giovedì 25 aprile 2013

RATZINGER, COLLEGIALITA' E PRIMATO


Collegialità e primato, continuità e discontinuità. Continua il dibattito dopo la decisione di Papa Francesco di nominare un gruppo di otto cardinali che lo consiglino nel governo della Chiesa e nello studio di una riforma della Curia. Può essere interessante, anche nel dialogo con chi vede nella collegialità un grande rischio, addirittura per la sopravvivenza del papato, rileggere queste parole del cardinale Joseph Ratzinger, contenute nel XII volume dell’Opera omnia, pubblicato in Germania nel 2010 e di prossima pubblicazione in italiano da parte della Libreria Editrice Vaticana.
Ratzinger si chiede se la collegialità non rischi di far dimenticare o «svalutare» la «dottrina cattolica del primato del vescovo di Roma». «Quale funzione può ancora competere qui a questo primato? Tali domande, in effetti, anche al Concilio sono state il motivo principale dell’opposizione, talora molto violenta, contro la dottrina del carattere collegiale del ministero episcopale… In base a tutto quel che è stato elaborato nelle discussioni al Concilio e attorno al Concilio, è possibile dare qui brevemente la risposta».
«Si può dimostrare – scrive Ratzinger – che la dottrina della collegialità dei vescovi, pur apportando certamente varie modifiche, e non di poco conto, a certe forme di presentazione della dottrina del primato, non la elimina, bensì ne mette in rilievo il valore teologico centrale, in cui forse potrà anche essere fatta meglio comprendere ai fratelli ortodossi. Il primato del Papa, dunque, non può essere inteso in base al modello della monarchia assoluta, quasi che il vescovo di Roma sia il monarca assoluto di una Chiesa che ha la natura di uno Stato soprannaturale a struttura centralistica». Aggiungo un mio piccolo commento: mi sembra che proprio questa sia invece la concezione a cui tendono, più o meno consapevolmente, alcuni difensori del papato che temono la collegialità.
«Significa piuttosto che – continua Ratzinger – entro la rete delle chiese che sono in comunione tra loro e da cui è costituita l’unica Chiesa di Dio, c’è un punto obbligato, la Sedes romana, cui deve fare riferimento l’unità della fede e della communio. Ma tale centro obbligato della “ collegialità” dei vescovi non esiste per una umana convenienza (quantunque si raccomandi anche in base ad essa), bensì perché il Signore stesso, accanto e insieme all’ufficio dei Dodici, ha creato il particolare compito dell’ufficio di roccia, che al segno escatologico dei Dodici aggiunge l’altro segno della roccia…».
Dunque, «il primato del vescovo di Roma, nel suo senso originario, non si oppone alla costituzione collegiale della Chiesa, ma è primato di comunione, che ha il suo posto in una Chiesa che vive e si concepisce come comunione. Esso significa, diciamolo ancora una volta, la capacità e il diritto, entro la rete di comunione, di decidere in modo vincolante dove è il luogo nel quale la Parola del Signore è rettamente testimoniata e dove di conseguenza c’è la vera communio. Esso presuppone la communio ecclesiarum e si può rettamente intendere solo in base ad essa».

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