martedì 16 aprile 2013

"Credo la Chiesa «Una»" - Riflessioni in merito al concetto di piena e non piena comunione...



Don Davide Pagliarani
È ormai nel vocabolario comune l’espressione di “comunità cristiane” in “non piena comunione” con la Chiesa e attraverso questo concetto vengono giustificate le innumerevoli iniziative ecumeniche a cui assistiamo. Ma esaminandolo alla luce della dottrina tradizionale, ci accorgiamo che esso è incompatibile con la natura stessa della Chiesa.

Tra gli elementi più significativi introdotti dall’ecclesiologia del Concilio Vaticano II vi è, com’è noto, una nozione “analogica” del concetto di comunione con la Chiesa; ci riferiamo a quella concezione che ammette la possibilità di unione con la Chiesa Cattolica a vari gradi o livelli: si avranno così una piena comunione e una non piena comunione, il che poi, se traiamo le più logiche conseguenze di questo principio, può essere declinato in mille modi: una comunione imperfetta, una comunione “ai margini”, una comunione crescente, una comunione virtualmente esistente, etc…
Questo elemento, lungi dal rivestire un interesse puramente accademico, è in realtà indispensabile per assicurare dinamismo al movimento ecumenico e soprattutto per dare un fondamento ecclesiologico alle convergenze(1) su cui esso si fonda e che intende stimolare: siamo persuasi che proprio in questo punto si trovi principalmente l’elemento dottrinale più necessario e funzionale a tale scopo. Infatti tutti gli elementi cristiani presenti nelle false chiese (la definizione è ovviamente incompatibile con la nuova ecclesiologia) vengono presentati come un richiamo all’unità di cui la Chiesa Cattolica avrebbe la pienezza. In questo senso essi sarebbero già operanti e in qualche modo si delineerebbero già positivamente come fondamento di una certa unità: la comunione è già presente anche se non è ancora piena; è la non piena comunione, ma comunque comunione.
Per fare un esempio, in questa prospettiva il sacramento del battesimo amministrato nelle chiese luterane o la fede in Cristo Salvatore, essendo materialmente elementi comuni con il Cattolicesimo, sarebbero già fondamento di una certa unità in nome della quale si può già pregare insieme o si possono organizzare incontri ecumenici.
Notiamo, per il momento, che in questo dinamismo non c’è spazio per la conversione, ma solo per una presunta convergenza comune che deve essere stimolata  sempre più per ricostruire l’Unità originaria distrutta dal peccato di tutti.
Notiamo pure – con un pizzico di comprensibile ironia – che gli stessi “lefebvriani” sarebbero in questo stato di non piena comunione con la Chiesa, ma comunque in comunione.
In realtà per essere fedele alla Tradizione costante della Chiesa, un “lefebvriano” come ogni cattolico si vede costretto a rifiutare l’impiego di questa nozione. La comunione con la Chiesa Cattolica è per natura una realtà univoca e indeclinabile: o si è in comunione o non lo si è. O si appartiene alla Chiesa o non vi si appartiene. Nelle riflessioni che seguono cercheremo di illustrare perché.

Il nuovo orientamento ecclesiologico
 
Prima di entrare nel vivo delle nostre considerazioni, ci sembra opportuno spendere una ulteriore parola sull’attuale orientamento ecclesiologico circa questo punto cruciale.
Si tenga ben presente che l’analisi della teologia contemporanea del fenomeno delle divisioni tra cristiani si basa su criteri prettamente storicistici e naturalisti. Le separazioni sarebbero frutto di gelosie, di litigi, di capricci, di peccato, di cui tutti i cristiani si sarebbero macchiati nel corso dei secoli. Di conseguenza il movimento ecumenico vorrebbe ricomporre l’Unità proprio ripartendo da un’autentica purificazione
della memoria per cancellare le vestigia del peccato che ancora permangono. Di questo peccato si sarebbe macchiata in qualche modo anche la Chiesa Cattolica al pari degli altri: questo primo elemento ci fornisce già un’utile chiave di lettura per i clamorosi meaculpismi  di cui siamo stati spettatori negli ultimi anni, in cui è l’istituzione ad essere stata coinvolta e colpevolizzata.
Diciamo subito che questo status quaestionis è inaccettabile e soprattutto presuppone una nozione di Unità che non è cattolica. Il peccato contro l’Unità è un peccato contro la Chiesa Cattolica ed è inammissibile che Questa sia, più o meno direttamente, trascinata sul banco degli imputati allorché non è altro che l’unica vittima di tutti gli scismi e di tutte le divisioni tra cristiani che la Storia ha conosciuto. Il vero peccato di cui bisogna purificarsi per rientrare nell’Unità si chiama “scisma” e per definizione si tratta di un peccato che non può essere stato compiuto dalla Chiesa(2) né da chi resta membro della Chiesa, poiché nel momento in cui è commesso vi è separazione dalla Chiesa stessa. È il peccato di separazione dei “fratelli separati” e, necessariamente, non può essere che loro (3).
Non dimentichiamo che il movimento ecumenico nasce e si sviluppa in ambiente protestante, ben prima del Concilio; averne accettato le regole del gioco, proprio a partire dal Concilio, presuppone un inammissibile disprezzo per la Chiesa del passato, considerata in qualche modo colpevole, e per l’opera generosa di schiere di Papi e di Santi che si sono prodigati per richiamare all’unico ovile i “fratelli separati”, attraverso la riconversione al Cattolicesimo.
Notiamo pure che in questo contesto la nozione classica di “scisma” perde in pratica il suo significato tradizionale; il peccato contro l’Unità della Chiesa diventa piuttosto il peccato di chi rifiuta l’ecumenismo e la tipologia di ricomposizione che esso propone: questa ricomposizione però tende ad una forma di unità assurda e improponibile alla coscienza cattolica.
È assolutamente insostenibile il principio che l’Unità debba essere ricomposta: è doveroso invece compiere ogni sforzo per riaccogliere i “separati” nell’Unità che la Chiesa non ha mai perso e non perderà mai.
– 1 –
La Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo

Innanzitutto non dobbiamo dimenticare che la peculiarità della Chiesa è di essere una società essenzialmente soprannaturale in cui si incontrano e si armonizzano l’elemento umano e l’elemento d’origine divina. Questo presuppone, nella questione che ci occupa, dei criteri di valutazione diversi da quelli comunemente utilizzati nell’esaminare una società puramente naturale.
Per ben impostare il problema dobbiamo quindi focalizzare l’attenzione sul fatto che la Chiesa è, nella Storia e attraverso la Storia, la continuazione dell’opera dell’Incarnazione, senza la quale Essa sarebbe impensabile. Poiché il Verbo ha assunto una natura umana completa ed ha unito in modo perfetto nella Sua persona le due nature umana e divina, la continuazione nel tempo di questa opera si realizza nell’istituzione che Egli ha fondato e che lo rappresenta ad un titolo unico ed esclusivo, nella quale – e solo nella quale – gli uomini trovano e assumono tutti quegli elementi soprannaturali necessari alla loro santificazione e alla loro incorporazione a Cristo stesso, del cui Corpo Mistico diventano membri attraverso il Battesimo.
Una volta incorporati a Cristo, gli uomini, pur rimanendo tali, sono rivestiti della grazia e dei doni dello Spirito Santo, cioè di elementi prettamente soprannaturali: in questo senso la Chiesa è la continuazione dell’Incarnazione nella Storia.
Soprattutto dobbiamo notare come l’unione delle due nature nella Persona del Verbo rappresenti ciò che di più unico, inseparabile e indivisibile potesse essere realizzato e questo per una ragione ben precisa. La persona infatti è “l’irripetibile”, per usare un termine caro alla stessa filosofia moderna. Questo significa che non può esistere una unità più  una della persona stessa, ulteriore ad essa, in quanto nella persona è raggiunto l’apogeo dell’unità. Questa unicità è talmente assoluta che ogni persona rappresenta una realtà unica, perfetta e completa. Se possono esistere nel creato più gatti o più cavalli, esiste un solo Giulio Cesare o un solo Roberto Bellarmino: la persona è quindi un unicum irripetibile e incomunicabile.
Di conseguenza una persona che fosse divisa nelle parti essenziali che la compongono, come l’anima e il corpo, o che per assurdo fosse ripetuta, come se ci fossero due Giulii Cesari, cesserebbe semplicemente di essere persona.
Ma se questo è vero di una persona umana, quanto più questo è vero di una persona divina e – analogicamente – del suo Corpo Mistico(4) che ne continua la missione nei secoli?
Di conseguenza e per analogia, le membra di questo Corpo il cui Capo è Nostro Signore, non possono essere attaccate parzialmente alla testa: o esse sono parte integrante del corpo o non sono più parte del corpo in nessun modo; o esse esistono nel suo Corpo Mistico Perfetto o esse non possono esistere altrove, come se fossero sue membra imperfettamente unite.
Lo constatiamo nella realtà: per un membro non esiste uno stato intermedio in cui esso allo stesso tempo appartiene e non appartiene al nostro corpo; questo deve essere assolutamente ammesso, pena la perdita o la diminuzione di quella perfezione assoluta e intrinseca della Chiesa che si chiama Unità: la comunione con la Chiesa è una sola, perché se l’Unità della Chiesa potesse essere declinata in modalità imperfette cesserebbe semplicemente di essere Unità.
Infatti ciò che per essenza e per definizione è perfetto – e quindi unico e assoluto – non sussisterebbe più, cioè cesserebbe di esistere, nel momento in cui gli venisse meno la perfezione unica ed inamissibile che lo specifica e lo caratterizza: in tale caso incomincerebbe ad essere un’altra cosa, con altre caratteristiche (5).

I precedenti storici

L’ecclesiologia contemporanea a cui facciamo riferimento è decisamente nuova. Tuttavia la radice dell’errore che vi soggiace non è per nulla nuova e storicamente ha coinciso con la più grande disputa cristologica che la Storia abbia conosciuto. Infatti sin dai primi secoli dell’era cristiana il demonio ha cercato di attentare al dogma fondamentale espressione della verità fondamentale attraverso cui è stato sconfitto: l’Incarnazione, ovvero l’unione delle due nature nella Persona del Verbo. Questo duello storico, che ha conosciuto mille diversificazioni e traversie, ha raggiunto il suo apogeo nello scontro tra san Cirillo di Alessandria e Nestorio nel quinto secolo.
Non ci deve quindi stupire se l’Unità, quale prerogativa unica e inderogabile della Chiesa Cattolica, Corpo Mistico del Verbo Incarnato, sia oggi il dogma più attaccato e offuscato dalle nuove concezioni ecclesiologiche. Come nel quinto secolo fu attaccata l’Unità nella Persona del Verbo, così oggi essa è attaccata nella Sua Chiesa.

La conversione non è un risultato aritmetico

Prima di procedere oltre, intendiamo precisare che le nostre considerazioni hanno per oggetto i  gruppi cristiani non cattolici, ai quali viene riconosciuta una qualche ecclesialità o comunque uno statuto legittimo di comunità costituita; restando quindi su un piano strettamente ecclesiologico, non entriamo in considerazioni legate ai personali percorsi di conversione che possono aver luogo nell’uno o nell’altro individuo appartenente a una di queste comunità (6).
Inoltre intendiamo fare chiarezza su di un punto che toccheremo ancora nel corso delle nostre riflessioni: si tratta dei numerosi elementi comuni che il cattolicesimo ha con le differenti confessioni cristiane. È innegabile ad esempio che la Chiesa abbia molto in comune con gli ortodossi e di conseguenza sembrerebbe evidente una non piena ma significativa comunione ecclesiale(7). Come primo e fondamentale elemento di risposta teniamo presente che questa comunanza si basa unicamente sulla presenza di elementi comuni considerati nella loro materialità; le nostre riflessioni invece intendono evidenziare il valore formale di questi elementi in relazione alla Chiesa e alla sua particolare natura.
La portata di questa distinzione può essere evidenziata con un esempio concreto: non è affatto scontato che chi ha in comune, a livello materiale, un gran numero di elementi con la Chiesa cattolica si converta più facilmente e più rapidamente di chi invece ne è privo. Ad esempio un non cristiano potrebbe convertirsi più facilmente di un ortodosso, benché quest’ultimo abbia certamente “in comune” con la Chiesa molto di più. Anzi, si può forse affermare il contrario: chi ha poco o nulla in comune con la Chiesa può convertirsi più facilmente di chi, in teoria, con il cattolicesimo condivide quasi tutto, ma ha quella pregiudiziale ostilità verso la Chiesa tipica di chi si è macchiato del peccato di scisma.
E la Storia è lì a dimostrarlo: nell’ultimo millennio la Chiesa è riuscita a convertire milioni di pagani, mentre il numero di riconvertiti dallo scisma d’Oriente è sempre stato esiguo.
Perciò fondare la “ricostruzione” dell’Unità sulla base della quantità di elementi in comune tra le diverse confessioni cristiane presi esclusivamente nel loro aspetto numerico, significa analizzare il problema su un piano puramente materiale e non tenere conto della realtà dei fatti e della vera natura del problema.
– 2 –
La Chiesa è la Sposa di Cristo
Ben conosciuta è l’analogia che san Paolo stesso(8) utilizza per definire la Chiesa come Sposa di Cristo.
In realtà già nel Vangelo Nostro Signore utilizza spesso il tema del banchetto nuziale per presentare il mistero della Chiesa; questa immagine ricorrente trova la sua espressione più solenne e definitiva nell’Apocalisse di Giovanni, in cui l’eternità beata è illustrata attraverso l’icona delle nozze tra la Chiesa e l’Agnello(9).
Perché il Nuovo Testamento ha privilegiato questa analogia, in mezzo a tante altre, ad un titolo particolare?
Matrimonio significa innanzitutto unione stabile e definitiva, esattamente ciò che Nostro Signore vuole realizzare con la Sua Chiesa e attraverso di Essa con le anime membra del suo Corpo Mistico. È evidente che le due figure della Sposa e del Corpo Mistico si intersecano: laddove  esiste autentica unione sponsale, gli sposi diventano una sola cosa.
Ora, un matrimonio per essere valido deve innanzitutto essere votato alla perpetuità e alla fedeltà assoluta e reciproca: senza questi presupposti semplicemente non c’è vero matrimonio.
Soprattutto notiamo come l’impegno alla fedeltà assoluta e reciproca esprima e protegga la sacralità del legame coniugale a tal punto che una sola ombra contraria a questo impegno ripugna e appare incompatibile con il legame sponsale stesso: qui più che in qualsiasi altro elemento troviamo significata la natura del legame che Cristo vuole con la Sua Chiesa.
Questo legame è unico per due ordini di ragioni. Innanzitutto esso può esistere validamente in un solo caso: così come la comunione tra due sposi può esistere solo in un caso unico e specifico, in quanto un matrimonio è impedimento ad un secondo matrimonio, così l’unione tra Cristo e la Chiesa può esistere solo in un unico caso preciso. In secondo luogo questo legame, laddove esiste, non può essere declinato – o diluito –  in forme diverse: esso esiste solo in una modalità assoluta e perfetta.
Così come l’unione vera e legittima tra coniugi esiste solo nel matrimonio e non può esistere tra due falsi “coniugi” che rifiutano – ad esempio – gli obblighi del matrimonio, così l’unione tra Cristo e la Chiesa esiste solo nella sua forma perfetta ovvero nell’unica Chiesa da Lui voluta e fondata(10). In termini più semplici un matrimonio o è valido o invalido; se è valido è necessariamente perfetto (11).
In questa prospettiva – che è l’unica ammissibile – il concetto di unità parziale, di non piena comunione delle false chiese o comunità, appare piuttosto come il tentativo di legittimazione di una unione spuria o di un matrimonio falso: ancora più assurdo appare il tentativo di valorizzare questo tipo di unione come elemento positivo e intrinsecamente valido per giungere alla perfetta unione con Cristo nella Chiesa.
Non lo ripeteremo mai abbastanza: sia sul piano teologico che sul piano storico una falsa chiesa non è un mezzo per giungere alla “piena comunione”, ma uno strumento funzionale a tenere lontano le anime dall’unica vera Chiesa(12).
Soprattutto la prospettiva creata dal concetto di non piena comunione pretende di imporre a Nostro Signore delle “spose” di secondo rango che non si è scelto e che non può accettare come tali.
Ancora una volta solo l’ideologia ecumenica poteva produrre un errore di tale portata, con il solo risultato di provocare confusione e diminuzione della fede nella Unità e Unicità della Chiesa Cattolica e – conseguentemente – oscurando agli occhi degli erranti la necessità assoluta di appartenere alla Medesima o di riconvertirsi ad Essa.
– 3 –
L’Unità della Chiesa si fonda sull’adesione soprannaturale all’Unico Vero Dio.

Ci dobbiamo ora interrogare sugli elementi che assicurano l’Unità della Chiesa per poi applicare le debite conclusioni al problema che ci interessa.
Come è insegnato dalla dottrina classica esistono nella Chiesa tre fattori di unità: l’unità di fede, l’unità di governo e l’unità di culto. Questo significa che nella Chiesa deve esistere una unica fede, un unico governo ed un’unica liturgia con gli stessi sacramenti e con riti sostanzialmente equivalenti. Questi tre fattori ovviamente rappresentano un unicum e non è possibile sceglierne uno escludendone un altro.
Ciò nonostante la fede ha una priorità logica sugli altri due elementi, in quanto fondamento della vita cristiana, porta e presupposto fondamentale di tutte le altre virtù soprannaturali. Non a caso la fede è la prima cosa che il battezzando chiede alla Chiesa. La fede procura la vita eterna: è la seconda affermazione del battezzando. I sacramenti non faranno altro che far fruttificare il germe delle fede seminato con il battesimo e il governo stesso della Chiesa non avrà altro fine se non quello di condurre le anime alla vita eterna. In questo unicum la fede ha quindi una priorità logica. Focalizzeremo dunque la nostra attenzione sulla professione di fede cattolica intesa come fattore fondamentale di unità: questo ci permetterà di dissipare alcuni gravi equivoci a cui abbiamo già accennato e che evidenziamo subito.
Se infatti si è uniti nel professare la stessa fede, con tutti i suoi dogmi, sembrerebbe che esista realmente una certa unità con la professione di fede luterana (solo per fare un esempio), in quanto crediamo entrambi alcuni dogmi: la divinità di Cristo, la vita eterna, la necessità del battesimo, l’inferno, etc… Ebbene, sostengono i fautori dell’ecumenismo, è su questi punti comuni di elementi essenziali che bisognerebbe far leva per ricostruire l’unità perduta a causa del peccato. In questo senso i luterani sarebbero in una certa comunione con la Chiesa. Ancor più lo sarebbero gli anglicani e ancor più gli ortodossi, in quanto condividono con noi quasi tutti i dogmi.
Purtroppo la prospettiva è sbagliata e riduce la fede ad un insieme di enunciati più o meno condivisi dalle diverse confessioni. Si tratta di una visione decisamente “orizzontale” e materiale di dati che dovrebbero invece essere presi in considerazione restando su un piano soprannaturale che rispetti la natura intrinseca della virtù teologale di fede: è la “fede” vista da chi non ha più la fede o la sta perdendo.
Da un punto di vista formale l’Unità che contraddistingue chi professa la vera fede non si basa semplicemente su una somma più o meno identica di dogmi, ma sul fatto che ci si sottomette all’autorità di Dio che si rivela e che parla attraverso la Chiesa: è questo il motivo fondamentale di Unità per chi professa la fede cattolica. Ora, l’autorità di Dio che si rivela non può che essere Una perché Dio è Uno (ovviamente con tali premesse i contenuti dogmatici non possono che essere assolutamente identici).
Di conseguenza chi crede a qualcosa o anche a quasi tutti i dogmi cattolici, non potrà farlo per lo stesso motivo che abbiamo indicato, ma in base a persuasioni o convinzioni di altra natura, il che esclude qualunque tipo di comunione nel senso formale del termine. Rimane solo una comunanza, più o meno estesa, di tipo materiale e fenomenologico(13).
In termini più semplici: qualcuno che condividesse tutte le verità insegnate della Chiesa eccetto anche una sola, di fatto anche nel credere a tutte le altre lo farebbe non per obbedienza alla Chiesa, ma solo alla propria ragione. Quindi anche se sul piano quantitativo e materiale avrebbe molto in comune con il cattolicesimo, sul piano della fede (che come abbiamo visto è quello fondativo di tutti gli altri) non si distinguerebbe sostanzialmente da chi ne rifiuta tutti i dogmi.
– 4 –
Il fine della Chiesa è la salvezza delle anime

Infine ci dobbiamo interrogare sulla finalità specifica della comunione con la Chiesa. Infatti anche su questo punto esistono gravi equivoci: l’appartenenza alla Chiesa è spesso ridotta ad un mero segno di identità culturale o religiosa, legittimato soprattutto dalla tradizione locale propria ai paesi cattolici, il che giustifica di fatto qualunque percorso alternativo.
In realtà il problema è decisamente più grave e va valutato in relazione alla missione della Chiesa, fuori della Quale non c’è salvezza.
L’appartenenza alla Chiesa è quindi postulata da questa verità dogmatica e lo sarà in termini proporzionali alla portata di questa stessa verità.
Ora, la salvezza come tale rappresenta al contempo il fine ultimo della vita di ogni uomo e la ragion d’essere della Chiesa. È una realtà che non può essere né declinata né diluita: formalmente parlando non è possibile essere in uno stato di quasi salvezza, di non piena salvezza, di parziale salvezza, né avrebbe senso proporre a qualcuno una salvezza imperfetta come un bene per la sua anima. Purtroppo l’unica alternativa alla salvezza è la dannazione, senza alcuna sfumatura intermedia.
Di conseguenza il legame con la Chiesa (la comunione), attraverso cui la salvezza è veicolata, non può in nessun caso essere parziale senza essere assurdo e quindi inesistente.

La preghiera di Gesù per l’Unità(14)

 
Intendiamo concludere le nostre riflessioni con qualche considerazione sulla celebre preghiera di Nostro Signore per l’Unità. Si tratta del noto passaggio del Vangelo di San Giovanni (17, 11-21) in cui Gesù prega il Padre affinché conceda il dono dell’Unità agli apostoli e ai credenti. Il celebre passaggio è sistematicamente utilizzato per giustificare il movimento ecumenico, il quale si autocertifica come risposta fedele all’insegnamento e alla volontà esplicita di Gesù espressa in questa stessa preghiera. In realtà, paradossalmente proprio questa preghiera di Gesù smonta e condanna tale movimento.
Infatti, quando Gesù chiede qualcosa al Padre, la sua preghiera è sempre infallibile, cioè ottiene sempre ciò che chiede(15): Gesù è Sommo Sacerdote e quindi Sommo Mediatore, stabilito come tale dal Padre. Questo accade sempre e necessariamente a meno che la preghiera stessa sia condizionale, come accade nel Getsemani, quando Gesù sottomette alla volontà del Padre l’esito della sua richiesta. Nella preghiera per l’Unità questo non accade: Gesù chiede l’Unità per la Sua Chiesa come un bene assoluto e necessario. Di conseguenza Egli non può che ottenerla e il Padre non può che concederla. Si tratta dell’Unità assoluta, prerogativa inamovibile, di cui abbiamo trattato, che la Chiesa Cattolica non potrà mai perdere e che non può esistere né essere ricercata, né essere ricomposta al di fuori di Essa.

(1) «Convergenza» è il termine impiegato da Teilhard de Chardin – e da lui in poi fatto proprio da buona parte dei teologi contemporanei – per sostituire il tradizionale concetto di  conversione, considerato obsoleto. Si tratterebbe, in sintesi, di fare appunto “convergere” tutte le confessioni cristiane evidenziando ciò che hanno in comune invece che ciò che le separa, “bypassando” in questo modo il problema della conversione con tutto ciò che essa comporta.

(2) Cfr. Sillabo, proposizione condannata 38: «Alla divisione della chiesa in orientale e occidentale, hanno contribuito gli eccessivi arbitri dei romani pontefici».

(3) Non intendiamo nascondere il fatto che anche componenti linguistiche, storiche ed umane siano entrate in gioco, ma nessuna di queste, neppure considerate nel loro insieme, possono essere considerate motivo sufficiente di un atto tanto grave quale quello della separazione dalla Sede Apostolica. Sia per quanto riguarda le chiese vetero-orientali che quelle ortodosse, la storiografia contemporanea minimizza il problema dogmatico, accentuando molto le incomprensioni linguistiche e le reciproche tendenze prevaricatrici. Il problema essenziale resta invece il seguente: «Non basta accettare con docilità gli antichi documenti del magistero ecclesiastico, ma occorre in più abbracciare con fedele sottomissione di cuore tutte quelle definizioni che dalla Chiesa in forza della sua suprema autorità di tempo in tempo ci siano proposte a credere» (Pio XII, Orientalis Ecclesiae). Ne è prova il fatto che dopo la Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa cattolica e la chiesa assira d’Oriente, firmata nel 1994 rispettivamente da Giovanni Paolo II e Mar Dinkha IV, la chiesa assira persiste in una situazione di scisma, segno evidente che altro è accettare una definizione ed altro accettarla in forza dell’autorità della Sede Apostolica.

(4) La Chiesa, per essere precisi, non è una persona ma una societas. Tuttavia, al pari della persona, la Chiesa è Una.

(5) Questa conclusione può facilmente essere suffragata da un semplice argomento filosofico. Laddove esiste un movimento verso una perfezione ultima esiste necessariamente uno stato attuale di imperfezione. Più precisamente: laddove sussiste una potenza a qualche perfezione, significa che quest’ultima non è perfettamente in atto. Se quindi l’Unità della Chiesa potesse sussistere anche in forme non perfette, in cammino verso un progressivo perfezionamento, significherebbe attribuire all’Unità stessa della Chiesa una imperfezione inammissibile.

(6) Pertanto esula dalle nostre riflessioni la questione del battesimo in voto.

(7) Vale la pena spendere qualche riga su questo punto. Il Vicario di Cristo in terra, cioè il legittimo successore di san Pietro, non è un “elemento aggiunto” con o senza il quale la Chiesa resta la stessa. Il Sommo Pontefice è il vincolo visibile di unità, come la testa lo è per l’intero corpo. Pertanto, tolto questo vincolo, non abbiamo più un corpo, ma un insieme di membra decerebrate. Lo affermava chiaramente Pio XII: «Si trovano quindi in un pericoloso errore quelli che ritengono di poter aderire a Cristo, Capo della Chiesa, pur non aderendo fedelmente al suo Vicario in terra. Sottratto infatti questo visibile Capo e spezzati i visibili vincoli dell’unità, essi oscurano e deformano talmente il Corpo mistico del Redentore, da non potersi più né vedere né rinvenire il porto della salute eterna» (Pio XII, Mystici Corporis). Analogamente sostenere un’ecclesiologia che esplicitamente rifiuti il primato petrino significa non solo negare un punto dottrinale, bensì sfigurare l’intera dottrina ecclesiologica. Il fatto che gli ortodossi non percepiscano la dottrina del primato petrino (nei suoi successori) come appartenente all’insegnamento di Nostro Signore ha perciò delle ripercussioni in tutta la dottrina sulla Chiesa, che storicamente li ha condotti ad un accentuato cesaropapismo ed al reale problema di sintonia tra i diversi patriarcati.

(8) Cfr. 1 Cor 6, 15-17; 2 Cor 11, 2.

(9) Cfr Ap 22, 17; Ef 1, 4; 5, 27.

(10) Lo sviluppo dell’analogia può ulteriormente corroborare il concetto. I due sposi, dopo il matrimonio, sono  una sola carne (cfr. Mt 19, 6). Sul piano ontologico, dunque, tra un momento prima e un momento dopo il matrimonio c’è una differenza abissale. Viceversa, nel corso del fidanzamento c’è senz’altro una lunga maturazione che, tra l’inizio e il periodo finale immediatamente precedente al matrimonio, porta, a livello umano, i due fidanzati ad una conoscenza molto maggiore. Però, a livello ontologico, nulla cambia. Che i due fidanzati si conoscano appena o che si conoscano già perfettamente (come il giorno prima del nozze), la loro unione sponsale finché non si sposano è ontologicamente sempre la stessa: cioè è nulla, semplicemente non esiste; soprattutto notiamo come i due fidanzati in ogni momento siano privi di qualunque vincolo.
Una distinzione analoga può essere applicata alla relazione che intercorre tra le comunità acattoliche e la Chiesa. Tra una comunità calvinista e una “chiesa” ortodossa c’è certamente grande differenza sul piano materiale, ma su quello ontologico nessuna: entrambe non hanno nessuna unione formale con la Chiesa; proprio come due fidanzati non hanno nessuna unione matrimoniale tanto un anno quanto un giorno prima del matrimonio: non possono essere “imperfettamente sposati” o in stato di “non pieno matrimonio”! Ontologicamente, dunque, l’unione o sussiste nella sua forma completa o non sussiste affatto.

(11) Il nostro ragionamento si muove naturalmente entro il piano ontologico, in cui ciò che fa la validità è l’insieme e la perfezione dei requisiti, a prescindere dai limiti e dalle difficoltà umane e psicologiche che investono invece il piano personale e fenomenologico.

(12) È superfluo ripetere che questo vale per le false religioni in quanto tali, a prescindere dalle disposizioni soggettive di chi ne fa parte. In quanto tali, infatti, non possono mai essere degli strumenti di salvezza, caratteristica propria solo della religione
cattolica e questo per istituzione divina.

(13) Si noti inoltre che nella fattispecie non importa l’intensità soggettiva dell’atto di fede; è ben vero che un avventista o un mormone può avere una “fede” molto più intensa (o fanatica) di un cattolico e quest’ultimo può essere tiepido come spesso accade: ciò che stiamo analizzando è la natura intrinseca dell’atto di fede inteso come tale e i requisiti che necessariamente deve avere per poter esistere.

(14) Segnaliamo su questo tema l’ottimo Pier Carlo Landucci, Il vero significato di: «Ut unum sint» (Gv 17, 11.21), in Renovatio, anno XVII, n. 1, 1983.

(15) Somma Teologica, III, Q. 21, art. 4

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