mercoledì 10 aprile 2013

CRISTO E I CRISTIANI NEL TALMUD

titolo cristo e i cristiani nel talmud
 
 
di Mons. Justinas Bonaventura Pranaitis
 
gesù cristo davanti a caifa
 
La storia dei rapporti tra cristianesimo ed ebraismo è senz'altro uno dei temi più discussi di questa nostra epoca. In questi ultimi anni, infatti, le autorità della sinagoga, appoggiate da influenti lobby ebraiche d'oltre Oceano, hanno esercitato forti pressioni sulla Gerarchia cattolica affinché quest'ultima, dopo aver rigettato con il Decreto conciliare Nostra Ætate (1965) il suo insegnamento bimillenario sulla religione ebraica, riconosca le proprie «colpe» e chieda pubblicamente perdono per avere ingiustamente perseguitato per secoli i figli d'Israele. Mentre però il presunto antisemitismo di cui viene accusata la Chiesa cattolica è motivo di reiterati e ormai quotidiani mea culpa, non risulta a tutt'oggi che alcun rappresentante delle varie comunità ebraiche abbia mai chiesto pubblicamente scusa alla Chiesa e ai cristiani per il più che accertato odio anticristiano di cui trasuda quel concentrato di «saggezza» rabbinica che è il Talmud... Leggere per credere.
 
 
l Presentazione
 
Secondo una convinzione comunemente diffusa tra i cristiani dei nostri giorni, il testo fondamentale sui cui poggia l'odierno ebraismo sarebbe
costituito dall'Antico Testamento, e in particolare dalla Toràh, ossia dai primi cinque Libri della Bibbia che contengono la Legge mosaica. In realtà, uno studio anche superficiale di questa religione rivelerebbe come tale convinzione sia errata e lontana dalla verità. Per il fedele della sinagoga, infatti, il testo essenziale cui attingere per conoscere le norme da seguire e diventare un pio ebreo è il Talmud (dall'ebraico lamad, che significa «apprendimento», «dottrina, ammaestramento»). Per quanto ciò possa sembrare strano, l'ebraismo post-cristiano - quello cioè sviluppatosi dopo l'avvento del cristianesimo - ritiene che la Bibbia, al contrario del Talmud, sia un testo incompleto e di scarsa importanza. Ma cos'è esattamente il Talmud? Trattasi di un'ampia raccolta di insegnamenti rabbinici che va dal I secolo a. C. al V sec. d. C. Il Talmud consta di due raccolte: la Mishnàh, la più antica, e la Ghemarà, la più recente. I maestri della Mishnàh abbracciano cinque o sei generazioni per un totale di centocinquanta autori. La prima edizione della Mishnàh, commentata dall'ebreo spagnolo Mosé Maimonide (1135-1204) venne stampata a Napoli nel 1492.
 
talmudmosè maimonide
TalmudMosè Maimonide
 
Ma a dispetto delle altre religioni che cercano in tutti i modi di diffondere e far conoscere i loro testi sacri, l'ebraismo ha sempre cercato di occultare il suo libro fondamentale, fino a minacciare di scomunica, o nei casi più gravi di morte, chi ne avesse rivelato il contenuto ai non-ebrei. Nel XVII secolo questo incomprensibile atteggiamento di totale chiusura verso l'esterno richiamò l'attenzione di molti studiosi cristiani (Wagenseil, Rohling, i due Buxtorf, Eisenmenger, Bartolocci, Imbonati, Pfefferkorn, ecc...) che hanno cercato di carpire il motivo di tale segretezza. Lo studio di questo testo - che altro non è che un codice di comportamento - condotto da questi profondi conoscitori dell'ebraico portò ad una prima importante scoperta: il rigido regime di separazione dagli altri popoli che vige presso gli ebrei trae le sue origini christianus in talmude iudeorum, sive rabbinicæ doctrinæ de christianis secretadall'insegnamento talmudico relativo ai non-ebrei, e in particolare ai cristiani. In effetti, il primo dato che emerse dalla lettura dei diversi trattati che compongono questo libro (Iore Dea, Orac sciaim, Scioscen ammispat, ecc...) è che, in virtù della sua Alleanza con Yahwéh, l'ebreo si considera come una specie di superuomo, superiore a tutti gli altri suoi simili, una sorta di semidio con diritto di dominio su tutte le altre nazioni. Tuttavia, ciò che impressionò maggiormente questi studiosi cristiani durante la lettura dei vari trattati fu l'ossessiva istigazione del lettore all'odio verso Gesù Cristo (ritenuto un falso messia, un mago e quanto di peggio si possa immaginare) e verso i Suoi seguaci (considerati alla stregua di pagani idolatri da evitare o da sterminare). Temendo che la rivelazione delle maledizioni e degli insulti contro il cristianesimo contenuti nel Talmud scatenasse violente reazioni contro gli israeliti sparsi in tutto il mondo, i rabbini, riuniti in sinodo in Polonia, corsero ai ripari e diramarono un decreto che conteneva le seguenti istruzioni: «Poiché abbiamo saputo, come tutti i figli d'Israele, che molti cristiani cercano d'approfondire la lingua nella quale i nostri libri sono scritti, vi intimiamo, sotto pena di incorrere nella scomunica maggiore [...] di togliere dalle nuove edizioni della Mishnàh e dalla Ghemarà quanto si riferisce alle azioni di Gesù di Nazaret». Ecco dunque spiegato il motivo per cui le recenti traduzioni del Talmud (messe in vendita anche presso le librerie cattoliche) non contengono nemmeno uno dei passi che troverete citati dall'Autore in questo libretto. Nonostante questa cortina fumogena eretta dai giudei attorno al loro testo sacro, l'Autore del presente studio, Mons. Justinas Bonaventura Pranaitis (1861-1917) 1, riuscì verso la fine del XIX secolo scorso a venire in possesso di molti trattati originali in cui le maledizioni e gli improperi contro Cristo e i cristiani non erano stati amputati. Nel 1892, con il titolo Christianus in Talmude Iudeorum, sive Rabbinicæ doctrinæ de Christianis secreta («I cristiani nel Talmud, ossia la dottrina rabbinica segreta sui cristiani»), usciva la più completa e più accurata raccolta di massime talmudiche che sia mai stata pubblicata e che oggi vi ripresentiamo non certo per fomentare nel lettore volgari pulsioni antisemite, così aliene dallo spirito che anima le pagine del Vangelo, ma perché i cristiani tornino a operare per la conversione degli ebrei e a pregare secondo le intenzioni della Chiesa, così chiaramente espresse nella veneranda liturgia preconciliare del Venerdì Santo: «Affinché Dio, nostro Signore, tolga il velo dai loro cuori ed essi conoscano Gesù Cristo [...] e siano strappati alle loro tenebre».
 
PARTE PRIMA
LA DOTTRINA DEL TALMUD SUI CRISTIANI
 
 
Nella prima parte di questo libro, vedremo quali sono gli insegnamenti del Talmud sull'Autore della religione cristiana, Gesù Cristo; nella seconda, quello che esso prescrive circa i Suoi seguaci.
 
CAPITOLO I
GESÙ CRISTO NEL TALMUD
 
Molte sono le cose che si possono leggere nei diversi libri talmudici sull'origine di Gesù Cristo e sulla Sua vita, morte e dottrina. Tuttavia, bisogna avvertire che non sempre e dovunque Egli viene chiamato con lo stesso nome, ma con altri diversi quali «quell'uomo», «un tale», «il figlio del fabbro», «l'appeso», ecc...
 
l I nomi attribuiti a Gesù Cristo
 
- Il vero nome di Gesù Cristo in ebraico è Iesciua Annostri, ossia «Gesù Nazareno»
Gesù viene chiamato Notsri dagli ebrei per via della città di Nazareth nella quale fu educato; per cui anche i cristiani nel Talmud sono chiamati notsrim. Poiché la voce Iesciua, che significa «salvezza», designa il Salvatore, di rado il nome di Gesù si incontra scritto per esteso nei libri ebraici 2, ma quasi sempre e ovunque si legge con l'abbreviazione Iesciu, nome che viene letto dagli ebrei con malizia, come se fosse originato dalle lettere iniziali delle tre parole Immasc' Sciemo Veziecro: «Siano distrutti il suo nome e la sua memoria» 3.
 
- Nel Talmud, Gesù Cristo viene chiamato oto isc, ovvero «quell'uomo», vale a dire «noto a tutti»
Nel trattato Aboda zara 6 a si legge: «Cristiano (è chiamato) colui che segue l'erronea dottrina di quell'uomo, il quale comanda che si consideri festivo il primo giorno dopo il sabato, e cioè che si santifichi il primo giorno dopo il sabato».
 
- Più semplicemente, Gesù Cristo viene chiamato peloni, cioè «quel tale»
Nello Sciaghigà 4 b., si legge «Maria [...] madre di quel tale», così come viene denominata nello Sciabbat, 104 b. Vedremo ben presto come questa Maria altri non sia che la Madre di Gesù Cristo.
 
- Con disprezzo, Cristo viene chiamato anche naggar bar naggar 4, ovvero il «fabbro» o il «figlio del fabbro»; o anche ben sciarasc'ètsim, ossia il «figlio del falegname» 5.
 
aboda zarasciabbat
Aboda zaraSciabbat
 
- Inoltre, gli ebrei lo chiamano talui, cioè «l'appeso»
Rabbi Samuel, figlio di Meir, nell'Ilcot acum di Mosè Maimonide, avverte subito che il giorno festivo di Natale e quello della Pasqua dei cristiani sono proibiti agli ebrei perché vengono celebrati «per il fatto che egli fu appeso» 6. Rabbi Aben Esdra (1092-1167), nel Commentario al Libro della Genesi (Gn 27, 39), chiama talui colui la cui immagine l'Imperatore Costantino il Grande (280-337) pose nell'insegna: «Ai tempi di Costantino, che cambiò la religione e pose sul suo vessillo l'immagine dell'appeso».
 
l La vita di Gesù Cristo
 
Il Talmud insegna che Gesù era impuro e figlio di donna mestruata 7, che aveva l'anima di Esaù ed era stolto, prestigiatore, seduttore e idolatra. Fu crocifisso, sepolto nell'inferno e divenne l'idolo dei suoi seguaci.
 
- Gesù Cristo era bastardo e figlio di donna mestruata
Nel trattato Callà 1 b. (18 b.), viene narrata questa storia: «Un giorno, mentre alcuni vecchi sedevano davanti alla porta della città, si presentarono loro due adolescenti, uno dei quali aveva il capo coperto e l'altro l'aveva lasciato scoperto. Di quell'adolescente che aveva scoperto il capo, Rabbi Eliezer disse che era un "mamzer", cioè un "impuro". Rabbi Ieosciua disse che egli era "ben niddà", ovvero che era stato concepito da una donna mestruata. Rabbi Achiba, invece, affermò che egli non soltanto era impuro, ma anche figlio di donna mestruata. Poiché gli astanti domandarono a Rabbi Achiba il motivo di tale contraddizione verso i suoi colleghi, egli rispose loro che avrebbegesù cristo luce del mondo confermato quanto aveva asserito. Andò quindi dalla madre di questo fanciullo, e avendola trovata al mercato intenta a vendere legumi, le disse: "Figlia mia, se tu mi vorrai rispondere con tutta verità a ciò che sto per domandarti, io ti prometto di fare tutto il possibile perché tu abbia a godere dell'esistenza anche nell'altra vita". E poiché ella chiedeva che l'altro confermasse con un giuramento quanto aveva promesso, Rabbi Achiba giurò, ma soltanto con le labbra, perché in cuor suo rese subito vano il giuramento. Dopodiché, Rabbi Achiba domandò: "Dimmi: chi è tuo figlio"? Ella rispose: "Quando celebrai le mie nozze mi trovavo nel periodo delle mestruazioni, per cui mio marito si allontanò da me. Ma il mio compare si unì a me e da questo amplesso nacque questo mio figlio". Da ciò risultò chiaro che questo fanciullo era non soltanto impuro, ma anche figlio di donna mestruata. A questa dimostrazione tutti gli astanti esclamarono: "Grande fu Rabbi Achiba quando corresse i suoi dottori". E subito aggiunsero: "Benedetto il Signore Dio d'Israele che rivelò il suo arcano a Rabbi Achiba, figlio di Giuseppe"». Come gli ebrei applichino questo passo a Gesù Cristo e a Maria SS.ma lo dimostra chiaramente il loro libro Toldoth Iesciu, che in ebraico significa «Origini di Gesù», dove, quasi con le stesse parole, è narrata la nascita del nostro Salvatore 8. Sempre in questo senso un'altra narrazione è data nel Sanhedrin 67 a: «Fra tutti coloro che, per aver contravvenuto alla legge, sono ritenuti rei di morte, solo verso questi ultimi 9 essi procedono, per l'accertamento delle loro colpe, servendosi di insidie. E quali insidie preparano? Predispongono una stanza interna illuminata da una candela, e collocano testimoni in un'anticamera, in modo che essi possano vedere il tentatore e udirne le parole, ma non questi quelli. Colui che era stato dapprima circuito dal tentatore improvvisamente domanda a quest'ultimo: "Ti prego: ripetimi qui in segreto, ciò che prima mi hai detto". Se l'altro aderisce, subito il tentato gli chiede: "In che modo abbandoneremo il Signore nostro che è nei cieli e serviremo gli idoli"? Se a queste parole il tentatore si converte o ha comunque resipiscenze, bene; ma se invece esclama: "Ecco il nostro dovere; ecco quello che dobbiamo fare in tutto e per tutto", allora i testimoni che sono nella stanza esterna e che hanno ascoltato tutto, subito lo conducano in giudizio e lo lapidino. Così fecero al figlio di "stada" ("meretrice") in Lud, e lo crocifissero la sera di vergine mariaPasqua. Questo figlio di "stada" ("meretrice") dev'essere inoltre considerato figlio di "pandira". Poiché disse Rabbi Sciasda: "Il marito di sua madre, "stada pandira", è Pafo, figlio di Giuda 10. Ma io aggiungo che sua madre è stata la meretrice Maria di Magdala, cioè quella tale acconciatrice di teste femminili, la quale, come dicono nel Pumbaditano, si allontanò da suo marito"». Ciò equivale a dire che anche Maria SS.ma veniva chiamata stada, cioè «meretrice», perché, secondo i Pumbaditani, aveva tradito il marito con adulterio. Simili cose si possono leggere nel Talmud di Gerusalemme 11 e in Maimonide 12. Per quanto riguarda quella Maria di cui è fatta sopra menzione, di essa si dice nel trattato Sciaghigà 4 b: «Trovandosi un giorno Rabbi Bibai presso l'Angelo della morte gli disse: "Va, e portami qui Maria acconciatrice di capelli muliebri" (che equivale a dire: "Va, e uccidila"). L'Angelo andò e gli portò Maria acconciatrice di fanciulli (vale a dire un'altra Maria)». Una glossa marginale illustra così questo passo: «Questa storia di Maria acconciatrice di capelli muliebri accadde sotto la seconda casa. Ella fu quindi la madre di N. ("peloni"), come si legge nel trattato Sciabbat» (fol. 104 b). Nondimeno, nello Sciabbat questo episodio viene così riportato: «Disse Rabbi Eliezer ai sapienti: "Non fu forse il figlio di "stada" ("meretrice") a fare uscire le arti magiche dall'Egitto per mezzo di un taglio nella propria carne"? Essi risposero: "Egli fu stolto, e non si chiede l'approvazione degli stolti. Il figlio di "stada", il figlio di "pandira"...», come sopra nel Sanhedrin 67 a». Tale magia, operata dal figlio di stada, viene così spiegata nel libro Bet Jacob, f. 127 a: «Prima di uscire dall'Egitto, i Magi investigarono minuziosamente dappertutto che non trafugassero l'arte magica per mezzo di qualche scritto, in modo che la potessero poi insegnare agli altri popoli. Perciò, egli escogitò un nuovo sistema, e fu quello di scrivere l'arte magica sulla pelle o d'includervela sotto. La ferita, non appena sanata, non l'avrebbe certamente lasciata scoprire» 13. «Da tutto ciò - dice Johannes Buxtorf (1564-1629) 14 - si può capire in modo non troppo oscuro chi mai sia stato "ben stada" ("il figlio della meretrice") o chi mai, esaminati tutti i punti, per lui debba intendersi. Comunque, molte considerazioni dimostrano che nonostante i rabbini nelle addizioni talmudiche si sforzino di dichiarare che essi non vogliono riferirsi a Gesù Nazareno e cerchino di coprire la loro malizia, tuttavia la frode si viene subito a scoprire poiché appare manifesto che essi, nello scrivere tali cose, non vogliono altro intendere e scrivere che di Lui. Infatti: in primo luogo, egli è chiamato anche ben pandira. E che così fosse chiamato da loro Gesù Nazareno appare evidente anche in altri punti nel Talmud 15, dove si fà espressa menzione di "Gesù, figlio di pandira". Anche San Giovanni Damasceno (675-750) 16 nella genealogia di Cristo menziona le parole "pantheræ" e "bar pantheræ". In secondo luogo, questa "stada" ("meretrice") si dice che fosse Maria, e questa Maria viene anche detta madre di "peloni", di N., e con questa espressione si vuole senza dubbio identificare Gesù Cristo. Gli ebrei, infatti, usano mascherare il Suo nome perché si vergognano di pronunciarlo. Se fossero a nostra portata di mano i manoscritti originali, la cosa sarebbe chiaramente provata. Appare dunque evidente che anche questo fu uno dei nomi attribuito alla Madre di Gesù Nazareno. In terzo luogo, Egli viene chiamato "seduttore del popolo". E che per tale fosse ritenuto Cristo dagli ebrei, lo attesta il Vangelo stesso 17, mentre gli scritti odierni confermano che anche oggi gli israeliti lo considerano come tale 18. In quarto luogo, si dice che fosse chiamato l'"appeso"; in ciò è chiaro il riferimento alla crocifissione di Gesù Cristo, specialmente se si aggiunge la circostanza di tempo - la sera di Pasqua - la quale si accorda con il tempo della crocifissione di Nostro Signore. Nel Sanhedrin 43 a., così essi scrivono: "La sera di Pasqua crocifissero Gesù". In quinto luogo, perché nel Talmud di Gerusalemme si parla di due discepoli dei sapienti posti come vedette e come testimoni, e quindi prodotti contro di Lui. Ciò deve riferirsi a quei due falsi testimoni dei quali fanno menzione gli evangelisti San Matteo 19 e San Luca 20. In sesto luogo, perché del medesimo "ben stada" scrivono che in un taglio della propria carne egli trafugò le arti magiche dall'Egitto. Qualcosa di simile riferiscono a proposito di Gesù Cristo nel velenosissimo libro "Toldoth Iesciu". In settimo luogo, e in questo si accorda anche il periodo di tempo, perché si dice che questo "ben stada" sia vissuto ai giorni di Pappo, figlio di Ieuda, il quale fu contemporaneo di Rabbi Achiba. Achiba, inoltre, visse al tempo dell'Ascensione di Cristo e oltre. Anche Maria si dice che sia vissuta sotto il secondo tempio. Sommando le cose, risulta chiaro a tutti come in questi passi gli ebrei, in modo subdolo e blasfemo, vogliano intendere sotto il nome di figlio di "stada" non altro che il nome "figlio di Maria", ossia Gesù Cristo. Il fatto che a queste interpretazioni si oppongano altre circostanze non significa nulla. Ciò non è nuovo nei libri dei giudei, poiché essi cercano di mascherare la verità ai cristiani con l’inganno» 21.
 
- Inoltre, «nei libri più segreti che cercano di non far cadere facilmente nelle mani dei cristiani, gli ebrei dicono che lo spirito di Esaù è passato in Gesù Cristo, il quale è stato tanto empio quanto Esaù stesso» 22.
 
- Da qualcuno Egli viene chiamato anche stolto e demente 23: «Dissero i Sapienti ad Eliezaro: "Stolto fu il figlio di "stada" ("meretrice") e non si chiede l’approvazione degli stolti"».
 
toldot yeshu- Gesù Cristo era un prestigiatore e praticava le arti magiche
Nel nefando libro Toldot Yeschu, il nostro Salvatore viene sacrilegalmente bestemmiato con queste parole: «Disse Gesù: "Non hanno forse così profetizzato di me Isaia e Davide miei proavi? Il Signore mi disse: "Tu sei mio figlio; oggi ti ho generato" 24. Così in altro passo: "Disse il Signore al mio Signore: "Siedi alla mia destra" 25. Ora io salirò verso il Padre mio che sta nei cieli e siederò alla sua destra e questo voi vedrete con i vostri occhi; ma tu Giuda 26 non riuscirai mai ad elevarti fino a Lui". Pronunciò quindi Gesù il gran nome di Dio (IHWH), ed ecco che subito si levò un gran vento che lo sollevò fra il cielo e la terra. Anche Giuda pronunciò quel nome e anche lui fu sollevato dal vento tra il cielo e la terra. In questo modo, entrambi volteggiavano nell'aria davanti allo stupore di tutti gli astanti. Allora Giuda, pronunciato nuovamente il nome divino, afferrò Gesù cercando di precipitarlo a terra. E Gesù, allo stesso modo di Giuda, cercava di precipitare l'altro. Così l'uno e l'altro, alternatamente, si colluttavano. Vedendo allora Giuda di non poterla avere vinta, orinò sopra Gesù e così, essendosi resi immondi, caddero entrambi a terra e non poterono più pronunciare il nome divino prima di essersi purificati». Davvero non so se siano degni di misericordia piuttosto che di odio quelli che prestano fede a simili menzogne fabbricate dal demonio in persona 27. In un altro passo dello stesso libro, viene narrato come nel Santuario vi fosse una pietra che il Patriarca Giacobbe aveva spalmato d'olio 28. In questa pietra erano scritte le lettere del tetragramma IHVH 29 e tutti gli studiosi israeliti sostenevano che la pronuncia di questo nome avrebbe devastato il mondo. Perciò, deliberarono che nessuno potesse comprenderlo, e misero due cani legati a due colonne di ferro davanti al Santuario. Se mai qualcuno avesse interpretato il valore di quelle lettere, nell'atto di uscire dal Santuario, atterrito dall'abbaiare dei cani, avrebbe completamente perduto la memoria di esse. «Venne Gesù, entrò nel Santuario, interpretò il valore di quelle lettere, le scrisse su una pergamena, tagliò un lembo di carne dal proprio femore e ve la nascose; quindi, pronunciato il nome divino, la pelle si richiuse» 30.
 
- Gesù Cristo era idolatra
Nel trattato Sanhedrin 103 a., le parole del Salmo 91, versetto 10 «e la piaga non si avvicinerà al tuo tabernacolo», sono così spiegate: «Perché non vi sia tuo figlio o il tuo discepolo il quale cosparga di troppo sale, e troppo salando corrompa pubblicamente il suo cibo, come Gesù Nazareno». Bruciare il cibo o cospargerlo con troppo sale o troppo condimento viene proverbialmente detto di chi corrompe i suoi costumi, devia dalla sua strada e macchia il suo buon nome; in una parola, di colui il quale passa all'eresia e all'idolatria diffondendole e difendendole pubblicamente 31.
 
- Gesù Cristo era un tentatore
Nello stesso Sanhedrin 107 b. si legge: «Disse Mar: "Gesù corruppe, tentò e perse Israele.
 
- Gesù fu crocifisso
Già sopra abbiamo visto come Egli abbia scontato con una morte ignominiosa la pena della sua empietà e dei suoi delitti, essendo stato appeso al patibolo della Croce la sera di Pasqua.
 
- Gesù Cristo fu sepolto nell'inferno
Lo Zohar 282 b. dice come Gesù sia perito come una bestia e sia stato sepolto fra le bestie. «Mucchio di sporcizie [...] su cui sono stati gettati i cani morti e gli asini morti, e dove sono sepolti i figli di Esaù (i cristiani) e quelli di Ismaele (i musulmani); ivi sono sepolti anche Gesù e Maometto, incirconcisi e immondi, carogne di cani» 32.
 
trattato sanhedrinzohar
Trattato SanhedrinZohar
 
- Dopo la Sua morte, Gesù Cristo fu venerato come Dio dai Suoi seguaci
George Elia Edzard, nel libro Aboda zara 32 riferisce le seguenti parole del commentatore dell'Ilcot acum 5. 3. di Maimonide: «In molti punti del Talmud si fa menzione di Gesù Nazareno e dei suoi seguaci. Nessuno all'infuori di lui è riconosciuto come Dio dai gentili». Nel libro Scizzuc Emunà (parte I, cap. 36) si legge 33: «Da questo passo (Zc 12, 10) i cristiani traggono argomento per confermare la propria fede dicendo: "Ecco, testimonia il profeta che nei secoli futuri si lamenteranno i giudei, lacrimeranno e piangeranno per avere crocifisso e ucciso il Messia mandato loro, Gesù Nazareno, eterno come Uomo e come Dio; e ciò lo esprimono con queste parole: "E volgeranno lo sguardo verso colui che hanno trafitto e piangeranno sopra di lui come si piange l'unico figlio"». Nell'Ilcot melachim, IX, 4 34, Maimonide si sforza difarisei dimostrare quanto grandemente si ingannino i cristiani che venerano Gesù. «Se tutto ciò che fece si compì felicemente 35, se costruì nel giusto luogo il Santuario e raccolse i dispersi figli di Israele, Egli è veramente il Messia. Ma se fino ad oggi ciò non gli è riuscito, o se fu ucciso, è chiaro che egli non era il Messia che la Legge ci comandò di sperare. Egli, in verità, è simile a tutti i Re morti della Casa di Davide, integri e giusti, i quali Dio Santo Benedetto non fece nascere ad altro fine se non per illuminare i molti, così come è detto: "E quelli che avranno capito trascineranno gli altri a purificarsi, a purgarsi e a rendersi candidi fino al momento 36 della fine". Anche Daniele, in precedenza, con queste parole 37 profetizzò di Gesù Nazareno che si riteneva di essere il Cristo e per sentenza del Sinedrio fu ucciso: "E i figli dei distruttori del tuo popolo saranno elevati affinché appaiano saldi e invece precipiteranno". Esiste avvenimento che sia di maggiore importanza? Questo fu il detto di tutti i Profeti: "Gesù Cristo libererà Israele e lo salverà e raccoglierà gli scacciati suoi figli e confermerà le loro leggi". Mentre invece quello (Gesù) fu tratto in causa per aver voluto uccidere di spada Israele, disperdere le sue reliquie e umiliarle; e ciò perché mutasse la Legge e la maggior parte degli uomini fosse sedotta a servire un altro Dio. In verità, a nessun uomo è dato di conoscere i pensieri del Creatore, poiché non sono le stesse le sue strade e le nostre, i suoi e i nostri consigli. Certamente tutte le istituzioni di Gesù Nazareno e degli israeliti che vennero dopo di lui ad altro non sono rivolte se non a spianare la strada al Messia Re e perché tutto il mondo si prepari a servire il Signore così come è detto: "Allora volgerò ai popoli il puro labbro affinché tutti invochino il nome di Dio venerandolo universalmente" 38. E allora? Già tutto il mondo è pieno della parola di Cristo, e della Legge e delle dottrine, e si diffondono parole di lode a Lui nelle lontane isole e fra molti popoli, chi velato nel cuore e chi nella carne; ed essi parlano e comunicano fra loro di queste cose che sovvertono la Legge, e mentre alcuni dicono che i suoi insegnamenti furono veri, ma poi cessarono di esserlo, altri aggiungono che vi sono in queste cose non pochi misteri. Il Messia Re è venuto e ha rivelato gli arcani. Ma quando veramente fosse giunto il Messia, e le sue dottrine avessero prosperato ed egli fosse stato innalzato ed esaltato, tutti si sarebbero convertiti e conoscerebbero che le cose che accaddero furono false e vane».
 
crocifisso- Il crocifisso e l'Eucarestia sono idoli
Nel trattato Aboda zara 21 a., Tosef., leggiamo: «È necessario che studiamo su quale fondamento debbano basarsi in questi tempi gli uomini quando vendono o affittano case ai gentili a scopo di abitazione. Vi sono alcuni che pensano illecita la vendita o l'affitto per il fatto che nel Tosefta è scritto: "Nessuno darà in affitto la sua casa al gentile, sia in terra d'Israele che fuori, perché è chiaro che egli vi porta dentro l'idolo". Nondimeno, è lecito affittare loro stalle, magazzini e botteghe, nonostante sia noto che in questi luoghi introdurranno i loro idoli. La ragione è chiara: perché si distingue fra il luogo nel quale l'idolo viene introdotto in modo che abbia sede stabile, e il luogo nel quale viene introdotto, ma non con sede fissa. Da qui la liceità della cosa. Ora, i gentili fra i quali viviamo non introducono nelle loro case l'idolo in modo che vi abbia fissa dimora, ma soltanto quando vi si trovi un morto o qualcuno sia in agonia; anzi, nemmeno in questi casi essi compiono funzioni religiose. Date queste circostanze, vendere od affittare case è lecito». Altrettanto dice non meno chiaramente Rabbi Ascer nel suo commentario ad Aboda zara 83 d: «Oggi che i gentili non usano introdurre l'idolo nelle loro case se non quando uno di loro giace ammalato, è lecito affittarle». Lo stesso Rabbi Ascer, nel medesimo libro, poco più sopra (83 b) dice: «Oggi, essi usano bruciare incenso all'idolo». Tutte queste cose e molte altre simili ad esse, ci tolgono ogni dubbio sul fatto che i rabbini quando parlavano degli idoli dei gentili, tra i quali essi vivevano a quei tempi in cui non esistevano idolatri, non avevano dinanzi agli occhi se non l'idolo dei cristiani, venerato o nelle specie eucaristiche o nell'immagine della croce.
 
- Nota sulla croce
Nella letteratura ebraica non si trova il nome che designa direttamente la croce dei cristiani. La croce T, cui venivano appesi i condannati alla pena capitale, presso i fenici e gli ebrei si chiamava tau. Questo nome e questo simbolo vennero poi accolti nell'alfabeto degli ebrei, dai greci e dai romani. Ma tra gli ebrei la croce, venerata con tanto onore dai cristiani, viene chiamata in diversi modi:
  • Tsurat attalui: «figura dell'appeso» 39;
  • Elil: «vanità», «idolo»;
  • Tselem: «immagine». Per questo motivo, anche i crociferi, nei libri degli ebrei, sono chiamati tsalmerim;
  • Sceti veereb: «ordito e trama»; nome derivato dall'arte tessile;
  • Cocab: «stella», per i raggi che si diramano dalle parti;
  • Pesila: «scultura», cioè «idolo scolpito».
Qualunque sia il nome con il quale essi la chiamano, si deve sempre intendere in senso di idolo o di cosa grandemente esecranda. L'Orac sciaim, 113, 8 afferma: «Se si presenterà un cristiano che ha in mano la stella a un giudeo intento nella preghiera e il giudeo sia al punto della sua orazione in cui è il momento di inchinarsi, egli non si inchinerà. È lecito in questo caso che il suo cuore sia diretto in cielo verso Dio, affinché non sembri che egli sia inchinato dinanzi a quell'immagine». Lo Iore dea 150, 2 dice : «Se per caso, al cospetto dell'idolo si siahassidico confitta una spina nel piede di un ebreo, o gli sia caduta una moneta, egli non si curverà per togliersi la spina o per raccogliere il denaro, affinché non sembri che cada in adorazione dell'idolo; sieda piuttosto o volti le spalle all'idolo e si estragga la spina». Poiché simile diversivo non può essere utilizzato dall'ebreo senza rischio, viene data una regola sul come ci si debba comportare in tali occasioni. Dice lo Iore dea 150, 3. Agà 40: «Davanti ai principî o ai sacerdoti che hanno sopra le vesti la croce o che ne portano sul petto l'immagine, come è abitudine di coloro che comandano, non è lecito curvarsi o togliersi il copricapo. Curerà tuttavia l'ebreo di negare questo onore senza che nessuno si accorga del diniego. Per esempio, gettando a terra delle monete o alzandosi in piedi prima che arrivino i cristiani. In tal modo, si scoprirà e si inchinerà prima del loro arrivo». Gli ebrei distinguono la croce che si venera dalla croce che si porta al collo in memoria di qualche avvenimento o per semplice ornamento. La prima la ritengono idolo, la seconda no. Afferma Iore dea 141, 1. Agà: «L'immagine della croce dinanzi alla quale si inchinano i cristiani, dev'essere ritenuta come un idolo e non è lecito usarne prima di distruggerla; invece, la croce pendente dal collo per ricordo, non dev'essere considerata un idolo; quindi, è lecito usarne senza distruggerla. Il segno della croce fatto con le mani con il quale i cristiani sono soliti segnarsi, viene chiamato in lingua ebraica "movimento delle dita di qua e di là"» 41.
 
l La dottrina di Gesù Cristo
 
Un seduttore e un idolatra come Gesù Cristo non poté insegnare altro se non l'errore e l'eresia, impossibili da praticare e da osservare.
 
- Gesù Cristo insegnò l'errore
L'Aboda zara 6 a. Tosefot sentenzia: «Nazareno è chiamato chi segue l'errore di colui il quale comanda di santificare il primo giorno dopo il sabato».
 
- Gesù Cristo insegnò l'eresia Nello stesso libro Idolatria (cap. I, 17 a. Tosefot), si parla dell'eresia di Giacomo. Che questo Giacomo altro non sia se non l'Apostolo di Gesù Cristo, lo si deduce da alcune parole riferite poco più sotto. In Aboda zara 27 b. si legge infatti: «Giacomo secanita, uno dei discepoli di Gesù, com'è detto nel capitolo primo...». Giacomo non predicava la propria dottrina, ma quella di Gesù Cristo.
 
cristo coronato di spine- La Legge di Cristo è impossibile da osservare
L'autore del libro Nizzascion 42, circa tale espressione argomenta nel modo seguente: «I cristiani hanno questa legge: "Se un ebreo ti percuote una guancia, porgigli l'altra; in nessun caso dovrai restituirgli la percossa"» 43. Al cap. VI, v. 27, dello stesso libro è detto: «"Amate i vostri nemici; beneficate i vostri avversari, benedite coloro che vi esecrano, pregate per coloro che vi usano violenza; a chi ti dà uno schiaffo su di una guancia, porgigli l'altra. A chi ti porta via la toga, senza contrastare dagli anche la camicia...". Ciò si può leggere anche presso il Vangelo di Matteo (Mt 5, 39). Ma non mi è mai accaduto di vedere dei cristiani comportarsi in tale maniera. E perfino lo stesso Gesù non si comportò nel modo che aveva insegnato agli altri. Ecco quello che troviamo presso il Vangelo di Giovanni (Gv 18, 22), dov'è detto che avendogli un tale dato uno schiaffo, Egli non gli porse affatto l'altra guancia per essere nuovamente colpito, ma, dopo il primo colpo, emozionato gli disse: "Perché mi percuoti"? Si può leggere negli Atti degli Apostoli (At 23, 3): "Avendo il Pontefice ordinato di percuotere la guancia di Paolo, questi non porse affatto l'altra guancia, ma imprecando rispose: "Dio possa percuotere te...". Dunque, questo modo di fare è un argomento a loro sfavore e distrugge i fondamenti della loro religione, mentre essi millantano che è cosa facile osservare la legge di Gesù Cristo. Se dunque Paolo, che dev'essere considerato quasi al pari di Gesù diffusore della dottrina, non fu in condizione di obbedire al suo precetto, chi degli altri che credono in Lui mi potrà convincere»? All'autore, nelle cui mani erano i Vangeli e gli Atti degli Apostoli, non poteva sfuggire il vero senso nel quale Gesù aveva comandato di porgere l'altra guancia a chi su di una fosse stato percosso; come pure non può sfuggire il vero significato delle Sue parole là dove dice 44: «Se la tua mano ti dà scandalo, tagliala [...]. E se il tuo piede ti dà scandalo, taglialo [...]. E se il tuo occhio ti dà scandalo, cavatelo». Peraltro, nessuno, sia pur poco versato in Sacra Scrittura, pensò mai di prendere alla lettera questi precetti. È dunque con somma malizia e somma ignoranza dell'indole dei tempi nei quali visse su questa terra il nostro Salvatore che gli ebrei, spesso e volentieri anche oggi, traggono occasioni da questi passi dei Vangeli per alterare la dottrina di Gesù 45.
 
CAPITOLO II
I CRISTIANI
 
In questo capitolo tratteremo questi tre argomenti:
  • Con quali nomi vengono chiamati i cristiani nel Talmud;
  • Chi sono i cristiani secondo la dottrina degli ebrei;
  • Cosa dice il Talmud del culto divino dei cristiani;
  • I nomi dei cristiani nel Talmud.
Così come nella nostra lingua i cristiani derivano il loro nome da quello di Gesù Cristo, allo stesso modo, nella lingua talmudica, essi, da Gesù
Nazareno, sono chiamati notsrim 46. Inoltre, essi sono chiamati con tutti quei nomi con i quali nel Talmud sono designati i non-ebrei, come: aboda zara, acum, obde elilim, minim, nocrim, edom, amme aarez, goim, apicorosim, cutim e tanti altri.
 
ebreo ortodosso- Aboda zara
Parola che significa «culto straniero» o «idolatria». In tal modo è chiamato anche il trattato talmudico sull'idolatria. Da qui, il termine obdè aboda zara, ovvero «cultori di idolatria». Che le parole aboda zara significhino veramente «culto idolatrico», frutto di grande contaminazione per coloro che a tale pratica si dedicano, appare manifesto nello stesso Talmud. Nel trattato Aboda zara 3 a., Nimrod viene addotto come testimone che Abramo non era stato cultore di idoli: «Venga Nimrod e faccia testimonianza che Abramo non fu servo di "aboda zara"». Certo è che ai tempi di Abramo non esisteva un culto straniero, né degli ismaeliti, né dei nazareni, ma soltanto il vero culto di Dio e l'idolatria. Lo stesso si dice nello Sciabbat 82 a.: «Dice Rabbi Achiba: "Da dove sappiamo che "aboda zara" contamina coloro che lo praticano come può contaminare una donna immonda? Perché è detto (Is 30, 22): "E allontanerai da te quelle cose così come si allontana un'immonda donna mestruata. E le dirai: fuori di qui"». Nel primo emistichio del medesimo versetto 22 si fà menzione degli idoli d'oro e d'argento 47. Che anche i cristiani siano per gli ebrei aboda zara lo dimostra chiaramente il sapientissimo Maimonide. Leggiamo infatti in Aboda zara 78 c. Perusc': «E sappi che questa genia di cristiani, che errano dopo la venuta di Gesù, sebbene la loro dottrina sia varia e diversa, sono tutti cultori dell'"aboda zara"».
 
- Acum
Questa voce è composta dalle lettere iniziali delle parole Obdè Cocabim U Mazzolat 48, ossia «adoratori delle stelle e dei pianeti». Così un tempo gli ebrei chiamavano i goim, ritenendoli privi di ogni cognizione del vero Dio. Da molti passi dei libri degli ebrei, e specialmente dallo Sciulsian aruc, traspare chiaramente che la voce acum designa i cristiani. Nell'Orac scixim 113, 8., vengono chiamati acum coloro che venerano la croce. Nello Iore dea 148, 5, 12 sono chiamati adoratori delle stelle e dei pianeti coloro che celebrano la festività di Natale e, otto giorni dopo, quella di Capodanno. «Perciò, se si manda un dono ad un "acum" al tempo dell'ottavo giorno dopo il Natale, giorno da essi chiamato Capodanno...».
 
- Obdé elilim, ovvero «servi degli idoli»
Questo nome ha il medesimo significato del precedente (acum). Spesso con questo nome sono chiamati i non-ebrei. Ad esempio, nell'Oracebreo ortodosso sicaim 215, 5 è detto: «Non siano pronunciate parole di benedizione sopra gli aromi che appartengono ai servi degli idoli». Tuttavia, nel tempo in cui fu pubblicato lo Sciulscian aruc non vi erano acum, i «cultori di stelle e di pianeti», né «servi degli idoli» se non fra coloro presso i quali vivevano sempre gli stessi ebrei. Così si esprime l'autore del commentario allo Sciulc. aruc, intitolato Maghen Abraham, il rabbino Calissense, morto in Polonia nel 1775, nella nota nº 8 al paragrafo 244 dell'Orac sciai, laddove permette all'ebreo di compiere il lavoro nel giorno di sabato con l'aiuto dell'acum: «Nella nostra città si discute circa il prezzo per rimunerare gli adoratori delle stelle e dei pianeti, i quali spazzino le vie e le piazze e continuino il lavoro anche il giorno di sabato» 49.
 
- Minim, ossia «eretici»
Nel Talmud vengono chiamati minim anche quegli eretici che possiedono i libri detti Vangeli. Dice lo Sciabbat 116 a.: «Rabbi Meir chiama i libri dei "minim" "aven ghilaion" ("volumi di iniquità") per il fatto che essi li chiamano Vangeli».
 
- Edom, cioè «idumei»
Rabbi Aben Esdra, laddove ci dice che l'Imperatore Costantino mutò religione e pose nel vessillo l'immagine dell'«appeso», aggiunge queste parole: «Perciò Roma è chiamata il Regno degli idumei». Rabbi Besciai, nel Cad acchemasc' fol. 20 a., in Isaia (Is 66, 17), così si esprime: «Si chiamano "edomiti" coloro che usano muovere le dita di qua e di là» (cioè coloro che si fanno il segno della croce). Lo stesso Rabbi Besciai, dopo le seguenti parole di Isaia, estratte dal passo già citato, «i quali mangiano carne suina», aggiunge: «Questi edomiti...». Rabbi Chimisci invece dice: «Questi cristiani...». Rabbi Abarbinel, nell'opera Masmia Iesciua 36 d., scrive: «Nazareni sono i romani, figli di Edom».
 
- Goi, ovvero la «gente» o il «popolo»
Gli ebrei definiscono goi anche un uomo singolo, un «gentile»; goià è detta la donna del gentile. Con questo nome sono talvolta chiamati anche gli israeliti, anche se molto raramente 50. Molto spesso invece lo si usa per identificare i non-ebrei, gli idolatri. Nei libri degli ebrei che trattano dell'idolatria 51, molte volte con il vocabolo goim sono chiamati i cultori degli idoli. Per questa ragione, nelle più recenti edizioni del Talmud 52 questa voce viene evitata ad arte e al suo posto si usano altre denominazioni per i non-ebrei. Oggi, tutti quelli che hanno dimestichezza con loro, sanno che con il nome goim si vuole, in lingua ebraica, identificare i cristiani. Non lo negano nemmeno gli stessi ebrei. Tuttavia, essi nei loro libri scritti in volgare cercano di dimostrare di non attribuire nulla di male o di offensivo a questo termine 53. Ma a dire il vero, appare manifesto il contrario nei libri scritti in lingua ebraica. Nello Scioscen Ammispat 34, 22, ad esempio, il vocabolo goi viene usato per significare «misura di cattiveria»: «I traditori, gli epicurei e gli apostati sono anche peggiori dei "goim"».
 
immagine blasfema
L'immagine blasfema di una Madonna con la testa di mucca (!) è apparsa sul numero di maggio del 1997 della rivista scientifica ebraica Galileo. Padre Iliyas 'Awdah, parroco della comunità latina nella città di Raynah, nel distretto di Nazareth, ha commentato questa immagine dicendo che essa «tradisce una mentalità che vede negli ebrei il popolo eletto di Dio e negli altri degli stranieri di cui non si devono rispettare sentimenti e sensibilità [...]. Se la cosa avesse avuto a che fare con un'offesa agli ebrei tutti avrebbero rumoreggiato e sarebbero ricominciate grida e discorsi sull'antisemitismo, e ci sarebbe stato chiesto di prosternarci per espiare» (cfr. Al-Quds, Gerusalemme, del 5 luglio 1997, pag. 1s).
 
- Nocrim, ossia «forestieri» o «estranei»
Con questo nome viene designato chiunque non sia ebreo, e quindi anche i cristiani.
 
- Ammè aarez, ovvero i «popoli della terra» o gli «ignoranti». Alcuni dicono 54 che con questo nome non siano designate persone forestiere ed estranee ad Israele, ma soltanto gli uomini rozzi e incolti. Ma viceversa, ci sono alcuni testi i quali non lasciano alcun dubbio circa tale significato. Nella Sacra Scrittura (Esd 10, 2) è detto: «Noi abbiamo prevaricato contro il nostro Dio e abbiamo sposato mogli straniere ("nocriot") che appartenevano ai popoli della terra». Dal libro Zohar I, 25 a., appare evidente che la definizione «popoli della terra» denota anche gli idolatri. «Popoli della terra», od obdé aboda zara (gli «idolatri») 55.
 
- Basar vedam, ossia «carne e sangue», vale a dire gli uomini carnali, creature destinate alla perdizione, e quindi prive di qualsiasi comunione con Dio. Che i cristiani siano chiamati basar vedam risulta chiaro dal libro delle preghiere: «Colui che vede un saggio o un erudito cristiano dica: "Benedetto tu sia o Signore, Re dell'Universo, che hai elargito la tua sapienza alla carne e al sangue"». Allo stesso modo, in un'altra preghiera nella quale viene scongiurato Dio affinché restituisca al più presto possibile il Regno di Davide e mandi il Profeta Elia e il Messia, e allontani per sempre la prigionia, essi chiedono di non essere costretti alla povertà per non dovere accettare regali dalla carne e dal sangue o istituire con essi scambi o essere stipendiati 56.
 
- Apicorosim, ossia «epicurei»
Sono così chiamati tutti coloro che non osservano i precetti di Dio e giudicano le cose della fede secondo il proprio beneplacito. Questo nome si riferisce non soltanto agli stranieri, ma anche agli stessi ebrei 57. Quindi, a maggior ragione esso viene riferito ai cristiani.
 
- Cutim, ovvero «samaritani»
Dal momento che oggi i samaritani non esistono più, mentre nei più recenti libri degli ebrei si fà spesso menzione dei cosiddetti cutei, chi potrebbe dubitare che con questo nome essi non vogliano intendere i cristiani? Peraltro, a proposito dei nomi con i quali sono chiamati i non-israeliti, bisogna soprattutto osservare questo, e cioè che gli scrittori ebrei adoperano questi nomi promiscuamente e senza discriminazione quando trattano lo stesso argomento esprimendosi quasi con le stesse parole. Ad esempio: nel trattato Aboda zara 25 b., viene usato il nome goim. Nello Sciulsan aruc, nella parte Iore dea 153, 2., viene invece usato acum. Il Cheritut 5 b. usa goim; lo Iebammot 61 a. usa nocrim; il Ghittin 45 b. usa nocri; l'Orac sciaim 3 c, 1. usa acum; l'Aboda zara 2 a., usa obdé elilim; il Thosef usa goim; l'Obdé aboda zara e lo Scioscen ammispat 388, 15. (edizione veneziana), usano cutim, mentre l'edizione slava usa acum. E qui gli esempi si potrebbero moltiplicare. Maimonide, nel suo libro sull'idolatria, chiama senza alcuna discriminazione gli idolatri goim, acum, obdé cocabim, obdé elilim, ecc...
 
 
l Chi sono i cristiani secondo la dottrina talmudica?
 
Nel capitolo precedente, abbiamo visto in che considerazione gli ebrei tengano l'Autore della religione cristiana e quanto si adoperino affinché il Suo Nome sia detestato. Nessuno dopo di ciò si aspetterà che essi abbiano migliore opinione di coloro che essi considerano caduti nell'errore dopo Gesù Nazareno. Tra le cose abominevoli niente è più abominevole di ciò che essi pensano e dicono dei cristiani. Essi li chiamano: idolatri, pessimi uomini, assai peggiori dei musulmani, omicidi, puttanieri, animali impuri, contaminati come lo sterco, indegni di essere chiamati uomini, bestie in forma umana, vere bestie, buoi e asini, porci, cani, peggiori dei cani. Dicono anche che essi si propagano come le bestie, che sono di origine diabolica, che le loro anime derivano dal diavolo, e che al diavolo nell'inferno ritorneranno dopo la morte; perfino il cadavere di un cristiano non dev'essere distinto dalla carogna di una bestia scannata.
 
- I cristiani sono idolatri
Siccome i cristiani seguono la dottrina di «quell'uomo», che per gli ebrei era un seduttore e un idolatra, e lo adorano come Dio, è chiarissimo che essi devono essere chiamati con il vero nome di idolatri, non dissimili da coloro con i quali gli ebrei abitavano prima della nascita di Gesù Cristo e che avevano avuto il precetto di sterminare in ogni modo. Ciò è chiaramente provato dai nomi con i quali sono chiamati i cristiani, nonché dalle evidentissime parole di Maimonide, le quali dimostrano che tutti coloro i quali recano il nome di cristiani, altro non sono se non idolatri. Ma anche i libri ebraici di edizione più recente che trattano ai nostri giorni «degli adoratori delle stelle e dei pianeti», dei «samaritani», degli «epicurei», ecc..., non vogliono significare altro con queste parole se non i cristiani. Infatti, i musulmani ovunque sono chiamati con il nome di «ismaeliti» e non con quello di idolatri.
 
- I cristiani sono peggiori dei musulmani
Nell'Ilcot macalot asavorot (cap. IX) 58, Maimonide dice: «Non è lecito bere il vino del proselita avventizio quale è colui che, come già dicemmo, pratica i sette precetti dei figli di Noè 59. È tuttavia concesso trarre un certo vantaggio dal suo vino. Ed è permesso soltanto lasciarlo, ma non portarlo presso di lui. In questa maniera bisogna comportarsi con tutti i gentili che non sono idolatri come gli ismaeliti. Non è lecito bere il loro vino. È permesso invece all'ebreo trarne comunque vantaggio. E in ciò convengono tutti i più eccellenti rabbini. Ma essendo i cristiani idolatri, dal loro vino non è lecito ricavare alcun vantaggio».
 
hassidico- I cristiani sono omicidi
Dice l'Aboda zara 22 a.: «L'ebreo non si accompagnerà ai gentili, essendo essi sospetti d'aver sparso sangue». Lo stesso in Iore dea 153, 2: «L'israelita non si accompagnerà con il cristiano ("acum") essendo esso sospetto d'aver sparso sangue». L'Aboda zara 25 b. dice: «I rabbini insegnarono: "Se un israelita dovrà camminare per strada con un cristiano ("goi") ponga quest'ultimo dal suo lato destro» 60. Rabbi Ismael, figlio di Rabbi Ioscianan, nipote di Beruca, soggiunge: «Se il cristiano ("goi") ha al fianco la spada, ponetelo al lato destro 61. Se egli porta un bastone, ponetelo al lato sinistro 62. Se dovete salire dei gradini e scendere per un luogo in pendenza non stia l'ebreo sotto e il cristiano ("goi") sopra, ma l’israelita sopra e il cristiano ("goi") sotto, né l'ebreo dovrà piegarsi davanti a lui per non toccare accidentalmente con la propria testa il cranio dell'altro. Se infine il cristiano domandi dove vada, l'ebreo dovrà indicargli una strada molto più lunga, come si regolò Giacobbe padre nostro con l'empio Esaù dicendo: "Fino a che io arriverò dal mio signore nel Seir" 63; e subito nello stesso passo viene detto: "Giacobbe invece partì per il Sucot"». Nell'Orac sciaim 20, 2. È scritto: «Non bisogna vendere al cristiano ("acum") un'uniforme ufficiale ("talit") affinché questi, capitato per caso ad incontrarsi per strada con un ebreo non lo uccida. È anche vietato scambiare o prestare un'uniforme al cristiano se non per breve tempo, in modo che non ci sia nulla da temere».
 
- I cristiani sono puttanieri e praticano la bestialità
L'Aboda zara 15 b. afferma: «Non bisogna porre nelle stalle dei cristiani ("goim") bestie di sesso maschile con gli uomini, né bestie di sesso femminile con le donne. Tanto meno è lecito porre nelle loro stalle bestie di sesso femminile presso gli uomini o di sesso maschile presso le donne. Non è neanche lecito affidare le greggi ai loro pastori, né unirsi a loro, né affidare loro i fanciulli perché imparino da essi le lettere o un mestiere». La ragione per la quale non è lecito porre bestie nelle stalle dei gentili, né unirsi con loro, viene spiegata nello stesso trattato poco dopo. Afferma l'Aboda zara 22 a.: «Non bisogna porre bestie nelle stalle dei cristiani ("goim") essendo questi sospetti di coito con gli animali, né si deve unire una donna con loro, sospetti come sono di concupiscenza». Inoltre, la ragione precisa per la quale non è lecito porre bestie di sesso femminile presso le donne, viene spiegata nello stesso foglio 22 b.: «Perché è noto che i gentili quando vanno nelle case del loro vicino per sedurre le mogli altrui, e non le trovano in casa, copulano con le bestie. Non solo, ma anche quando trovano in casa la moglie del loro vicino copulano anche con le bestie. Poiché sono loro più gradite le bestie israelitiche che non le proprie donne». Per la medesima ragione non è lecito affidare bestie a pastori, né fanciulli a precettori cristiani.
 
- I cristiani sono immondi
I cristiani (goim) sono chiamati nel Talmud immondi per un duplice motivo: sia perché essi mangiano cose immonde, sia perché non sono stati purificati dal peccato originale presso il Monte Sinai. Dice lo Sciabbat 145 b: «Perché i cristiani sono immondi? Perché mangiano cose abominevoli e vili». Lo stesso si afferma in Aboda zara 22 b: «Perché i cristiani sono immondi? Perché non furono purificati al Monte Sinai. Poiché quando il serpente giacque con Eva la insozzò. Cessò il peccato per gli ebrei che furono purificati al Monte Sinai, ma non per i cristiani che non erano andati presso il Monte».
 
- I cristiani sono simili allo sterco
Dice l'Orac sciaim 55, 20: «Quando siano in uno stesso luogo dieci ebrei in orazione e pronuncino le parole "caddisc'" o "chedoscià", chiunque non appartenga alla loro religione può rispondere "amen". Alcuni rabbini tuttavia aggiungono: "Purché non vi sia lì vicino né sterco, né cristiani». Aggiunge lo Iore dea 198, 48. Agà: «Le donne ebree devono aver cura, quando escono dal bagno, di incontrare una loro amica e non una cosa immonda o un cristiano. In questo secondo caso, se la donna israelita vuole essere veramente purificata si deve nuovamente lavare». È degno di nota l'elenco delle cose immonde nel Biur etib, commentario allo Sciulsc. In questo stesso passo l'Aruc afferma: «La donna dovrà lavarsi di nuovo se ha visto cose immonde, come: cani, asini, popolo della terra, cristiani, cammelli 64, scrofe, cavalli o lebbrosi».
 
tel aviv love day sex festival
Nel dicembre del 2008 ha avuto luogo a Tel Aviv il Love Day Sex Festival, una manifestazione di tre giorni segnata da diverse esibizioni come quella in fotografia: un uomo crocifisso (una chiara allusione blasfema a Cristo) con due donne seminude che ballano lascivamente con grosse croci al collo.
 
- I cristiani non sono uomini, ma sono simili alle bestie
Nel Cheriut 6 b. (pag. 78) è scritto: «Dice la dottrina dei rabbini: "Colui che sparge l'olio dell'unzione sopra la bestia, sopra il cristiano e sopra i morti è libero dalla pena". Quanto alla bestia ciò è vero, poiché essa non è un uomo» 65. Ma ungendo un cristiano come può dirsi di essere libero dalla pena essendo egli stesso un uomo? Nient'affatto, poiché è scritto 66: «Voi o gregge mio, o gregge del mio pascolo, siete uomini. Voi siete chiamati uomini, non i cristiani"» 67. Nel trattato Maccot 7 b. si parla del reo di omicidio: «Tranne il caso nel quale un ebreo volendo uccidere una bestia uccida un uomo o volendo uccidere un cristiano uccida un israelita». Afferma l'Orac sciaim 225, 10: «Chi abbia veduto belle creature sebbene siano cristiani o bestie [...] dica: "Benedetto tu o Signore Dio nostro Re dell'Universo nel cui mondo sono tali cose"».
 
- I cristiani sono diversi dalle bestie soltanto nell'aspetto
Dice il Midrasc' Talpiot, fol. 255 d. 68: «Dio li creò in forma di uomini in onore d'Israele, poiché i cristiani non furono creati ad altro fine se non a quello di servire gli ebrei giorno e notte, né mai dev'essere loro concesso riposo e cessino da simile servizio. Sconviene al figlio del re (l'israelita; N.d.A.) che lo servano vere bestie, ma è conveniente che lo servano bestie in forma umana». A questo proposito, si può riportare ciò che si legge nell'Orac sciaim 376, a: «Se si spargerà la lebbra fra i porci, bisognerà digiunare e dolersi, perché i loro intestini sono simili a quelli dei figli degli uomini; quanto maggiormente ci si dovrà dolere se la lebbra imperverserà fra i cristiani ("acum")» 69.
 
- I cristiani sono bestie
Afferma lo Zohar II, 64 b: «I popoli adoratori di quegli idoli che si chiamano bue ed asino secondo quanto è scritto: "Io ebbi il bue e l'asino"». Osserva Rabbi Besciai, al cap. I del libro Cad acchemasc, che comincia con la parola ghèulà, ossia «redenzione», nel punto del Salmo 80, versetto 14: «"Ed essa fu consumata dal cinghiale selvatico". La lettera "ain" è sospesa, perché così sono gli adoratori di colui che fu appeso» 70. Questo autore vuole con la locuzione «cinghiale selvatico» intendere i cristiani perché questi mangiano i porci, e come porci devastarono la vigna d'Israele, la città di Gerusalemme, e perché la lettera ain, nella succitata voce, è come sospesa nella parola, quasi a significare che in tal modo sono sospesi gli adoratori di Gesù Cristo appeso alla croce. Mordacità ebraica! 71. Così si esprime Rabbi Edels, nel Chetubot 110 b. 31: «Il salmista paragona il cristiano all'immonda scrofa selvatica».
 
schindler's list talmud
l sottotitolo del film sull'Olocausto Schindler's List  (Universal 1993), diretto dal famoso regista ebreo americano Steven Spielberg, è una frase estratta dal Talmud (Sanhedrin, 37 a) che direbbe: «Chiunque salva una vita umana è come se avesse salvato il mondo intero». In realtà, il Talmud, che considera i goim non come esseri umani, ma come bestie, si esprime in modo ben diverso. Per sincerarsene è sufficiente dare uno sguardo all'home page sulla rete dell'associazione ebraica Jews For Judaism («Ebrei per il giudaismo»), dov'è riportata la stessa frase, ma un po' diversa: «Whoever saves a single Jewish soulis as if he saved an entire world» («Chiunque salva una sola vita ebraica è come se avesse salvato un mondo intero»). Viene da chiedersi chi sia veramente razzista...
 
- I cristiani sono peggiori delle bestie
Rabbi Schlomo Iarci (Rasci), celeberrimo commentatore ebreo, spiegando la Legge di Mosè (Dt 14, 21) circa la proibizione di mangiare le carni di carogne dilaniate dalle bestie, ma della facoltà di darle allo straniero, o di venderle agli estranei, oppure, secondo il Libro dell'Esodo (Es 22, 30), di gettarle ai cani, nelle ultime parole «e gettatele ai cani» così si esprime: «Perché egli è come un cane. Bisognerà forse intendere la parola "cane" nel vero senso? Nient'affatto. Dice il testo parlando della carogna: "Vendila allo straniero"; tanto maggiormente ciò varrà per le carni dilaniate dalle bestie, dalle quali, tuttavia, è lecito trarre vantaggio. Stando così le cose, perché la Scrittura dice "le getterai al cane"? Per farti sapere che il cane è più onorevole del cristiano» 72.
 
- I cristiani si riproducono come le bestie
Dice il Sanhedrin 74 b. Tosefot: «Il coito del cristiano è come il coito della bestia». Aggiunge il Chetubot 3 b. Tosefot: «Il suo seme (del "goi") dev'essere stimato come il seme di una bestia». Da cui si può arguire che i matrimoni dei cristiani non devono essere considerati veri matrimoni. Dice il Chidduscin 68 a.: «Da dove trarremo noi tale verità? Dice Rabbi Una: "Leggi; restate qui con l'asino, cioè con il popolo simile all'asino". Da queste parole appare manifesto che essi non sono capaci di contrarre matrimonio». Ancora in Eben aezer 44, 8: «Se il giudeo contrae matrimonio con una cristiana o con una serva, esso è nullo non essendo essi capaci di contrarre matrimonio; similmente, se un cristiano o un servo sposerà un'ebrea il matrimonio è nullo». Aggiunge lo Zohar II, 64 b.: «Dice Rabbi Abba: "Se soltanto gli idolatri copulassero, il mondo (degli uomini) non potrebbe sussistere. Da ciò siamo avvertiti che l'ebreo non deve lasciare alcun luogo a questi pessimi ladroni, Poiché se costoro si riproducessero maggiormente sarebbe impossibile esistere a causa di essi, dal cui fianco si origina una figliolanza che si chiama "cane"».
 
talmud razzista- I cristiani sono figli del diavolo
Afferma lo Zohar I, 28 b.: «E il serpente era il più furbo di tutte le bestie del campo 73 [...]. "Più furbo" per compiere il male. "Fra tutte le bestie", cioè fra tutti i popoli idolatri della terra. Poiché questi sono figli dell’antico serpente che sedusse Eva» 74. Il fatto che i cristiani non siano circoncisi, è un ottimo argomento per gli ebrei per considerarli di stirpe diabolica; infatti, il prepuzio dei non-ebrei impedisce che i prepuziati vengano chiamati figli di Dio Onnipotente. Poiché con la circoncisione viene segnato e completato il nome di Dio «Sciaddai» sulla carne dell'ebreo circonciso. Nelle narici infatti è rappresentata la lettera «c»; nel braccio la lettera «d»; nella circoncisione la lettera «y». Quindi, nelle genti non circoncise, quali sono i cristiani, appaiono solamente le due lettere «dc», che significano sced, ossia «diavolo». Essi sono dunque i figli di sced, cioè figli del diavolo 75.
 
- Le anime dei cristiani sono empie e immonde
La dottrina degli ebrei insegna che Dio Benedetto creò una duplice natura; quella buona e quella cattiva. Un doppio ceppo: il puro e l'immondo. Da questo ceppo immondo che essi chiamano chelifà, ovvero «corteccia», «pelle» o «crosta rognosa», dicono provenire le anime dei cristiani. Dice lo Zohar I, 131 a.: «Gli altri popoli idolatri, fintanto che sono in vita, insudiciano perché le loro anime provengono dal ceppo immondo». Conferma l'Emec ammelec 23 d. 76: «Le anime degli empi provengono dal "chelifà", che si chiama anche morte e ombra di morte». Che questo ceppo immondo sia di origine sinistra e che appunto da esso provengano le anime dei cristiani, appare dallo Zohar I, 46 b, 47 a.: «E Dio creò ogni anima vivente e incedente, cioè gli israeliti, perché essi sono i figli dell’Altissimo e le loro anime sante promanano da Lui. Qual'è invece l'origine delle anime di tutte le altre genti idolatre? Dice Rabbi Eliezer che esse provengono dal lato sinistro, che rende immonde le loro anime e per questo sono tutte sozze e sporcano coloro che le avvicinano».
 
- Dopo la morte le anime dei cristiani discendono all'inferno
Insegnano i sapienti che Abramo siede alla porta della geenna (l'«inferno») per impedirne l’accesso ai circoncisi. Tutti i prepuziati discendono invece all'inferno. Insegna infatti il Rosc’ ascianac 17 a.: «Gli eretici, i traditori e gli epicurei discendono all'inferno».
 
- I corpi dei cristiani morti sono solo carogne
I corpi dei cristiani dopo la morte sono chiamati con l'odioso nome di pegarim, nome che nel sacro codice viene spesso usato per identificare i cadaveri degli empi o delle bestie, e mai per denominare i morti in grazia, i quali sono viceversa chiamati metim 77. Perciò, il Sciulsan aruc ci insegna che tanto vale parlare del morto cristiano come di una carogna. Dice lo Iore dea 377, 1.: «Per i servi o le serve morte non si dicano parole di consolazione ai loro padroni, ma soltanto: "Dio ti ricompensi del danno che soffri", così come diciamo ad un uomo quando gli sia morto un bue o un asino». Allo stesso modo, non devono essere evitati per sette giorni, come insegna la Legge di Mosè, coloro che seppelliscono un cristiano, perché essi non hanno sepolto un uomo, e seppellire una bestia non comporta contaminazione. Insegna lo Iebammot 61 a.: «Coloro che seppelliscono un cristiano non si contaminano verso Dio, poiché è detto: "Voi, o gregge mio, o gregge del mio pascolo, siete uomini; voi siete chiamati uomini, non il cristiano».
 
l Il culto divino dei cristiani
 
Siccome per gli ebrei i cristiani sono come i pagani, ogni loro culto è considerato idolatrico. I loro sacerdoti sono chiamati «sacerdoti di Baal»; i loro templi «case di fatuità e di idolatria»; ogni loro paramento, calici e i libri sacri sono per essi strumenti di idolatria; le loro preghiere pubbliche e private sono peccati che offendono Dio, e le loro feste giorni inutili.
 
- I sacerdoti
Di coloro che amministrano il culto divino dei cristiani, i sacerdoti, parla il Talmud come di ministri idolatrici e baalitici e li chiama comarim 78, ossia «aruspici» 79 e galascim, cioè «chiericuti», a causa della chierica che portano sul capo, specialmente quando si tratta di monaci. Dice l'Aboda zara 14 b. Tosefot: «È proibito vendere agli aruspici i libri profani che possono occorrere per compiere fatui riti nella casa idolatrica. Chi lo fà pecca contro la Legge che vieta di porre impedimenti al cieco. È anche proibito venderli al cristiano ("goi") laico, perché certamente costui si affretterà a darli o a venderli ai sacerdoti».
 
- Le chiese
A seconda dei casi, il luogo del culto cristiano viene chiamato:
  • Bet tiflà, ovvero «casa di fatuità» 80 e «di insulsaggine», invece di bet tefilà, ossia «casa di preghiera»;
  • Bet aboda zara, cioè «casa dell'idolatria»;
  • Bet atturaf scel letsim, ovvero «casa della turpitudine» o «del disprezzo» 81.
talmudDice infatti l'Aboda zara 78 d. Perusc' Maimon: «E ti sia noto che è indubbiamente proibito dalla Legge passare per una strada cristiana nella quale vi è la fatuità, cioè la casa dell'idolatria, e tanto meno abitarvi. È in forza dei nostri peccati che noi oggi siamo sottomessi a loro e abitiamo oppressi nella loro terra. Poiché si compie in noi ciò che è detto 82: "E qui onorerete dèi stranieri, fatti dalla mano degli uomini con la pietra e con il legno". Se dunque è necessario che noi ci comportiamo nel modo suddetto verso la città cristiana, a maggior ragione così dobbiamo comportarci verso la sede dell'idolatria, la quale se non ci è nemmeno concesso di vedere, tanto meno ci sarà concesso di entrarvi. E non soltanto entrarvi, ma neanche avvicinarci alla chiesa se non in qualche caso». Conferma lo Iore dea 142, 10.: «È vietato all'ebreo stare all’ombra della casa idolatrica, sia all'interno che all'esterno per lo spazio di quattro cubiti dinanzi alla porta principale. Non è vietata invece l'ombra retrostante la chiesa. E nemmeno è proibita l'ombra interna se la chiesa sorge in un luogo dove prima c'era una via pubblica e, dopo che fu sottratta alla comunità, vi fu edificata una casa idolatrica. Sempre strada dev'essere considerata. Se invece dov'è stata edificata una casa degli idoli è stata aperta una strada, non è lecito passarvi. Alcuni, tuttavia, lo vietano in entrambi i casi». Inoltre, non è lecito all'ebreo né ascoltare la musica, né ammirare le bellezze delle chiese. Insegna lo Iore dea 142, 15.: «È proibito ascoltare la musica del culto idolatrico, guardare le fattezze degli idoli, le immagini scolpite o dipinte, nonché gli stessi edifici ecclesiastici, poiché anche per mezzo degli occhi si può essere contagiati dal male dell'idolatria». Allo stesso modo, non è lecito all'ebreo possedere edifici vicino alla chiesa, né restaurare vecchi edifici di suo possesso. Dice lo Iore dea, 143, 1.: «Se crollerà una casa attaccata alla casa degli idoli dei cristiani, non è lecito ricostruirla. Cosa si dovrà fare? In tal caso, il giudeo si deve allontanare e ricostruirla, e riempire lo spazio interposto di sterco e di spine, affinché non rimanga spazio per ampliare la casa idolatrica».
 
bambini ebrei sputano sulla croce
13 giugno 2011 (*): le telecamere di sorveglianza del Santuario del Primato di San Pietro, sulle sponde del Lago di Galilea, riprendono uno spettacolo orribile: piccoli ebrei ortodossi sputano sulla Croce di Gerusalemme posta sul portone del luogo sacro. Ecco come vengono educati al rispetto e alla tolleranza i giovani israeliani...
 
(*) Il filmato di questo evento è disponibile alla pagina web
 
Sarà quindi opportuno riferire dal libro Nizzascion 83 ciò che ha dichiarato a proposito di una chiesa cristiana un certo Rabbi Chelonimo, al quale l'Imperatore Enrico III il Nero (1017-1056) diede il permesso di esprimere liberamente il suo parere circa la Basilica di Spira da lui costruita da poco. «Accadde una volta in Spira che l'Imperatore Enrico il Nero, uomo perfido, dopo che ebbe finito di costruire la fabbrica di quel baratro 84 informe in Spira, comandò di chiamare Rabbi Chelonimo, al quale disse: "Di grazia, che cos'è lo splendore del tempio di Salomone a proposito del quale sono stati scritti tanti volumi, di fronte a questa Basilica che ho costruito"? Chelonimo rispose: "Signore, se mi concedi libertà di parlare, e con giuramento mi confermi che io potrò impunemente dire quello che penso, io parlerò". Gli rispose l'Imperatore: "Faccio pegno di fede per l'amore della verità che mi possiede e per la somma dell'Impero che io reggo, che non ti accadrà alcun male". Allora l'ebreo disse: "Se si sommassero tutte le spese che hai sostenuto, e tutto l'oro e l'argento che si conserva nei tuoi forzieri, ciò non sarebbe tuttavia sufficiente nemmeno a remunerare gli operai, gli artigiani e i capimastri che adoperò Salomone per l'edificazione del tempio. Poiché è scritto 85: "Salomone aveva 70.000 caricatori e 80.000 marmisti". E nel Libro delle Cronache 86 sta scritto: "Tremilaseicento uomini erano preposti a tenere indietro il popolo". Occorsero otto anni soltanto per le fondamenta del tempio, quanti non sono occorsi a te per innalzare dalle fondamenta questa voragine. Una volta che il tempio fu costruito e completato da Salomone, ascolta quello che testimonia la Scrittura 87: "I sacerdoti non potevano rimanere a compiere il loro ministero a causa di quella nube di cui la gloria di Dio aveva riempito la Sua stessa casa". Ma se invece qui fosse caricato un asino di luridissime immondizie e fosse introdotto in questa voragine, ne uscirebbe illeso"! A queste parole, l'Imperatore Enrico rispose: "Se io non avessi giurato di salvarti la vita, comanderei subito che ti mozzassero il capo"».
 
- I calici
Dei calici che sono adoperati per il rito sacrificale della Messa essi parlano come di vasi nei quali si somministrano all'idolo cose immonde. Insegna Moses Cozzensis nell'Ilcot aboda zara 10 b. 48: «I calici che l'ebreo compra dopo che il cristiano li ha rotti e gettati, non debbono essere venduti nuovamente a loro perché il sacerdote baalitico se ne serve per compiere riti fatui all'idolo».
 
ebreo hassidico- I libri dei cristiani
Nel Talmud, i libri dei cristiani sono chiamati sifre minim, ossia «libri eretici», o anche sifre debet abidan, ovvero «libri della casa di perdizione» 88, e specialmente quando nel Talmud si parla dei Vangeli. Dice infatti lo Sciabbat 116 a. Tosefot: «Rabbi Meir chiama i libri degli eretici "aaven ghilaion" ("volumi di iniquità") appunto perché i cristiani chiamano i loro libri "Vangeli"». Rabbi Ioscianan, inoltre, nello stesso libro, li chiama aavon ghilaion, e cioè «libri inutili». Lo Sciulscian aruc di Cracovia dà la seguente spiegazione a queste parole ebraiche Aaven nictab al agghilaion: «Vanità (o "iniquità") 89 scritta nel libro». Annota il Buxtorf: «In un manoscritto di Aruc ho letto queste parole ebraiche: "Sceccher nictab al ghilaion", ossia "menzogna scritta nel libro"». Tutti i talmudisti sono unanimi nel dire che i libri dei cristiani devono essere distrutti. Non sono invece tutti d'accordo sul da farsi a proposito del nome di Dio che molto spesso in essi è scritto. Dice lo Sciabbat 116 a.: «Se per caso hanno preso fuoco in giorno di sabato gli orli dei nostri libri, e quelli del libro degli eretici, non debbono essere liberati dal fuoco. Afferma Rabbi Iose: "Nei giorni di lavoro bisogna estrarre i nomi divini dai libri dei cristiani e nasconderli; quel che avanza sia dato alle fiamme". Ma Rabbi Tarfon invece disse: "Possa io sopravvivere ai figli miei se non appena mi saranno venuti fra le mani i libri dei cristiani non li brucerò con tutti i nomi divini che essi contengono. E se qualcuno si troverà in pericolo di morte o perché inseguito da un sicario o perché attaccato da un serpente, dovrà rifugiarsi piuttosto in un tempio pagano che in una di queste chiese, poiché i cristiani lottano consapevolmente contro la verità, mentre i pagani lo fanno incoscientemente"» 90.
 
- Le preghiere cristiane
Gli ebrei chiamano le preghiere dei cristiani non tefillà, ma, cambiata la punteggiatura e inseritovi uno iod, le chiamano con il nome di tiflà, parola che significa «insulsaggine», «fatuità», «peccato» o «trasgressione».
 
- Le festività cristiane
I giorni festivi di coloro che seguono Gesù Cristo, e fra questi principalmente la domenica, sono chiamati dagli ebrei iom ed, ovvero «giorno di morte», «di perdizione», «di infortunio», «di disgrazia», o più semplicemente iom notsri, vale a dire «giorni dei cristiani». Che la parola ed debba essere interpretata rettamente «giorno rovinoso» o «sfortunato», appare chiaramente dalla Ghemara e dalle glosse di Maimonide e di Bartenora 91 nell'Aboda zara 2 a.: «"Edeem" sono le feste dei gentili perché sta scritto 92: "Prossimo è il giorno "edam", e cioè della loro perdizione». Nello stesso luogo, la parola tabra, ossia «frattura», si dice essere equivalente. Insegna infatti Maimonide (ad. C. I. fol. 2 a. Aboda zara 78 c.): «Con la voce "edeem" viene denominata la vanità dei cristiani ("goim") e anche il nome ignominioso dei loro giornifilatteri festivi, i quali non devono essere onorati con il nome di festivo ("moedim") non essendo in verità se non giorni di pura vanità». Lo stesso insegna Bartenora: «La parola "edeem" è la denominazione ignominiosa delle loro feste e delle loro solennità». Che con questo nome si chiamino le festività dei cristiani, si deduce anche dal testo delle annotazioni marginali al Tosefot. Afferma l'Aboda zara 6 a.: «Il giorno della rovina, cioè il giorno Nazareno deve ritenersi proibito così come gli altri giorni rovinosi dei cristiani». Sono anche ricordate con il proprio nome alcune feste dei cristiani come quella della Natività di Gesù Cristo e della Pasqua. Mosè Miccozzi 93, al testo Aboda zara appena ricordato annota: «Dichiara Rabbi Samuele nel nome di Salomone Iarci che sono in primo luogo proibiti i giorni della natività ("nithal") e della pasqua ("chesasc'"), giorni particolarmente rovinosi dei cristiani e principali della loro religione». Queste cose si leggono anche nelle interpretazioni dell'Ilcot acum di Maimonide C. IX 55: «In queste parole, Rabbi Samuele, figlio di Meir, per bocca di Rabbi Salomone Iarci riferisce che in primo luogo le feste di natale ("nithal") e di pasqua ("chesasc'") devono essere proibite perché esse si celebrano in onore di colui che fu appeso». L'indizio chiaro dell'empietà ebraica sta nella stessa nomenclatura di queste feste. Poiché il giorno della Natività di Gesù Cristo, che qualche volta scrivono adoperando la lettera tav dove la parola ebraica nithal, spesse volte scrivono invece adoperando la lettera tet, e lo chiamano nital (senza la «h»). Inoltre, lo chiamano anche con la voce latina Natalis, ma corrotta in modo che sia chiaro agli ebrei che essa deriva dalla radice natal, che significa «strappo» o «estirpazione». Stimano nome indegno la Pasqua dei cristiani e la chiamano Pesasc'; qui le lettere phe sono sostituite dalle lettere cof, con l'inserimento di uno iod onde allontanarle maggiormente dal significato genuino. La chiamano anche chetsasc' o chesasc'. Ad entrambi i nomi si deve dare significato di «velenosità». Infatti, nella parola chetsasc' le prime due lettere sono estratte dalla radice catsà, che significa «tagliò» o «amputò». Con la parola chesasch si allude invece al termine simile chesa, che può significare o «legno» o «patibolo», e ciò perché il giorno di Pasqua viene celebrato in memoria della Resurrezione dopo la morte in croce di Gesù Cristo, che essi chiamano con il nome talui, ovverosia l'«appeso».
 
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NOTE
 
1 Mons. Pranaitis era un prete cattolico lituano docente di Teologia e di lingua ebraica all'Accademia Ecclesiastica e Imperiale della Chiesa cattolica di San Pietroburgo, in Russia. Originario del Turkestan, egli intervenne come perito nel corso di un processo tenutosi a Kiev contro l'ebreo Manachil Mandel Tavie Beilis, accusato di omicidio rituale. Da quanto risulta, egli fu una delle prime vittime della sanguinaria Rivoluzione bolscevica di ottobre del 1917.
2 Come, ad esempio, nel Maiene Iesciua, fol. 66 b.
3 «Parlando fra loro, i giudei non dicono Iesciu, ma Iisciu, avvicinandosi di più al significato di maledizione contenuto in questa parola. Parlando della cosa alcuni anni fa con un ebreo, questi mi disse che quella parola non si può spiegare soltanto nel modo già detto, ma anche con le parole "Iesciu sceccher" ("menzogna") e "utoebà" ("abominazione"). Chi non rifuggirà con tutto il cuore da queste infamie? Eppure esse vengono pronunciate da quei circoncisi senza che nessun cristiano se ne possa accorgere. Quest'ebreo visse in Francoforte e nell'Hannover dove morì nel 1616. Svelandomi tale orrendo significato era scossa la sua stessa fede ebraica, tanto che egli non era affatto alieno dalla fede cristiana, a proposito della quale si intrattenne spesso con me e con DD. Amando Polano b.m.. Voglio spiegare, in fretta e di passaggio, altri due arcani della Cabala ebraica che si riferiscono a questo nome. È noto che molto spesso nelle Sacre Scritture gli israeliti sono avvertiti di non adorare "Eloè Neccar", cioè il dio o gli dèi stranieri. Ma cosa significa "Eloè Neccar"? Secondo la Numerologia della Ghematria, le lettere di queste parole valgono il numero 316; e altrettanto vale la parola "Iesciu". Ciò si può rilevare dal libro "Abrat rocchel", verso la fine. Essi, quindi, insegnano che quando Dio impedisce il culto degli altri dèi stranieri è come se impedisse il culto di Iesciu. Che malizia da serpente! L'altro segreto lo ha scoperto da molto tempo Antonio Margarita nel libro intitolato "La fede e la religione dei giudei". Nel testo di alcune orazioni ebraiche vi è una preghiera che comincia con la parola "Alenù". Nel corso di questa preghiera vi erano alcune parole una volta chiaramente espresse, ma poi, per paura dei cristiani, omesse. Al loro posto fu lasciato un debito spazio affinché i ragazzi o i sempliciotti fossero avvertiti che mancava qualche cosa. Le parole omesse sono queste: "Ammistasciavin Ieebel varic umitpallelim lelo ioscia", e cioè "Quelli che curvandosi rendono omaggio alla vanità e all'inanità e adorano colui che non potrà salvarli". Nonostante queste parole siano rivolte agli idoli in genere, tuttavia esse sono nascostamente riferite a Gesù Cristo, cui gli ebrei attribuiscono i titoli che abbiamo già detto, poiché, ripetiamo, la parola “qyrw” secondo la Ghematria equivale al numero 316, come la parola "Iesciu". Non appena essi si accorsero che i cristiani avevano capito, omisero queste parole nelle loro edizioni. Peraltro, ho con me un antico esemplare nel quale esse erano scritte e le ho trovate anche scritte a penna in altri libri ebraici. Credo che da ciò sia abbastanza chiaro che cosa voglia ottenere questa stolida gente con la corruzione di questo nome salvifico. Sperimenteranno eternamente vendicatore Colui, la gloria del cui nome eterno essi, per quanto possono, cercano di distruggere» (cfr J. Buxtorf, De Abreviaturis Hebraicis, 1640).
4 Cfr. Aboda Zara 50 b.
5 Nel libro Scizzuc Emunà; cit. in J. C. Wagenseil, Sota, Aldtorfi Noricum 1674, pag. 1123.
6 Ibid., pag. 1123.5; vedi anche J. Buxtorf, Lexicon Chaldaicum, Talmudicum et Rabbinicum, Basilea 1640.
7 Secondo la Legge di Mosè (Lv 15, 19-33), durante il periodo mestruale, lo sposo non poteva avere rapporti con la sposa, per cui un figlio concepito in questo periodo era considerato impuro.
8 Vedi J. Buxtorf, Synagoga Judaica, cap. VIII, pag. 133.
9 Si parla dei tentatori, ossia di coloro che cercano di convertire gli altri ad un culto straniero e idolatra.
10 Cioè, come si ha nella glossa, viene qui chiamato ben stada secondo il nome del padre e non secondo quello della madre, sebbene fosse impuro.
11 Cfr. Sanhedrin, cap. VII verso la fine, e Iebammot, ultimo capitolo.
12 Cfr. Ilcot Acum V. 3, 4, 5.
13 Su questo argomento si può leggere più ampiamente nel libro Toldoth Iesciu, come vedremo trattando di Gesù «prestigiatore».
14 Cfr. J. Buxtorf, Lexicon Chaldaicum.
15 Cfr. Talmud di Gerusalemme, Aboda Zara, cap. II e Sciabb. cap. XIV Bet Iacob 127 a.
16 Lib. IV.
17 Mt 27, 63.
18 Cfr. Sanhedrin 107 b.
19 Mt 26, 60-61.
20 Lc 20, 20.
21 Non manca di ciò espressa confessione degli ebrei stessi. Ad esempio, nel libro Sefer lusciasin 9 b. si dice: «I rabbini ingannavano sempre i nazareni dicendo loro che quel Gesù di cui parla il Talmud non è lo stesso Gesù dei cristiani. Essi, per altro, si perdonavano tale menzogna per amore della pace» (cfr. A. Rohling, Die Polemik und das Manschenopfer des Rabbinismus, Paderborn 1883, pag. 14).
22 Cfr. J. Buxtorf, Synagoga Judaica, pag. 205; Lexicon Chaldaicum.
23 Cfr. Sciabbat 104 b.
24 Sl 2, 7.
25 Sl 110, 1.
26 Si dice che vi sia stato un certo Giuda, emulo di Gesù, nel compiere i miracoli.
27 Cfr. J. C. Wagenseil, op. cit., pag. 1049.
28 Gn 28.
29 Nessuno sa in qual modo si debba leggere questo nome dell'Altissimo. Soltanto questo è certo: che esso non ha mai avuto il suono di Geova, come comunemente viene pronunciato. Infatti, le vocali sottoscritte a questo tetragramma, sono le parole del nome Adonai, ed è proprio questo il modo nel quale gli ebrei leggono IHVH. In segno di somma reverenza, non è mai scritto nei loro libri integralmente (tranne che nella Sacra Scrittura), ma viene scritto Asciem («Nome»).
30 Cfr. J. Buxtorf, Synagoga Judaica.
31 «Che pratica pubblicamente l'idolatria», come spiega Gerson nel Lexicon Chaldaicum di Buxtorf.
32 In Synagoga Judaica di Johannes Buxtorf (cap. III, pag. 75) si legge: «Chi si è comportato in questo modo (vale a dire che non avrà prestato fede cieca alla dottrina dei rabbini), si aspetti terribili supplizi nell'inferno com'è stabilito secondo la sanzione del diritto talmudico nel Trattato dei Ripudi (Ghitt. c. 5), con queste parole: "Disse Mar: "Chiunque motteggia le parole dei sapienti sarà gettato all'inferno nello Zoà, bollente di sterco"». Pena la quale - inorridisco a dirlo - essi scrivono bestemmiando, essere riservata nella Geenna al nostro Salvatore Gesù Cristo, il cui nome sia benedetto nei secoli dei secoli, perché non seguì le tradizioni, gli statuti, le leggi e i precetti dei padri, ma li respinse e li disprezzò. Questa pena è ripetuta nel trattato talmudico Erubin (pag. 22, col. 1), e più ampiamente e dettagliatamente viene riferita nel Memorat Ammaor («Candelabro della luce») a pag. 32, e chiaramente poi nel Bet Iacob («Casa di Giacobbe»). É tuttavia omessa nel Talmud basileense insieme a molte altre cose contro Gesù Cristo e la religione cristiana.
33 A Vienna, nel 1889, nel trascrivere i passi da questo libro, tralasciai di annotare il numero delle pagine.
34 Cfr. J. C. Wagenseil, op. cit., pag. 69.
35 Ibid., pag. 346.
36 Dn 11, 35.
37 Dn 11, 14.
38 Sof, 3, 9.
39 Cfr. Aben Esdra, in Gn 27, 39.
40 In ebraico, la parola agà significa «meditazione», «dottrina» o «esempio».
41 Cfr. Cad Acchem, 20 a.
42 Cfr. J. C. Wagenseil, op. cit., pag. 822.
43 Lc 6, 29.
44 Mc 9, 42 e ss.
45 «Però se oggi io dessi un ceffone sulla guancia destra al pio Predicatore di Corte Stoecker, capo degli antisemiti, mi permetto di dubitare che egli possederebbe tanta abnegazione cristiana da mettere a mia disposizione anche la sua guancia sinistra» (cfr. K. Lippe, L'ebreo talmudico davanti al Collegio di tre giudici cattolico-protestante-ortodosso, pag. 16, Ed. 1884).
46 Vedi Effemeridi ebraiche contemporanee, Ameliz (Pietroburgo) e Atsefirà (Varsavia).
47 «Allora troverete impuri gli idoli ricoperti d'argento e le immagini rivestite d'oro, li rigetterete come un oggetto immondo e direte: "Fuori di qui"»!
48 Oppure aboda, che in ebraico significa «culto».
49 «Questi ebrei polacchi da cento anni a questa parte devono aver fatto venire i loro spazzini dal fondo dell'Asia forse per ferrovia» (cfr. J. Ecker, Der Judenspiegel im Lichte der Wahrheit, Paderborn 1884, pag. 17).
50 Ad esempio in Gn 12, 2; Es 19, 6; Is 1, 4.
51 Vedi il trattato Aboda zara, o l'Ilcot acum di Maimonide, ecc...
52 Ad esempio, in quella di Varsavia del 1863.
53 L'espressione goi definisce nella lingua ebraica l'individuo appartenente ad un'altra razza; goim vuole dire «razza» o «nazione», e perciò nulla di offensivo. (cfr. Israëlita, nº 48 a, 1891).
54 Cfr. F. Delitzsch, Schachmatt den Blutlügnern, Ed. 1883, pag. 41.
55 Giustamente quindi Buxtorf, nel suo Lexicon Chaldaicum (col. 1626), alle parole ammè aarez attribuisce il significato di «gentili»; il che non trova l'approvazione del prof. Delitzsch, il quale stima doversi abolire tale lezione nello stesso passo.
56 Cfr. J. Buxtorf, Synagoga Judaica, cap. 12, pagg. 257, 263.
57 Esempio di ciò fornirono all'inizio di quest'anno 1892 gli ebrei di Varsavia che definirono il censore del giornale Atseflrà come apicores, ossia «epicureo», perché aveva osato affermare che non tutto quanto è contenuto nel Talmud dev'essere ritenuto santo e degno d'autorità.
58 Cfr. G. E. Edzard, Tractatus talmudici "Aboda zara", Amburgo 1705.
59 I proseliti possono essere di due specie. I primi sono chiamati gherè tsedec, ossia «proseliti di giustizia», e sono coloro che abbracciano la religione ebraica non soltanto nel suo culto esterno, ma per intima convinzione religiosa e accesi dalla gloria di Dio; gli altri, gherè tosciab, sono detti «proseliti avventizi» o «proseliti abitanti» o «noachiti». Questi ultimi non si fanno circoncidere, né battezzare, e osservano soltanto alcune leggi; ad esempio, i precetti dati ai figli da Noè, vale a dire:
- sui giudizi;
- sulla benedizione;
- sul fuggire l'idolatria;
- sulla fornicazione;
- sullo spargimento di sangue;
- sulla rapina;
- sul divieto di prelevare un arto da un animale vivo (Sanhedrin, 56 a).
60 Affinché possa con la mano destra frustrare più agevolmente le intenzioni omicide, se per caso il cristiano volesse percuoterlo.
61 Affinché la mano destra dell'ebreo sia più vicina alla spada del cristiano e possa, se quello tenti di impugnarla, più facilmente impedirglielo.
62 Affinché sia più vicino alla mano destra del cristiano con la quale egli regge il bastone e possa con la mano sinistra parare più velocemente i colpi.
63 Gn 33, 14-17.
64 Nell'edizione di Vilnius, del 1873, la parola «cammello» è omessa non essendo solito fra noi l'uso di tale animale. Non così le parole «popolo della terra» e acum.
65 Lo stesso vale quando si tratta di un cadavere.
66 Ez 34, 31.
67 Confronta con Iebamm. 61 a; Baba mezia 114 b; Sciabbat. 150 a.
68 Edizione di Varsavia del 1875.
69 Nel Taanit 21, 6 si legge: «Quanto maggiormente, quindi, se la peste serpeggerà fra i "nocrim" che sono simili agli israeliti».
70 In effetti, nel testo ebraico corrispondente si nota che la lettera «u» (ain) non è in linea con le altre, ed è quasi sospesa.
71 Cfr. J. Buxtorf, Synagoga Judaica.
72 Cfr. A. Rohling, op. cit., pag. 11.
73 Gn 3, 1.
74 L'antico serpente, progenitore dei cristiani, cioè il diavolo in forma di serpente che sedusse Eva, viene chiamato «Sammael» (Gb 28, 7). Maimonide scrive nel More, lib. II, cap. 30, che Sammaele, postosi a cavallo dell'antico serpente, sedusse Eva. É chiamato anche «Angelo della Morte» (Gn 3, 6), «capo delle congreghe dei maligni» (Sciaare orà, XVII, fol. 1), «Sammaele empio, principe di tutti i diavoli» (Debbarim rabba 208 c). Rabbi Besciai lo chiama anche «Sammaele l'empio, principe di Roma».
75 Cfr. J. Buxtorf, Synagoga Judaica, pag. 88.
76 Dall'esemplare della Biblioteca Cesarea pubblicato a Pietroburgo.
77 Cfr. Aboda zara 21 a. Tosef.; Cherit 6 b.
78 2 Re 23, 5; Os 10, 5; Zeph., I, 4.
79 Gli aruspici erano quei sacerdoti pagani, etruschi e romani, che praticavano la divinazione basandosi sull'osservazione delle viscere delle vittime offerte in sacrificio agli dèi.
80 Secondo J. C. Wagenseil (op. cit., pag. 497), Buxtorf non ha spiegato abbastanza la voce tiflà attribuendogli anche il significato di «fatuità» o «insulsaggine». Questa denominazione della chiesa cristiana, secondo lui, ha anche il significato di «lupanare» o «bordello».
81 Così nel libro Sefer zerubbabel, Ed. Costantinopolitana; cit. in J. Buxtorf, Synagoga Judaica.
82 Dt 4, 28.
83 Cfr. J. C. Wagenseil, op. cit., pag. 498.
84 In nota, J. C. Wagenseil ha aggiunto questa osservazione: «Si accenna a quel celebre tempio che in tedesco è chiamato "thum". Guarda fino a che punto questo impostore gioca con le parole: al posto di "thum", egli usa la parola ebraica "tehom", che significa "abisso"».
85 3 Re 5, 15.
86 3 Re 2, 17.
87 2 Cr 5, 14.
88 Cfr. G. E. Edzard, op. cit.
89 Così è chiamata presso gli ebrei la scuola dei cristiani.
90 Cfr. J. Buxtorf, Synagoga Judaica.
91 Cfr. G. E. Edzard, op. cit.
92 Dt 32, 35.
93 Cfr. G. E. Edzard, op. cit.
 
 
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PARTE SECONDA
I PRECETTI DEL TALMUD RIGUARDANTI I CRISTIANI

 
Da ciò che abbiamo detto fin qui appare chiaro che, secondo il Talmud, i cristiani sono idolatri e dannosissimi per gli ebrei. Perciò, qualsiasi israelita che voglia essere timorato di Dio, deve necessariamente osservare tutti i precetti che gli sono stati dati dai padri viventi in Terra Santa circa il modo di comportarsi con le genti idolatre indigene e confinanti. Gli ebrei sono quindi tenuti:
  • ad evitare i cristiani;
  • ad impegnarsi per distruggerli.
CAPITOLO I
BISOGNA EVITARE I CRISTIANI
 
L'ebreo è tenuto ad evitare ogni contatto con i cristiani per quattro motivi:
  • perché essi non sono degni della familiarità degli ebrei;
  • perché sono immondi;
  • perché sono idolatri;
  • perché sono omicidi.
l I cristiani devono essere evitati perché non sono degni della familiarità degli ebrei
 
Secondo l'insegnamento del Talmud, l'ebreo, per il fatto stesso di essere circonciso e discendente da gente eletta, è fornito di tale dignità che nessuno, nemmeno un angelo, lo può eguagliare 94. Anzi, egli si considera simile a Dio. «Chi schiaffeggia un israelita - dice Rabbi Cianina - dev'essere considerato come se avesse schiaffeggiato la Maestà Divina» 95. L'ebreo è sempre buono, nonostante i suoi peccati, i quali tuttavia non possono contaminarlo, allo stesso modo di come il fango non contamina il nucleo della noce, ma soltanto il suo mallo 96. Solo l'israelita è un uomo e tutto l'Universo è suo. Tutto deve servirlo, specialmente gli animali che hanno forma umana 97. Stando così le cose, è chiaro che ogni forma di contatto con i cristiani insudicia gli ebrei e avvilisce grandemente la loro dignità. Essi devono quindi tenersi, in ogni modo, lontano da tutti i costumi e dagli atti dei cristiani 98. Quindi:
 
- L'ebreo non può congratularsi con il cristiano
Dice il Ghittin, 62 a.: «L'uomo (l'ebreo; N.d.A.) non entrerà nella casa del cristiano ("nocri") in un giorno di solennità per congratularsi con lui. Se si incontrerà con il cristiano in una piazza potrà salutarlo, ma con il volto serio e a testa bassa».
 
- L'ebreo non può rispondere al saluto del cristiano
Insegna lo Iore dea, 148, 10.: «Il giudeo non risponda mai con un inchino al saluto dell'idolatra; sarà quindi buona norma salutare per primo per non essere obbligato a rispondere al cristiano se questi abbia salutato per primo» 99. Le stesse cose sono dette nel Ghettin 62 a., dove, dopo le parole «non bisogna rispondere al saluto del cristiano», si dice che Rabbi Coana abbia salutato un cristiano dicendogli: «Sceloma lemar», e cioè «pace al Signore», e che con queste parole egli abbia inteso salutare il suo Rabbi come è spiegato nel Tosefot: «Poiché il suo cuore era rivolto al suo Rabbi».
 
- L'ebreo non può adire nei giudizi dei cristiani
Insegna lo Sioscem ammispat 26. 1.: «Non è lecito istituire una causa davanti ai giudici cristiani, nelle loro aule e nei loro tribunali, anche in quelli nei quali si giudica secondo il costume israelita. È ugualmente proibito anche se le parti in causa abbiano convenuto di dirimere la questione davanti a costoro. Chiunque si comporta diversamente è empio e simile a colui che calunnia, che bestemmia e che leva la mano contro la Legge dataci da Mosè, nostro dottore; che Dio l’abbia in pace». Conferma l'Agà («Meditazione»): «Il betdin 100 ha la facoltà di scomunicare il contendente fino a quando il gentile non sarà più in contatto con il suo prossimo» (il giudeo; N.d.A.).
 
giovanni XXIII - rabbi schneerson
Proprio nello stesso periodo in cui Giovanni XXIII (1881-1963), con un gesto audace e più che discutibile, decise per fini ecumenici di eliminare dalla veneranda liturgia del Venerdì Santo la preghiera per la conversione degli ebrei al cristianesimo («Preghiamo anche per i perfidi giudei, affinché Dio nostro Signore tolga il velo dai loro cuori e riconoscano anche essi Gesù Cristo, nostro Signore»), la maggior parte dei rabbini residenti in Israele reintrodusse nelle preghiere che ogni pio ebreo deve recitare ogni mattino l'augurio secondo cui «possano gli apostati (gli ebrei convertiti al cristianesimo; N.d.R.) perdere ogni speranza e tutti i cristiani morire sul colpo» (cfr. I. Shahak, Storia ebraica e giudaismo, Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia 1997, pagg. 186-187). A destra, Rabbi Menachem Mendel Schneerson, leader del movimento chassidico dei Lubavitch.
 
- Il cristiano non può essere ascoltato come testimone
Dice lo Scioscem ammispat, 34, 19.: «Il cristiano ("goi") e il servo non sono in grado di dare testimonianza».
 
- Non è lecito all'ebreo mangiare i cibi del cristiano
Insegna lo Iore dea, 112,1.: «I sapienti vietarono di mangiare il pane del cristiano in modo da non sembrare troppo familiare con lui. È vietato anche nel caso in cui non ci sia da temere nessuna possibilità di affiatamento». Aboda zara, 35 b.: «Le seguenti cose di proprietà del cristiano sono vietate: il latte che il cristiano ha munto in assenza dell'ebreo 101, il pane 102, ecc...».
 
- Per nessuna ragione è lecito all'ebreo essere assimilato al cristiano
Afferma lo Iore dea, 178, 1.: «I giudei non vivano secondo il costume dei cristiani, né compiano azioni simili a quelle che essi compiono; non si vestano degli abiti proprî del cristiano; non si acconcino la testa come i cristiani [...] e non costruiscano case simili ai templi cristiani». Poiché non è sempre possibile osservare questa legge, segue un esempio che indica come qualche volta si possa recedere da essa, specialmente quando la cosa torni comoda agli ebrei. Vale a dire, nel caso in cui l'ebreo debba coltivare un'arte per la quale sia prescritta una data foggia di vestito.
 
l I cristiani sono da evitare perché sono immondi
 
Nessuno ignora quanto per gli ebrei siano importanti e quanto frequenti gli unguenti e le purificazioni, e con quanta attenzione essi debbano evitare tutto ciò che li possa contaminare. Naturalmente, i cristiani, secondo il Talmud, sono creature che mediante il semplice contatto insozzano qualsiasi cosa. Dice l'Aboda zara 72 b.: «Una volta, un uomo (un ebreo; N.d.A.) travasò del vino per mezzo di un sifone a due becchi 103, ambedue immersi nei vasi. Venne un cristiano e toccò il sifone, e subito tutto il vino fu contaminato» 104. Devono inoltre essere lavati tutti i vasi che passano dalla proprietà del cristiano a quella del giudeo, anche se non sono stati mai adoperati. Insegna lo Iore dea 120, 1: «Se l'ebreo compra dal cristiano ("acum") un recipiente per la tavola, metallico, di vetro o di piombo, anche se si tratti di oggetti del tutto nuovi, deve lavarli nel "micvà" ("grande vasca") o in una cisterna sufficiente per quaranta seminati».
 
l Bisogna evitare i cristiani perché sono idolatri
 
Affinché l'ebreo non porga l'occasione di peccare agli idolatri cristiani contro il precetto «non porre ostacoli davanti al cieco» (Lv 19, 14), deve astenersi da ogni contatto con loro durante i giorni nei quali essi onorano il loro falso dio. Dice l'Aboda zara 2 a.: «Per tre giorni interi 105 prima della festa degli idolatri è vietato avere con loro commercio di compravendita, soccorrerli o ricevere soccorso, prestare loro denaro o riceverne, saldarli di un conto o essere saldato» 106. Insegna l'Aboda zara 78 c. Perusc' di Maimonide (al fol. 8): «Tutte le feste di coloro che errano seguendo la dottrina di Gesù sono proibite, e conviene comportarsi con loro come ci si comporta con gli idolatri. Il primo giorno della settimana è per i gentili particolare giorno festivo; quindi è proibito avere contatti di qualsiasi genere (nel primo giorno dopo il sabato, ossia la domenica), con chiunque creda in Gesù. Peraltro, bisogna osservare nel giorno di domenica tutte le cose che osservano gli idolatri in questo loro giorno festivo. Così insegna lo stesso Talmud».
 
- Non è lecito all'ebreo usare le cose che appartengono al culto divino dei cristiani
Dice lo Iore dea 139, 1.: «È proibito l'uso degli idoli e delle cose che servono al loro culto. Non importa se queste ultime siano state costruite da un cristiano ("acum") o da un israelita».
 
testo originale del pranaitis
Il testo originale di Mons. Pranaitis, edito per la prima volta a Pietroburgo nel 1892 per i tipi dell'Accademia Cesarea delle Scienze, e pubblicato in Italia nel 1939 a Roma dalle Edizioni Tuminelli & C., si presenta al lettore suddiviso su due facciate distinte: su quella di sinistra appare il testo in latino dello studio dell'Autore, dove le citazioni estratte dal Talmud sono riportate prima in ebraico e quindi in latino. Sulla facciata di destra, invece, è presente la traduzione dello stesso testo in lingua italiana.
 
- È vietato vendere al cristiano ciò che possa servire al suo culto idolatrico
Insegna l'Aboda zara 14 b. Tosefot: «È vietato in eterno vendere l'incenso al sacerdote idolatra e chiericuto. Quando egli lo chiede è come se dichiarasse di servirsene per il suo culto idolatrico, poiché è manifesto che egli lo chiede al solo fine di offrirlo al suo idolo, e chiunque glielo venda contravviene al precetto che prescrive di non porre ostacoli dinanzi al cieco. È inoltre proibito vendere cera a qualsiasi gentile ebreo ortodossonel giorno sacro ai ceri. Non è vietato negli altri giorni. Ugualmente, non è concesso vendere al gentile un calice che l'ebreo abbia comprato dopo che il cristiano ("goi") lo abbia rotto o scartato; non è concesso, dico, venderglielo tale e quale fino a che non sia stato interamente trasformato, poiché per una sola scalfittura egli non smette di versarvi del vino in onore dell'idolo (derisione)» 107. Segue poi il paragrafo relativo alla proibizione della vendita dei libri ai sacerdoti cristiani, libri che l'ebreo non può nemmeno rilegare. Afferma lo Iore dea, 139, 15.: «Non è lecito rilegare i libri del cristiano ("acum"), tranne quelli relativi ai giudizi o quelli letterari. Se così facendo l'ebreo rischia di attirarsi qualche inimicizia, allora può essere lecito, ma non prima di avere fatto tutto il possibile per evitare l'incarico». Lo stesso trattato al 151, 1. Agà insegna: «È proibito vendere acqua al cristiano se è noto che egli voglia usarne a scopo di battesimo». Molte altre cose che non è lecito vendere ai cristiani vengono enumerate, quali: pezze di stoffa con le quali possono confezionarsi paramenti sacerdotali o insegne, o carta e inchiostro se si abbia il sospetto che possano servire a scrivere libri relativi al culto divino. È proibito vendere o affittare ai cristiani case nelle quali essi vogliano celebrare le loro sacre funzioni 108. Oggi, tuttavia, gli ebrei commerciano con i cristiani specialmente nei giorni festivi e affittano loro case, sebbene sappiano benissimo che essi vi celebreranno senza dubbio alcuni dei loro Sacramenti quali il Battesimo, la Comunione e l'Estrema Unzione. Nemmeno il Talmud riesce a spiegare questo fatto. Insegna l'Aboda zara 2 a. Tosefot: «È difficile spiegare su quale fondamento si basi oggi il giudeo quando negozia con i cristiani ("goim") nei giorni festivi. Nonostante molti dei loro giorni mortiferi siano consacrati ad onorare i santi o i cinedi, che essi credono di adorare come altrettante divinità, tuttavia ogni settimana si serbano un giorno per onorare Gesù Nazareno, giorno che, secondo Rabbi Ismael, è proibito in eterno».ebreo ortodosso in preghiera Il suo glossatore, Bartenora 109, aggiunge nell'Aboda zara, I, 2, f. 7 b.: «Vivendo in prigionia e non potendoci sostenere se non commerciando con essi, e poiché da loro dipende l'unica nostra possibilità di vita, senza tuttavia dimenticare che dobbiamo molto temerli, soltanto il loro giorno festivo è proibito 110. Anzi, oggi è permesso commerciare con loro anche nello stesso giorno festivo perché i rabbini sono persuasi che non tutti in questo giorno si appartano a celebrare il loro idolo. Nondimeno, tutto ciò che è vietato in questo codice, si riferisce a coloro che sono idolatri in senso stretto» 111. Rabbi Tam 112 cerca di dimostrare nella Misnàh che è proibito soltanto vendere agli idolatri, la vigilia del giorno festivo, quelle cose che essi adoperano per celebrare il loro culto, poiché essi se ne servono per onorare i proprî idoli quando abbiano già acquistato tutto l'occorrente per il culto. Egli così si esprime nell'Aboda zara 2 a, Tosefot: «Nessuno deve meravigliarsi di questo nostro modo di fare, poiché pur ritenendoli idolatri, sappiamo che essi non usano fare altro genere di pagamento se non in denaro. Cessa quindi ogni ragione di proibizione derivante da un loro vantaggio e da una loro preferenza. Infatti, essi hanno abbastanza denaro per il loro scopo (anche senza ricorrere a noi)». Questa legge che vieta ogni commercio con gli idolatri, non riguarda coloro che non credono agli idoli, vale a dire coloro che nella nostra lingua sono chiamati «atei». Dice lo Iore dea 148, 5.: «Non è lecito inviare doni al cristiano ("acum") nel giorno festivo se non sia ben noto che si inviano ad uno di loro che non crede, né serve gli idoli». Altrettanto si legge nell'Ilcot acum di Maimonide IX, 2.: «Non è lecito inviare un regalo a un cristiano ("goi") nel giorno festivo se non sia ben manifesto che egli non osserva il culto degli idoli, né ad essi sacrifica».
 
l Bisogna evitare i cristiani perché sono dannosi
 
Gli ebrei ritengono che i cristiani non abbiano altro desiderio che la distruzione dei figli d'Israele. Perciò, gli accorti condottieri della cosiddetta «gente eletta» comandarono ai loro che per nessuna ragione frequentassero i cristiani, sempre sospetti di omicidio e di altri delitti, specialmente nei casi in cui non fosse cosa facile evitare i loro malefici. Non è quindi permesso all'ebreo di giovarsi di una nutrice cristiana, né di un insegnante, di un medico, di un barbiere e di una levatrice cristiani.
 
- L'ebreo non può ricorrere ad una balia cristiana
Insegna lo Iore dea, 81, 7. es.: «Non si allevi il fanciullo mediante una balia cristiana ("nocrit") quando sia invece disponibile una balia ebrea, perché il latte della cristiana indurisce il cuore e procura al fanciullo una cattiva indole» 113.
 
- L'ebreo non può ricorrere ad un insegnante cristiano
«Non si affidi a costoro un fanciullo per educarlo nelle lettere o nelle arti; poiché essi (i cristiani) con queste lo trascinano nell'eresia». Abbiamo già visto sopra quale sia l'altra ragione per cui non è lecito affidare i fanciulli agli insegnanti cristiani.
 
- L'ebreo non può farsi curare da un medico cristiano
Afferma lo Iore dea 155, 1.: «Da qualunque ferita o malattia sia affetto l'ebreo, anche grave a tal punto che sia lecito violare il giorno di sabato per procurarsi una medicina, non gli è concesso di ricorrere all'opera di un medico cristiano di scarsa rinomanza (anche se preparatissimo nella propria professione). Bisogna sempre temere l'assassinio. Anche in pericolo di morte, non è ugualmente lecito essere curato da un medico cristiano. Potrà essere lecito soltanto in caso di morte certa, poiché un'ora in più o in meno di vita non può contare molto. Se il medico cristiano ("acum") affermerà l'efficacia di un medicamento gli si può credere, ma non è lecito comprarlo da lui. Alcuni dicono che queste pratiche con i medici cristiani siano vietate soltanto nel periodo in cui questi ("acum") prestano gratis la loro opera, ma quando si fanno pagare, allora si può ricorrere a loro in ogni caso, poiché è certo che non causeranno danno all'ebreo per non perdere il loro guadagno». Così il Pesascim 25 a.: «Disse Rabbi Ioscianan: "Gli ebrei possono essere curati da tutti, tranne che dagli idolatri, dai puttanieri e dagli omicidi"».
 
ebrei ortodossi in preghiera
 
- L'ebreo non può andare dal barbiere cristiano
Afferma lo Iore dea 156, 1.: «Non bisognerà farsi radere la barba da un barbiere cristiano se non quando siano presenti altri giudei. Altri ribadiscono questo precetto asserendo che non bisogna farsi radere neppure quando siano presenti molti ebrei. Comunque, è necessario potersi guardare allo specchio» 114.
 
- La donna ebrea non può avvalersi di una levatrice cristiana
Così insegna il trattato talmudico Aboda zara 26 a.: «Ci insegnarono i nostri rabbini: "Una donna straniera non può fare da levatrice ad una figlia d'Israele, poiché esse, secondo Rabbi Meir, sono sospette di omicidio". Alcuni dotti ebrei, tuttavia, dicono che ci si può servire delle levatrici d'altra razza quando siano presenti altre donne ebree, ma mai quando la partoriente è sola. Ma Rabbi Meir disse: "Neanche quando sono presenti altre donne ebree è lecito servirsi di levatrici d’altra razza, poiché esse toccano con la mano il cervello del nascituro laddove è più molle e lo uccidono. Tanto più che possono compiere questa azione senza essere osservate, né scoperte"».
 
CAPITOLO II
I CRISTIANI DEVONO ESSERE DISTRUTTI
 
Ai seguaci di «quell’uomo», il cui stesso nome presso gli israeliti significa «sia distrutto il suo nome e la sua memoria», gli ebrei non possono augurare altro se non che muoiano tutti: romani, tiranni, aguzzini dei figli d'Israele, affinché gli ebrei possano essere liberati da quella che essi considerano la loro quarta cattività. Qualunque israelita, a seconda delle sue forze, è quindi tenuto a distruggere quell'empio regno edomitico diffusosi per tutta la Terra. Ma non essendo un simile sterminio dei cristiani sempre e dovunque e a tutti possibile, insegna il Talmud che bisogna distruggerli almeno indirettamente; vale a dire nuocendo loro in ogni modo, diminuendo la loro potenza e preparando la loro rovina. Sempre che sia possibile, l'ebreo può e deve trucidare i cristiani senza alcuna misericordia.
 
- Bisogna fare del male ai cristiani
All'ebreo è stato dato il comando di nuocere ai cristiani sia indirettamente, cioè astenendosi dal fare loro del bene, sia direttamente, negli affari e nei giudizi. L'ebreo non può soccorrere il cristiano che si trovi in pericolo di vita.
 
shofar- L'ebreo deve astenersi dal fare del bene al cristiano
Dice lo Zohar I, 25 b.: «Coloro che fanno del bene al cristiano ("acum") non risorgeranno dopo la morte». È permesso qualche volta fare del bene ai cristiani, ma soltanto quando ciò torni a vantaggio del giudeo; ad esempio, quando sia necessario simulare pace e amicizia. Così Maimonide nell'Ilcot acum, X, 6.: «I poveri dei gentili vengano nutriti con i poveri di Israele per non aver danno, e nulla impedisce che i cristiani poveri raccolgano gli avanzi negli angoli, purché sia per amore di tranquillità». Insegna lo Iore dea 148, 12.: «Allo stesso modo, se l'ebreo entra in una città e incontra dei cristiani giubilanti per una loro solennità, egli può rallegrarsi con loro, ma soltanto per nascondere l'inimicizia come fa l'ipocrita. Tuttavia, colui che tiene alla salvezza della sua anima, si astenga dal rallegrarsi con loro. Simile genere di rallegramenti dev'essere detestato, se ciò è possibile, senza incorrere in inimicizia».
 
- All'ebreo non è lecito lodare il cristiano
Così l'Aboda zara 20 a. Tosefot: «Non attribuire loro alcuna grazia 115 che possa esprimere ammirazione per una qualsiasi bellezza 116 del cristiano ("goi")». Con questa frase, vengono spiegate le parole del Deuteronomio (Dt 7, 2) citate nella Ghemaràh che significano: «Non avrai misericordia di loro» (dei cristiani). Allo stesso modo, Rabbi Schlomo Iarci spiega questo passo della Sacra Scrittura: «Non pronuncerai parole che tornino a loro lode; è proibito esclamare: "Com'è bello quel cristiano"». Afferma lo Iore dea, 151, 14.: «Non è concesso a nessuno pronunciare parole in loro lode, né dire la frase: "Quant'è bello quel cristiano", né tanto meno è lecito lodare le loro opere o raccontare fatti che possano renderli celebri. È lecito tuttavia lodare il cristiano soltanto nel caso in cui, lodandolo, si abbia intenzione di glorificare Dio benedetto per aver creato cose belle anche fra loro».
 
- All'ebreo non è nemmeno lecito pronunciare il nome dei cristiani, nè quello degli oggetti che servono per il loro culto idolatrico
Così insegna l'Ilcot acum V, 12.: «È anche vietato menzionare un cristiano [...]. Poiché è scritto: "Non li ricorderai"» 117.
 
giovanni paolo II - elio toaff
Nell'immagine qui a lato, la storica visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma del 13 aprile 1986, in occasione della quale egli definì gli ebrei «nostri fratelli maggiori». Purtroppo, si è andati ben oltre. Il 31 ottobre 1997, ricevendo in udienza in Vaticano i partecipanti all'incontro di studio su «Radici dell'antigiudaismo in ambiente cristiano», Giovanni Paolo II ha detto: «I vostri lavori completano la riflessione condotta soprattutto dalla Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, tradotta, fra le altre cose, negli "Orientamenti", del 1º gennaio 1974 e nei "Sussidi per una corretta interpretazione degli ebrei e dell'ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica", del 24 giugno 1985» (cfr. Osservatore Romano, del 3-4 novembre 1997). Ma cosa dicono esattamente i documenti vaticani cui ha fatto riferimento Giovanni Paolo II? Ecco: «I Vangeli sono il frutto di un lavoro redazionale lungo e complesso. Non è quindi escluso che alcuni riferimenti ostili, o poco favorevoli agli ebrei abbiano come contesto storico i conflitti tra la Chiesa nascente e la comunità ebraica. Alcune polemiche riflettono le condizioni dei rapporti tra ebrei e cristiani che, cronologicamente, sono molto posteriori a Gesù. Questa constatazione resta fondamentale se si vuole cogliere, per i cristiani di oggi, il senso di alcuni testi dei Vangeli». Che fuor di metafora sta a significare che «alcuni testi del Vangelo» in cui Nostro Signore qualifica la classe sacerdotale ebraica con epiteti «ostili, o poco favorevoli», come «razza di vipere», «ipocriti», «sepolcri imbiancati», «figli del diavolo e non di Abramo», «ciechi che guidano ciechi», ecc..., sono «molto posteriori a Gesù» e quindi falsificati dalla Chiesa nascente. In poche parole, i santi Vangeli, che la Chiesa cattolica ha sempre creduto di fede come ispirati, e quindi Parola autentica di Dio, sarebbero un falso antisemita!
 
- Qualora sia comunque necessario nominare gli idoli, bisogna farlo dando loro nomi ignominiosi
Dice lo Iore dea 146, 15.: «Bisogna distruggere gli idoli e dare loro nomi ignominiosi». Lo stesso si dice al punto 147, 5.: «È lecito deridere gli idoli». Agà: «Si può dire al cristiano: "Che il tuo Dio ti aiuti"; oppure: "Faccia prosperare il tuo lavoro"». Rabbi Besciai, spiegando il testo del Deuteronomio (Dt 7, 26) che tratta dell'odio verso l'idolatria, così dice 118: «Insegna la Scrittura che l'ebreo è tenuto a detestare gli idoli dando loro nomi ignominiosi; vale a dire: se una chiesa è chiamata "bet galia" (che in ebraico significa "casa eccelsa"), il suo nome dev'essere cambiato in quello di "bet caria" (che in ebraico significa "casa umile", "casa dei porci" o "latrina"), poiché la voce "caria" denota un luogo profondo e vile». Abbiamo visto fin qui ed in molte altre occasioni come le cose dei cristiani siano chiamate dagli israeliti in modo spregiativo. Ora, sarà utile compilare un elenco di alcuni nomi con i quali gli ebrei chiamano gli uomini e le cose cari e sacrosanti per il cristiano:
 
quel tale- Gesù Cristo viene chiamato ignominiosamente Iesciu, nome che, come abbiamo già visto, deriva da Immasc Sciemo Vezicro: «Siano distrutti il suo nome e la sua memoria». Invece, il vero nome del nostro Salvatore in ebraico è Iesciua, che significa «salvezza». Quando essi vogliono alludere al vero significato di questo nome, dicono che Gesù Cristo è El lo ioscia, ovvero «Dio che non salva». Nella preghiera che essi recitano uscendo dalla sinagoga, quando ringraziano Dio perché Egli non ha creato il popolo d'Israele simile alle altre nazioni della Terra, o perché né parte o porzione di esso ha destinato alla stessa sorte delle altre genti, alle preghiere che pronunciano aggiungono queste parole: «Le genti si prosternano e adorano un idolo vano e inutile e rivolgono suppliche a un dio che non può salvarle» 119. Similmente, presso Rasci, nel Salmo 18, (versetto 24), alle parole iesci avveu veen moscia, ossia «lo invocarono e non è il Salvatore», l'autore aggiunge: «Questi è il dio degli altri» 120. L'appellativo di Cristo notsri, ossia il Nazareno, dicono che ha lo stesso valore delle parole ben netser, nome quest'ultimo di un famoso ladrone di cui si fà menzione nel Talmud (Chetubot 51, b.). Rabbi Isaac Abrabanel (1437-1508), spiegando le parole di Daniele (Dn 7, 8) «mentre io guardavo le corna, ecco un altro piccolo corno saliva fra loro», aggiunge 121: «Ascolta per quale ragione i rabbini spiegano che quel piccolo altro corno "ben netser", è Gesù Nazareno, e perché a seconda della discendenza congiungano con lui l'empio regno, e cioè il regno di Edom; perché quel regno è il suo popolo» 122.
- Maria, Madre di Gesù è chiamata Sciaria, cioè «escremento» 123, mentre in ebraico quel nome suona Miriam.
- I Santi, che in ebraico si chiamano chedoscim, essi, inserendovi uno iod e cambiando questo nome in quello di chedescim, li chiamano cinedi 124. Le Sante invece le chiamano chedesciot, ovvero «prostitute».
- Il giorno festivo del Signore, ossia la domenica, è per loro iom ed, ossia «giorno di disgrazia».
- Il giorno di Natale del Signore lo chiamano nithal, vale a dire «estirpazione».
- La Pasqua non la chiamano pesasc, ma chetsasc, cioè «taglio», «frattura», o anche chesasc, ossia «patibolo».
- La chiesa dei cristiani non viene detta bet attefillà, ovvero «casa di preghiera», ma bet hattiflà, e cioè «casa di stoltezza e di fatuità», oppure bet atturpa, ossia «casa di turpitudine».
- Il Vangelo è per loro aavon ghilaion, cioè «libro d'iniquità».
- I sacrifici dei cristiani sono chiamati stercorazioni. Nel Talmud gerosolimitano 125 si trova questa frase: «Colui che vede i cristiani "mezabbelin" 126 (cioè "emettere sterco"), che è quanto dire "mezabbescim", cioè che sacrificano all'idolo, dica: "Colui che sacrifica all'idolo, verrà divorato"» 127.
 
 
Non solo essi chiamano le cose sacre del culto cristiano con nomi perversi, ma anche le persone stesse e specialmente i massimi dignitari cristiani. Così nell'Aboda zara 46 a., si comanda che se qualcuno vuole dire le parole pene ammelec, ovvero «volto regale», dica invece pene accheleb, ossia «muso di cane». La ragazza cristiana che nel giorno di sabato serve gli ebrei è invece chiamata sciavvescicsel, ossia «sporcizia sabatina».
 
- All'ebreo non è lecito fare regali ai cristiani. Dice l'Ilcot acum, X, 5: «È proibito dare doni ai cristiani ("goim") senza ricompensa. È tuttavia lecito fare regali al proselita che abiti fra gli israeliti perché così è detto: "Al forestiero che si trova nelle tue città dà da mangiare o vendigli i tuoi oggetti 128, ma vendiglieli, non donarglieli"». Insegna lo Iore dea, 151, 11: «È proibito fare doni al cristiano che non abbia nessuna dimestichezza con l'ebreo». Tuttavia, il Talmud 129 al giudeo, o anche a coloro dai quali si spera ricevere una ricompensa. Ciò può essere fatto anche per conservare lo stato di pace.
 
- All'ebreo è vietato per legge vendere il proprio terreno al cristiano
Dice lo Iore dea, 334, 43: «Il Sinedrio deve mandare in esilio l'ebreo in ventiquattro casi, tra cui [...] il caso in cui qualcuno venda il suo fondo al cristiano ("acum") dev’essere mandato in esilio; e così dicasi di coloro che non intendano riparare qualsiasi specie di danno procurato dall'"acum" che abita vicino all'israelita».
 
- All'ebreo è vietato anche insegnare un mestiere al cristiano
Insegna lo Iore dea 154, 2: «Non è lecito (all'israelita) insegnare un mestiere al cristiano».
 
l Bisogna dilapidare i beni dei cristiani
 
I cristiani, come servi o bestie al servizio dei figli d'Israele, appartengono al giudeo con la loro vita e le loro sostanze. Dice un assioma rabbinico: «Se la vita del (cristiano) è (nelle mani d'Israele), tanto più lo saranno le sue sostanze» 130. L'ebreo può impossessarsi impunemente delle cose che appartengono al cristiano, sia pure con frode e con dolo, poiché questi atti non possono essere considerati furto, ma recupero di ciò che è proprio. Insegna il Baba batra 54 b.: «Tutte le sostanze del cristiano sono simili al deserto; chi arriva per primo ne è il padrone».
 
ebreo orante- Perciò non è lecito dare ai cristiani buoni consigli quando essi sbagliano nei loro affari
Dice lo Scioscen ammispat 183, 7: «Un tale mandò un suo uomo di fiducia a riscuotere denaro presso un cristiano. Se il cristiano avesse sbagliato dando oltre il giusto, il di più sarebbe andato al messo. Agà. E gli appartiene specialmente nel caso in cui sia proprio il messo ad accorgersi dell'errore in eccesso, prima di consegnare il denaro al padrone. Se invece egli consegnerà al padrone anche il denaro ricevuto per errore, tutta la somma spetta a quest'ultimo».
 
- Non è lecito restituire una cosa trovata se il proprietario è un cristiano
Insegna lo Scioscen ammispat 266, 1: «Un oggetto smarrito da un cristiano può essere tenuto (dall'ebreo), poiché è detto: "(Restituisci) l'oggetto perduto dal tuo fratello" 131. Chi restituisce la cosa trovata (del cristiano) è trasgressore della Legge, in quanto egli, restituendo, aumenta il possesso di coloro che trasgrediscono la Legge. Ma se invece qualcuno restituisce la cosa trovata per onorare il nome (di Dio), e tutti rivolgono lodi agli israeliti, e da questa azione appare manifesto come essi siano uomini d'onore, allora per questo fatto egli dev'essere grandemente lodato» 132.
 
- È lecito frodare i cristiani
Dice il Baba cama 113, b: «È lecito frodare il cristiano». E lo Scioscen ammispat 156, 5. Agà: «Se qualche (giudeo) è impegnato in un buon affare unitamente ad un cristiano, non è lecito a nessun altro, come vorrebbero le consuetudini in alcuni luoghi, fare concorrenza ed entrare in rapporti d'affari con lo stesso cristiano. In altri luoghi non si giudica la cosa allo stesso modo. Si permette infatti al sopravvenente ebreo di avvicinare il cristiano, negoziare con lui (frodarlo) e recuperare il proprio denaro, essendo le sostanze dei cristiani da ritenersi patrimonio comune, quindi appartenente a colui che per primo se ne impadronisce. Alcuni tuttavia, a proposito di questo passo, asseriscono che è vietato (al giudeo di intromettersi) come si è detto». E lo Scioscen ammispat 183, 7. Agà: «Nel caso in cui un socio, quando un (israelita) e un cristiano stanno per concludere un affare, s'intrometta e defraudi il cristiano o nella misura, o nel peso, o nel numero, esso è tenuto a dividere il guadagno con il compare. Allo stesso modo si deve agire se in precedenza si era convenuto il compenso o se (la prestazione) si doveva intendere gratuita» 133.
 
- Per l'ebreo è anche lecito fingersi cristiano al fine di trarre maggiormente in inganno
Insegna lo Iore dea 157. Agà 45: «Se (l'ebreo) può ingannare (gli idolatri) a tal punto che essi lo ritengano, come essi sono, un adoratore delle stelle, allora (la simulazione) è lecita». Un esempio di simile perversità viene riferito dal lodatissimo Johann Christoph Wagenseil (1633-1705) nella sua opera Sota, (pag. 704). «Ti prego, buon lettore, ascoltami e stupisci nell'udire in qual modo il nostro Giulio Corrado Otto, pseudo-ebreo, pseudo-rabbino e pseudo-cristiano, quindi (l'indignazione prorompe e mi costringe a lasciar da parte la solita modestia d'eloquio), vero truffatore, più che truffatore, arcitruffatore, come abbia trattato dico, nel Gali Razia o "Scoperta dei segreti" (L. I. c. 3) quanto egli simula d'aver letto nel Rosc asciana (cap. I a pag. 186, riconoscendo, non oltre il foglio 31 134 il trattato integrale): "Segue iljohann christoph wagenseil testo - così si esprime - che dice come anche il Figlio si debba adorare, esistendo Egli come Dio insieme al Padre: "Disse Rabbi Icsciac a Rabbi Caana: "Chiediamo che offriate sacrifici a Dio celeste e adoriate il Re vivo ed eterno insieme al suo Figlio". Con tali parole il Rabbi insegna chiaramente che Dio Padre aveva un Figlio che si deve onorare; poiché dice: "Adoriamo l'eterno Re insieme al Figlio suo". Cioè: quel Re vivo che è Dio Padre e "Benoi", che in lingua caldaica è come se si dicesse: "Adoriamo Dio Figlio, essendo egli uguale al Padre e coeterno allo Spirito Santo"». Suvvia! In nome di Dio e degli uomini! Cos'è questo se non un sacrilegio? Lo stesso demone stigio Caco non avrebbe maggiormente deriso la santissima religione dei cristiani come si scopre aver fatto questo nefandissimo uomo. Razza di furfante! Sono queste dunque "quelle dottrine, quei misteri nascosti e finalmente sottratti agli ebrei" che tu, nella prefazione al tuo libro, tranne che nei detti della Sacra Scrittura, in tutto il resto nefandissimo, ti gloriavi "di mettere in luce, affinché più facilmente fosse a tutti nota la gloria di Dio e i lettori cristiani si confermassero ancora di più nella vera fede"? O non è forse questo "divulgare i misteri degli ebrei perché tornino a loro comodo e vantaggio"? E naturalmente "non solo trascrivesti il testo genuino del Talmud e le stesse parole dei rabbini", ma vi aggiungesti il numero delle singole pagine perché fosse più chiaro che tu in buona fede, con semplicità, candidamente, senza nessun preconcetto riferivi queste cose. Sono interamente persuaso che questo infame bipede alterando la religione cristiana e meditando il suo detestabile libro, non avesse altro intento se non quello, con il pretesto di giovare alla fede cristiana, di renderla invece disprezzabile agli israeliti. Egli sperava che sarebbe accaduto che i cristiani si sarebbero avidamente serviti contro gli ebrei dei suoi argomenti men che validi e per mero scherzo elargiti al ludibrio della fede, in modo da esporsi alle risa e alle beffe dei giudei. E purtroppo questo è accaduto. Alcuni non spregevoli uomini hanno dato credito alle frodi e alle menzogne di questo autentico sicofante e le hanno inserite nei loro scritti. Quindi, è necessario avvertire pubblicamente che apprendano con maggior cautela tali eresie coloro che amano la propria salvezza e vogliono integra la gloria di Dio e di Gesù Cristo Nostro Signore».
 
- Per la sua legge, l'ebreo può esercitare l'usura verso i cristiani
Dice l'Aboda zara 54 a.: «È lecito prestare denaro con usura all'apostata 135 incline all'idolatria». Iore dea 159, 1: «Secondo la Toràh è lecito prestare al cristiano denari a usura. Alcuni sapienti peraltro lo negano, se non in caso di pericolo di vita. Oggi è lecito in ogni caso».
 
l Bisogna nuocere ai cristiani nelle cause
 
scribi e fariseiOgni frode, menzogna o spergiuro è permessa all'ebreo al fine di fare condannare in giudizio un cristiano. Insegna il Baba cama 113 a.: «Così dice la dottrina: "Se convengono in giudizio un israelita e un cristiano, potendo tu assolvere (l'ebreo) secondo le leggi d'Israele, assolvilo e al cristiano che si lamenta rispondi che così comandano le nostre leggi. Ma se (il giudeo può essere assolto) secondo le leggi del popolo del paese, assolvilo e dì al cristiano che tali sono le vostre leggi. Se non è possibile né l'una né l'altra cosa, giocherai d'astuzia contro (il cristiano), come vuole Rabbi Ismael". Rabbi Achiba invece crede che non si debba agire dolosamente per evitare di profanare il nome (di Dio Benedetto, qualora l'ebreo dovesse essere in qualche modo coinvolto nell'inganno)». La glossa marginale di questo passo chiarisce che la correzione di Rabbi Achiba dev'essere intesa nel modo come segue: «Non (c'è) profanazione del Nome (dell'Altissimo), quando (il cristiano) non si accorge che (il giudeo) mente». E poco più avanti, il Baba cama 113 b. Tosefot afferma: «Non c'è profanazione del nome (di Dio) quando, ad esempio, (l'ebreo) dica bugiardamente al (cristiano) che eredita: "Io ho dato questa cosa a tuo padre, e poiché egli è morto, (tu restituiscimela)", in modo che il cristiano non si accorga che (il giudeo) ha chiaramente mentito».
 
- L'ebreo può anche essere spergiuro e avere la coscienza a posto
Dice il Callà 1 b (pag. 18): «Ed ella gli disse 136: "Giura". Giurò Rabbi Achiba con le labbra, ma in cuor suo rese subito vano il giuramento». Dopo queste parole si aggiunge che Rabbi Achiba fu esaltato come colui al quale Dio stesso aveva rivelato il suo arcano. Un passo analogo si trova nello Scebuot agaot, di Rabbi Ascer (6 d.) 137: «Se il comandante di una città costringerà (gli ebrei) a giurare che essi non fuggiranno, né aiuteranno altri a fuggire, essi possono giocare d'astuzia (e cioè giurare il falso) pensando dentro di sé di non uscire oggi e di non aiutare altri a fuggire soltanto per oggi».
 
l Bisogna nuocere ai cristiani nelle circostanze più gravi della vita
 
Gli ebrei non devono tralasciare alcun mezzo per vincere la tirannide della loro quarta prigionia (nelle mani dei cristiani) e liberarsi in qualsiasi modo. Si deve quindi combattere con ogni astuzia purché i fatti non si rivolgano a proprio danno: non si devono quindi curare gli ammalati, né aiutare le partorienti cristiane, né tanto meno liberare i seguaci di Cristo nel caso che in cui si trovino in pericolo di vita.
 
- L'ebreo è tenuto a cospargere di insidie la via dei cristiani
Insegna il Fohar I, 160 a.: «Disse Rabbi Ieuda (a Rabbi Sceschiam): "Dev'essere attribuito molto merito a colui che ha forze sufficienti per liberarsi da quella parte (nemica dei giudei) e sono molto da lodare quegli uomini giusti che non solo possono liberarsi da tale fazione avversaria, ma sanno anche sconfiggerla". Disse Rabbi Sceschia: "In quale modo (potremo sconfiggerla)"? 138. Aprì (la bocca Rabbi Ieuda) e disse: "Farai loro guerra nel commercio". Quale guerra? Si intende la guerra condotta contro quella mala genia che ciascun figlio dell'uomo, (ciascun ebreo) è tenuto a debellare, allo stesso modo in cui Giacobbe fece verso Esaù 139, il quale appartenne a quella gente: e cioè, combattere con astuzia (e perversità) e ovunque sia necessario, combattere senza sosta, fino al raggiungimento del nuovo ordine,(fino al completo assoggettamento dei popoli della Terra). E per questo io dico che devono essere esaltati coloro che possono liberarsi (da quella genia) e dominarla».
 
- Non è lecito aiutare il cristiano ammalato
Insegna lo Iore dea 158. 1: «Non bisogna prestare loro (ai cristiani) cure nemmeno dietro compenso purché naturalmente ciò non sia causa di inimicizia, (poiché in questo caso è lecito aiutarli anche gratuitamente, sempre che sia impossibile rifiutarsi). Allo stesso modo, è lecito sperimentare una medicina sul cristiano (per accertarsi) se essa giovi o meno» 140.
 
- Non bisogna soccorrere la partoriente cristiana
Dice l'Orac sciaim 330, 2: «Non bisogna aiutare la moglie di un cristiano che sta per partorire nel giorno di sabato, anche se si tratta di cosa di poca fatica, non essendo possibile in nessun modo violare la santità del sabato».
 
tefillin- Se l'ebreo vede il cristiano in pericolo di vita non lo deve aiutare, anzi, è tenuto ad allontanargli ogni possibilità di salvezza
Scioscen ammispat 425, 5: «Se si scorge uno (di questi eretici che negano la Toràh) che è caduto in un pozzo, e lì vicino ci sia una scala, bisogna affrettarsi ad allontanarla (dicendo): "Mi occorre per fare scendere mio figlio dal tetto; te la riporterò subito", o qualcosa di simile. Non bisogna però uccidere i cutei con i quali non abbiamo nessuna ragione di inimicizia, e i pastori degli animali delle greggi minori d'Israele, laddove questi ultimi hanno i loro campi e altre genti simili a queste. Peraltro, tutti costoro, se si trovassero in punto di morte, vanno abbandonati a sé stessi». Iore dea 158, 1: «Non si devono uccidere gli "acum" con i quali non abbiamo nessuna ragione di inimicizia; tuttavia, non bisogna aiutarli mai quando fossero in pericolo di morte. E cioè, vedendo qualcuno di loro caduto in mare, non ci si deve adoperare per salvarlo, tranne che non abbia promesso una ricompensa». Insegna Maimonide nell'Ilcot acum 10, 1: «Non bisogna provare compassione per loro ( i cristiani), perché così è detto: "Non avrai pietà di loro" 141. Perciò, se qualcuno vede un cristiano in pericolo di morte, anche nel caso che egli stia per affogare, non deve prestargli soccorso. Se lo vedrà prossimo a morire, non cerchi di salvarlo. Non è lecito tuttavia assassinarlo o gettarlo in un pozzo o fargli altra cosa simile perché egli non sta facendoci guerra».
 
l Bisogna uccidere i cristiani
 
E finalmente il Talmud comanda di uccidere i cristiani senza misericordia. Dice l'Aboda zara 26 b: «Gli eretici, i traditori e gli apostati sono da gettare (nel pozzo) e da non cavarli più fuori». Lo stesso trattato aggiunge alla lista i tiranni, ossia coloro che ora tengono prigioniero Israele. Abbiamo quattro generi di uomini che devono essere uccisi dai giudei: i traditori, gli apostati, i tiranni e infine tutti gli eretici cristiani «nessuno escluso» fosse anche il migliore degli uomini. Sono considerati, a giusto merito, nemicissimi d'Israele i moserot 142 («traditori»),scribi e farisei - sinedrio cioè coloro che rivelano i segreti della dottrina talmudica o che causano agli ebrei danno pecuniario sia pure di lieve entità. Insegna lo Scioscen ammispat 388, 10: «Anche oggigiorno è lecito uccidere il delatore ovunque (esso venga scoperto). Egli può essere ucciso anche prima che abbia compiuta la delazione. Non appena abbia fatto intendere di voler riferire qualcosa di interessante (i beni) sulla vita o sulle sostanze, anche se siano cose di poco conto e che non rechino molto danno, egli ha già pronunciato contro sé stesso la sentenza di morte. Lo si avverta prima e gli si dica: "Non parlare". Se egli imprudentemente risponderà: "No, parlerò in ogni modo", dev'essere ucciso; e chi per primo lo ucciderà tanto maggior merito procurerà a sé stesso. Agà (dottrina). Se mancherà il tempo d'avvertirlo, l'avvertimento non è necessario. Vi sono alcuni che affermano che il traditore dev'essere ucciso solo nel caso che sia impossibile liberarsi di lui (privandolo) di qualche parte della persona. Se ad esempio fosse possibile liberarsi di lui (semplicemente) strappandogli la lingua o accecandolo, allora non è consentito ucciderlo, perché in questo caso egli non diventa peggiore degli altri persecutori». Scioscen ammispat 388, 15: «Se sarà provato che qualcuno abbia tradito per tre volte Israele o si sia adoperato perché il denaro degli ebrei venga in possesso dei cristiani, bisognerà cercare un mezzo (astuto) e prudente per sopprimerlo». Senza dubbio, lo stesso studio della Legge degli ebrei da parte di un cristiano è considerato come meritorio della pena di morte. Insegna infatti il Sanhedrin 59 a: «Dice Rabbi Ioscianan: "Il cristiano che scruta la Legge è reo di morte"».
 
- Gli ebrei che si fanno battezzare devono essere uccisi
Dice l'Ilcot acum 10, 2: «Questo vale a proposito 143 degli idolatri. Ma coloro fra gli israeliti che si allontaneranno dalla religione o che diventeranno cristiani, comandiamo che siano trucidati e perseguitati fin nell'inferno, come coloro che affliggono Israele e allontanano il suo popolo da Dio». Iore dea 158, 2. Agà: «I prevaricatori che passano dalla parte dei cristiani e che si contaminano fra questi adorando le stelle e i pianeti come essi fanno, sono simili a coloro che prevaricano per irritare il Signore; quindi, sono da gettare nel pozzo lasciandoveli per sempre». Lo stesso si dice anche nello Scioscen ammispat 425, 5: «Gli epicurei israeliti, ovvero coloro che si perdono per il culto delle stelle e dei pianeti, che peccano maliziosamente per sdegnare il Signore, nonché quelli che mangiano carogne, o quelli che si vestono sontuosamente (con abiti di lana o di lino), (sono degni) del vero nome di epicurei; altrettanto i negatori della Toràh e dei profeti d'Israele: tutti costoro devono essere uccisi. Chi ha la potestà di ucciderli con la spada, li uccida senz'altro; in caso contrario, si adoperi a scavare trabocchetti sulla loro strada affinché essi periscano». Chi siano i negatori della Legge, lo dimostra chiaramente Rabbi Maimonide nell'Ilcot tesciubà III, 8 144: «Tre sono le categorie di coloro che negano la Toràh:
  • Quelli che dicono che la Toràh non è stata data da Dio, o che affermano che un solo verso, una sola parola, non (sono d'ispirazione divina), ma soltanto elaborazione originale di Mosè. Tutti coloro (che affermano simili cose) negano la Legge.
  • Quelli che respingono la sua spiegazione chiamata Toràh orale ("Misnàh"), né riconoscono i suoi dottori, come (fecero) Tsadoc 145 e Baitos 146.
  • Quelli che affermano che il Creatore ha cambiato questa Legge con un'altra e che la Toràh non ha un valore maggiore di un'altra Legge, sebbene non neghino che essa sia stata dettata da Dio, come fanno i cristiani e i musulmani. Ciascuno di costoro nega la Toràh».
- I cristiani devono essere uccisi perché sono tiranni, residui degli amaleciti che l'antica Legge impone di distruggere
Dice lo Zohar I, 25 a.: «I popoli della terra sono idolatri. Di essi è detto: "Siano distrutti dalla terra, poiché fra questi sono coloro dei quali è detto: "Distruggi la memoria di Amalec". I loro relitti esistono anche in questo periodo della quarta prigionia 147, specialmente i loro capi [...] che sono (veri) amaleciti"».
 
- Perciò, i primi ad essere uccisi devono essere i capi
Se i capi dei cristiani si salveranno, sarà resa vana la speranza dei giudei di liberarsi da questa quarta prigionia, e vana è la loro preghiera. Insegna lo Zohar I, 219 b.: «Di certo la nostra prigionia durerà fino a quando non siano distrutti sulla Terra i capi dei popoli cristiani». Zohar II, 19 a.: «Disse Rabbi Ieuda: "Vieni e vedi come stanno le cose: per tutto il tempo in cui al loro principe è trasmessa la potenza sopra Israele non viene ascoltata la preghiera (degli israeliti), la quale (viene invece esaudita) quando il principe cade, poiché di questo è scritto; "Morì il re degli egizi e subito i figli d'Israele furono liberati dalla servitù". Essi pregarono e la loro preghiera salì a Dio"».
 
- Detestabilissimo per tutti gli ebrei è quell'impero la cui città madre è Roma
Essi lo chiamano il Regno di Esaù, Regno edomitico, Regno della superbia, Regno improbo, Roma empia. L'impero turco, chiamato invece Regno ismaelitico, è da loro risparmiato. Tutta la loro fatica è rivolta a sterminare il Regno romano, tanto più che alla rovina di Roma dicono essere congiunte la salvezza e la liberazione del popolo eletto 148. Rabbi David Chimsci scrive esplicitamente nell'Obadia 149: «Ciò che dissero i Profeti negli ultimi giorni della devastazione del Regno di Edom, si riferisce a Roma, come io stesso ho già spiegato in Isaia, al verso: "Venite genti ad ascoltare" 150. Poiché quando Roma sarà devastata, allora verrà la redenzione degli israeliti». Le stesse cose dice anche Rabbi Abram nel libro Tseror ammor, nella sezione Scioftim e spesso anche altrove: «Nella devastazione di Roma, sarà l'immediata nostra redenzione» 151.
 
basilica di san pietro
 
- Infine, essi dicono che tutti i cristiani devono essere uccisi, senza esclusione dei migliori fra loro
Dice l'Aboda zara 26 b. Tosefot: «Il migliore fra i cristiani merita di essere ucciso». Molte volte questa frase si incontra, seppure con parole diverse, nei vari libri dei giudei. Ad esempio, Rabbi Schlomo Iarci, nel cap. XIV del Libro dell'Esodo, (versetto 7), dell'edizione di Amsterdam 152 dice: «Il migliore fra gli egizi 153 merita di essere ucciso». Lo Sciulscian aruc, dopo le parole in Iore dea 158, 1, dice che non devono essere uccisi di propria mano quei cristiani che non sono nocivi agli ebrei (vale a dire coloro che non fanno la guerra ad Israele). Tuttavia, nel commentario Biur etib così egli osserva alla voce milciamà («guerra»): «Ma nel tempo di guerra, uccidano essi con le proprie mani (il cristiano) secondo quanto è detto: "Anche il più buono fra i cristiani merita di essere ucciso"». E così di seguito.
 
- L'ebreo che uccide il cristiano non commette peccato, ma offre a Dio un sacrificio graditissimo
Insegna il Sefer Or Israel 177 b 67: «Distruggi la vita del cristiano e spegnila. Sarai gradito alla Maestà Divina come colui che fà offerta di incenso». Lo stesso trattato al fol. 180 dice: «L'israelita è tenuto ad estirpare con il massimo impegno gli sterpi dalla vigna, ovvero sradicare ed estirpare il cristiano dalla terra. Nessuna maggiore letizia può essere data a Dio benedetto di quella che noi gli diamo sterminando gli empi e i cristiani di questo mondo». Dice lo Ialcut simoni 245 c. nº 772, e il Bamidbar rabba 229 c: «Chiunque sparge il sangue degli empi (è tanto accettabile) a Dio quanto colui che gli offre un sacrificio».
 
- Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nessun sacrificio è più grande dello sterminio dei cristiani
Nello Zohar III, 227 b. dice il buon pastore: «Non ci è gradito altro sacrificio se non quello che consiste nel togliere di mezzo il lato immondo». Micdasc' melesc', nello Zohar f. 62 dice: «Il capro che portavano ad Azaziele (il giorno dell'espiazione) ci insegna che anche noi siamo tenuti ad allontanare il cristiano dal mondo». Lo Zohar II, 43 a, spiegando il precetto di Mosè circa il riscatto del primo nato dell'asino con l'offerta dell'agnello, dice: «L'asino sta a significare il non-ebreo. Riscattalo dalla servitù con l'offerta dell'agnello, che rappresenta la pecora dispersa d'Israele (ossia fallo diventare giudeo). Ma se egli ricuserà, spaccagli la testa [...]. Essi sono da cancellare dal libro dei vivi, poiché di loro è detto: "Chi avrà peccato contro di me io lo cancellerò dal libro"»
 
lexicon hebraicum et chaldaicum cum brevi lexico rabbinico philosophico - johannes buxtorf
Sopra: il Lexicon Hebraicum et Chaldaicum cum brevi Lexico Rabbinico Philosophico (1607) di Johannes Buxtorf, una delle opere più antiche a cui ha maggiormente attinto l'Autore di questo scritto.
 
- A coloro che uccidono i cristiani è promesso in Paradiso il posto più elevato
Insegna lo Zohar I, 38 b. e 39 a.: «Nel quarto palazzo del Paradiso sono tutti coloro che piangevano Sion e Gerusalemme, e tutti quelli che avranno distrutto i resti delle nazioni idolatre [...]. E come la porpora è l'indumento (onorifico e distintivo di Dio), così saranno onorati e distinti tutti coloro che avranno sterminato gli altri popoli idolatri». Stando così le cose, per la sua Legge l'israelita non può mai soprassedere allo sterminio dei cristiani, né concedere loro mai nessuna pace o lasciarli scampare. Dice l'Ilcot acum 10, 1: «(Gli ebrei) non si rappacifichino mai con gli idolatri in maniera da dare loro modo di adorare gli idoli, poiché così è detto 154: "Non ti accorderai con loro...". Ma, o li distolgano dal loro culto o li uccidano. Fino a quando la tua forza sarà prigioniera e il tuo decoro giacerà nelle mani degli oppressori? O Dio, suscita la tua forza e il tuo zelo contro i nostri nemici, la loro forza sia abbattuta e siano confusi. Ogni speranza sia negata ai perduti, gli eretici subito periscano, e tutti i nemici del tuo popolo siano immediatamente annientati, e il regno della superbia sia sradicato, infranto e distrutto; tutti siano soggiogati presto quando saranno giunti i nostri giorni» 155. Ma in questo tempo, invece, il Principe di quel superbo impero così prega, e così comanda nella liturgia del Venerdì Santo che preghino tutti i suoi «perduti» ed «eretici» fedeli sparsi per tutto il mondo: «Preghiamo anche per i perfidi giudei, affinché Dio, nostro Signore, tolga il velo dai loro cuori ed essi conoscano Gesù Cristo. O Dio sempiterno e onnipotente, che non respingi dalla tua misericordia nemmeno la perfidia ebraica, esaudisci le nostre preghiere che a Te eleviamo per la cecità di questo popolo; fà che essi, conosciuta la luce della tua verità, Gesù Cristo, siano strappati alle loro tenebre. Per Cristo nostro Signore. Amen» 156.
 
CONCLUSIONE
 
omicidio ebraicoCaro lettore, in queste pagine ho sottoposto alla tua attenzione solo alcuni passi del Talmud che si riferiscono ai cristiani. Nell'intento di essere breve e volendo risparmiare la pietà della tua anima, ho trascurato molte altre cose che, come quelle esposte, potrebbero essere aggiunte a questo scritto, giacché penso che pochi passi di questo testo basteranno per dimostrarti quale considerazione attribuire alle continue affermazioni degli ebrei, secondo cui il Talmud non conterrebbe nulla che sappia di odio e di inimicizia verso i cristiani. Non me ne volere, lettore cristiano, se durante la lettura di questa modesta opera sei stato afflitto da troppa pena a causa delle orribili bestemmie che da essa scaturiscono. Fin dal principio non mi ero proposto di raccontarti cose piacevoli, ma soltanto mostrarti i veri insegnamenti del Talmud a proposito dei cristiani. Per ottenere il mio scopo non ho trovato forma migliore di questa. Poiché la verità non piace a tutti, non ignoro che molti saranno adirati contro di me per aver reso questa testimonianza della verità. E in tale convinzione mi confermano tanto le leggi talmudiche che comandano di perseguitare i cosiddetti «traditori», quanto le frequentissime esortazioni di coloro che conoscono il modo d'agire degli ebrei contro chi abbia intenzione di rivelare cose a loro sfavorevoli. Tutti quelli che venivano a conoscenza della pubblicazione di questo mio studio mi predicevano ad una sola voce che gli ebrei mi avrebbero ucciso. Desiderosi di distogliermi dalla mia impresa, alcuni di essi mi consigliarono di ripensare alla morte del Prof. Chiarini, morto improvvisamente dopo aver iniziato la traduzione del Talmud in una lingua europea. Altri mi richiamavano alla mente la fine del monaco Didaco di Vilnius, un ebreo convertitosi al cristianesimo e orribilmente trucidato dai giudei. Altri ancora mi ricordavano la triste fine di coloro che avevano rivelato i segreti della religione d'Israele, e mi avvertivano che il pericolo non sovrastava solamente me, ma anche i miei familiari. Mille e mille volte mi sono sentito ripetere questa frase: «Gli ebrei ti uccideranno». Che tutti questi consigli non mi abbiano minimamente scosso te lo prova, o caro lettore, questo articolo che stai leggendo. Reputavo cosa indegna starmene in silenzio per conservare la mia vita in questa ardente battaglia combattuta dalle due schiere dei filo-semiti e degli anti-giudaici, ciascuna delle quali afferma che la verità combatte dalla propria parte, quando io ben sapevo presso quale dei due campi si trovasse. Qualunque cosa mi possa accadere per quanto ho scritto la sopporterò volentieri, essendo pronto a dare la mia stessa vita per render testimonianza alla verità (Gv 18, 37).
 
Sopra: ecco un esempio contemporaneo dell'odio anticristiano dettato dal Talmud che ancora oggi regna in Israele. Durante lo show The History Program of Toffee the Gorilla, mandato in onda dalla televisione israeliana nel 2011 (*), una ragazza in bikini parla con Toffee il Gorilla (un pupazzo animato) della storia di Israele dai tempi antichi ai nostri giorni e dice: «Oggi parleremo della crocifissione di Gesù. Hai mai sentito parlare di lui? Gesù era un nemico del popolo ebraico. Egli tentò di convertirci al cristianesimo. Anche se esistono dei buoni cristiani, per l'ebreo questo è un terribile pericolo, una minaccia alla pace del popolo ebraico. Non sai cos'è l'assimilazione? Essa significa essere mescolati (fucked up)con i goym, una cosa che né tu né io ovviamente desideriamo. Risponde Toffee: «Voglio che i miei bambini possano mangiare il Toblerone e diventino anche loro goym. Sono stufo di essere Toffee»! [...]. Risponde la ragazza: «Va bene, mio caro, se ami così tanto Gesù devi interpretare Gesù. Sono Giuda Iscariota. Giacché tu vuoi diventare un goi ti crocifiggerò! Come osi predicare agli innocenti ebrei»? La ragazza inchioda Toffee il Gorilla ad una croce. Mentre il pupazzo ripete la frase di Cristo «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato»?, dice la ragazza: «Tu sei un nazista, Gesù, tu sei un nazista»! Mentre il povero gorilla strilla per il dolore, la ragazza ride e lo prende a martellate nel muso. Se una qualsiasi rete televisiva europea si fosse azzardata a mettere in scena uno spettacolo del genere, ma la cui vittima sfosse stato un personaggio ebraico, sarebbe scoppiato il putiferio. I responsabili sarebbero stati immediatamente destituiti e il direttore di quella emittente avrebbe dovuto recarsi in pellegrinaggio al più vicino museo dell'Olocausto chiedendo mille volte scusa per l'oltraggio. Naturalmente, nessun membro della Gerarchia cattolica ha reclamato per questo spettacolo blasfemo...
 
(*) Il video è disponibile alla pagina web
 
ç prima parte
 
 
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NOTE
 
94 Cfr. Sciullin 91 b.
95 Cfr. Sanhedrin 58 b.
96 Cfr. Sciaghigà 15 b.
97 «Gli ebrei celebrano il giorno del sabato mangiando vino, carni, pesci ed ogni genere di delizie a seconda delle proprie forze, riposandosi e astenendosi da ogni fatica e da qualsiasi specie di lavoro che richieda perfino il dover muovere semplicemente un dito, ed evitando ciò che possa stimolarli a compiere un lavoro. In caso di necessità, come ad esempio accendere la stufa d'inverno o appiccare il fuoco ad una candela o spegnerla, riscaldare i cibi al fuoco o mungere, essi si servono dei poveri sempliciotti cristiani in qualità di servi e di serve. Ed è per questo che essi si vantano signori e che i cristiani sono i loro servi dal momento che mentre essi si riposano i cristiani li servono. Sarebbe giusto che i magistrati lo vietassero in modo che nessuno potesse servire gli ebrei né di sabato, né negli altri giorni festivi. Perché davvero in questo modo quelli, circa i lavori manuali nel sabato, stringono il nodo fino alla superstizione; noi invece, così assecondandoli, con la scusa della libertà cristiana, allentiamo troppo questo nodo» (cfr. J. Buxtorf, Synagoga Judaica, cap. XVI, pag. 382).
98 É opportunamente evitato con molta diligenza che i ragazzi ebrei abbiano qualsiasi contatto o che giochino con i fanciulli cristiani, o insieme mangino o bevano, o comunque abbiano con loro qualsiasi forma di comunanza e società. I genitori dipingono tanto orrenda e abominevole la conversazione dei cristiani ai proprî figli che questi, fin dalla culla, concepiscono un odio implacabile contro di loro.
99 Non è dunque l'educazione la vera norma dei giudei quando sembrano tanto amabili nell'onorare i cristiani con umilissimi inchini.
100 Il betdin è un'autorità o un tribunale ebraico.
101 «Poiché si può sospettare che ad esso sia mescolato latte porcino o di altro animale immondo» (cfr. Surenhusius, Misnàh, trattato Aboda zara, § 6).
102 «Giacchè si può sospettare che esso possa essere impastato con acqua nella quale sia stata messa carne salata» (ibid.).
103 Trattasi appunto di un sifone a doppia canna, una delle quali è immersa nel vino che si vuol travasare, e l'altra nella botte nella quale dev'essere travasato.
104 Tutto il vino, si intende, contenuto nell'una e nell'altra botte.
105 Perché tale è il tempo che occorre per preparare i sacrifici.
106 Perché l'idolatra, a causa del guadagno e dell'opportunità che gli deriva da un simile affare, può nel giorno festivo dedicarsi con maggiore applicazione ad onorare il suo falso dio.
107 La parola calles significa anche «deridere» o «illudere».
108 Cfr. Iore dea, 139, 15 Agà.
109 Cfr. G. E. Edzard, op. cit.
110 E non come vorrebbe Rabbi Ismael tre giorni prima e tre giorni dopo la festività.
111 Cioè di quegli idolatri che si allontanano da noi e venerano il loro falso dio in dipendenza della comunità che hanno con noi; e non degli idolatri in senso lato che soltanto genericamente onorano gli idoli.
112 Rabbi Tam è uno degli autori delle Tosefot, morto nel 1170.
113 Nelle altre edizioni dello Sciulscian aruc invece di nocrit è scritto cutit (ed. di Stettino) e ismaelit (Ed. di Cracovia). Nell'edizione di Vilnius tutta la frase «e procura al fanciullo una cattiva indole» è omessa.
114 Non si tratta qui della barba, quanto del taglio dei capelli, poiché l'ebreo che si rade la barba commette cinque peccati per le sue cinque estremità (cfr. M. Maimonide, Ilcot acum, XII, 5).
115 Ossia non dirai nulla che torni a loro lode.
116 «Poiché ciò darebbe occasione di aderire a loro e dare un significato alla loro cattiva natura» (cfr. M. Maimonide, Ilcot acum, X, 5).
117 Es 23, 13.
118 Cfr. J. J. Buxtorf, Synagoga Judaica; in questa opera ci sono molti riferimenti ai nomi ignominiosi dati alle cose cristiane.
119 «Queste parole fraudolenti e blasfeme designano Gesù Cristo, e poiché essi le pronunciano con bocca sacrilega, usano sputare per terra» (cfr. J. Buxtorf, Synagoga Judaica, cap. X, pag. 17; vedi anche questo libro alle pagg. 8-10).
120 «Qui maliziosamente sembra che essi traducano "cristiani" con "aboda zara" e intendano Gesù, il dio altrui, quasi che si alludesse al Suo nome con queste parole: "Iesciavveu veèn moscia"» (cfr. J. Buxtorf, Lexicon Chaldaicum, pag. 902).
121 Cfr. Maiene aiesciua 66 b.
122 Fin qui Abrabanel. Ciò è confermato anche da quello che ho osservato io stesso nel manoscritto Aruc, nel passo dove sotto la parola netser sono poste queste parole: «"Netser" è anche quel maledetto "Notseri", oppure "Netser" che viene chiamato il Nazareno maledetto» (cfr. J. Buxtorf, Lexicon Chaldaicum).
123 «Un tempo, questa parola aveva un significato osceno, come per i tedeschi lo ha il vocabolo "dreck" ("sterco")» (cfr. J. Buxtorf, Lexicon Chaldaicum).
124 «Cinedo» (dal greco kinaidos) significa «giovane vizioso».
125 Fol. 13 b.
126 Che veramente i gentili defecano dinanzi al loro dio in suo onore, lo insegna Rabbi Iarci al nº 25, 3: «Aprono l'ano dinanzi a lui e lasciano uscire lo sterco. Questo è il modo di adorare l'idolo».
127 Es 22, 19.
128 Dt 14, 21.
129 Cfr. Aboda zara, 20 a.
130 Cfr. A. Rohling, op. cit., pag. 20.
131 Dt 22, 3.
132 Lo stesso si dice nel Baba cama 9 b. e 113 b., Rabbi Besciai 112 a., ecc... «Nel libro Tseror Ammor - fascicolo della mirra, scritto circa nel 1510 - è insegnato espressamente come, secondo il Talmud gerosolimitano, si può restituire al cristiano quello che è suo per santificare il nome di Dio e per conservare lo stato di pace» (cfr. J. Buxtorf, Lexicon Chaldaicum).
133 Il giudeo è libero di riparare i danni fatti ad un cristiano dai suoi animali e non il contrario (cfr. Scioscen ammispat 406, 1).
134 L'edizione di Amsterdam ha quarantadue fogli. Questo passo si trova nel 4° foglio. Il suo vero significato è questo: «Rispose Rabbi Iosciac a Rabbi Caana: "Caro maestro, ti confuterò servendomi della tua stessa dimostrazione, e poiché dopo ciò che tu hai riferito, segue immediatamente nel testo sacro: "Affinché offrano cose di grato odore al Dio del cielo e preghino per la vita del Re (Ciro) e dei suoi figli"». Dunque, vedi che non vi era pietà, ma soltanto perché esso stesso e i suoi figli avessero fortuna e vivessero molto a lungo, egli usò questa indulgenza verso gli ebrei.
135 Per gli ebrei, la parola sciomed significa comunemente «battesimo». Mesciummad vuole invece dire «ebreo apostata battezzato».
136 Si riferisce alla madre del mamzer.
137 Cfr. A. Rohling, op. cit., pag. 14.
138 Pro 24, 6.
139 Gn 27, 1-46. Per il verbo «battezzare» essi adoperano la voce ibrida smaden. Da cui la loro sacrosanta formula di asseverazione che io stesso con i miei orecchi ho udito proferire da questi impostori: «Mi voglio far battezzare se questo non è vero» (cfr. J. C. Wagenseil, op. cit., pag. 959; J. Buxtorf, Lexicon Chaldaicum).
140 Cfr. Ilcot acum, 10, 2.
141 Dt 7, 2.
142 Nel codice questa parola è scritta con le lettere trasposte in modo da formare mesorot che significa «perverso», «turpe».
143 Si riferisce al passo dove si dice di non precipitare nel pozzo il goi.
144 Cfr. J. Ecker, op. cit., nella legge 50, pag. 35.
145 I cui notissimi seguaci erano i sadducei.
146 Creatore, come il precedente, di una sètta religiosa avversa agli israeliti.
147 Cioè la romana. Le tre precedenti sono l'egiziana, l'assira e la babilonese.
148 Cfr. J. Buxtorf, Synagoga Judaica, cap. X, pag. 212.
149 Cfr. J. Buxtorf, Lexicon Chaldaicum.
150 Is 34, 1.
151 Nei libri degli ebrei si trovano numerosissimi riferimenti circa l'origine di Roma e il suo avvenire che ho reputato non inutile qui trascrivere. Si legge nel Sanhedrin 21 b. sull'origine della città madre dell'orbe cristiano: «Nell'ora in cui Salomone sposò la figlia del Faraone, discese Gabriele ed immerse una canna nel mare, e vi fece arrivare intorno (attrasse) il fango, sul quale fu edificata la grande città che è Roma». Nello Sciabbat 56 b. si leggono le stesse cose, e più avanti è scritto: .«Nel giorno in cui Geroboamo introdusse i due vitelli, l'uno in Betel, l'altro in Dan, fu costruita una capanna che è l'Italia di Grecia, cioè Roma, poiché nel trattato Meghillà, cap. I, si legge: "L'Italia di Grecia è la grande città di Roma"». Altrettanto si legge nel Talmud di Gerusalemme, trattato Aboda zara, cap. I: «Nel giorno in cui Geroboamo innalzò i due vitelli, vennero Remo e Romolo e costruirono due capanne in Roma, ecc...». La stessa favola si può leggere più completa e ricca di maggiori circostanze nella Medrasc' rabba del Cantico dei Cantici, I, 6, fol. 93: «Disse Rabbi Levi: "Nel giorno in cui re Salomone sposò la figlia del Faraone Nescio, discese dal cielo il grande principe Michele e immerse una canna nel mare acciocché la creta e il fango salissero da ogni parte e vi aderissero e formassero un luogo che poi divenne selva: e fu quello il luogo sul quale fu edificata la città di Roma. Poiché quando Geroboamo di Nebat innalzò i due vitelli d'oro, furono costruite in Roma due capanne le quali caddero subito, e di nuovo costruite, ricaddero al suolo. Era presente un vecchio che aveva nome Abba Colon, il quale disse a coloro che avevano costruito le capanne: "Se voi non porterete qui acqua raccolta dal fiume Eufrate e non mescolerete quest'acqua con questa terra, e con questo miscuglio edificherete le due capanne, queste non si reggeranno mai". Risposero quelli: "E chi mai ci potrà fornire quest'acqua"? "Io"! rispose Abba Colon. Partito dunque Abba Colon, fece come fà il vinaio, che per vendere il vino va da un luogo all'altro, e così, da una città all'altra, giunse finalmente all'Eufrate, raccolse l'acqua, e la portò a quei due, i quali mescolata che l'ebbero col loro fango, edificarono di nuovo le due capanne le quali finalmente rimasero in piedi. Da allora ebbe origine il proverbio: "Ogni provincia nella quale non è Abba Colon non merita di essere chiamata provincia". E chiamarono quel luogo Roma Babilonia"». Proprio così. E perché nessuno abbia dubbi che queste cose siano dette a proposito di Roma, alle parole «luogo di Roma» nota il glossatore: «Il luogo nel quale fu costruita Roma che affligge Israele». Scrive Rabbi Besciai nel Cad acchemasc', alla lettera ghimel, nel capitolo 17 d. dell'edizione di Cracovia: «E quello sale sopra il fuoco» (Lv 6, 2). Ed è l'empio regno romano che insuperbisce e si distrugge, e la sua fine sarà quella di essere condannato al fuoco, così come è detto: “Ed essa sale sopra il fuoco”» (Lv 6). Rabbi Salomone, nel commentare l'ultimo verso dell'Obadia «e saliranno i salvatori sul monte Sion a condannare il monte di Esaù, e sarà il regno di Dio», così scrive: «Ciò ti insegna che il suo regno non è perfetto fino a quando non avrà fatto vendetta del monte di Esaù, cioè, secondo il Parafraste caldeo, "la grande città d'Esaù" che è Roma». Lo stesso dice nel commentare le parole «percuoti il Pastore e le pecore saranno disperse» (Zc 13, 7): «"Il Pastore", cioè il Re dell'empia Roma o dell'improbo impero romano». Rabbi Abram, nel libro Tseror ammor commenta il passo «al tempo in cui vacillerà il loro piede» (Dt 32, 35) con queste parole: «Quando vacillerà il loro puntello e il loro fondamento che è l'empia Roma». Può bastare? Essi sperano che lo stesso Liberatore del loro popolo uscirà da questa città. Rabbi Besciai nella lettera nun, del libro Cad acchemasc', verso la fine scrive: «Così verrai a sapere a proposito dell'ultimo Salvatore, che presto apparirà ai nostri giorni; egli uscirà dalla metropoli di Roma e sarà il suo distruttore». E che il falso messia atteso dagli ebrei risieda nella città di Roma appare chiaro nel Sanhedrin 98 a, nella parte che tratta del Messia, nella quale si chiede dove sia il Messia e si risponde che egli è nella città di Roma. E come riconoscerlo? «Egli siede fra gli ulcerati di Roma», ossia fra i lebbrosi. Lezione questa che si trova nell'Aruc, mentre oggi invece nel Talmud si legge: «Egli siede fra i poveri che sono malati» (cfr. J. Buxtorf, Lexicon Chaldaicum). Cosa significhino tutte queste cose che predicono la distruzione dell'empia Roma e quali siano quelli che essi designano dopo la distruzione dell'impero romano, specialmente in tempi nei quali non era rimasto neanche il nome di questo impero, lascio al criterio di chi sa giudicare.
152 Nell'edizione veneziana, come nel Talmud, è scritto: «Il migliore fra i cristiani...». Nell'edizione di Basilea, peraltro, non appare affatto.
153 Questo nome può essere maliziosamente letto notsrim, nome che designa i cristiani, mediante la sostituzione di una lettera con altre due messe una accanto all'altra. Non mancano esempi nei quali i cristiani sono nominati chiaramente. Scrive George Elia Edzard: «Iarci, in Es 14, 7, dell'edizione di Amsterdam, sostituisce al testo questa frase audace: "Il migliore fra i cristiani dev'essere ucciso"».
154 Dt 7, 2.
155 «Che gli ebrei dirigano queste preghiere anche contro il magistrato cristiano ce lo dice Rabbi Besciai, il quale così scrive, a proposito di questa specie di preghiera, nel Cad Aachemach f. 80 a: "Composero e diressero questa preghiera contro gli eretici e in sterminio di quell'empio impero, cioè dell'impero romano e di tutti i magistrati cristiani che dominano sugli ebrei"» (cfr. J. Buxtorf, Synagoga Judaica, cap. X, pag. 212).
156 Orémus et pro pérfidis Judæis: ut Deus et Dòminus noster aùferat velàmen de còrdibus eorum; ut et ipsi agnòscant Jesum Christum Dòminum nostrum. Omnìpotens sempitérne Deus, qui étiam judàicam perfidiam a tua misericòrdia non repéllis: exaùdi preces nostras, quas pro illìus pòpuli obcæcatiòne deférimus: ut, àgnita veritàtis tuæ luce, quæ Christus est, a suis ténebris eruàntur. Per eùndem Dòminum nostrum. Amen.
 
 
 

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