martedì 15 ottobre 2013

P. SEVESO - La fine del ratzingerismo e l'era Bergoglio (Editoriale "Guelfo Nero" numero 8)

La fine del ratzingerismo e l'era Bergoglio (Editoriale "Guelfo Nero" numero 8)

15 ottobre 2013 alle ore 4.44
Prima di qualunque ulteriore approfondimento, voglio ringraziare l’amico Daniele Gandi, direttore di questa piccola e battagliera rivista fiorentina, che mi consente di firmare anche quest’anno l’editoriale de “Il Guelfo Nero”. Condivido con lui, inesausto compagno di pene e di lotte, ormai un decennio di piccole e grandi battaglie virtuali e reali in difesa del cattolicesimo romano e confido che potremo continuare, a Dio piacendo, ancora a lungo a scrivere e ad agire “opportune et importune” in questi miserabili anni di apostasia ed infamia che stiamo vivendo. “Il Guelfo Nero” è una piccola pubblicazione senza pretese, antimodernista, antimassonica, antirivoluzionaria, CLERICALE e papalina (e quindi naturaliter sedevacantista), è redatta esclusivamente da giovani laici, quindi per sua natura ha un respiro più battagliero e pugnace, meno incline aigiri di parole e a quelle garbate ciance che spesso caratterizzano altre pubblicazioni nate in questi ultimi anni. Siamo una rivista quindi “pane e salame” che, anche se parla di teologia e affronta temi delicati come quelli della vacanza della sede apostolica, lo fa con irruenza e passione, non prive di una certa confidente baldanza. I suoi redattori non possono, su queste misere pagine, sviscerare con tutta quella ponderazione e quella soda dottrina le capitalissime questioni teologiche e morali che invece i nostri ottimi sacerdoti affrontano su ”Sodalitium” o su “Opportune importune”. Di questi il nostro NATURALE CLERICALISMO: sono giustamente i nostri preti che hanno la prima e l’ultima parola, loro che tracciano le linee della resistenza e le strategie della battaglia, loro che ci insegnano quanto e come combattere, loro che, con il consiglio e l’esempio, fanno sì che questa rivista sia sorta e continui a vivere. Se questa pubblicazione ha del buono, questo è riconducibile a loro, se ha dei difetti (e ne ha sicuramente molti), quelli sono invece ascrivibili esclusivamente a noi. Noi siamo solo un pugno di laici, ben lontani dalla tutta umana“bonomia” roncalliana (a proposito, auguri per la prossima "canonizzazione"), e qui cerchiamo, semplicemente, non quello che ci unisce ma quello che ci divide, perché solo in questo MARCARE LA DIFFERENZA ci può essere quella chiarezza dottrinale ed ecclesiologica, unico e sicuro pegno diuna vera Restaurazione della Chiesa. Ci sforziamo di essere quello che DOVREBBE essere una rivista giovanile cattolica, se la Chiesa cattolica avesse oggi un Papa e fosse quindi in ordine e non “in stato di privazione”, come invece drammaticamente si trova ad essere da un cinquantennio.
“Il Guelfo nero”, nato negli anni del ratzingerismo “trionfante”, esce per la prima volta durante l’era Bergoglio e già ci sembrano lontani anni luce i temi di cui discutevamo gli anni scorsi: le insidie del “Motu proprio”, la fallace e ingannevole “ermeneutica dellacontinuità”, la falsa restaurazione bavarese, le folli trattative tra “Roma” e la Fraternità San Pio X. Tutto questo ci sembra remotissimo, addirittura ci sembra che tutto questo non sia mai esistito. In realtà, e giova ribadirlo oggi più che mai, questa discontinuità tra Ratzinger e Bergoglio, è più morganatica che reale perché, pur nella diversità di coloriture e di accenti, comune è la matrice vaticanosecondista, comuni gli errori (e le eresie) che stanno a monte, comune l’appartenenza e l’orizzonte ecclesiologico dei due. Indubitabilmente l’impatto devastante (motus in fine velocior) di questi primi mesi di“pontificato” bergogliesco sfuggono ancora ad una visione d’insieme che solo i mesi a venire ci potranno dare: la spogliazione radicale dei simboli della regalità papale, la “catechesi” quotidiana attraverso “prediche”, interviste e telefonate, il blandire e l’assecondare molti degli appetiti della mentalità mondana hanno fatto sbriciolare il tremolante edificio ratzingeriano in un batter d'occhi. Accanto alle lacrime degli ingannati in buona fede che rispettiamo profondamente, accanto alla rapidità con cui i voltagabbana professionali hanno cambiato marsina da bavarese in argentina cui riserviamo il nostro disprezzo, ci permetterete una domanda, alla fine di questi anni duri e amari, in cui abbiamo subito attacchi di ogni tipo da un certo mondo “cattolico conservatore”.
La domanda è questa. Dove siete ora restauratori da operetta ? Dove siete ratzingeriani feroci, torquemada in trentaduesimo, caporali di giornata dell' “ermeneutica della continuità” che abbiamo visto parlottare tronfi  in questi dolorosi otto anni? I vostri castelli di sabbia sono crollati, le vostre chimere restaurazionistiche si sono rivelate dei sogni, i vostri anatemi da sagrestia "motu proprio" si sono mostrate come ciance raglianti. La nostra Chiesa è "occupata" da un manipolodi pirati, di ciurmadori, di predoni  e tagliagole, al cui confronto le debolezze dei secoli antichi sono luminosi meriti ma noi siamo ancora qui.


Piergiorgio Seveso


lunedì 14 ottobre 2013

A. XAVIER DA SILVEIRA - Sorprendente condanna pronunciata dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede

 


23.12.2012 - Arnaldo Xavier da Silveira
Il problema più grande non sta nel sapere se l’assistenza assoluta e senza limiti dello Spirito Santo sia possibile in linea di principio. È chiaro che lo è. In verità, però, Nostro Signore non avrebbe dotato San Pietro, o il Collegio dei vescovi col Papa e in definitiva la Chiesa, di un’assistenza in termini così assoluti. Le vie di Dio non sempre sono le nostre. La barca di Pietro è soggetta alle tempeste. In linea di principio, nulla impedisce che, soprattutto in tempi di crisi, i documenti pontifici e conciliari che non soddisfino le condizioni dell’infallibilità, possano contenere errori e perfino eresie.


Dolce Cristo in terra
1) Non sono sedevacantista. Non lo sono mai stato, nonostante l’uno o l’altro commentatore poco attento abbia preteso di trovare tracce di sedevacantismo nello studio sulla possibilità teologica di un papa eretico, studio che fa parte del mio libro “La Nouvelle Messe de Paul VI, Qu’en Penser?” (Diffusion de la Pensée Française, Chiré-en-Montreuil, Francia, 1975). In relazione ai pontificati degli ultimi decenni, sulla base della buona e tradizionale teologia dogmatica, non vedo come sia teologicamente possibile dichiarare vacante, in qualsiasi momento, la Sede di Pietro (si veda Paul Laymann S.J., +1635, “Th. Mor.”, Venezia, 1700, pp. 145-146; e Pietro Ballerini, “De Pot. Eccl.”, Roma, 1850, pp. 104-105). Se la Divina Provvidenza mi darà la forza, pubblicherò a breve uno studio sugli errori teologici delle correnti teorie sedevacantiste.
2) Per ogni cattolico geloso della sua fede, il Papa è il “dolce Cristo in terra”, è la colonna e il fondamento della verità. Tuttavia, grandi santi, dottori e papi ammettono la possibilità che il Sommo Pontefice cada in errore e perfino nell’eresia. E non può escludersi l’ipotesi teologica che tale caduta si riscontri nei documenti ufficiali del Papa e dei Concilii col Papa (si vedano i capitoli IX e X della parte II de La Nouvelle Messe de Paul VI, Qu’en Penser?, e i miei precedenti lavori lì citati).
Le parole di Mons. Müller
3) Lo scorso 29 novembre, L’Osservatore Romano ha pubblicato un articolo di Mons. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ex Sant’Uffizio, dal titolo “Un’immagine della Chiesa di Gesù Cristo che abbraccia tutto il mondo”.
Commentando il discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, nel quale Benedetto XVI ha dichiarato che il Vaticano II dev’essere oggetto di una “ermeneutica della riforma nella continuità”, a fronte di una «ermeneutica della discontinuità e della rottura”, Mons. Müller scrive che l’interpretazione della riforma nella continuità “è l’unica possibile secondo i principi della teologia cattolica”, e continua: “Al di fuori di questa unica interpretazione ortodossa esiste purtroppo una interpretazione eretica, vale a dire l’ermeneutica della rottura, sia sul versante progressista, sia su quello tradizionalista. Entrambi sono accomunati dal rifiuto del Concilio; i progressisti nel volerlo lasciare dietro sé, come fosse solo una stagione da abbandonare per approdare ad un’altra Chiesa; i tradizionalisti nel non volervi arrivare, quasi fosse l’inverno della Catholica”.
4) Non voglio qui approfondire certi punti di questa dichiarazione, come la questione, già tanto commentata e sviluppata in questi ultimi tempi, dell’“ermeneutica della riforma nella continuità” e dell’“ermeneutica della discontinuità e della rottura”. Né esaminerò la frase in cui Sua Eccellenza dichiara che i progressisti e i tradizionalisti “sono accomunati dal rifiuto del Concilio”. Né tampoco dirò alcunché sul titolo di questo articolo di Mons. Müller ove è presente l’espressione, oggi ambigua e sospetta in tale contesto: “Chiesa di Gesù Cristo che abbraccia tutto il mondo”. E ancora non mi soffermerò sul fatto storico che alla fine, dopo decenni, si ha una condanna del progressismo, condanna che se avesse forza canonica o quanto meno venisse dottrinalmente a sostenere di fatto la vita cattolica e l’insegnamento dei seminari, e costituisse il criterio per le promozioni ecclesiastiche, ecc, sarebbe di buon auspicio e preannuncio di tempi migliori, perché il progressismo sarebbe fortemente proscritto come eretico dal Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
5) Qui mi limiterò a commentare il passo in cui Mons. Müller dichiara che i tradizionalisti danno al Vaticano II una “interpretazione eretica”. So bene che non si tratta di un decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede. So anche che qui non si specifica quali siano le correnti cosiddette “tradizionaliste” condannate, affermando che sarebbero tutte a non accettare incondizionatamente e integralmente il Vaticano II. So, infine, che l’orientamento qui adottato da Mons. Müller in relazione ai tradizionalisti e ai progressisti non è quello dominante in molti circoli vaticani e soprattutto non è quello di Benedetto XVI. Tutto questo, però, non impedisce che le sue parole abbiano una grande importanza.

Della gravità estrema di questa condanna
6) Non si minimizzi, infatti, la forza di questa condanna. La logica impone che chi interpreti ereticamente un Concilio Ecumenico sia un eretico. Né si dica che la cosa non sarebbe rilevante perché non si tratta di una condanna canonica formale. È di per sé grave che il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede abbia detto ciò che ha detto. È grave che per pronunciare un primo anatema contro i tradizionalisti, egli si rifugi dietro il paravento del “doctor privatus”, poiché, se il male è così enorme, come interpretare in senso eretico un concilio ecumenico, non dovrebbe essere la Santa Chiesa a pronunciarsi ufficialmente? Non si tratterebbe di un dovere di tutti i “custos fidei” nei confronti del popolo fedele? Inoltre, c’è da temere che da adesso in poi tali modi di pensare e di agire contrassegneranno le procedure della Congregazione per la Dottrina della Fede.
7) Come insegna San Tommaso d’Aquino, “l’eresia si contrappone alla fede” (S. Th. II-II, q. 39, a. 1, ad 3), e sono eretici “coloro che professando la fede di Cristo, ne corrompono i dogmi” ( S. Th. II-II, q. 11, a. 1, c). “La fede è la prima delle virtù” (S. Th. II-II, q. 4, a. 7, c), “è ben più grave corrompere la fede, in cui risiede la vita delle anime, che falsare il danaro, con cui si provvede alla vita temporale” (S. Th. II-II, q. 11, a. 3, c).
8) Della portata della condanna. Il mondo moderno ha perso la nozione di fede, come ha perso la nozione della gravità dell’eresia. L’integrità della fede è il punto di partenza della vita cattolica. L’eretico formale non possiede la virtù teologale della fede e quindi è escluso dalla Chiesa. La condanna di Mons. Müller è espressa in termini generici e sintetici. Data l’importanza della materia, le persone che ne sono colpite hanno il diritto di chiedere che siano esplicitate la portata e le conseguenze teologiche, canoniche e pratiche dell’anatema, anche solo “in sede theoretica”, se esso fosse valido.
La deviazione teologica fondamentale di Mons. Müller
9) Testo di Mons. Müller sul magistero. – Nella stessa citata dichiarazione, Mons. Müller afferma che è principio della teologia cattolica “l’insieme indissolubile tra Sacra Scrittura, la completa e integrale Tradizione e il Magistero, la cui più alta espressione è il Concilio presieduto dal Successore di San Pietro come Capo della Chiesa visibile”.
10) Il presupposto della condanna dei tradizionalisti sta quindi, secondo Mons. Müller, nel fatto che non si possa avere errore o eresia in un documento magisteriale, sia pontificio sia conciliare, nemmeno in quelli che non soddisfano le condizioni dell’infallibilità. Infatti, nel proclamare il carattere indissolubile dell’unione tra Sacra Scrittura, Tradizione e Magistero, egli dimostra di concepire quest’ultimo come fosse garantito contro qualsivoglia errore o eresia. Inoltre, evitando di parlare semplicemente di Tradizione, ma qualificandola come “completa e integrale”, Sua Eccellenza sottintende che la Tradizione includa gli insegnamenti conciliari, nonostante non siano garantiti dal carisma dell’infallibilità; e che includa quindi le “novità di ordine dottrinale” (vedi il seguente n° 13) del Vaticano II, che in tal modo avrebbero forza di dogma, potendo essere messe in dubbio o negate solo dagli eretici.
Il Vaticano II e l’infallibilità della Chiesa
11) Magistero straordinario? Secondo il Vaticano I, il Papa è infallibile quando, insegnando alla Chiesa universale in materia rivelata di dogma o di morale, definisce solennemente una determinata verità che dev’essere creduta dai fedeli. In conformità con la dottrina fissata dai dottori, queste condizioni dell’infallibilità papale si applicano, mutatis mutandis, ai Concili Ecumenici, le cui definizioni infallibili devono quindi comportare per i fedeli l’obbligo di professare le dottrine ordinecosì proposte. Ora, Paolo VI dichiarò ripetute volte che nel Vaticano II non fu proclamato alcun nuovo dogma del Magistero straordinario. Cosa che i teologi di buona dottrina hanno anch’essi affermato in modo esauriente. Ciò posto, è alquanto inquietante per il fedele comune, e inaccettabile per un pensatore cattolico, il fatto che Mons. Müller pretenda che nel Vaticano II non possa esserci alcuna deviazione dottrinale. Su cosa si baserà in materia il pensiero del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede?
12) Magistero ordinario infallibile? Secondo il Vaticano I, è ugualmente infallibile il “Magistero ordinario e universale”. Con esso la Chiesa, nel suo insegnamento quotidiano, dovendo imporre una verità che deve essere creduta, deve farlo, non solo per il mondo intero, ma in continuità nel tempo, in modo tale che risulti chiaro ad ogni fedele che quella verità fu rivelata e deve essere professata se non si vuole incorrere nell’abbandono della fede. In questo contesto, il concetto di “universale” non sempre è correttamente interpretato, ma vi è chi lo intende come se indicasse solo un’universalità spaziale, cioè relativa al mondo intero. Secondo questo modo di vedere, tutti gli insegnamenti del Vaticano II sarebbero infallibili perché approvati solennemente dal Papa con l’unanimità morale dei vescovi di tutto il mondo. In verità, dei singoli atti magisteriali del Papa o del Concilio, come è stato il caso del Vaticano II, non possono definire dei dogmi del Magistero ordinario in mancanza della continuità temporale e della conseguente impositività che vincolerebbe in modo assoluto la coscienza dei fedeli.
13) Le “notivà di ordine dottrinale” del Vaticano II – Il 2 dicembre del 2011, Mons. Fernando Ocáriz, Vicario Generale dell’Opus Dei e professore di teologia, pubblicò su L’Osservatore Romano un articolo intitolato: “Sull’adesione al concilio Vaticano II”. In esso si legge: “Nel concilio Vaticano II ci sono state diverse novità di ordine dottrinale (…): alcune di esse sono state e sono ancora oggetto di controversie circa la loro continuità con il magistero precedente, ovvero sulla loro compatibilità con la tradizione”. E in seguito Mons. Ocáriz riconosce che: “Di fronte alle difficoltà che possono trovarsi per capire la continuità di alcuni insegnamenti conciliari con la tradizione, (…) rimangono legittimi spazi di libertà teologica per spiegare in un modo o in un altro la non contraddizione con la tradizione di alcune formulazioni presenti nei testi conciliari e, perciò, di spiegare il significato stesso di alcune espressioni contenute in quei passi”. Si noti la diversità di tono tra questo testo e la condanna pronunciata da Mons. Müller, nonostante Mons. Ocáriz dica anche che “una caratteristica essenziale del magistero è la sua continuità e omogeneità nel tempo”.
Il 28 dicembre dello stesso anno ho pubblicato sul mio sito un articolo intitolato “Grave lapsus teologico di Mons. Ocáriz”, nel quale ho sostenuto, come nei miei lavori precedenti, che “Gesù Cristo potrebbe aver dato a San Pietro e ai suoi successori il carisma dell’infallibilità assoluta. (…) Ma il problema non consiste nel sapere se l’assistenza dello Spirito Santo sarebbe possibile in linea di principio in presenza di tale potere assoluto e generale. È chiaro che lo sarebbe. Fatto sta, però, che Nostro Signore non ha voluto conferire a San Pietro, al collegio dei vescovi col Papa, in definitiva alla Chiesa, un’assistenza in termini così assoluti. Le vie di Dio non sempre sono le nostre. La barca di Pietro è soggetta alle tempeste. In sintesi: la teologia tradizionale afferma che risulta dalla Rivelazione che l’assistenza dello Spirito Santo non fu promessa, e quindi non fu assicurata, in forma così illimitata, in tutti i casi e le circostanze. Questa assistenza garantita da Nostro Signore copre in modo assoluto le definizioni straordinarie, tanto papali quanto conciliari. Ma le grandi opere teologiche, specialmente dell’età d’argento della scolastica, insegnano che nei pronunciamenti papali e conciliari non garantiti dall’infallibilità, possono esserci errori e perfino eresie”. Questo è quanto riaffermo oggi.
Tre rispettose domande a Mons. Müller
14) Professione di fede cattolica. - Alla luce del richiamato testo del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, chiedo che egli accetti la professione di fede che qui esprimo in tutto quello che autenticamente insegna la Santa Chiesa nei suoi dogmi del Magistero straordinario papale o conciliare, e nei dogmi del Magistero ordinario e universale. Affermo la mia piena accettazione delle altre verità della dottrina cattolica, ognuna con la qualificazione teologica che i dottori tradizionali le hanno attribuita. E respingo come teologicamente inconcludente e faziosa l’accusa che riduce ad eresia l’attaccamento alla Tradizione.
15) Del senso e della portata della condanna. – In considerazione della necessità di precisione in un atto di questa portata teologica, qual è una condanna anche solo in sede dottrinale di una corrente di pensiero molto rispettata nel mondo intero, chiedo a Mons. Müller che indichi meglio la portata teorica e pratica del suo anatema, secondo le osservazioni del precedente punto 8. Nel formulare questa domanda, ho anche in vista la salvezza delle anime semplici, che abbracciano con fede piena i dogmi della transustanziazione, della verginità di Maria, prima, durante e dopo il parto, e tutti gli altri, ma che non hanno accesso alle distinzioni teologiche sottili, e che potrebbero vedere scossa la propria fede dalla notizia che il Prefetto dell’antico Sant’Uffizio abbia dichiarato che i tradizionalisti, indistintamente, sarebbe eretici.
16) Della possibilità di errore nei documenti del Magistero. – Come fedele cattolico, che consapevole l’autorità dei Dicasteri vaticani, e anche come autore di scritti che vantano non pochi lettori, per i quali mi sento responsabile in qualche modo di fronte a Nostro Signore, ritengo di avere il pieno diritto di chiedere filialmente al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che dichiari, in modo formale, chiaro e specifico, se è falsa la tesi che ho difeso nei miei lavori succitati, tesi che difendo anche ora e in base alla quale è teologicamente possibile l’esistenza di errori e perfino di eresie nei documenti pontifici e conciliari che non assolvono le necessarie condizioni per l’infallibilità.
17) In questa vigilia del Santo Natale, invocando il Divino Bambino, la Sua Santissima Madre e San Giuseppe, patrono della Chiesa universale, formulo pubblicamente queste considerazioni e queste domande per legittima difesa e cum moderamine inculpatae tutelae, e le formulo pubblicamente dal momento che l’aggressione subita è stata pubblica.
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Traduzione: Inter multiplices UNA VOX
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV381_Sorprendente_condanna.html

giovedì 10 ottobre 2013

QUESTO PAPA NON CI PIACE!

 

(di Alessandro Gnocchi – Mario Palmaro sul Foglio del 09-10-2013)

Quanto sia costata l’imponente esibizione di povertà di cui papa Francesco è stato protagonista il 4 ottobre ad Assisi non è dato sapere. Certo che, in tempi in cui va così di moda la semplificazione, viene da dire che la storica giornata abbia avuto ben poco di francescano.
Una partitura ben scritta e ben interpretata, se si vuole, ma priva del quid che ha reso unico lo spirito di Francesco, il santo: la sorpresa che spiazza il mondo. Francesco, il papa, che abbraccia i malati, che si stringe alla folla, che fa la battuta, che parla a braccio, che sale sulla Panda, che molla i cardinali a pranzo con le autorità per andare al desco dei poveri era quanto di più scontato ci si potesse attendere, ed è puntualmente avvenuto.
Naturalmente con gran concorso di stampa cattolica e paracattolica a esaltare l’umiltà del gesto tirando un sospirone di sollievo perché, questa volta, il papa ha parlato dell’incontro con Cristo. E di quella laica a dire che, adesso sì, la Chiesa si mette al passo con i tempi. Tutta roba buona per il titolista di medio calibro che vuole chiudere in fretta il giornale e domani si vedrà.
Non c’è stata neanche la sorpresa del gesto clamoroso. Ma, anche questa, sarebbe stata ben povera cosa, visto quanto papa Bergoglio ha detto e fatto in solo mezzo anno di pontificato culminato negli ammiccamenti con Eugenio Scalfari e nell’intervista a “Civiltà Cattolica”.
Gli unici a trovarsi spiazzati, in questo caso, sarebbero stati i “normalisti, quei cattolici intenti pateticamente a convincere il prossimo, e ancor più pateticamente a convincere se stessi, che nulla è cambiato. E’ tutto normale e, come al solito, è colpa dei giornali che travisano a bella posta il papa, il quale direbbe solo in modo diverso le stesse verità insegnate dai predecessori. Per quanto il giornalismo sia il mestiere più antico del mondo, riesce difficile dare credito a questa tesi.
“Santità” chiede per esempio Scalfari nella sua intervista “esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?”. “Ciascuno di noi” risponde il papa “ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”. “Lei, Santità” incalza gesuiticamente Eugenio, al quale non pare vero, “l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa”. “E qui lo ripeto” ribadisce il papa, al quale non pare vero neanche a lui. “Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”.
A Vaticano II già concluso e a postconcilio più che ben avviato, nel capitolo 32 della “Veritatis splendor”, Giovanni Paolo II scriveva, contestando “alcune correnti del pensiero moderno”, che  “si sono attribuite alla coscienza individuale le prerogative di un’istanza suprema del giudizio morale, che decide categoricamente e infallibilmente del bene e del male (…) tanto che si è giunti ad una concezione radicalmente soggettivista del giudizio morale”. Anche il “normalista” più estroso dovrebbe trovare difficile conciliare il Bergoglio 2013 con il Woityla 1993.
Al cospetto di tale inversione di rotta, i giornali fanno il loro onesto e scontato lavoro. Riprendono le frasi di papa Francesco in evidente contrasto con ciò che i papi e la Chiesa hanno sempre insegnato e le trasformano in titoli da prima pagina. E allora il “normalista”, che dice sempre e ovunque quello che pensa l’”Osservatore Romano”, tira in ballo il contesto. Le frasi estrapolate dal benedetto contesto non rispecchierebbero la mens di chi le ha pronunciate. Ma, ed è la storia della Chiesa che lo insegna, certe frasi di senso compiuto hanno senso e vanno giudicate a prescindere.
Se in una lunga intervista qualcuno sostiene che “Hitler è stato un benefattore dell’umanità”, difficilmente potrà cavarsela davanti al mondo invocando il contesto. Se un papa dice in un’intervista “Io credo in Dio, non in un Dio cattolico” la frittata è fatta a prescindere. Sono duemila anni che la Chiesa giudica le affermazioni dottrinali isolandole dal contesto. Nel 1713, Clemente XI pubblica la costituzione “Unigenitus Dei Filius” in cui condanna 101 proposizioni del teologo Pasquier Quesnel.
Nel 1864, Pio IX pubblica nel “Sillabo” un elenco di proposizioni erronee. Nel 1907, San Pio X allega alla “Pascendi dominici gregis” 65 frasi incompatibili con il cattolicesimo. E sono solo alcuni esempi per dire che l’errore, quando c’è, si riconosce a occhio nudo. Una ripassatina al “Denzinger” non farebbe male.
Per altro, nel caso delle interviste di Bergoglio, l’analisi del contesto può persino peggiorare le cose. Quando, per esempio, papa Francesco dice a Scalfari che “il proselitismo è una solenne sciocchezza”, il “normalista” subito spiega che si sta parlando del proselitismo aggressivo delle sette sudamericane. Purtroppo, nell’intervista, Bergoglio dice a Scalfari: “Non voglio convertirla”. Ne scende che, nell’interpretazione autentica, quando si definisce “solenne sciocchezza” il proselitismo, si intende il lavoro fatto dalla Chiesa convertire le anime al cattolicesimo.
Sarebbe difficile interpretare il concetto altrimenti, alla luce delle nozze tra Vangelo e mondo, che Francesco ha benedetto nell’intervista alla “Civiltà Cattolica”. “Il Vaticano II” spiega il papa “è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta.
Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile”. Proprio così, non più il mondo messo in forma alla luce del Vangelo, ma il Vangelo deformato alla luce del mondo, della cultura contemporanea. E chissà quante volte dovrà avvenire, a ogni torno di mutamento culturale, ogni volta mettendo in mora la rilettura precedente: nient’altro che il concilio permanente teorizzato dal gesuita Carlo Maria Martini.
Su questa scia, si sta alzando sull’orizzonte l’idea di una nuova Chiesa, “l’ospedale da campo” evocato nell’intervista a “Civiltà Cattolica” dove pare che i medici fino a ora non abbiano fatto bene il loro mestiere. “Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito” dice sempre il papa. “Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?”.
Un discorso costruito sapientemente per essere concluso da una domanda dopo la quale si va capo e si cambia argomento, quasi a sottolineare l’inabilità della Chiesa di rispondere. Un passaggio sconcertante se si pensa che la Chiesa soddisfa da duemila anni tale quesito con una regola che permette l’assoluzione del peccatore, a patto che sia pentito e si impegni a non rimanere nel peccato. Eppure, soggiogate dalla straripante personalità di papa Bergoglio, legioni di cattolici si sono bevute la favola di un problema che in realtà non è mai esistito. Tutti lì, con il senso di colpa per duemila anni di presunte soperchierie ai danni dei poveri peccatori, a ringraziare il vescovo venuto dalla fine del mondo, non per aver risolto un problema che non c’era, ma per averlo inventato.
L’aspetto inquietante del pensiero sotteso a tali affermazioni è l’idea di un’alternativa insanabile fra rigore dottrinale e misericordia: se c’è uno, non può esservi l’altra. Ma la Chiesa, da sempre, insegna e vive esattamente il contrario. Sono la percezione del peccato e il pentimento di averlo commesso, insieme al proposito di evitarlo in futuro, che rendono possibile il perdono di Dio. Gesù salva l’adultera dalla lapidazione, la assolve, ma la congeda dicendo: “Va, e non peccare più”. Non le dice: “Va, e sta tranquilla che la mia Chiesa non eserciterà alcuna ingerenza spirituale nella tua vita personale”.
Visto il consenso praticamente unanime nel popolo cattolico e l’innamoramento del mondo, contro il quale però il Vangelo dovrebbe mettere in sospetto, verrebbe da dire che sei mesi di papa Francesco hanno cambiato un’epoca. In realtà, si assiste al fenomeno di un leader che dice alla folla proprio quello che la folla vuole sentirsi dire. Ma è innegabile questo viene fatto con grande talento e grande mestiere. La comunicazione con il popolo, che è diventato popolo di Dio dove di fatto non c’è più distinzione tra credenti e non credenti, è solo in piccolissima parte diretta e spontanea. Persino i bagni di folla in piazza San Pietro, alla Giornata Mondiale della Gioventù, a Lampedusa o ad Assisi sono filtrati dai mezzi di comunicazione che si incaricano di fornire gli avvenimenti unitamente alla loro interpretazione.
Il fenomeno Francesco non si sottrae alla regola fondamentale del gioco mediatico, ma, anzi, se ne serve quasi a diventarne connaturale. Il meccanismo fu definito con grande efficacia all’inizio degli anni ottanta da Mario Alighiero Manacorda in un godibile libretto dal godibilissimo titolo “Il linguaggio televisivo. O la folle anadiplosi”. L’anadiplosi è una figura retorica che, come avviene in questa riga, fa iniziare una frase con il termine principale contenuto nella frase precedente. Tale artificio retorico, secondo Manacorda, è divenuto l’essenza del linguaggio mdiatico. “Questi modi puramente formali, superflui, inutili e incomprensibili quanto alla sostanza” diceva “inducono l’ascoltatore a seguire la parte formale, cioè la figura retorica, e a dimenticare la parte sostanziale”.
Con il tempo, la comunicazione di massa ha finito per sostituire definitivamente l’aspetto formale a quello sostanziale, l’apparenza alla verità. E lo ha fatto, in particolare, grazie alle figure retoriche della sineddoche e della metonimia, con le quali si rappresenta una parte per il tutto. La velocità sempre più vertiginosa dell’informazione impone di trascurare l’insieme e porta concentrarsi su alcuni particolari scelti con perizia per dare una lettura del fenomeno complessivo. Sempre più spesso, giornali, tv, siti internet, riassumono i grandi eventi in un dettaglio.
Da questo punto di vista, sembra che papa Francesco sia stato fatto per i massmedia e che i massmedia siano stati fatti per papa Francesco. Basta citare il solo esempio dell’uomo vestito di bianco che scende la scaletta dell’aereo portando una sdrucita borsa di cuoio nera: perfetto uso di sineddoche e metonimia insieme. La figura del papa viene assorbita da quella borsa nera che ne annulla l’immagine sacrale tramandata nei secoli per restituirne una completamente nuova e mondana: il papa, il nuovo papa, è tutto in quel particolare che ne esalta la povertà, l’umiltà, la dedizione, il lavoro, la contemporaneità, la quotidianità, la prossimità a quanto di più terreno si possa immaginare.
L’effetto finale di tale processo porta alla collocazione sullo sfondo del concetto impersonale di papato e la contemporanea salita alla ribalta della persona che lo incarna. L’effetto è tanto più dirompente se si osserva che i destinatari del messaggio recepiscono il significato esattamente opposto: osannano la grande umiltà dell’uomo e pensano che questi porti lustro al papato.
Per effetto di sineddoche e metonimia, il passo successivo consiste nell’identificare la persona del papa con il papato: una parte per il tutto, e Simone ha spodestato Pietro. Questo fenomeno fa sì che Bergoglio, pur esprimendosi formalmente come dottore privato, trasformi di fatto qualsiasi suo gesto e qualsiasi sua parola in un atto di magistero. Se poi si pensa che persino la maggior parte dei cattolici è convinta che quanto dice il papa sia solo e sempre infallibile, il gioco è fatto. Per quanto si possa protestare che una lettera a Scalfari o un’intervista a chicchessia siano persino meno di un parere da dottore privato, nell’epoca massmediatica, l’effetto che produrranno sarà incommensurabilmente maggiore a qualsiasi pronunciamento solenne. Anzi, più il gesto o il discorso saranno formalmente piccoli e insignificanti, tanto più avranno effetto e saranno considerati come inattaccabili e incriticabili.
Non a caso la simbologia che sorregge questo fenomeno è fatta di povere cose quotidiane. La borsa nera portata in mano sull’aereo è un esempio di scuola. Ma anche quando si parla della croce pettorale, dell’anello, dell’altare, delle suppellettili sacre o dei paramenti, si parla del materiale con cui sono fatte e non più di ciò che rappresentano: la materia informe ha avuto il sopravvento sulla forma. Di fatto, Gesù non si trova più sulla croce che il papa porta al collo perché la gente viene indotta a contemplare il ferro in cui l’oggetto è stato prodotto. Ancora una volta la parte si mangia il Tutto, che qui va scritto con la “T” maiuscola. E la “carne di Cristo” viene cercata altrove e ciascuno finisce per individuare dove vuole l’olocausto che più gli si confà. In questi giorni a Lampedusa, domani chissà.
E’ l’esito della saggezza del mondo, che San Paolo bandiva come stoltezza e che oggi viene usata per rileggere il Vangelo con gli occhi della tv. Ma già nel 1969, Marshall McLuhan scriveva a Jacques Maritain: “Gli ambienti dell’informazione elettronica, che sono stati completamente eterei, nutrono l’illusione del mondo come sostanza spirituale. Questo è un ragionevole facsimile del Corpo Mistico, un’assordante manifestazione dell’anticristo. Dopo tutto, il principe di questo mondo è un grandissimo ingegnere elettronico”.
Prima o poi ci si dovrà pur risvegliare dal grande sonno massmediatico e tornare a misurarsi con la realtà. E bisognerà anche imparare l’umiltà vera, che consiste nel sottomettersi a Qualcuno di più grande, che si manifesta attraverso leggi immutabili persino dal Vicario di Cristo. E bisognerà ritrovare il coraggio di dire che un cattolico può solo sentirsi smarrito davanti a un dialogo in cui ognuno, in omaggio alla pretesa autonomia della coscienza, venga incitato a proseguire verso una sua personale visione del bene e del male. Perché Cristo non può essere un’opzione tra le tante. Almeno per il suo Vicario.


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Intervista ad Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro       



Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, due giornalisti cattolici, hanno rotto l’unanimismo mediatico favorevole a Papa Francesco con un articolo su Il Foglio  dal titolo «Questo Papa non ci piace». I due  hanno mosso dure, ma precise critiche ad alcune prese di posizione e agli strappi del Pontefice, pagando le opinioni espresse con un’epurazione da Radio Maria, emittente dove da 10 anni conducevano trasmissioni sulla bioetica e sul Vangelo.
Partiamo dall’articolo, cos’ha fatto e detto il Papa che non  piace a due giornalisti cattolici?
«Ci sono due aspetti problematici: la forma e i contenuti. Francesco ha assunto comportamenti e uno stile che portano alla dissoluzione del pontificato nella sua struttura formale, e che tendono a ridurre il papa a uno dei vescovi, e non al “dolce Cristo in terra” di cui parlava Santa Caterina. Sul piano dei contenuti, nelle interviste a Civiltà cattolica e a Repubblica ci sono non solo ambiguità ma oggettivi errori filosofici e dottrinali. Parliamoci da giornalisti, stiamo dibattendo sul classico caso di una non notizia. Qui ci sono due cattolici battezzati che ascoltano per mesi quanto dice il papa e, per mesi, si trovano a disagio perché quanto sentono stride evidentemente con quanto sostiene la dottrina. Alla fine, visto che fanno il mestiere di scrivere e commentare, scrivono e commentano. Non lo prevede solo una delle regole base dell’informazione, ma lo prevede anche il diritto canonico. La lettera e l’intervista a Scalfari, l’intervista a Civiltà Cattolica sono solo gli ultimi esempi più eclatanti. Hanno fatto il giro del mondo, hanno fatto gridare alla rivoluzione, hanno lasciato di sasso migliaia e migliaia di fedeli, quindi di anime, e nessuno trova niente da dire? La notizia invece è il coro unanime di osanna che va da certi cattolici conservatori fino a Pannella passando per Enzo Bianchi e Hans Kung».
Avete criticato l’intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari. Non andava bene l’intervista o l’intervistatore?
«La scelta di Eugenio Scalfari è singolare e lascia interdetti molti cattolici. Egli infatti non è solo un laico o un non credente, ma uno storico antagonista del cattolicesimo. La Repubblica è il quotidiano simbolo di quella cultura radical chic che ha fatto di divorzio e aborto le colonne di una nuova società nichilista, nella quale non c’è più posto per Cristo e i sacramenti. Diverso sarebbe stato incontrare in modo riservato Scalfari, e parlare con lui in vista del suo bene. E nella speranza della sua conversione».
Quanto all’intervista del Papa a Civiltà cattolica, dite che le frasi sull’aborto contrappongono dottrina e misericordia. Cosa vuol dire?
«La prima forma di carità è la verità. Il buon medico non nasconde al malato la gravità della sua patologia, affinché si curi. Dio desidera senza sosta di perdonarci, ma pretende il nostro pentimento, il riconoscere che abbiamo peccato. Una Chiesa che tacesse sulla morale per non scontrarsi con il mondo mancherebbe di carità verso i peccatori. È facile dire che trecento morti a Lampedusa sono “una vergogna”. Più difficile dire che trecento bambini abortiti legalmente in Italia ogni giorno sono una vergogna ancor più grande».
Per questo ed altro ve la siete presa con i “normalisti”, i cattolici che, a differenza della stampa laica, non avrebbero visto la rivoluzione rispetto al magistero della Chiesa. Ma cos’è cambiato in realtà?
«Ce la siamo presa con quelli che abbiamo definito normalisti per un motivo molto semplice. Questi signori, da sei mesi, non fanno che mettere pezze agli svarioni di papa Francesco. Sulla coscienza, su etica e bioetica, sulla vita religiosa. Fatta salva la buona fede e le buone intenzioni, producono un danno tremendo perché, dicendo che tutto è normale e che non c’è nulla di nuovo, iniettando dosi di cattolicità là dove non ci sono, finiscono per far passare per cattoliche le affermazioni nude e crude del papa. Si illudono, poveretti, di essere mediaticamente più forti di Bergoglio e pensano che le loro correzioni arrivino al destinatario. Ma non hanno capito proprio niente di che cosa è la macchina massmediatica. contemporanea. Non sono loro a correggere il papa, è il papa a fagocitare loro».
Ma se il papa farebbe addirittura affermazioni non cattoliche, perché i normalisti fanno finta di non vedere tutto ciò?
«Perché al centro del problema c’è niente meno che il Papa. Giustamente i cattolici lo considerano la guida della Chiesa nella storia, e non vorrebbero mai doverlo criticare. Per intenderci: se l’intervista a Civiltà Cattolica fosse stata rilasciata da un teologo o perfino da un vescovo, sarebbe stata contestata nelle molte parti che non quadrano».
Ma, interviste a parte, avete criticato anche l’interpretazione che il Papa dà del Concilio Vaticano II. Non è una critica troppo forte?
«Ci atteniamo ai fatti: con il Vaticano II la Chiesa dichiara apertamente di volersi aprire al mondo e di rispondere alle sue aspettative. Un capovolgimento che in questi decenni ha prodotto i suoi risultati: i seminari si sono svuotati, in molti di essi si insegnano dottrine non cattoliche, e in cattedra si mettono, come volle Carlo Maria Martini, i non credenti».
Imputate a Bergoglio anche l’eccessivo feeling con i mass media. Non pensate invece che stia rafforzando l’immagine della Chiesa?
«Qui la risposta è sempre quella di McLuhan: i media creano una finzione che diventa un facsimile del Corpo Mistico, e lui la chiama “un’assordante manifestazione dell’anticristo”».
Ma ieri il Papa nella sua predica ha insistito sul fatto che il Diavolo è una realtà e non una metafora, dicendo che “Chi non è con Gesù, è contro Gesù, non ci sono atteggiamenti a metà”. Non è in contraddizione con la vostra immagine di “Papa progressista”?
«In questi mesi Papa Francesco ha detto molte cose cattoliche. Ma questo è normale: è il Papa. Ma nel nostro articolo abbiamo messo a confronto quanto dice sulla coscienza papa Francesco e quanto nel 1993 ha scritto papa Giovanni Paolo II nell’enciclica “Veritatis splendor”. Ebbene, uno dice esattamente il contrario dell’altro e pensiamo che nessun contorcimento della mente più contorta possa dire che, in fondo, sono la stessa cosa. Fino a oggi, nessuno è entrato nel merito di quanto abbiamo scritto. Nessuno ha trovato da ridire su una sola riga. Un gentile signore ci ha anche invitato pubblicamente ad andare a confessarci. Ma lo sa, questo signore, che ci è capitato di dire queste cose in confessione e di sentirci dire dal confessore che la pensa allo stesso modo, ma non lo può dire a nessuno? E dovrebbe sapere, questo signore, quante lettere e telefonate abbiamo ricevuto da cattolici che non ne potevano più e ci ringraziano per quanto abbiamo scritto».
Queste considerazioni vi sono costate l’epurazione da Radio Maria. Era una decisione che potevano evitare o l’avevate messa in conto prima di esporvi?
«Ci avevamo pensato, ma non era possibile tacere oltre. Eravamo amici di padre Livio Fanzaga prima di questa vicenda e lo siamo anche adesso. Lui è il direttore della radio e lui stabilisce la linea editoriale. Se questa linea prevede che il papa non si possa criticare neanche se parla di calcio, evidentemente due come noi sono fuori posto. Ma ci permettiamo anche di dire che questa linea proprio non la condividiamo. Non si può soffocare l’intelligenza e non si possono censurare a priori domande più che legittime. Questo non fa bene al mondo cattolico e non fa bene alla Chiesa. Se c’è qualche cosa che lascia l’amaro in bocca è che, dopo dieci anni di collaborazione, la telefonata sia arrivata due ore dopo l’uscita dell’articolo, senza neanche un momento per pensarci. Dieci anni in cui abbiamo avuto la libertà di dire tutto quello che ritenevamo opportuno anche su temi scottanti. Ecco, questa immediatezza fa male».
Pensate che la vostra espulsione sia stata decisa altrove?
«Bisognerebbe chiederlo a padre Livio, che è un bravo sacerdote e una persona per bene».
Ma si può stare in una radio cattolica e criticare il Papa?
«Certo che sì, a patto che le critiche non siano contrarie alla dottrina della Chiesa. Se Paolo di Tarso non avesse criticato il primo papa, oggi noi cattolici saremmo tutti circoncisi, perché San Pietro voleva stabilire questa norma. Se Santa Caterina non avesse rimbrottato i papi, oggi Avignone sarebbe ancora la sede del papato».
Il Papa ha dialogato con tantissime persone, anche con diversi atei militanti, vi aspettate una sua telefonata? Che voglia ascoltare le ragioni di due cattolici intransigenti e che magari intervenire per ridarvi la trasmissione in radio?
«Pensiamo che sia molto meglio che il Papa si dedichi al suo ministero: confermare il suo gregge nella vera fede, far tornare i cattolici a conoscere i catechismo e la dottrina, e operare affinché i lontani si convertano».




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L' "Orgoglioso lamento cattolico" di Gnocchi e Palmaro

Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro tornano sull'epurazione che hanno subita dopo aver osato rendere pubblico il loro (comprensibilissimo) disagio a fronte di molte sconcertanti affermazioni di Bergoglio. Che, piacciano o meno, sono oggettivamente in contrasto con quanto la Chiesa ha insegnato non dico fino al Concilio, ma anche solo fino a pochi mesi fa (come mettere d'accordo l'empito missionario verso i lontani di Joseph Ratzinger, quando Bergoglio ci "insegna" invece che convertire e far proseliti è "una solenne sciocchezza"? O come giustificare la lotta al relativismo con l'ambigua affermazione soggettivistica sulla coscienza, resa al Dott. Scalfari e da tutti intesa nel senso che ognuno deve seguire la propria idea di bene o di male? Che avrebbe detto il beato Giovanni Paolo II se gli avessero obiettato che la Chiesa "non deve ingerirsi spiritualmente nella vita delle persone", a lui che della tutela della vita - tema sul quale Bergoglio dice invece che "non bisogna insistere" - aveva fatto il punto centrale del suo pontificato?). L'occasione per l'Orgoglioso lamento cattolico, come titolano Gnocchi e Palmaro, è l'aggressione subita dalla figlia di uno di loro, per il crimine di lesa papolatria perpetrato dal genitore, da parte di quel nipote di papa Roncalli che, sulla parentela con Papa Giovanni, s'è fatto la greppia. Riportiamo uno stralcio del loro articolo.

Enrico


[..]
La ferocia con cui viene difeso il papa della misericordia si vedeva già tutta nel coro di osanna intonato fin dalla sera dell’elezione. Baciapile e anticlericali, devoti e agnostici, cattoliconi e diversamente credenti, tutti a cantar sermoni in una chiesa improvvisamente divenuta immacolata, linda e monda da ogni difetto. E poi, tutti in processione a consacrare in Lampedusa il luogo del nuovo olocausto, a sentir messa sulla spiaggia di Copacabana, a digiunare in piazza per la pace o forse per semplice paura della guerra. Tutti ovunque ci sia da celebrare la chiesa rimessa a onor del mondo invece che del Signore.

Al cospetto di tanto consenso, anche a non aver pratica di Scritture, il “Guai a voi quando tutti gli uomini parleranno bene di voi” con cui San Luca chiude le “Beatitudini” dovrebbe prendere a risonare con prepotenza. Nella guerra al Vangelo, il mondo abbraccia solo i propri simili e non usa fare prigionieri, ma nella fiera mediatica di cui il papa è la star delle star nessuno sembra tenerne conto. Si sta troppo al calduccio in questa specie di paese di balocchi dove gli opposti girano a braccetto facendo marameo al principio di non contraddizione. In soli sei mesi, si è buttata a mare l’esigenza di mostrare con rigore la ragionevolezza della fede che tanto andava di moda con Benedetto XVI. Ora, persino il guazzabuglio sull’Essere cincischiato da Scalfari sembra una pagina di Heidegger nel dialogo con il papa. Sulla scia di un pontefice che dice di amare la mistica e disprezza l’ascetica, sono stati spazzati via in un lampo secoli di metafisica. Nello spazio di un’omelia a Santa Marta, è stato cancellata la memoria di Ratzinger e ammutolito il suo discorrere con la ragione. E’ rimasto solo il cuore e, si sa, al cuor non si comanda e allora i dissidenti si coprono di insulti invece che di argomentazioni. Oppure si aggredisce una ragazza perché suo padre opina dove è sempre stato lecito opinare. O, ancora, si viene epurati seduta stante da “Radio Maria” senza neanche il diritto, non si dice di appello, ma almeno dell’ultima sigaretta. Fucilati sul posto come disertori per non aver “sostenuto incondizionatamente ogni iniziativa del papa”.

In ogni caso, nonostante il “ben gli sta” di coloro che non vedevano l’ora di reprimere almeno un alito di dissidenza che osasse alzare la testa, abbiamo ricevuto centinaia di e-mail, di telefonate e di messaggi di imbarazzante sostegno anche da tanti ascoltatori di “Radio Maria”. Innanzitutto per quanto è grottesca la vicenda. In una chiesa dove tutti criticano, contestano, manifestano, scrivono volumi e articolesse per denigrare passato, presente e futuro, quelli che vengono allontanati da una radio cattolica sono due che, secondo coscienza e “perseguendo ciò che ritengono il bene”, hanno criticato quanto nelle parole di Papa Bergoglio è in evidente contrasto con la tradizione cattolica. Ma quanto più colpisce in questi messaggi è l’adesione liberatoria di chi dice “avete scritto quello che da tempo molti pensano, ma che nessuno osava dire”. Siccome la chiesa è piccola e il fedele mormora, si spiega la ragione del fastidio che, negli ambienti clericali, il nostro scritto ha suscitato. Non siamo bambini come quello della fiaba di Andersen, ma ci siamo presi ugualmente la briga di dire che l’imperatore è nudo, mentre i cortigiani facevano a gara nel magnificare l’abito che non indossava. E, adesso, c’è il rischio che la gente se ne accorga, ne parli e cominci dire che qualcosa non torna. Sarebbe un dissenso ben singolare e difficile da affrontare. Qui non si tratta delle suore americane che vogliono le donne prete, dei teologi della liberazione che amano socialisteggiare o dei preti austriaci in fregola per l’abolizione del celibato. Questo è il dissenso di una variegata fetta di cattolici normali che vedono in pericolo la dottrina su cui si fonda la loro fede, l’idea stessa di papato e di chiesa. E’ il dissenso di tanti cattolici perplessi che non vogliono donne cardinale, messe creative trasformate in show secondo l’estro del celebrante, teologhesse veterofemministe al potere, pauperismo in mondovisione, pastori e teologi muti sui temi della bioetica e della famiglia. Questa fetta di popolo di Dio ha visto e valutato i ventun’anni di governo del cardinale gesuita Carlo Maria Martini nella diocesi di Milano e non vuole che ora la chiesa sia sottoposta al medesimo, discutibilissimo trattamento. E le perplessità, si viene scoprendo adesso che la gente comincia a parlare, sono nate con i primi scricchiolii uditi il giorno dell’elezione del cardinale Bergoglio, a partire da quel “Buonasera” che ha lasciato tutti di sasso e da quell’insistere sull’essere vescovo di Roma.

Certo, occorre dirlo, il problema non è solo Papa Francesco. Ad esempio, ci sono i papolatri, secondo i quali il Papa è ontologicamente incriticabile in merito a qualunque cosa dica. E si dice “ontologicamente” in un mondo cattolico dove neanche si conosce il significato del termine ontologia. Se il papa attualmente rengnante dicesse, per ipotesi, che si deve bere sangria e tifare Argentina, ecco che i papolatri passerebbero al nuovo drink e alla nuova maglia dopo anni e anni di birra e di Bayern Monaco. Ma senza intaccare l’ermeneutica delle riforma nella continuità.

Alla fine, il problema è questo mondo cattolico ormai incapace di esprimere intellettuali di qualche caratura. Ne costituisce un riflesso eloquente lo stato della stampa cattolica, stampa di lotta e di governo, ma non luogo di elaborazione di idee o, almeno di esibizione identitaria. Domenica scorsa la chiesa cattolica beatificava 522 martiri di Spagna, quasi tutti sacerdoti e religiosi trucidati in odio alla fede dall’esercito anarchico spagnolo. “Avvenire” ne ha parlato a pagina 23, in taglio basso: 522 martiri e il quotidiano della Cei se ne vergogna, li nasconde e si guarda bene dal dire chiaramente chi li abbia martirizzati. Parlavano spagnolo, è vero, ma purtroppo per loro non erano argentini, non frequentavano periferie esistenziali e furono ammazzati mentre stavano nei loro conventi e nelle loro chiese a pregare e a insegnare il catechismo.

Non c’è da stupirsi che questa stessa stampa cerchi di affogare nel disprezzo personale o nella censura chi osi chiedere ragione di evidenti contraddizioni, quand’anche escano dalla bocca del successore di Pietro. Sarebbe più facile per tutti se chi non condivide rispondesse seriamente nel merito, mostrasse dove stanno gli errori. Ma Augusto Del Noce ci aveva messo in guardia, quando aveva preconizzato con terrore una società nella quale sarebbe stato impossibile fare domande.
Una condizione del genere non può essere sottoscritta da un cattolico con uso di ragione, ripugna all’intelligenza. E poi, risulta difficile “sostenere incondizionatamente ogni iniziativa di un Papa” che cinguetta con Scalfari sull’autonomia della coscienza, che su Civiltà Cattolica invita ad abbassare i toni sulle questioni etiche, che sull’aereo con i giornalisti si chiede chi sia lui per giudicare gli omosessuali, che tramite la Congregazione dei religiosi vieta ai Francescani dell’Immacolata di celebrare la messa antica, che vola a Lampedusa ed elogia i frutti spirituali del Ramadan.

[..]
Anche la simbologia, che, grazie alla lontananza incolmabile del Vicario di Cristo, una volta si librava verso l’alto, ora guarda per terra e non mostra altro che uomini in mezzo agli uomini. Come accade con la croce pettorale di ferro di papa Francesco, sulla quale i fedeli, grazie allo sguardo mediatico, così materiale e terreno, non cercano più Cristo, ma l’umiltà dell’uomo la porta. Perché le creature son fatte così, se gli si toglie la ragione e gli si lascia solo il cuore si innamorano soltanto di ciò che è quotidiano e materiale. Mentre, come insegna la volpe al piccolo principe di Saint-Exupery, “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Ma per alimentare lo sguardo dell’anima serve un vero rito, “quello che” spiega sempre la saggia volpe “fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora diversa dalle altre ore”.

I grandi raduni di cui Papa Francesco è la grande star non danno proprio questa impressione. E non è un caso se lui stesso ha spiegato che la riforma liturgica è il frutto principale dell’adattamento della chiesa alla modernità voluto dal Vaticano II. Una sciagurata iniziativa in fondo alla quale l’uomo finisce per celebrare se stesso, privato del desiderio di posare sulle cose e sulle creature uno sguardo diverso. La devozione al mistero, l’attimo in cui a ogni singola cosa del visibile e dell’invisibile viene prestata l’identica misura di attenzione, è andata in esilio.

Su questo dramma, l’ormai dimenticato Benedetto XVI, ha scritto pagine ancora di grande attualità. Quando era ancora il cardinale Joseph Ratzinger, diceva nell’“Introduzione allo spirito della liturgia”: “L’uomo non può ‘farsi’ da sé il proprio culto. Egli afferma solo il vuoto se Dio non si mostra. (…) la vera liturgia presuppone che Dio risponda e mostri come noi possiamo adorarlo. Essa implica una qualche forma di istituzione. Essa non può trarre origine dalla nostra fantasia, dalla nostra creatività, altrimenti rimarrebbe un grido nel buio o una semplice auto conferma. Essa presuppone qualcosa che stia concretamente di fronte, che si mostri a noi e indichi così la via alla nostra esistenza”. Diversamente, spiega ancora Ratzinger, “il culto diventa una festa che la comunità si fa da sé; celebrandola, la comunità non fa che confermarsi da se stessa. Dall’adorazione di Dio si passa a un cerchio che gira intorno a se stesso”.

Per il suo tentativo di rimettere in onore la liturgia cattolica, Benedetto XVI fu aggredito su scala planetaria da torme di cattolici che nessuno si sognò di epurare. Ma ora la chiesa ha un altro papa e, questo sì, non si può nemmeno sfiorare

sabato 5 ottobre 2013

articoli=Giovanni XXIII incallito tradizionalista? + La "bontà" di Giovanni XXIII

 
 

di Vincenzo Sansonetti
Segnalato da Rafminimi
Pur non condividendo la figura di un Giovanni XXIII "incallito tradizionalista", pubblichiamo volentieri un articolo di Vincenzo Sansonetti, se non per altro, almeno per evidenziare come idee e provvedimenti tradizionali, oggi tanto perseguitate e condannate, erano idee del Papa e della Chiesa fino al Concilio Vaticano II, dove una minoranza modernista e progressista, imponendosi con colpi di mano e atteggiamenti e metodi della peggiore genia mafiosa, riuscì a prendere in mano le redini del potere e instaurare il regime dell'antichiesa, dell'apostasia, del tradimento, del giudaismo [ATTENZIONE! giudaismo dal traditore Giuda, non dal popolo giudeo] più sfacciato, regime del quale tutt'ora subiamo la violenza e le nefaste applicazioni.
Sottolineatur, grassetti e colori sono nostri.
       L'anno della beatificazione (il 2000) ha costituito l'occasione per una nuova serie di ricerche e pubblicazioni rigorose sulla sua vita e il sue operato, dopo che per anni, forse decenni, era mancato un approfondimento documentato e puntuale. Ma tali studi, purtroppo, sono stati presto dimenticati e messi da parte, complici anche due sciagurati film per la tv in cui Rai e Mediaset hanno fatto a gara per semplificarne eccessivamente la figura, alimentando i luoghi comuni su di lui, fino al punto di inventare persone e circostanze. Così, quest'anno, il 2003, l'anno del quarantesimo dalla morte e della pubblicazione della "Pacem in Terris" (l'enciclica diventata più famosa, non necessariamente il documento più significativo del suo pontificato), si e rifatto vivo il "partito" di chi usa a piacimento Papa Roncalli per sostenere le proprie (gracili) idee politiche e le proprie (banali) concezioni ecclesiali.
       Noi vorremmo invece attenerci al pieno rispetto della verità storica, tutta intera.
       Non è corretto, infatti, creare a posteriori la rappresentazione falsata di un personaggio, sottolineando in maniera esasperata solo alcuni aspetti della sua biografia, quelli più convenienti, e tacendone al contrario altri, quelli, come oggi si dice, meno "politicamente corretti". Proviamo a fare alcuni esempi, facendo emergere in tal modo quasi un Papa Giovanni sconosciuto, segreto, in realtà censurato e obliato.
  
La disciplina del clero
       Il 25 gennaio 1959, nella basilica di San Paolo Fuori le Mura, Giovanni XXIII non dà solo l'annuncio inatteso della sua intenzione di convocare un nuovo Concilio; comunica anche l'imminenza di un Sinodo per la diocesi di Roma (il Papa ha anche la responsabilità episcopale della diocesi di Roma), che dirigerà personalmente dal gennaio 1960. I lavori dureranno un anno, per giungere a una serie di conclusioni, contenute in 775 articoli, alcuni dei quali sorprendenti. Sulla falsariga di una disciplina del clero di tipo tradizionale, si stabiliscono regole molto rigide per i preti: nessun sacerdote della diocesi di Roma può frequentare sale cinematografiche, lo stadio e altri locali pubblici, è proibito viaggiare in automobile con una donna, anche quando si tratta della madre o di una sorella; si pretende la sobrietà del vitto ed è obbligatoria la veste talare.
 


Oggi invece dobbiamo subirci francescani in discoteca o presidenti di giurie da miss, scalmanate suore allo stadio, pretonzoli in compagnia di prostitute (per aiutarle..., non per convertirle!), faccioni immagine della sazietà, preti, vescovi e cardinali in tenute (non abiti) tanto trasandate da nauseare... anche per il senso di irriverenza e di profanazione del ministero che ricoprono.

       Sul piano liturgico, si impone l'uso del gregoriano, i canti popolari di nuova invenzione devono essere approvati, si allontana dalle chiese ogni profanità, vietando in generale che negli edifici sacri si eseguano spettacoli e concerti, si vendano stampati e immagini, si scattino fotografie.
       Si condanna ogni creatività del celebrante, "che farebbe scadere l'atto liturgico, che è atto di Chiesa, a semplice esercizio di pietà privata". L'antico rigore viene stabilito anche circa gli spazi sacri, vietando alle donne l'accesso al presbiterio.
       Ma queste norme, a cui tanto teneva il Beato Giovanni XXIII, alla fine rimasero lettera morta. Le conclusioni del Sinodo Romano, che doveva prefigurare il Concilio, caddero subito nell'oblio, e lo stesso Concilio, dove le voci "progressiste" prevalsero anche sui voleri del Papa, non le citerà neppure una volta, quasi non fossero neppure mai esistite.
 
Altro che orripilanti canti moderni, privi di alcuna melodia e dal senso financo equivoco. In chiesa oggi si balla, si danza, si gioca, si fa speccacolo, si fanno concerti e soprattutto si battono le mani, per ogni cretinata e financo nelle circostanze meno appropriate (quali sono quelle dei defunti). In chiesa oggi si vendono tutti i tipi di giornale, in particolare quel "Famiglia Cristiana" che fa tanta concorrenza ai più sporchi rotocalchi (vincendo spesso in bruttezza e sconcezza, d'immagini e di argomenti), un giornale che non ha più niente di cristiano. Le foto poi immortalano spesso certi baci hollywoodiani dati sull'altare da sensuali sposini.
Le donne oggi non solo hanno libero accesso al presbiterio, non solo fanno da chierichette, ma, novelle sacerdotesse di un cristianesimo molto paganeggiante, affiancano il celebrante sull'altare e hanno libero accesso alle Ostie Consacrate che maneggiano e distribuiscono con la più irriverente disinvoltura...
Proprio Roncalli, quando era nunzio a Parigi non volle essere fotografato in compagnia della anzianissima madre badessa di un convento, perché, affermava che MAI E POI MAI il prete deve essere accostato ad un donna, chiunque essa sia.
La lingua latina nella liturgia
       Forse la più importante disposizione del Sinodo Romano è la solenne conferma dell'uso del latino nella liturgia, come lingua ufficiale e universale della Chiesa. Capitolo spinoso, e inquietante, quello del latino, la "lingua propria della Chiesa con la Chiesa perpetuamente congiunta" (come l'ha definita lo stesso Giovanni XXIII). Esiste una Costituzione apostolica di Papa Roncalli, praticamente sconosciuta e ignorata dalle biografie, la Veterum Sapientia, l'atto più solenne, come egli volle, del suo pontificato, al punto che la promulgazione, il 22 febbraio 1962, avvenne in San Pietro al cospetto del collegio cardinalizio e di tutto il clero romano. La Costituzione apostolica, interamente dedicata allo studio del latino, confermava la continuità della cultura cristiana con la cultura classica del mondo ellenico e romano, perché le lettere cristiane sono, sin dai primordi, lettere greche e lettere latine. Ma è nella sua parte pratica e dispositiva, non solo in quella dottrinale, che la Veterum Sapientia si rivela di una fermezza esemplare. Il Papa ordina ai vescovi di vigilare a che nessun 'novatore" s'attentasse di scrivere una parola contro la "lingua cattolica". A proposito degli studi ecclesiastici, stabilisce che si ridia il giusto spazio al greco e al latino, a costo di accorciare le discipline del cosiddetto cursus laicale; nei seminari le scienze fondamentali, come la dogmatica e la morale, vanno insegnate in latino, seguendo manuali scritti in latino, e "chi tra gli insegnanti apparisse incapace o renitente alla latinità, si rimuova entro un congruo tempo"!
 
Il dissenso all'interno della Chiesa
       Guardando con attenzione nel pontificato di Giovanni XXIII, ci sono altri esempi di comportamenti che potremmo continuare a definire, con la mentalità di oggi, "politicamente non corretti". In relazione al dissenso all'interno della Chiesa, così vivo in quegli anni, contrastano con lo stereotipo del Papa "progressista" che ci siamo fatti, almeno due episodi. Il primo è la censura del Sant'Uffizio contro il libro di don Lorenzo Milani Esperienze pastorali, condiviso da Roncalli. Venti giorni prima della sua elezione a Papa, scrivendo al vescovo di Bergamo, l'allora Patriarca di Venezia afferma: "Ha letto, Eccellenza, la Civiltà cattolica del 20 settembre circa il volume Esperienze pastorali? L'autore del libro deve essere un povero pazzerello scappato dal manicomio. Guai se si incontra con qualche pazzerello della sua specie! Ho veduto anche il libro. Cose incredibili". L' altro provvedimento è il monito del Sant'Uffizio, pubblicato il 30 giugno 1962 [<http://www.paginecattoliche.it/Theilard-Osservatore.htm>, ndr] con il consenso del Papa, contro le ultime opere del discusso teologo e paleontologo francese Pierre Teilhard de Chardin, il gesuita-scienziato morto nel 1955, a 74 anni: "Fa troppo spesso un'indebita trasposizione", si sostiene, "dei termini e dei concetti della sua teoria evoluzionistica sul piano metafisico e teologico". Alzino la mano i teologi che hanno tenuto conto di questo giudizio condiviso dal Papa "buono"
Vincenzo Sansonetti.
 
Vedasi l'articolo collegato: La bontà di Giovanni XXIII

Bibliografia
Vincenzo Sansonetti, Un santo di nome Giovanni, Sonzogno, Milano 2000.
Andrea Tornielli, Vita di un Padre Santo, Gribaudi, Milano 2000.
Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, Formidabili quei Papi, Pio IX e Giovanni XXIII: due ritratti in controluce, con prefazione di Luigi Negri, Ancora, Milano 2000.
(c) Il Timone n. 27, Settembre/Ottobre 2003
http://www.kattoliko.it/leggendanera/chiesa/giovanni23.htm
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di Rafminimi
A completamento dell'articolo precedente, Giovanni XXIII, incallito tradizionalista? di Vincenzo Sansonetti, pubblichiamo il seguente di Rafminimi, che evidenzia il paradosso del tradimento e la contraddizione di un Papa... beato, ma non buono.
Sottolineatur, grassetti e colori sono nostri.
       La data della beatificazione, il 3 settembre, è una data importantissima nel calendario preconciliare: è quella della festa di San Pio X.
"Roma locuta, causa finita" si diceva una volta, Roma ha parlato, la causa è chiusa: Roncalli è tra i beati.
       Ora, premesso che NON NEGO che possa stare in Paradiso, anzi glielo auguro di tutto cuore, credo tuttavia opportuno fare alcune osservazioni. Tanto per incominciare, esamineremo "come" Roma ha parlato. In sé, una beatificazione NON è un atto infallibile, anche se, d'ordinario è temerario dubitarne; inoltre le virtù del nuovo beato, sono virtù INAUDITE, mai sentite: Roncalli È IL PRIMO BEATO PER VIRTÙ "ECUMENICHE"!
       Esaminiamole. Mentre le virtù lodate in Pio IX sono le classiche (infaticabile zelo pastorale… vita di preghiera intensa... profonda vita interiore..), quelle di Giovanni XXIII sono stranamente nuove, perfino sconosciute dalla teologia ascetica o mistica: "Questo Pontefice promosse l' ecumenismo, si preoccupò di curare i rapporti di fraternità con gli Ortodossi dell'Oriente che aveva conosciuto a lungo in Bulgaria e a Istanbul, intraprese più intense relazioni con gli Anglicani e con il variegato mondo delle chiese protestanti. Si adoperò in ogni modo per mettere le basi di un nuovo atteggiamento della Chiesa cattolica verso il mondo ebraico, aprendo decisamente al dialogo e alla collaborazione. Il 4 giugno 1960 creò il Segretariato per l'unità dei cristiani. Promulgò due significative Encicliche, la "Mater et Magistra" (20 maggio 1961) sull'evoluzione sociale e la "Pacem in terris" (11 aprile1963) sulla pace tra tutte le genti. Visitò ospedali e carceri e fu sempre vicino con la carità ai sofferenti e ai poveri della Chiesa e del mondo" (1). Se si eccettua la dedizione alle opere di misericordia corporale, tutte le virtù di Giovanni XXIII sono, quindi, virtù ecumeniche!
  
       Roncalli è passato alla storia come il papa dell'aggiornamento e dell'apertura al comunismo, ma contraddizione delle contraddizioni, lui, proprio lui, non Pio XII o Innocenzo III, proprio lui scrisse in difesa della tradizione della lingua latina e per l'inasprimento delle censure contro i comunisti. Giovanni XXIII scrisse l'atto più solenne della storia della Chiesa: la costituzione apostolica (oggi introvabile) "VETERUM SAPIENTIA". In essa il Papa ribadisce la necessità della lingua sacra, affrancata dalla schiavitù dell'uso corrente che con il passar del tempo ne altera i significati; riafferma la dignità indiscussa e la somma utilità del latino e del greco (le lingue "cattoliche", come le chiama) e auspica che nei seminari i corsi siano tenuti in tali lingue; riafferma che la ratio studiorum ecclesiastica riacquisti la propria originalità fondata sullo specifico dell'homo clericus, e quindi che si riduca al minimo l'incidenza delle scienze profane.
       Circa il comunismo, poi, il 25 marzo 1959, non si limita a rinnovare la scomunica che Pio XII nel 1949 aveva lanciato contro chi si iscrive a partiti comunisti o filocomunisti o alleati con essi, ma la estende persino a coloro che votano per tali partiti.
  
       Negli anni '60-'70 mamma TV, usando bene i suoi canali, crea e diffonde il culto dei santi martiri John & Bobby Kennedy e Martin Luther King, e del santo Profeta e Taumaturgo Giovanni XXIII, il "Papa buono".
«Però è lecito chiedersi a questo proposito –dice il Card. Oddi– se "Papa buono" equivalga a "buon Papa"» (2).
       Già l'espressione "papa buono" sembra un modo surrettizio di dar del cattivo a tutti gli altri Papi, in particolare all'immediato predecessore. Alla sua morte, l'Isvestja pubblicò un pezzo, riportato da Padre Wenefried Vaan Straten in "Dove Dio piange" (edizioni Città Nuova) che diceva: "Come Kruscev ha realizzato la destalinizzazione, così Roncalli è il padre della depacellizzazione"
       Sulla figura di Roncalli c' è ancora tantissimo da dire. I libri che trattano della sua "bontà" sono innumerevoli. Da alcuni anni, però cominciano ad uscire anche opere critiche. Fra i tanti, ricordo Franco Bellegrandi: "Nikita Roncalli, controvita di un papa" (Edizioni EILES). L'analogia con Kruscev continua.
In effetti il suo pontificato è stato davvero vissuto come una "depacellizazione".
Esso è stato ispirato da tutto un programma concentrato nell'allocuzione "Gaudet Mater Ecclesia" fatta per l'apertura del Concilio Vaticano II l'11 ottobre 1962 (3) (noto che, stranamente, il "Motu Proprio" con cui si scomunica Mons. Lefebvre e si concede di dire la Messa Tridentina a determinate condizioni si chiama "Ecclesia Dei afflicta": lì la S. Madre Chiesa gode, qui piange…).
       "L'allocuzione inaugurale del Concilio Vaticano II costituisce un atto di rilevante significato storico, certamente il più importante del pontificato di Giovanni XXIII, probabilmente uno dei più impegnativi della Chiesa cattolica nell'età contemporanea" scrive G. Alberigo, autore di uno studio particolarmente interessante su questo discorso (4). Infatti, con un discorso di 35 minuti (10 pagine degli A.A.S.) Giovanni XXIII ha dato al Concilio la sua "vera carta", definendone lo spirito. Le parole del "Papa buono" sono di una violenza incredibile nel riprovare ogni pessimismo e mettere alla gogna gli uomini attaccati al passato della Chiesa da lui definiti "profeti di sventura"! Con la sua allocuzione "papa Giovanni strappava loro con mano decisa la bandiera del Concilio e l'affidava alle truppe pronte ad aprirsi alla novità, a ringiovanire la Chiesa, a tentare un aggiornamento radicale dell'evangelizzazione ed un dialogo aperto senza prevenzioni con il mondo (5).
       Il tono dell'allocuzione è veramente di una violenza sorprendente nell'affermare la necessità di girare la pagina del passato, accettando totalmente il "nuovo ordine" che sta instaurandosi con le "nuove condizioni e forme di vita introdotte nel mondo moderno" ed il "mirabile progresso della scoperta dell'umano ingegno", per stabilire un dialogo fra la Chiesa e il mondo che assicuri l'unità della "intera famiglia cristiana" anzi del "genere umano", unità che sembrerebbe "il gran mistero che Gesù Cristo ha invocato con ardente preghiera dal Padre celeste nell'imminenza del suo sacrificio".
       Ecco dunque "l'aria fresca" voluta nella Chiesa da papa Giovanni, spalancandone le finestre, per aprire poi le porte a tutti coloro che se ne erano separati o che i suoi predecessori avevano condannato: ortodossi, protestanti, ebrei, massoni, comunisti, liberali, modernisti. Diremo quindi che, per il papa "buono", occorre leggere i "segni dei tempi": il mondo è cambiato ed anche migliorato [?!] e dunque bisogna adeguarsi al mondo [!] "moderno" guardando sempre a quello che ci unisce, usando della misericordia invece che della severità, adottando perfino il linguaggio degli uomini di oggi, per ristabilire con tutti l'unità.
Ma quale unità, quella voluta da Cristo o quella del giornale dei comunisti?
  

       "A Noi sembra di dover dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo. Nel presente momento storico, la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani, che, per opera degli uomini e per lo più al di là della loro stessa aspettativa, si volgono verso il compimento di disegni superiori e inattesi; e tutto, anche le umane avversità, dispone per il maggior bene della Chiesa".
       Al contrario Pio IX aveva dichiarato: "Abbiamo condannato i mostruosi errori che specialmente ai tempi nostri sono dominanti con grandissimo danno delle anime e con detrimento della stessa civile società e che non solamente sono sommamente contrari alla Chiesa cattolica, alle sue salutari dottrine, ai suoi diritti, ma altresì alla legge eterna e naturale scolpita da Dio nei cuori di tutti, e dai quali tutti gli altri errori hanno origine" (Quanta Cura 8.12.1864).
       Giulio Andreotti ci dice che nel '58, prima del Conclave che avrebbe eletto Giovanni XXIII, «Gaetano Baldacci sul "Giorno" scriveva che alla Chiesa non serviva né un battagliero come Giulio II, né un intellettuale come Leone X: era il momento di un Leone I che contro la spada di Attila levava solo la Croce»(6).
  
       Ricordiamoci che siamo nel '62. Può darsi che quell'«Attila», di cui parlava G. Baldacci, fosse il comunismo. Nel settembre '61 era stato costruito il muro di Berlino, e la cortina di ferro faceva sempre più vittime. Nell' ottobre '62, una settimana dopo l'allocuzione di Giovanni XXIII, scoppiava nei Carabi la crisi di Cuba. "Tuttavia –dichiarava imperterrito Giovanni XXIII– non senza grande speranza e con Nostro grande conforto vediamo che la Chiesa, oggi finalmente non soggetta a tanti ostacoli di natura profana, che si avevano nel passato, possa da questa basilica vaticana, quasi da un secondo Cenacolo apostolico, far sentire per mezzo vostro la sua voce, piena di maestà e di grandezza."
       Ma parecchi Padri conciliari, con maggior rispetto della realtà, ricorderanno il pericolo comunista, ne chiederanno la sua condanna, mentre si discuterà lo schema sulla "presenza ed azione della Chiesa nel mondo odierno", che diventerà la "Gaudium et Spes".
       Così l'Arcivescovo irlandese William Conway lamentava: "Lo schema. non parla della persecuzione contro la Chiesa in certi paesi: si può obiettare che questo silenzio è voluto per non ostacolare il dialogo con l' ateismo, ma la verità e la sincerità sono condizione elementare di ogni dialogo".
       Gli fece eco l'Arcivescovo ucraino Maxim Hermanjuk: "Deplorevole sarebbe dimenticare la testimonianza dei martiri e dei confessori della fede".
Anche il tedesco Josef Stimpfle esigette un maggior coraggio dal Concilio e chiese: "Com'è possibile restare con la coscienza tranquilla, astenendosi dal parlare e addirittura dall'accennare al fenomeno del marxismo, che costituisce il vero e più grave pericolo per dell'umanità contemporanea, della quale il Concilio afferma di volersi pastoralmente occupare?".
  
       Le critiche piovono a raffica.
       Ecco l'italiano Barbieri:"Sarebbe uno scandalo per molti credenti se il Concilio desse l'impressione di aver timore di condannare il maggior delitto della nostra epoca, l' ateismo scientifico e pratico, peggiore in sé e per le sue conseguenze, sul piano morale e spirituale, della stessa bomba atomica".
       L'argentino Bolatti: "Lo schema, che contiene diverse lodevoli considerazioni e tratta notevoli e importanti problemi, trascura inspiegabilmente il fenomeno del comunismo. Anche se si vuole prescindere dagli aspetti politico economici del sistema, non è possibile passare sotto silenzio l'ideologia che ha conseguenze così gravi su tutta la vita del mondo. Il comunismo domina quasi la metà dell' umanità e minaccia l'altra metà. È il più grave pericolo del mondo attuale. È necessario proclamare apertamente che il comunismo è in opposizione assoluta con il cristianesimo".
       Lo spagnolo Garcia de Sierra: "Il Concilio deve parlare chiaro in proposito e riaffermare la incompatibilità del comunismo non solo con l'antropologia rivelata, ma anche con quella naturale".
       Tra gli interventi più incisivi quello, orale, dell'Arcivescovo di Nanchino in esilio, Monsignor Yu Pin. Il presule cinese (a nome di 70 vescovi) osservò ironicamente che "Lo schema insiste molto sui segni dei tempi, ma sembra ignorare che il comunismo e il materialismo marxista costituiscono il più grande e il più triste segno caratteristico dei nostri tempi. Una dichiarazione su questo argomento è reclamata dalla difesa della verità, giacché il comunismo, il materialismo, l'ateismo militante costituiscono il cumulo di ogni eresia. Dobbiamo pure ricordare che là dove c'è il comunismo, non manca mai la persecuzione sanguinosa o almeno rovinosa; similmente la dottrina della coesistenza pacifica, la politica della mano tesa, la concezione del cosiddetto comunismo cattolico sono fonti di pericolosa confusione. Per soddisfare l'attesa dei popoli, e specialmente di quelli che soffrono e gemono sotto il giogo comunista, per conferire allo schema un maggior equilibrio e una maggior aderenza alla situazione di fatto nel mondo attuale, occorrerebbe completarlo con un capitolo riservato esclusivamente all'ideologia marxista e alla sua espressione politica, il comunismo, aggiungendovi una loro esplicita condanna".
       Sulla stessa linea Mons. Carli, vescovo di Segni: "Stupisce il silenzio dello schema intorno ad un fenomeno che purtroppo esiste nel mondo del nostro tempo; un fenomeno che tocca da vicino l'ordine naturale e insieme quello soprannaturale;. Si dirà forse: ma il comunismo è già stato giudicato dal magistero pontificio! Rispondo: non lo nego, però anche tutto il resto che si trova in questo schema e in alcuni altri fu enunciato da Sommi pontefici, specialmente da Pio XII di venerata memoria, con ancor maggior chiarezza, abbondanza e precisione; eppure il nostro Concilio ritiene bene che quelle cose si ripetano solennemente e conciliarmente! Chiedo dunque che anche di questa somma eresia del nostro tempo venga trattato in forma esplicita e con competenza, affinché i posteri non abbiano a credere che il Vaticano II sia celebrato in un'epoca in cui tutto l'orbe cattolico viveva in pace e calma".
       A sua volta il cecoslovacco Rusnak: "Guardando la carta geografica, non possiamo ignorare che la metà del mondo è soggetta al comunismo, senza dire dei comunisti che si trovano negli altri paesi. Il comunismo, perciò, è un fenomeno così vasto che bisognerebbe parlarne anche se non perseguitasse la religione. Invece la perseguita, incoraggiato dal silenzio dei grandi organismi internazionali sorti in difesa dei diritti dell'uomo, e purtroppo anche dal silenzio dei cristiani che potrebbero e dovrebbero parlare. A spiegare l'atteggiamento della Chiesa verso il comunismo non basta quel poco che si dice nello schema a proposito dell'ateismo, e che è del tutto inefficace. Ridurre, poi, il comunismo al solo problema dell'ateismo produrrebbe nel mondo una gran confusione, vedendo che la Chiesa tace dinanzi a quest'eresia del secolo ventesimo e non ha nulla da dire per rischiarare le menti confuse. Sarebbe crudele anche verso i fratelli perseguitati; bisogna, perciò, parlarne esplicitamente, esigendolo la verità e la carità. Far conoscere tali cose è un vero atto di carità, anche perché l'opinione pubblica del mondo e dei cattolici, rappresentati dal Concilio, può indurre i responsabili e più miti consigli".
       Anche Mons. Carli inviò alla competente commissione una nota critica in cui commentava tra l'altro: "È vero che nella nuova redazione dello schema XIII si parla dell'ateismo più abbondantemente che nella redazione precedente. Però, con l'evitare accuratamente il nome di comunismo -più volte condannato da magistero sotto questo nome- noi veniamo ad illudere e ingannare i nostri fedeli, specialmente i semplici e gli indotti, i quali leggendo questo schema crederanno che la Chiesa non abbia ormai più nulla da eccepire conto il comunismo! Che cosa diranno, per esempio, i comunisti italiani i quali generalmente non sono atei? Diranno: il Concilio ha condannato l'ateismo, ma non il comunismo; dunque, potremo essere nel medesimo tempo e credenti e comunisti!" (7)
       Siamo qui di fronte al mistero più sconvolgente o alla contraddizione più paradossale dell'atteggiamento assunto da Giovanni XXIII e dal Concilio di fronte al comunismo, che sembra non esistere più nella mente di papa Roncalli. Eppure il 25 marzo 1959, come abbiamo visto, aveva confermato con decreto la condanna e la scomunica dei cittadini che avessero dato il voto ai comunisti.
       Nel '62 "Attila" era scatenato, e questo silenzio del Papa "buono" è veramente sconvolgente: anziché levare la Croce, egli non ha saputo che aprire il suo cuore al nemico. Infatti sappiamo che, per il suo Concilio, voleva un'apertura agli osservatori delle altre confessioni cristiane, fra i quali gli ortodossi russi, che fino al luglio 1961 avevano opposto un solenne "non possumus" (8).
       Senza confutare questa voce, il cardinale Oddi scrive: "Si dice che per avere al Concilio i delegati di alcune chiese ortodosse la Santa Sede si era impegnata a non sollevare nell'assise ecumenica, in alcun modo, il problema del comunismo" (9). Andrea Riccardi vi accenna: "Si è parlato a questo proposito di uno "patto" stretto a Metz tra il cardinale Tisserant su mandato di papa Giovanni, e il metropolita Nikodim [10], che avrebbe condizionato la partecipazione degli osservatori russi al Vaticano II ad un'esplicita esclusione della condanna" (11).
       Il medesimo Riccardi nota anche che "Un cambiamento c'era stato, anche con il solo silenzio ed una diversa impostazione, ed appariva così profondo da accreditare la voce di un esplicito accordo tra il patriarcato di Mosca e la S. Sede. Tuttavia, un accordo di questo tipo avrebbe potuto legare la libertà del Concilio ecumenico. In realtà, ci fu un accordo Roma-Mosca. L'aveva rivelato fin dal '63 il partito comunista francese: "La Chiesa cattolica si è impegnata, nel dialogo con la Chiesa ortodossa russa, a che nel Concilio non ci siano attacchi diretti contro il regime comunista". E Mons. Roche, segretario del cardinale Tisserant, lo conferma esplicitamente in una lettera al direttore della rivista Itineraires: «Tutti sanno che questo accordo fu negoziato tra il Cremino e il Vaticano al più alto vertice. Mons. Nikodim e il card. Tisserant non furono che i portavoce, l'uno del capo del Cremino, l'altro del Sommo Pontefice allora regnante. Ma io vi posso assicurare, Signor Direttore, che la decisione d'invitare gli osservatori russi ortodossi al Concilio Vaticano II è stata presa personalmente da S. S. Giovanni XXIII, con l'aperto incoraggiamento del card. Montini, che fu il consigliere del Patriarca di Venezia al tempo in cui egli era arcivescovo di Milano. Il card. Tisserant ha ricevuto ordini formali, tanto per negoziare l'accordo quanto per sorvegliarne durante il Concilio l'esatta esecuzione. Perciò ogni volta che un Vescovo voleva affrontare la questione del comunismo, il cardinale, dal tavolo del consiglio di presidenza, interveniva per ricordare la consegna del silenzio voluta dal Papa» (12).
       Come parlare di libertà della Chiesa da ogni ostacolo quando poi la si sottomette al "veto" di Mosca?
       «L'impegno preso e mantenuto dalla Santa Sede è stato la rinunzia alla missione della Chiesa, un tradimento a Dio, alla Storia, all'Occidente, alla Chiesa stessa e all'umanità, questa pagina nera della storia della Chiesa resterà, come giustamente scrive il Madiran, "la vergogna della Santa Sede nel secolo XX"».
       Può essere beato una papa che scriva una tale vergognosa e nera pagina???
  
       Pio XII aveva dichiarato: "Anzi, non è lecito, neppure sotto il pretesto di rendere più agevole la concordia, dissimulare neanche un solo dogma; giacché, come ammonisce il patriarca alessandrino "Desiderare la pace è certamente il più grande e il primo dei beni, ma non si deve per siffatto motivo permettere che ne vada di mezzo la virtù della pietà di Cristo". Perciò non conduce al desideratissimo ritorno dei figli erranti, alla sincera e giusta unità in Cristo, quella teoria che ponga a fondamento del concorde consenso dei fedeli solo quei capi di dottrina, sui quali o tutte o almeno la maggior parte delle comunità, che si gloriano del nome cristiano, si trovino d' accordo, ma bensì l'altra che, senza eccettuarne né sminuirne alcuna, integralmente accoglie qualsiasi verità da Dio rivelata".
Rafminimi
 
Vedasi l'articolo collegato: Giovanni XXIII incallito tradizionalista?
(1) L'Osservatore Romano 20-21/-XII-1999.
(2) Card. Silvio Oddi: "Giovanni del Mito. Giovanni della Storia", in 30 Giorni, N.ro 5 maggio 1988, pag. 58.
(3) Acta Apostolicae Sedis 26-11-1962, pp. 786-795.
(4) G. Alberigo, "Formazione, contenuto e fortuna dell'allocuzione" in "Fede, Tradizione, Profezia", Paideia Editrice, Brescia 1984, pp. 187-222.
(5) Carlo Falconi, Vu et entendu au Concile, ed. du Rocher 1964, p. 121.
(6) Giulio Andreotti, A ogni morte di Papa, Rizzoli 1980, p. 61.
(7) Vedi Quella "Svista" del Concilio, di Tommaso Ricci in 30 Giorni. Agosto-Settembre 1989, pp. 56-63.
(8) Vedi Alberigo, op. cit. pp. 427-428.]
(9) Op. cit: p.59.
[10] È ormai assodato che Nikodim era una spia del KGB. Morirà improvvisamente tra le braccia di papa Luciani, durante una sua visita in Vaticano.
(11) Andrea Riccardi, Il Vaticano a Mosca, Laterza ed. 1993, cap. VII Fine della Condanna, inizio del dialogo p. 278.
(12) Vedi Itineiraires n. 70, febbraio 1963; n. 72 aprile 1963; n. 84 giugno 1964; n. 280 febbraio 1984; n. 285 luglio 1984.
(13) Orientalis Ecclesiæ 9-4-1944.