La costituzione pastorale “Gaudium et spes” è senza dubbio il documento conciliare che suscita maggior dibattito tra i partigiani e i critici del Vaticano II. La Strega pubblica un’interessate riflessione dell’amico Gianluca Lizza, ringraziandolo per la preziosa collaborazione.
di Gianluca Lizza
GaudiumEtSpesCome tutti sappiamo il 22 dicembre del 2005 papa Benedetto XVI, nel discorso pre-natalizio alla curia romana, ha spiegato con chiarezza a tutto il mondo cattolico qual è la corretta comprensione del Concilio Vaticano II e la retta interpretazione dei testi conciliari. Il pontefice ha formulato il concetto di «ermeneutica della continuità» con la Tradizione, ovvero i testi del concilio vanno letti ed interpretati alla luce dell’ intero ed ininterrotto bagaglio dottrinale tradizionale e del magistero ecclesiale precedente il concilio senza che possano esservi contraddizioni tra loro. Uno dei documenti più dibattuti e discussi dell’assise conciliare è stata la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, la quale presenta alcuni passi equivoci che sembrano essere in rottura con la Tradizione.
Fatta questa premessa necessaria, vorrei lasciare un commento su due passi che esprimono, o meglio sembrano farlo, questa discontinuità, seguendo l’impostazione corretta che ci lascia un altro grande teologo della “Scuola Romana”, monsignor Brunero Gherardini. «Il Vaticano II si autoqualificò come concilio pastorale, fu privo di un carattere dottrinale definitorio. Le sue dottrine non riconducibili a precedenti definizioni non sono né infallibili né irriformabili, e dunque, nemmeno vincolanti».
I passi in questione sono:
  • (GS 14) «Secundum Credentium et non credentium fere concordem sententiam omnia quae in terra sunt ad hominem tamquam ad centrum suum et culmen ordinanda sunt (Per consenso generale di credenti e non credenti tutte le cose del mondo si devono ordinare all’uomo come alla loro cima e al loro centro)»;
  • (GS 24) «Hominem, qui in terris sola creatura est quam Deus propter seipsam voluerit (l’uomo è nel mondo la sola creatura che Dio abbia voluta per se stessa)».
Leggendo possiamo rintracciare una visione fortemente antropocentrica, in cui tutto il creato è fatto per l’uomo pensato come fine in sé e assoluto. L’antropocentrismo è quella concezione che vede l’uomo al centro della realtà intera, come valore di fondo e punto di confluenza di tutto ciò che esiste, questa visione assume l’uomo come misura di tutta la realtà, come punto focale fine ultimo per se stesso.
Queste affermazioni imbevute di un spirito moderno immanentista, possono essere legittimamente criticate e possiamo constatare che non hanno nessun fondamento teologico e filosofico specialmente se guardiamo alla metafisica tomista. L’antropocentrismo e la centralità finalistica dell’uomo nel creato è smentita da quanto afferma San Tommaso d’Aquino in quella che è la pietra miliare della teologia cattolica, la Summa Theologiae.
Sic Igitur Deus Vult se et alia: sed ut finem,alia ad finem [Dio vuole le cose finite in quanto vuole se stesso creante le cose finite] (Summa Theol.I,q. 19, a. 2.).
Questa frase della Summa Theologica può sembrare di non facile comprensione, ma in realtà ci aiuta a capire benissimo che l’antropocentrismo oggi dominante nel mondo cattolico post-conciliare e che sembra caratterizzare questi passi sopracitati di Gaudium et Spes, è conforme alla cultura contemporanea, a quell’immanentismo che caratterizza il pensiero moderno e non ha nessun fondamento all’interno della dottrina teologica e nel magistero tradizionale della Chiesa cattolica. Inoltre ripugna anche alla sana filosofia della quale la metafisica tomista ne è la massima espressione.
Nessuna creatura, neanche l’uomo è per se stessa, ciò a due significati fondamentali: da un punto di vista metafisico, soltanto Dio è Ens per sé, l’uomo non è fine in sé ma ad aliud, ovvero fine secondario, il quale deve sottomettersi al primato e alla signoria di Dio, fine ultimo e universale della creazione.
Solo Dio è l’Ipsum esse subsistens, l’essere per sé sussistente, tutte le creature e l’uomo compreso ricevono l’essere da Dio e partecipano all’essere. Da un punto di vista teleologico poi, tutto il creato tra cui l’ uomo è ordinato a Dio che è il fine ultimo di tutto, il bene sommo a cui tutto tende. L’assurdo consiste anche nel fatto che se Dio crea per qualcuno e per qualcosa al di fuori di sé, o gli è soggetto o gli si assoggetta, ma questo ripugna alla natura di Dio.
L’uomo invece è proprio un ente creato che, in quanto dotato d’intelletto, può ricondurre a Dio la conoscenza razionale partendo dalle creature, tramite il principio di causalità, ovvero i rapporti causa ed effetto che caratterizzano la realtà, da ciò si può riconoscere la dipendenza radicale dell’essere umano da Dio. Tutto questo è possibile ad ogni uomo, pur non essendo tutti professori esperti di metafisica e neanche essendo tutti dotati di una buona conoscenza metafisica, questa possibilità è aperta a tutti. Dunque tutte le cose create rispetto a Dio sono fini secondari e strumenti per giungere a Dio stesso, se qualcuno può pensare che questo sia contro l’uomo e ne svilisca la propria dignità, non tiene conto che il valore dell’essere umano e la sua dignità dipendono proprio da questa stupenda relazione che si ha con Dio
Le cose finite che caratterizzano il creato, tra cui l’uomo, Dio le vuole per se stesso e non per se stesse, perché il finito non può essere il fine primario dell’infinito che è Dio. Per essere più chiari le cose finite non sono create da Dio perché amabili in sé, ma sono amabili perché volute da Dio con la loro amabilità. L’antropocentrismo pensa all’uomo come fine per sé e così cancella la finalità teocentrica insita nell’essere umano. Le conseguenze più radicali sono state la completa autonomia del creato e dell’uomo da Dio, che ha prodotto la secolarizzazione nelle nostre società e anche in molte parti nella Chiesa cattolica. Invece tutto ciò che è stato creato non sussiste da sé, ma tutto dipende e tende al suo fine supremo al sommo bene che è Dio.
San Tommaso d’ Aquino direbbe: tutto è mosso da Dio a muoversi da sé.
L’antropocentrismo ha, nel tempo, prodotto l’idea che i valori e la legge morale siano presenti per sé nell’uomo e non abbiano più un fondamento in Dio stesso. A partire da ciò, si è instaurato nella nostra società, e in molte parti del mondo cattolico, il soggettivismo e il relativismo, contro cui Benedetto XVI nel suo pontificato si è battuto strenuamente.
Secondo uno sguardo teocentrico, per cui Dio ha creato l’uomo per Dio stesso, possiamo dire che l’amore per il prossimo ha il proprio motivo nell’amore di Dio, che l’uomo ha si una dignità e dei diritti, ma che questi trovano un solido fondamento in Dio stesso e che essendo Dio il centro, il fine ultimo e bene sommo a cui tendere, l’uomo ha dei doveri verso il suo creatore. Solo così si potrà avere una visione dell’uomo che sia alternativa e un antidoto al soggettivismo e al relativismo oggi imperanti. La dignità umana, i sacrosanti diritti che ogni uomo possiede e il precetto di amare il nostro prossimo, sono pur sempre secondi e connessi all’amore per Dio ed ai doveri che abbiamo verso di Lui, come lo stesso Gesù ci insegna con chiarezza. L’amore e i doveri dell’uomo verso Dio rimangono un primo in assoluto, da qui discendono secondariamente i diritti, la dignità dell’essere umano e l’amore per il prossimo. Solo così si potrà avere un autentico umanesimo cristiano, che sia però teocentrico, quindi che abbia per solido fondamento e fine supremo non l’uomo stesso, ma Dio e tutta la verità immutabile ad esso connessa. Solo quello che abbiamo definito “umanesimo teocentrico” rende possibile un’autentica carità che non sia mero umanitarismo, filantropia e solidarismo pauperista, oggi tanto in voga.
Se amiamo l’uomo, lo amiamo non per se stesso, ma proprio perché è immagine e somiglianza di Dio, e perché ogni uomo è amato da Dio. Si ama quella volontà divina che ama l’uomo, cioè sia ama Dio stesso. Se quindi c’è l’ amore per Dio, si ama l’uomo. In assenza di Dio c’è un amore debole, falsato. È impossibile quindi amare l’uomo separatamente dall’amore di Dio o in modo comunque superiore. a Dio stesso.
L’importanza di riaffermare il teocentrismo contro l’antropocentrismo, che ha dominato il mondo cattolico in tutto il post-concilio, è anche al fine di mostrare quella che è l’autentica dimensione della carità. I Padri della Chiesa lo spiegano in modo così mirabile: «Amando Dio, il quale non odia nulla di quanto fece, si ama tutto quello che Dio ama». «L’uomo è cosa di Dio per creazione e per redenzione», è sempre San Tommaso d’Aquino a spiegarlo con queste belle parole. «Eadem caritas est qua diligimus Deum et proximos»: è con la stessa carità che rivolgiamo verso Dio ci rivolgiamo al prossimo.
L’antropocentrismo post-conciliare, presente nei passi equivoci di Gaudium et Spes e caratterizzante la nostra società, stacca la carità umana dal suo fondamento, Dio, la indebolisce di fatto e, come vediamo in certe odierne rivendicazioni, ne fa una dimensione senza sostegno alla sua verità immutabile di Dio. L’antropocentrismo è incompatibile con il cristianesimo e il cattolicesimo. Certamente l’uomo primeggia nell’ordine del creato, ma solo Dio è il centro di tutto, l’ente, il bene sommo, il fine ultimo a cui tutto tende. Nel mondo cattolico odierno si assiste ad una radicale infatuazione antropologica, che non raramente sembra convertirsi in vera adorazione, nel culto dell’uomo, che spesso lascia poco spazio al culto di Dio. Non è cosa da poco.
La cancellazione della prospettiva teocentrica diviene anche quella che è chiamata da tanti la riconciliazione della Chiesa col mondo (da notare che la parola mondo qui va compresa nel senso evangelico del termine). Quante volte sentiamo dire la Chiesa s’era fatta nemica del mondo, ora dobbiamo riconciliare Chiesa e mondo. La verità è che la Chiesa desidera riconciliare a sé il mondo e ricondurre ogni cosa a Dio, fa parte della sua missione, ma alla Chiesa non gli si può chiedere di adattarsi ed, ancor meno, d’uniformarsi ai principi del mondo. come tanti vorrebbero.
Le conseguenze di tali idee, della cultura antropocentrica in generale, sono entrate a pieno titolo in alcune parti consistenti della Chiesa e sono state denunciate con forza da Benedetto XVI: «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido? Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato. Mentre nel passato era possibile riconoscere un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai contenuti della fede e ai valori da essa ispirati, oggi non sembra più essere così in grandi settori della società, a motivo di una profonda crisi di fede, che ha toccato molte persone stanche delle Chiese di Europa e dei provati paesi in cui esse vivono».
Io mi permetto di dire che i cristiani, assecondando il disegno di Dio, sono invece chiamati a testimoniare la logica dell’incarnazione, il Dio fatto uomo e a rimettere Dio al centro di tutto: nella scuola, nella famiglia, nel lavoro, nei quartieri, nella società, nell’economia, nella politica, etc… manifestando quindi la bellezza e la ragionevolezza della fede. La crisi della fede che, secondo Benedetto XVI, può condurre all’eliminazione di Dio rischia di cancellare anche un autentico umanesimo, veramente cristiano, del quale abbiamo già parlato. per fare diventare il tutto mera filantropia umanitaria con tanto buonismo in cui il posto per Dio è tolto dall’orizzonte individuale e sociale. Si giunge così al relativismo e all’affermazione del proprio io fine a se stesso, senza nessun riferimento alcuno a Dio alle sue leggi, innalzando il culto di sé, così l’uomo diventa legge a se stesso e si perde rompendo ogni rapporto ed unione con Dio.
Tra le cause della secolarizzazione e della crescente mondanizzazione nel post-concilio va proprio ricercato questo antropocentrismo che ha finito con l’assorbire il soprannaturale nel naturale e, col tempo, ciò ha cancellato ogni apertura all’orizzonte trascendente e a Dio, fine ultimo, al quale l’uomo deve dirigersi. L’uomo senza Dio finisce per rinchiudersi in se stesso, nell’immanentismo, in un orizzonte prettamente naturale e umano. A partire da ciò, possiamo capire perché molti cattolici nelle parrocchie come alcuni membri del clero siano fortemente immersi nella secolarizzazione. Ciò spiega pure la mondanizzazione così presente dentro la Chiesa
Per capire come nel mondo cattolico siamo giunti a questo antropocentrismo che, nelle sue applicazioni più radicali, a portato alla grave crisi ecclesiale odierna ed a questa lenta secolarizzazione interna al cattolicesimo, a mio parere è necessario parlare della nefasta influenza esercitata dal teologo gesuita Karl Rahner. Il teologo Rahner. o meglio la sua teologia, ha anche infatuato alcuni dei padri conciliari ed è stata il punto di riferimento di gran parte del mondo cattolico durante il post-concilio, tanto da essere annoverato come un vero e proprio Maitres a Penser, facendolo quasi diventare un nuovo Dottore della Chiesa. Questa è stata dunque una delle tante cause che hanno portato allo spirito antropocentrico del post-concilio ed anche a questi passi della Gaudium et Spes quantomeno equivoci. Credo che molti sanno come la teologia rahneriana si fondi sulla “svolta antropologica”, denunciata da padre Cornelio Fabro, che a partire da Kant era stata già attuata nella filosofia. La svolta teolgica rahneriana ha caratterizzato ed ha contribuito a portare il suddetto antropocentrismo nella mentalità di molti settori ecclesiastici ed anche in alcuni padri conciliari di tendenza modernista. Non possiamo qui soffermarci sul pensiero teologico rahneriano, non essendo questo l’argomento che trattato, tuttavia è importante accennare al teologo per capire la genesi dell’antropocentrismo nella “Chiesa post-conciliare” e che quantomeno a portato già nell’assise conciliare definizioni molto equivoche proprio come quelli della Gaudium et Spes. La svolta antropocentrica rahneriana si trova a partire da concetti quali esperienza trascendentale, atematica e pre-concettuale, tutto l’orizzonte teologico e ecclesiale partendo da queste affermazioni ed idee ha finito per mettere al centro di ogni cosa l’uomo e, nel tempo, si è ecclissato Dio dal proprio orizzonte spirituale e di vita.
Si è affermato così nella pratica di molti cattolici una fede fai da te, soggettiva, centrata più sul culto dell’uomo che verso Dio e una “divinizzazione” dell’uomo stesso, che porterà ormai molti, anche tra i cattolici, a professare una religione naturale di stampo panteista. e ad agire soprattutto nello spazio pubblico, ma anche nel privato, Etsi Deus non Daretur (come se Dio non ci fosse), ma senza essere esagerati. Questo potrebbe essere chiamato ateismo pratico.
In questo nuovo orizzonte ne ha risentito anche la cristologia e spesso, da molte parti, sentiamo e constatiamo una nuova ed ambigua concezione dell’Incarnazione. Si sente dire che “con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in un certo modo ad ogni uomo”. Come si giunge ad una simile proposizione, che colpisce per la sua novità nonché per una certa, immediata ambiguità, derivante a prima vista dall’uso dell’avverbio “in un certo modo”? Se Nostro Signore si è unito solo “in certo modo”, dobbiamo intendere quest’unione unicamente in senso simbolico, ovvero morale? E se sì, che cosa vorrebbe dire ciò, che ognuno di noi è stato in certo modo divinizzato.
Karl Rahner e Henri de Lubac
Karl Rahner e Henri de Lubac
Ma c’è di più. Quante volte sentiamo dire: “Cristo svela anche l’uomo a se stesso e gli rivela la sua altissima vocazione”. “Il fine primario di Cristo e della Chiesa è affermare l’uomo, nella sua dignità”. Questa visione prettamente antropocentrica non deriva né dalle Sacre Scritture né dalla perenne Tradizione della Chiesa. Piuttosto si rintracciano queste idee nell’opera teologica Catholicisme del gesuita Henri de Lubac, che ricava un’interpretazione distorta di Gal 1. Come ben spiegato dal cardinale Siri, in Getsemani. queste affermazioni di de Lubac manipolano il Testo Sacro, finendo per annullare la distinzione tra la natura e il soprannaturale, divinizzando in tal modo l’uomo. Quest’idea dello “svelamento dell’uomo a se stesso” tramite Cristo, non come peccatore destinato alla riprovazione eterna se non si redime in Cristo, porta al contrario a concepire l’essere umano come portatore di una dignità intrinseca che prescinde da ogni rapporto con Dio e che ne manifesterebbe “l’altissima vocazione”. Inutile dire le conseguenze su un problema importantissimo quale quello del rapporto tra natura e Grazia. Si annullerà così ogni distinzione tra l’ordine “naturale” e l’ordine “soprannaturale” e si hanno tre orientamenti che minano sin dalle fondamenta il Cristianesimo: l’arianesimo, il pelagianesimo e l’umanesimo integrale. Eresie che caratterizzano questo modo di pensare, questa teologia e cristologia antropocentrica. Tutto l’ordine soprannaturale viene ad essere necessariamente implicato nell’ordine naturale, per cui il dono dell’ordine soprannaturale, della Grazia divina, non sarebbero gratuiti perché sarebbero “debito” alla natura. Esclusa la gratuità dell’ordine soprannaturale , la natura, per lo stesso fatto che esiste, si identificherebbe al soprannaturale, aprendo così il cammino dell’antropocentrismo fondamentale. Questo naturalismo ormai è presente in ogni settore ecclesiastico, nelle varie parrocchie, nel clero sino alle alte gerarchie. Tale errore si spiega come conseguenza di quell’antropocentrismo che nel passo “l’uomo è nel mondo la sola creatura che Dio abbia voluta per se stessa”, è contenuto e che le interpretazioni più radicali sorrette dall’ermeneutica della rottura, dallo “spirito del concilio” al neomodernismo, hanno portato nella Chiesa.
Quindi possiamo concludere, alla luce di ciò che abbiamo scritto, che l’antropocentrismo è incompatibile con il cattolicesimo e, in generale, con il cristianesimo. Per uscire dalla grave crisi del mondo contemporaneo occorre proporre nuovamente che il centro di tutto è Dio. Partendo da qui potremmo affermare la dignità dell’essere umano e potremo dire giustamente che nell’ordine creato e tra le creature l’uomo sì primeggia, ma è sempre secondo a Dio che rimane il primo in assoluto, il centro ed il fine ultimo di tutto. Il mondo è creato ed è stato fatto per Dio stesso. Da questo si può discendere un vera cristologia, che affermi con forza questa verità elementare: il fine primo di Cristo, della sua passione, fu soddisfare alla divina giustizia per l’offesa fatta dall’uomo e restaurare l’ordine e l’onore perfetto per Dio. Questo è il fine primario, quello secondario naturalmente tocca l’essere umano, la salvezza dell’anima, avuta proprio per il titolo acquistato da Cristo presso il Padre. Per tale soddisfazione Cristo divenne Signore del genere umano e di questa signoria si valse per salvare l’uomo. Il cristianesimo mostra proprio come il sacrificio, che nella messa si riattualizza, è offerto al Padre, tutto ed anche la liturgia stessa è pienamente teocentrica. San Bonaventura dice di Cristo: «Assumptio humanae naturae plus fecit ad perfectionem universi quam angelicae». Conferma il beato Rosmini che «il fine della redenzione è raggiunto qualunque sia il numero dei salvati essendo in qualunque numero riparata dal Cristo l’offesa fatta al Padre». Per il cristianesimo quindi non c’è spazio per una filantropia prettamente umanistica, tutto a come centro e fine primario Dio, l’uomo quindi non è una creatura voluta da Dio per se stessa ma per se stesso.