cathedra) sancito nel 1870. Da allora è la prima volta che un Papa mette in imbarazzo a tal punto la dottrina: rinunciando al pastorale, infatti, Joseph Ratzinger rinuncia anche, per una decisione del tutto personale (in cui cioè Dio non ha evidentemente alcun ruolo), alla missione di portavoce del volere divino. Ma chi è designato da Dio ad esprimersi nel Suo nome, come fa a decidere da solo che, da un certo punto in avanti, la cosa non gli interessa più?
Le gerarchie ecclesiastiche potranno anche prodursi in ardite gimcane teologiche per giustificare la cosa, ma è evidente che da oggi, se anche il Papa può ritirarsi, sarà un po’ più difficile spiegare perché, ad esempio, l’uso del preservativo non sia consentito. C’è, insomma, il concreto rischio che tutto l’impianto dottrinale perda credibilità. Difficile pensare, quindi, che un fine teologo e un devoto prelato come Joseph Ratzinger abbia potuto abbandonare la sua Chiesa, del tutto impreparata alle conseguenze di un simile gesto, solo per imprimere una svolta di “modernità”, come vorrebbero gli entusiasti commentatori e intellettuali più liberal di sinistra. L’unica spiegazione, in realtà, è che Benedetto XVI abbia voluto attendere il primo momento di calma relativa per passare il testimone ad un nuovo e più “vigoroso” successore, in modo da non consegnarsi, nella debolezza incipiente della vecchiaia, ad una curia di cui evidentemente non si fida e di cui teme le oscure trame.
In quest’ottica il gesto di Ratzinger assume una senso rispetto alla sua coscienza di religioso (che altrimenti ne uscirebbe compromessa): quello di una denuncia estrema e clamorosa per il bene superiore della comunità di fedeli che stava guidando. Segue come corollario che, se in effetti “c’è del marcio in Danimarca”, allora l’opera di inchiesta giornalistica non stava denigrando la Chiesa, ma Le stava rendendo un buon servizio. Quei giornalisti, come Gianluigi Nuzzi o Marco Lillo, che avevano doverosamente pubblicato le notizie di cui entravano in possesso, stavano solo facendo scrupolosamente il loro lavoro: e dovrebbero essere tenuti in buona considerazione per questo, anziché osteggiati come è spesso avvenuto. All’opposto certi politici sedicenti “cattolici”, sempre pronti a spellarsi le mani qualsiasi cosa venga dal Vaticano, hanno dimostrato una volta di più di che pasta sono fatti:  al contrario di quello che diceva Montanelli di De Gasperi, cioè che fosse cattolico ma non clericale, questi si sono rivelati più clericali persino del Papa e, in ultima analisi, dei pessimi cattolici.

Andrea Giannini

don curzio - Papa Bergoglio, vita e pensiero: la “cultura dell’incontro”


FOTO ESEMPLIFICATIVA DELLA STUPIDITA' DI QUESTO FALSO PAPA -nota dell'autore di questo blog
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Papa Bergoglio, vita e pensiero:
la “cultura dell’incontro”

Sono passati circa quattro mesi dall’elezione di papa Francesco I (13 febbraio 2013) e mi sembra opportuno fare il punto su quel poco che si è scorto, da allora, circa il suo orientamento  dottrinale come successore di Pietro.
Egli è un uomo di azione più che di dottrina, un “Pastore” più che un “Maestro”, anche se è persona colta ed intelligente, ma il primato in lui spetta alla prassi più che alla teoresi, pur se la seconda dà il via alla prima e per capire il suo modo di agire occorre scandagliare il suo modo di pensare e far teologia.
Tra i Papi conciliari e postconciliari si può fare un’analogia: Giovanni XXIII sta a Giovanni Paolo II e Francesco I, come Paolo VI sta a Benedetto XVI. I primi tre sono stati certamente uomini di una certa cultura, ma soprattutto pastori dotati di un certo carisma che li ha resi simpatici alle folle. I secondi due sono stati piuttosto dottrinari (modernisti) e non ricchi come i primi tre del carisma pastorale, della grande popolarità e della simpatia, che emana oggettivamente dalla personalità del terzetto suddetto.
Per il presente articoletto mi servo di un libro intervista che l’allora card. di Buenos Aires aveva rilasciato a due giornalisti argentini (Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti) nel 2009-2010 e che è stato pubblicato pubblicato in italiano dopo la sua elezione a Papa nel 2013 dalla Editrice Salani di Firenze sotto il titolo Jorge Bergoglio. Papa Francesco. Il nuovo Papa si racconta.
Il libro ci fa conoscere la personalità del cardinale e non parla ancora del Papa per ovvi motivi (risale al 2009-2010), ma è la stessa  persona di José Bergoglio, che circa tre anni dopo è diventata Francesco I. Quindi il cardinale e la sua vita passata ci aiutano a capire il Papa e ad intuire quel che potrebbe fare o meno.
La prima “novità” è che la Prefazione al libro è stata scritta dal Rabbino capo di Buenos Aires, Abraham Skorka, il 23 dicembre 2009 a lavoro compiuto. L’altra “novità” è  che papa Bergoglio aveva già scritto da cardinale nel 2006 una Prefazione ad un libro del medesimo Rabbino. Il Rabbino scrive che non è stato “un semplice scambio di gentilezze” (p. 5) ma si tratta “della prova, chiara e sincera, del profondo dialogo che esiste tra due amici per i quali […] il dialogo interreligioso, tema che acquistò particolare rilevanza a partire dal Concilio Vaticano II,  […] è passato immediatamente alla franchezza di un dialogo ispirato alla sincerità e al rispetto […] con la fede che il corso della storia possa e debba essere cambiato, che la […] redenzione del mondo non sia solo un’utopia, ma un obiettivo possibile” (pp. 5-6).
Non bisogna stupirsi se la massoneria ebraica del Bené Berith argentino ha inviato un caloroso messaggio di felicitazioni al cardinal Bergoglio per la sua elezione a Papa: “Il card. J. M. Bergoglio è stato sempre impegnato nel dialogo interreligioso ed ha costruito una relazione fraterna con la Comunità ebraica argentina e specialmente col Bené Berith […]. Noi riconosciamo in Francesco I un amico dell’Ebraismo” (B’nai B’rith Argentina, n. 450, 17 marzo 2013).
Qui sorge subito un’obiezione di Fede. La Redenzione è già stata operata 2000 anni or sono da Gesù Cristo, profetizzato dall’Antico Testamento già nel primo Libro Sacro del Pentateuco di Mosè (Gen., III, 14-15) e che i Rabbini, gli Scribi ed il Sinedrio condannarono a morte per essersi proclamato Messia e Redentore del mondo, come professa la Religione cristiana. Allora come può un cattolico aspettare la futura “redenzione” assieme ad un Rabbino senza rinnegare implicitamente la sua Fede cristiana per la quale la Redenzione è già avvenuta e non può essere futura per il principio evidente di non-contraddizione? Forse si tratta della “redenzione” immanentistica e rivoluzionaria terrena delle ideologie naturalistiche, che non pensano all’al di là e si fermano all’al di qua? Sembrerebbe proprio di sì.
Seconda osservazione “l’ossessione di Bergoglio può essere riassunta in due parole: incontro e unità” (p. 7). Ma come si possono incontrare ed unire cristiani ed ebrei se questi ultimi si ostinano a rifiutare Gesù Cristo? Egli, inoltre, si autodefinisce come il teorico “della cultura dell’incontro” (p. 107).
Il primato della prassi tanto caro a Bergoglio può aiutarci a capire. Secondo lui occorre dare “la priorità all’incontro tra le persone, al camminare assieme. Così facendo, dopo sarà più facile abbandonare le differenze” (p. 76). Infatti secondo Bergoglio è bene “non perdersi in vuote riflessioni teologiche” (p. 39). Non solo, dunque, primato dell’azione, ma disprezzo della riflessione e della speculazione teologica.
La S. Scrittura, la Tradizione apostolica, la sana Filosofia, la retta Teologia, la Spiritualità dei Santi e il Magistero, invece, hanno sempre insegnato tutto il contrario: “Contemplare et contemplata aliis tradere” (S. Tommaso d’Aquino), la vita contemplativa è in sé superiore a quella attiva  perché “la contemplazione si riferisce alle cose divine e l’azione a quelle umane” (S. Th., II-II, q. 182); “Nihil volitum nisi prius praecognitum” (Aristotele); “La Teologia si fa mediante la riflessione della ragione naturale sulla divina Rivelazione” (S. Th., I, q. 1); “L’accorto agisce sempre con riflessione” (Prov., XIII, 16); “Lo zelo senza riflessione non è cosa buona” (Prov., XIX, 2); “Non far nulla senza riflessione” (Sir., XXXII, 19); “Maria rifletteva e conservava tutte le cose in cuor suo” (Lc., II, 19); “Gesù passava la notte in riflessione” (Mt., XXIV, 25); S. Massimo il Confessore: “Occorre riflettere e contemplare per vedere le cose nel loro rapporto con Dio” (Ad Thal., PG 90, 372); S. Basilio: “La sapienza e la  contemplazione conducono a Dio” (Hom. in princ. Prov., PG 31, 389); “Ora et labora” (S. Benedetto da Norcia). Il Magistero della Chiesa con Leone XIII, Enciclica Aeterni Patris del 1879; San Pio X (Motu proprioDoctoris Angelici” del 1914), Benedetto XV (Enciclica Fausto appetente die del 1921), Pio XI (EnciclicaStudiorum ducem del 1923) ha ribadito la superiorità della riflessione teologico/filosofica specialmente tomistica sull’azione.
Francesco I definisce la Fede come “l’incontro con Gesù Cristo” (p. 85), senza specificare di quale incontro si tratti, se di quello mediante la grazia santificante che ci unisce realmente e soprannaturalmente a Dio o se di un semplice fatto o accaduto nella nostra vita, che ci fa “sentire” una vaga “esperienza religiosa”. Questa definizione non corrisponde in nulla alla natura della virtù di Fede teologale che è “l’assenso dell’intelletto spinto dalla volontà, sotto la mozione della Grazia attuale divina, ad una Verità divinamente rivelata ossia ad un Mistero, che sorpassa le capacità della ragione umana ma non è contraddittorio”. Occorre, perciò, assentire ad un Dogma rivelato da Dio, contenuto nella S. Scrittura e Tradizione, e definito dal Magistero della Chiesa con la ragione elevata dalla Grazia. L’incontro vero e soprannaturale con Dio (sostanzialmente diverso dal sentimentalismo dell’esperienza religiosa) è l’effetto di tale atto di Fede che, se è accompagnato dalla virtù di Carità (osservanza dei 10 Comandamenti), ci unisce a Dio. Definire la Fede solo come l’incontro con Gesù è erroneo, Francesco I inverte talmente la definizione e la natura delle Virtù teologali di Fede e Carità da scrivere: “Dopo l’incontro con Gesù viene la riflessione su Dio, Cristo e la Chiesa” (ivi). La Fede per lui è un fatto (un incontro) ossia qualcosa di irragionevole, è il prodotto di un’esperienza soggettiva del sentimento religioso, che per i modernisti precede ogni riflessione razionale come anche per Kant.
Il “Sentimento religioso” pone l’accento più sull’emotività sentimentalistica che sulla ragione e volontà. In religione il sentimento o meglio sentimentalismo, per il Modernismo, precede la conoscenza di Dio mediante la Fede quaerens intellectum, anzi la rimpiazza: “Gesù e il Cristianesimo non sono un pacchetto di Verità da credere o di Precetti da osservare, ma consistono in un incontro o in un’esperienza personale”, disse l’allora card. J. Ratzinger ai funerali di don Luigi Giussani († 2005), fondatore del movimento “Comunione e Liberazione”. Invece la religione è innanzi tutto assentire ai 12 articoli del Credo (Fede), poi mettere in pratica i 10 Comandamenti (Morale) ed infine mediante un lungo percorso di meditazione, sorretta dai 7 Sacramenti (Grazia), l’incontro con Dio Trino realmente ed oggettivamente esistente. Invece «dal Luteranesimo in poi il sentimento è diventato per molti l’unica o la principale fonte della religione, ridotta a una semplice esperienza psicologica individuale. […] Il sentimentalismo psicologico, esagerazione del semplice sentimento, sul terreno religioso è anarchia e smarrimento dello spirito, che si avvia inconsciamente verso il Panteismo e l’Ateismo»[1].
Il dialogo e l’incontro personale  valgono per tutti, ebrei, musulmani ed anche per i “tradizionalisti” se pronti ad “incontrarsi, a camminare assieme”, il resto verrà da sé, le diversità pian piano si addolciranno. Bergoglio suole ripetere: “è il tempo a farci maturare. Bisogna lasciare che il tempo modelli e amalgami le nostre vite” (p. 65).
Non penso (è solo un’opinione, una congettura personale e non una certezza) che papa Francesco I sbatterà le porte in faccia al mondo “post-tradizionalista”[2] in cerca di una sistemazione canonica e pronto a riconoscere la “bontà del Vaticano II al 95%”. L’importante è incontrarsi, camminare assieme e poi anche quel piccolo 5% di differenza, che è rimasto come la foglia di fico del povero Adamo dopo il peccato originale a coprire le “vergogne” del “cedimento dottrinale”, si appianerà con un “trasbordo ideologico inavvertito”, non solo verbale, ma reale e doloroso.
Il motto di papa Bergoglio è “qualsiasi forma di mancato incontro è per me un motivo di profondo dolore” (p. 110), perciò quando “mi domandano un orientamento, la mia risposta è sempre la stessa: dialogo, dialogo, dialogo…” (p. 111).
Il libro ci ricorda, inoltre, che Bergoglio fu l’antagonista di Ratzinger alle elezioni del 2005 e che era il delfino del card. Carlo Maria Martini, il quale era oramai malato e si era scoperto come esageratamente progressista per poter ottenere i voti della maggioranza del Collegio cardinalizio; allora Martini e Bergoglio decisero di far confluire i voti ottenuti sul card. Ratzinger (pp. 9-10). Perciò Bergoglio dottrinalmente è più vicino all’area del card. Martini che a quella di Joseph Ratzinger.
Tuttavia la sua Tesi di laurea è stata discussa in Germania negli anni Ottanta su Romano Guardini “propugnatore del rinnovamento ecclesiastico, che si sarebbe realizzato nel Concilio Vaticano II” (p. 18). Ora se Guardini è stato un modernizzante, e lo è stato, è stato anche il caposcuola di Ratzinger, Hans Urs von Balthasar e della Rivista “Communio” dal 1972 contraltare modernista moderato della Rivista “Concilium” del 1964 avanguardia del modernismo radicale (Rahner, Küng, Schilleebeckx) ed ha influito non poco sulla sensibilità estetizzante di Benedetto XVI circa la Messa tradizionale. Quindi occorre saper sfumare e far le dovute differenze nella personalità di Bergoglio. Amando Guardini, penso, ma non posso esserne certo, non disprezzerà, come Montini, la Messa detta di San Pio V, purché non si obietti troppo e pubblicamente sulla ortodossia del Novus Ordo Missae di Paolo VI.
Una nota ricorrente nella vita e nel pensiero di Bergoglio è “l’esperienza religiosa, l’incontro personale con Cristo” (p. 41 e 77) tanto cara al modernismo, a “Comunione e Liberazione”, nata dalla rivista “Communio”, patrocinata da Guardini, de Lubac, Balthasar e Ratzinger a partire dal 1972.
L’“Esperienza religiosa” vede «il fatto religioso principalmente come un fenomeno psicologico individuale, in cui il sentimento erompente dalla subcoscienza ha il predominio sulle funzioni dell’intelligenza. Questa esperienza religiosa avrebbe per oggetto non propriamente un Dio personalmente distinto dall’uomo e trascendente il mondo, ma il divino, sentito vagamente, come qualcosa che non sorpassa l’uomo, ma è immanente in esso, verso cui l’anima ha sentimento di amore»[3]. La “Subcoscienza” è un termine invalso nella fine dell’Ottocento, quando Myers (1886) «credette di aver scoperto oltre la periferia della coscienza umana un sostrato oscuro, ma ricco di risorse percettive ed emotive, che chiamò appunto subcoscienza. […] Esiste in noi, un Io cosciente, chiaro, ordinario, che è la nostra personalità comune; ma nella profondità dello spirito  si nasconde un Io subcosciente, detto anche subliminale, in cui si elaborano, a nostra insaputa, intuizioni e sentimenti vaghi, che man mano si raggruppano, si fondono e all’improvviso irrompono nella zona dell’Io cosciente determinandone nuove aspirazioni, nuove direttive, una vita nuova. Nell’oscura coscienza subliminale si elabora specialmente il sentimento del divino, che è la radice e la fonte della religione. La vera religione non è nei Libri Sacri, non viene dal di fuori ma sale dalle profondità della subcoscienza. […] I dogmi non sono verità immutabili, ma espressioni provvisorie, a carattere pratico-simbolico, dell’esperienza religiosa»[4].
 Bergoglio non è comunista anche se ha letto molta letteratura del Partito Comunista ed è stato influenzato da essa ed inoltre Leònidas Barletta, un personaggio rilevante della cultura marxista, ha contribuito molto alla sua formazione politica (p. 45).
Ciò che è accaduto a Cuba durante la rivoluzione castrista, alla quale collaborarono anche numerosi cattolici, pur se con finalità diverse, è un esempio tipico del risultato a cui porta la collaborazione con i comunisti e dovrebbe farci riflettere. I Comunisti come i Modernisti, infatti, non disdegnano la collaborazione dei cattolici. Anzi, la sollecitano (v. Antonio Gramsci, Ernest Bloch e Palmiro Togliatti), la provocano anche, mettendo in evidenza miseria e ingiustizie che possano suscitare l’indignazione e la reazione degli spiriti retti. E, purtroppo, spesso ottengono la collaborazione desiderata. Abituati ad agire in buona fede, i cattolici tendono molte volte a giudicare impossibile che, rispetto a considerazioni umanitarie, qualcuno possa nascondere un fine perverso. Finiscono così per impegnarsi, non per il movimento comunista, ma per la lotta a favore degli infelici, degli oppressi e dei sofferenti. E lavorano uniti, cattolici e comunisti, certi i primi che gli altri, come loro, desiderano sinceramente curare la società dalle piaghe che la infettano; più certi i secondi che l’agitazione umanitaria offrirà loro l’ambiente ideale per l’estensione del loro potere. Lavorando assieme finiscono, però, per pensare allo stesso modo, ossia i cattolici si lasciano incantare dalla sirena marxista e perdono la loro identità.
Il filosofo tedesco Ernest Bloch (1885-1977) ha studiato meglio di tutti le modalità per presentare il comunismo in una salsa che seduce anche i cattolici: farli incontrare non sul piano della dottrina, ma su quello dell’azione e dei fatti contingenti (la pace, la fame nel terzo mondo, le ingiustizie sociali …). Solo così si potrà convertire i cristiani al comunismo dapprima pratico e poi anche teoretico (cfr. E. Bloch, Karl Marx, tr. it., Bologna, Il Mulino, 1972). Se Marx aveva presentato la religione come “l’oppio dei popoli”, Bloch  opera una distinzione tra a) religione cattiva, che è quella tradizionale, la quale crede in un Dio personale e trascendente e predica l’accettazione paziente delle sofferenze, e, b) religione buona, che è quella progressista, la quale attende il “messia” su questa terra dopo la rivoluzione dei poveri contro i ricchi. I “credenti” progressisti debbono essere affiancati dal comunismo e poi convertiti tramite l’azione comune (cfr. E. Bloch, Ateismo nel Cristianesimo, tr. it., Milano, Feltrinelli, 1976). Bloch ha gettato un ponte tra Cristianesimo e comunismo ed ha abbattuto i bastioni che difendevano il primo dalle insidie del secondo, quindi il ponte è stato percorso a senso unico, ossia solo dal Cristianesimo verso il marxismo pratico. Palmiro Togliatti a Bergamo il 20 marzo 1963 ha fatto un discorso in cui, rifacendosi ad Antonio Gramsci, ha proposto la de-ideologizzazione, invitando cattolici e comunisti a non scontrarsi su questioni di dottrina, ma ad agire assieme per la pace del mondo, evitando assolutamente sterili diatribe dottrinali” (L. Gruppi, Antologia del compromesso storico, Roma, Editori Riuniti, 1977, P. Togliatti, Il destino dell’uomo,  pp. 244 ss.). Ebbene questo è lo stesso programma proposto da Francesco I: de-ideologizzare, incontrarsi, costruire ponti, abbattere steccati, evitare sterili diatribe dottrinali, agire assieme e poi pensarla inavvertitamente alla stessa maniera.  
Così il modernismo apparentemente moderatamente progressista, che oramai ha occupato l’apice dell’ambiente cattolico e ecclesiale, chiede ai cattolici fedeli alla Tradizione di agire uniti per vincere il materialismo, l’ateismo. Alcuni cattolici fedeli in buona fede si lasciano convincere e agendo assieme ai modernisti, realmente progressivi, anche se apparentemente moderati, finiscono per essere mangiati da loro, come “il pesce più piccolo è divorato da quello più grande”. Poiché l’agitazione filantropico-umanitaria, mascherata da conservatorismo religioso, offrirà ai modernisti l’ambiente ideale per l’estensione del loro potere, mettendo a tacere la voce del “grillo parlante” rappresentato dal cattolico fedele.
Attenzione! Le insidie della “setta segreta modernista” (S. Pio X, motu proprioSacrorum Antistitum’, 1° settembre 1910) sono veramente simili a quelle della “setta comunista”. Per evitarle occorre domandare a Dio di avere le idee ben chiare e la forza di volontà per non cedere di fronte al labor certaminis e all’horror difficultatis. Infatti, dopo cinquanta anni di lotta contro un nemico abile, scaltro, nascosto e insidioso, si corre il rischio di lasciarsi andare e cedere alla tentazione dell’entrismo: “haec omnia tibi dabo, si cadens adoraveris me”.
Ab insidiis diaboli, libera nos Domine! Purtroppo “lo stupido è il cavallo del diavolo” e il guaio più grande è quando lo stupido si prende per una volpe e fa la fine del pollo. Il 1979 (“Concilio alla luce della Tradizione”, che invita al dialogo), il 1984 (“Indulto” doloso), il 2005 (“ermeneutica della continuità”, che ri-invita al dialogo), il 2007-2011 (“motu proprio” che è praticamente ritornato all’“Indulto doloso”) non gli insegnano nulla: egli continua a voler conciliare l’inconciliabile, a stringere la mano tesa. Ora occorre attendere e vedere quale sarà la mossa di Francesco I verso il mondo della Tradizione, ma la sua personalità lascia intravedere che la politica della distensione e della mano tesa continuerà.
Francesco I non è per la Teologia della Liberazione, anche se essa – per lui – non è totalmente condannabile ed ha dei “lati positivi” (p. 78), quindi è solo “segnalabile” (p. 78). C’è sempre un “ma” o un “anche se” nel suo pensiero. Nulla è chiaro, preciso, definito e netto, ma tutto è fluido, confuso, contraddittorio ed in continua evoluzione.
Il suo pensiero teologico sovente non corrisponde con quello della Chiesa. Infatti egli parla di “immoralità della pena di morte” (p. 83) e asserisce che “in pratica” il ‘Catechismo della Chiesa Cattolica’ (‘CCC’) ha dichiarato l’abolizione di essa (ivi). Invece il ‘CCC’ ha dichiarato che in sé la pena di morte non è immorale ma che de facto o in pratica occorre abolirla poiché non più al passo con i tempi e la dignità della persona umana. Bergoglio riguardo a questa distinzione del ‘CCC’ sulla pena di morte ha esplicitato una parte e negato l’altra, tranne un’eccezione significativa per i gerarchi tedeschi del III Reich processati e condannati all’impiccagione a Norimberga nel 1946: “non sono favorevole alla pena di morte, ma era la legge del momento ed è stata la riparazione che la società ha preteso” (p. 133). 
Il suo pensiero è intriso di antropocentrismo. Infatti parla di “trascendenza [dell’uomo, ndr], che guarda a Dio e rende possibile la trascendenza  verso gli altri [uomini e creature, ndr]”. Perciò anche l’ateo “può trascendere, attraverso gli altri [uomini credenti, ndr], evitando l’isolamento” (p. 109). Invece la Trascendenza vera è quella di Dio, che sorpassa infinitamente ogni creatura essendo Egli il Creatore, che fa partecipare del suo Essere per essenza tutte le creature, che sono enti per partecipazione; in breve il mondo è un ente finito subordinato ad una Causa incausata e Trascendente, che trae dal nulla l’universo intero (cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 2, a. 3). Al contrario papa Bergoglio confonde Trascendenza con immanentismo e solidarietà tra uomini, il suo “dio” non è l’Atto puro, l’Essere stesso sussistente per sua Essenza, ma sembra piuttosto il “Grande Architetto dell’Universo”.
La mancanza di identità, per Francesco I, lungi da essere un difetto, una mancanza, è una ricchezza perché rende possibile l’incontro con l’altro, il diverso: essa “non guarda all’indietro [Tradizione, ndr], ma si focalizza sul futuro” (ivi).
Infine recentemente Francesco I ha negato che la moltiplicazione dei pani sia stato un miracolo asserendo il 17 maggio: “In particolare in quello dei pani e dei pesci, i quali  non si moltiplicarono […], ma semplicemente non finirono. […]. Quando uno dice ‘moltiplicare’  può confondersi e credere che faccia una magia” (www.zenit.org).
Questo è solo l’inizio del Pontificato di Francesco I. Per portare un giudizio più fondato e sicuro occorre attendere i suoi primi atti ufficiali, ma il giorno si vede dal mattino…
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d. Curzio Nitoglia
http://doncurzionitoglia.net/2013/06/08/papa-bergoglio-vita-e-pensiero-la-cultura-dellincontro/
8/6/2013
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[1]P. Parente, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, voce “Sentimento religioso”, pp. 384-385. Cfr. C. Fabro, voce “Esperienza religiosa”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. V, coll. 602-607.
[2]Nel “Nuovo Ordine Mondiale” abbiamo assistito a) politicamente alla nascita di post-comunisti, di post-fascisti, di post-democristiani, che sono confluiti nel calderone della “Repubblica Universale”; b) spiritualmente alla Babele di Assisi (I-II e III), in cui le varie religioni hanno rinunciato a ciò che le divideva per occuparsi di ciò che le unisce e darà luogo al “Tempio Universale”.  Perciò i “post-tradizionalisti” sono quella fetta del mondo antimodernista che aveva rifiutato gli errori della modernità e post-modernità per restare attaccati alla Tradizione apostolica e al Magistero costante e tradizionale della Chiesa, ma che da qualche anno scalpita per aggiornarsi ed uscire dal “ghetto” onde avere un posto nella “buona” società civile ed ecclesiale, sentirsi “normali” e bene accetti, a condizione di annacquare un pochino e solo a parole la propria identità. Per fare un esempio, il giovane José, martire cristero, che nel film messicano “Tra il Cielo e la terra” sulla Cristiada, viene condannato a morte e torturato, di fronte alle istanze del suo aguzzino e poi, ancora più pericolose, del suo padrino che gli suggerisce: «basta che tu dica “morte a Cristo Re, viva il Governo federale”, tanto sono solo parole» risponde: «non posso, viva Cristo Re!» e si fa uccidere, ma va diritto in Cielo, rispecchia esattamente la scena che si sta svolgendo sotto i nostro occhi in questi anni. Basta che diciate “accetto il Vaticano II, non critico il Novus Ordo Missae”, tanto sono soltanto parole! Così entrerete nel bel mondo del “Nuovo Ordine Mondiale” in cui sarete rispettati come bravi “cittadini”, dice il “padrino” ai “tradizionalisti”… Che Dio ci conceda la forza di poter rispondere “non posso, viva Cristo Re!”.
[3]P. Parente, Dizionario di Teologia dommatica, voce “Esperienza religiosa”, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 144-145.
[4]P. Parente, Dizionario…, cit., voce “Subcoscienza”, pp. 401-402. Cfr. P. Parente, L’Io di Cristo, Brescia, 1951; ove parla anche delle più recenti aberrazioni dello psicologismo sul terreno cattolico, da p. 311 a p. 460 della 3a ed., Rovigo, Istituto Arti Grafiche, 1981. Gli autori criticati sono: Günther e Rosmini, K. Rahner, E. Schillebeeckx, B. Schoonenberg, Küng, Teilhard de Chardin, Carlo Molari e Jean Galot.
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martedì 16 luglio 2013

NON SI PUò PIù TACERE



don gallo(di Massimo Viglione e Corrado Gnerre su Il Giudizio Cattolico) Dinanzi alla scelta compiuta dall’arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, di celebrare la Santa Messa funebre per don Gallo e di lodare tale sacerdote nella omelia e soprattutto di offrire la Santa Comunione a pubblici peccatori, in primis Vladimir Luxuria, non si può più tacere e far finta di non indignarsi. Non licet.
L’amore per Cristo Eucaristia, l’amore per la Chiesa e per l’ordine del creato voluto da Dio, l’amore per la verità e il giusto, ci impongono il doloroso quanto scomodo compito di denunciare pubblicamente uno scandalo indegno e intollerabile, perpetrato senza remora alcuna.
Don Gallo è stato per tutta la vita un eretico pubblico e un sovversivo. Ha predicato l’odio di classe, la ribellione sociale, il sovvertimento della morale cattolica e naturale, di fatto il superamento della gerarchia ecclesiastica; si è schierato pubblicamente per decenni con i nemici di Dio e della Chiesa, della Fede e della Verità cristiane. Sotto l’usuale maschera del pacifismo e della preoccupazione per i poveri, don Gallo ha predicato il comunismo e l’egualitarismo sovversivo e gnostico, rinnegando ripetutamente non solo la sana dottrina della Chiesa ma anche Dio stesso, così come Lo conosciamo e Lo adoriamo.
Vivendo e operando don Gallo nella diocesi di Genova, era compito del cardinal Bagnasco sorvegliare, correggere fraternamente, quindi riprendere ufficialmente, quindi minacciare, e, dinanzi al costante rifiuto di obbedienza, anche prendere provvedimenti adatti, fino alla sospensione a divinis e alla scomunica, se necessario. Questo dovere il cardinale Bagnasco non lo ha ricevuto da fittizi vincoli amministrativi e giuridici (anche), lo ha ricevuto da Gesù Cristo stesso, quando il Signore ha dato ordine agli apostoli di pascere le pecore e difenderle dai lupi travestiti da agnelli.
Ma il cardinal Bagnasco non ha fatto nulla di tutto questo, per anni. Mai si è preoccupato di difendere il gregge dai lupi travestiti da agnelli. Ora, offrendosi volontario per la pubblica celebrazione di un pubblico eretico e sovversivo, è come se avesse aperto il cancello del recinto e buttate le chiavi.
Se questo fosse tutto, sarebbe già molto grave. Ma non è tutto, e non è la cosa più grave.
Come sappiamo, il cardinal Bagnasco ha offerto la Santa Comunione a pubblici nemici della Chiesa e della fede, fra cui Vladimir Luxuria, il quale (o la quale, non sappiamo) è a tutti noto/a e pertanto è superfluo spiegare la gravità inaudita dell’atto in sé. Ha dato l’Eucaristia a chi non solo non ha alcuna intenzione di cambiare vita, ma che professa continuamente la giustezza di qualsiasi sovversione dell’ordine morale e cristiano. Lo ripetiamo a scanso di equivoci: qui non si tratta di fare perbenismo farisaico. Nessun peccatore è irredemibile. Tutti possono salvarsi e arrivare a gradi di grande di santità… ma a patto che si pentano. C’è una differenza che un cristiano non dovrebbe mai dimenticare, a maggior ragione un ecclesiastico. La differenza tra odio d’inimicizia e odio di abominio. Il primo non è mai permesso al cristiano. Questi deve sempre e comunque amare il peccatore pregando per la sua conversione. Il secondo è un santo odio che è dovuto al cristiano: è l’odio per il peccato. Ora, quando un peccatore non è pentito del suo peccato, anzi lo difende, lo propaganda, ne fa una bandiera, si è tenuti alla pubblica condanna e a evitare qualsiasi scandalo offrendo una falsa misericordia che diverrebbe giocoforza approvazione del peccato.
Allora, dinanzi a un mondo che quotidianamente (l’avverbio di tempo va preso alla lettera) minaccia sia la morale pubblica e civile in ogni modo possibile, appoggiando l’omosessualismo e tentando di distruggere la famiglia naturale e tutto ciò che è naturale, e di conseguenza quotidianamente contrasta e deride la dottrina cattolica, sia attaccando in ogni maniera la Chiesa, la sua tradizione, la sua civiltà, le sue gerarchie, i suoi esponenti; dinanzi a tutto ciò, e a molto altro che è superfluo ricordare, come giudicare tale atto e le conseguenze immediate che ne derivano?
Coloro che scrivono sono due poveri laici, che indegnamente e inadeguatamente da decenni si sforzano di fare dell’apostolato fra i giovani e non, difendendo, contro la cultura dominante, la sana e tradizionale dottrina della Chiesa Cattolica, quella dottrina tradita ogni giorno negli ultimi decenni anzitutto da un numero considerevole di ecclesiastici … ma pur sempre ribadita e difesa dagli ultimi Pontefici e da tanti e tanti ecclesiastici ancora fedeli alla Verità di Cristo. Molte volte ci siamo sentiti dire che la Chiesa è vecchia, non capisce il mondo, ecc. ecc., e quindi dovrebbe aprire al divorzio (e questo è solo l’inizio), ma poi anche alla convivenza (e siamo sempre all’inizio), quindi all’aborto (e non siamo più all’inizio, ma il processo è ineludibilmente consequenziale) e ai diritti degli omosessuali (e non siamo certo alla fine); innumerevoli volte abbiamo taciuto ma tante altre abbiamo invece difeso, rimettendoci in prima persona e tanti modi, la sana dottrina, la naturalità della famiglia, la sacralità della vita, l’ordine del creato come Dio lo ha voluto.
Ora, dinanzi al gesto del prelato di cui sopra, che dà la Santa Comunione a Luxuria, cosa potremo più dire? E cosa potranno più dire centinaia di migliaia non solo di sacerdoti e suore, ma anche di laici impegnati nell’apostolato, in difesa della fede, della morale, della famiglia e dell’ordine, se finanche il cardinal Bagnasco, arcivescovo e presidente della CEI, non si perita di offrire il Corpo e il Sangue immacolati di N.S.G.C. a chi da una vita ha scelto la via dell’odio a Dio e della ribellione pubblica e scandalosa all’ordine del creato?
Cosa potremo rispondere? Che la Chiesa si sbaglia da duemila anni? O forse che si è sbagliato N.S.G.C. quando ha detto «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare» (Mc, 9,42)? O forse che si è sbagliato San Paolo Apostolo quando ha scritto che «Chi mangia il Corpo del Signore inde­gnamente, mangia la propria con­danna» (l Cor, 11,29)? O forse che si è sbagliato il Dottore Angelico e Dottore dell’umanità, san Tommaso d’Aquino, insegnando che non v’è salvezza per chi profana l’Eucaristia, quando nel Lauda Sion ha scritto: (Lo) ricevono i buoni, (lo) ricevono i malvagi, / ma con ineguale sorte: di vita o di morte. È morte per i malvagi, vita per i buoni: / vedi di pari assunzione quanto sia diverso l’effetto (…) Ecco il pane degli angeli fatto cibo dei viandanti: / vero pane dei figli da non gettare ai cani.
Chiunque, a questo punto, fedele o meno, potrebbe obiettare che ci sbagliamo a difendere la morale tradizionale e a condannare l’omosessualismo, specie quello pubblicizzato e politico, visto che per il cardinal Bagnasco non è un peccato degno di riprovazione; mica ne possiamo sapere più del presidente della CEI! O, peggio ancora, chiunque, potrebbe avanzarne un’altra più intelligente e ancor più logica, asserendo che il cardinal Bagnasco non crede più alla Transustanzazione, per cui tutti possono prendere l’Ostia consacrata senza commettere sacrilegio.
Cosa potremo rispondere a tali obiezioni, che sono logiche e consequenziali in sé? Ma non basta. Una persona ancor più intelligente, potrebbe arrivare alla ovvia conclusione che per il cardinal Bagnasco la confessione è ormai un sacramento inutile e “vecchio”, visto che ha dato l’Immacolato Corpo e Sangue di N.S.G.C. a una persona che vive pubblicamente nel più turpe dei peccati e ne fa anche bandiera politica. Lo stesso Luxuria ha detto che l’ultima volta che aveva avuto accesso all’Eucaristia aveva 17 anni…
Che ne è della dottrina della Chiesa Cattolica quando il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana dà questi esempi? Che ne è della necessità della Confessione per avvicinarsi in maniera degna all’Eucaristia? E che ne è dell’Eucaristia? Che ne è dei sacramenti istituiti da Cristo stesso? E se saltano i sacramenti, che ne è della Chiesa Cattolica? È ancora il Corpo mistico di Cristo e società di salvezza, oppure è ormai concepita come una ONG assistenziale? E, se così fosse, a quale ONG dovremmo fare riferimento, a quella dei ricchi e delle banche appoggiati da Bagnasco (ci riferiamo all’appoggio sconsiderato e imperterrito dato al governo Monti, responsabile della rovina economica di decine di migliaia di aziende e della disperazione di un numero enorme di padri di famiglia e disoccupati, fra i quali decine hanno scelto la via della disperazione giungendo al suicidio), o a quella dei comunisti in rivolta di don Gallo? Quale è peggio?
Ma la Chiesa Cattolica non è una ONG, non è una “società di rivolta sociale” né un’associazione zerbino di potentati finanziari e bancari internazionali. La Chiesa è il Corpo mistico di Cristo, composto da tutti i battezzati in unione con il Papa, e il suo scopo primo è offrire la via della salvezza eterna a ogni uomo e, secondariamente, aiutare ogni uomo nei suoi bisogni materiali. Questa società di salvezza ha un suo magistero, che spetta alle gerarchie ecclesiastiche, in unione con Pietro, preservare nella sua immutabile integrità e diffondere. Elementi essenziali per offrire la salvezza a ogni uomo sono i sette sacramenti, fra cui assolutamente necessari, dopo il Battesimo, sono l’Eucaristia e la Confessione, senza la quale non si può accedere all’Eucaristia quando si è in stato di peccato grave, perché accostarsi all’Eucaristia in uno stato non di grazia è peccato abominevole e profanazione.
Non spetterebbe ai laici ricordare queste immutabili verità della Fede cattolica mentre è compito del clero tutto, e a maggior ragione delle gerarchie farle rispettare e rispettarle. Quando gli invitati non hanno la veste adatta per il banchetto nuziale… tocca agli storpi, ai ciechi, ai poveri dei crocicchi delle strade, andare a prendere il loro posto.
Mentre il cardinale presidente della CEI dava la Santa Comunione a un transessuale rivendicatore dei “diritti dei gay” e del “matrimonio omosessuale” (nonché del “diritto” all’adozione dei bambini), celebrando il funerale di un eretico, centinaia di migliaia di uomini e donne, e anche sacerdoti e suore, sfilavano a Parigi in difesa del matrimonio naturale fra uomo e donna e contro l’affidamento dei bambini agli omosessuali. Mentre il cardinale Bagnasco era sotto i riflettori di questo mondo, centinaia di migliaia di persone nel silenzio dell’umile attività al servizio di Cristo testimoniavano contro il principe di questo mondo.
«Non potete servire a Dio e mammona» (Mt, 6,24): si potrà dire ciò che si vuole, ma l’equazione: servilismo al supercapitalismo finanziario + appoggio al comunismo gnostico e sovversivo… sa tanto di mammona.
Noi non ci stiamo, costi quello che costi. Giovedì prossimo la Chiesa Cattolica commemora la solennità del Corpus Domini. Il Giudizio cattolico invita tutti i suoi amici a offrire la Santa Comunione o la partecipazione alla processione in riparazione dell’oltraggio ignominioso che Cristo Eucaristia ha ricevuto a Genova lo scorso venerdì, e in riparazione ovviamente di tutti gli oltraggi che ogni giorno riceve nel mondo intero. (Massimo Viglione e Corrado Gnerre)

Lo “strano” caso delle dichiarazioni “esplosive” di Papa Francesco alla CLAR completamente oscurate dai media italiani.

 


(fonte: ilblogdiraffaella.blogspot.it) Carissimi amici,
credo che oggi possiamo dire con assoluta certezza che intorno a Papa Francesco si e’ creata una pax mediatica che non ha precedenti nel rapporto fra i mezzi di comunicazione ed i Pontefici.
Dopo la persecuzione mediatica sofferta da Benedetto XVI, ora non vi e’ traccia della minima critica nei confronti del nuovo Papa. Ogni parola, ogni espressione, persino ogni virgola viene esaltata.

Tutto cio’ e’ bellissimo ma…ma…ma…c’e’ un piccolo problema.
Quando le parole di Papa Francesco rispecchiano in tutto o in parte i desiderata del mondo, ecco che ogni sito, ogni giornale ed ogni telegiornale fanno a gara a chi confeziona il servizio piu’ osannante.
Quando, pero’, i discorsi di Papa Francesco si fanno piu’ problematici, ecco che scatta un meccanismo mai visto: l’autocensura.
E’ successo con il discorso alle suore, ricordato solo per la parola “zitelle”, per le omelie sul Demonio ma soprattutto per i riferimenti alla tanto vituperata Dominus Jesus.
Oggi pero’ e’ accaduto un fatto stranissimo che ancora si fatica a mettere a fuoco.
In maniera piuttosto indelicata la CLAR, Confederazione Latinoamericana di Religiosi, ha fatto trapelare il contenuto di una udienza privatissima concessa da Papa Francesco il 6 giugno scorso.
Qui trovate il resoconto in spagnolo, qui in inglese.
Lombardi ha rifiutato di rilasciare alcuna dichiarazione. Per quanto mi riguarda, quindi, presumo che il contenuto non sia palesemente falso. Tuttavia non si puo’ mai essere sicuri di nulla per cui usero’ sempre il condizionale.
Papa Francesco avrebbe parlato di argomenti delicatissimi. Le sue parole dovrebbero essere oggetto di discussione ed infatti all’estero parecchi siti stanno rilanciando le notizie.
In Italia? Silenzio assoluto! Almeno fino a questo momento. La domanda sorge spontanea: perche’?
Che cosa ha fatto scattare l’autocensura? E’ davvero stranissimo perche’ i nostri media dovrebbero essere ben felici di rilanciare certe affermazioni. Come mai tacciono? Hanno paura di turbare il profumo di primavera? Hanno il terrore di rompere la pax mediatica? E perche’?
Ma di che cosa ha parlato il Pontefice con la CLAR?
In sintesi potremmo affermare che egli non ha fatto mancare la sua parola sui seguenti argomenti:
1) i gruppi tradizionalisti;
2) la riforma della curia romana;
3) la presenza di una lobby gay in Vaticano;
4) il ruolo della Congregazione per la dottrina della fede.
Francesco ha parlato anche di altri temi ma diciamo che quelli sopraindicati sono quelli che, a mio avviso, dovrebbero fare sobbalzare i media.
Bergoglio non avrebbe usato parole particolarmente lusinghiere verso i gruppi tradizionalisti.
Come mai i media non colgono la palla al balzo? Non era cio’ che volevano? Sarebbe la dimostrazione che vi e’ discontinuita’ fra Pontificati (e non solo con quello di Benedetto ma anche con quello di Giovanni Paolo II). Io, per esempio, mi auguro che quelle parole siano state riportare in modo esagerato perche’ Papa Ratzinger ha affrontato problemi enormi, fuori ma soprattutto dentro la chiesa, per avere compiuto due gesti di riconciliazione e di ritorno all’unita’ (il Summorum Pontificum e la remissione della scomunica ai Lefebvriani).
Come mai i vaticanisti non colgono l’occasione per marcare la differenza fra i Pontificati?
Papa Francesco avrebbe parlato anche della riforma della curia romana parlando di se stesso come “disorganizzato”. Avrebbe in sostanza detto che affida la riforma tanto auspicata dai mezzi di comunicazione agli otto “saggi” nominati ad aprile.
Come mai i mass media non si gettano sulla notizia? Forse perche’ il Pontefice dice di essere un tipo disorganizzato? Strano…
Bergoglio avrebbe ammesso che esiste una lobby gay in Vaticano. Questa e’ un’affermazione molto succulenta per i media non tanto per la frase in se’ (lo sanno anche i muri che e’ vero) quanto perche’ essa viene direttamente da un Papa. Come mai non ci si getta sulla notizia? Ricordo che tutti i giornali parlavano di lobby all’indomani della rinuncia di Benedetto XVI, colpevole di avere pestato un po’ troppi piedi nella sua opera purificatrice e di trasparenza.
Tutto invece tace…come mai? Ordine di scuderia? Caspita! Un ordine che vede tutti zelanti ed ubbidienti.
E veniamo alla frase che Bergoglio avrebbe pronunciato sulla Congregazione per la dottrina della fede (CDF). Personalmente e’ questa l’affermazione che vorrei fosse smentita perche’ mi sconvolge.
Io spero che non sia vero.
Sostanzialmente Papa Francesco avrebbe detto: “Sbaglierete, farete gaffe, ciò succede! Forse riceverete una lettera dalla Congregazione della Dottrina (della Fede) dicendo che avete detto questa o quella cosa… Ma non preoccupatevi. Spiegate quello che dovete spiegare, ma andate avanti… Aprite le porte, fate qualcosa lì dove la vita chiama. Preferisco una Chiesa che sbaglia facendo qualcosa che una Chiesa che si ammala restando chiusa…”.
Grazie all’Anonimo che ha tradotto la frase dal testo originale.
Rocco Palmo afferma che la CDF e lo Ior sono i bersagli preferiti delle battute di Papa Francesco.
Beh, c’e’ poco da ridere sulla CDF!
Si tratta della Congregazione vaticana piu’ attaccata sia fuori che dentro la chiesa. I cardinali Ottaviani e Ratzinger hanno subito ogni sorta di attacco e di offesa per il loro coraggio nel difendere la fede cattolica ed i Pontefici regnanti!
Se la frase riportata e’ stata davvero pronunciata, personalmente non posso che soffrirne perche’ l’interpretazione potrebbe essere: se sbagliate e ricevete una lettera dalla CDF, non preoccupatevi piu’ di tanto ed andate avanti.
Un Papa puo’ davvero dire una cosa del genere e sminuire cosi’ il lavoro di preziosi ed insostituibili collaboratori? Io continuo a pensare che ci sia stata un’esagerazione perche’ credere che sia tutto vero e’ davvero traumatico. La Congregazione per la dottrina della fede verrebbe screditata.
Come mai pero’ i mass media tacciono? Non e’ questa l’occasione propizia per abbattere finalmente quella “bestia nera” della CDF? In fondo una delle “condizioni” di Kung e’ proprio la chiusura della congregazione stessa.
Perche’ allora c’e’ questo silenzio?
La pax mediatica verrebbe intaccata? In che modo? Forse c’e’ un ordine dall’alto? Possibile che TUTTI ubbidiscano senza riserve?
Primo compito dei media e’ quello di dare le notizie e anche di controllare il lavoro altrui. Solo facendo pressioni e’ possibile sapere con certezza se cio’ che e’ stato riportato dell’udienza privata alla CLAR corrisponde a verita’, e’ frutto di esagerazione ovvero di tratta di falsita’ attribuite a Papa Francesco con lo scopo di seminare divisione.
Questa forma di autocensura e’ impressionante oltre che essere inquietante.
(fonte: ilblogdiraffaella.blogspot.it)