martedì 9 aprile 2013

studi sull’AUTORITÀ DOTTRINALE DEI DOCUMENTI PONTIFICI E CONCILIARI - a cura di Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira

a cura di don CURZIO NITOGLIA
16 novembre 2010

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Proponiamo ai nostri lettori tre articoli scritti dal teologo brasiliano, Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira, stretto collaboratore di Sua Eccellenza mons. Antonio de Castro Mayer Vescovo di Campos e Direttore della rivista teologica mensile “Catolicismo” di San Paolo del Brasile nella quale sono apparsi. Essi aiuteranno il lettore a risolvere, nella misura di quel che è possibile alla umana capacità, i problemi di coscienza posti dal Vaticano II e dalle riforme scaturite da esso al cattolico fedele alla verità e all’autorità. Il Da Silveira è anche l’autore assieme a mons. De Castro Mayer di numerosi saggi teologici sul Novus Ordo Missae di Paolo VI (apparsi su “Catolicismo” tra il 1970-1971), che furono pubblicati in francese in un libro divenuto celeberrimo sotto il titolo “La Nouvelle Messe de Paul VI: qu’en penser?”, Chiré, 1975.
        
«Pio XII nella Humani generis insegna: “Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro magistero supremo. Infatti questi insegnamenti sono del magistero ordinario, per cui valgono pure le parole: ‘Chi ascolta voi, ascolta me’ (Lc. X, 16)”. Come si vede, Pio XII dice: ‘per sé’, perché in realtà, ‘per accidens’ , in casi evidentemente non normali, si possono presentare situazioni in cui sia lecito sospendere l'assenso rispetto a un documento del magistero» (A. X. Vidigal Da Silveira).
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Introduzione

«Tu sei Pietro, e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa» [1]. «Ed ecco che io sono con voi per tutti i giorni fino alla fine del mondo» [2]. «Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, una volta convertito, confermi i tuoi fratelli» [3]. Sono numerosi i passi scritturali in cui il Gesù insegna la indefettibilità della Cattedra di Verità, personificata dal Papa e dai suoi successori. Per questo i Santi affermano che il Papa è il «dolce Cristo in terra» (Santa Caterina da Siena), «colui che dà la verità a quelli che la chiedono» (san Pietro Crisologo), colui che, parlando, mette fine alle questioni relative alla fede (sant'Agostino). L'infallibilità dei Sommi Pontefici e della Chiesa è garanzia della Tradizione e di tutto quanto è contenuto nella Rivelazione. Se non vi fosse questa garanzia, la malizia e la debolezza degli uomini avrebbero sùbito deturpato e corrotto il Deposito rivelato, con lo stesso odio e con lo stesso impeto satanico con cui hanno ucciso il Figlio stesso di Dio.

Estensione dell’infallibilità papale

Nello spirito di molti cattolici di istruzione religiosa media è radicata 1'idea che il Sommo Pontefice è infallibile in tutto quanto insegna. In altri troviamo la nozione ugualmente errata secondo cui vi è infallibilità soltanto nelle definizioni solenni quanto al modo, come quella dell'Assunzione in Cielo della Beata Vergine Maria. Altri ancora si chiedono se un Concilio ecumenico sia sempre infallibile, se il Papa possa eccezionalmente errare, se è obbligatorio credere a tutto quello che hanno insegnato i Papi nel corso dei secoli, a tutti i documenti dottrinali delle Congregazioni romane, a tutto quello che insegnano i vescovi, o almeno il proprio vescovo, e che differenza esista tra la infallibilità del Papa e quella della Chiesa.

Se sia lecito trattare questo argomento

Un cattolico devoto al Papato, e quindi con particolare zelo per il carattere monarchico della Chiesa, potrebbe chiederci preliminarmente se sia lecito trattare simili argomenti, e se non sarebbe indice di maggiore pietà accettare come infallibile tutto quanto insegnano sia i Papi che i vescovi. Gli risponderemmo che i fedeli non devono prendere in considerazione la Chiesa diversa da come l'ha fatta nostro Signore. Se su un punto tanto fondamentale della dottrina cattolica aleggiano dubbi tra i fedeli è compito anche di pubblicazioni teologiche cattoliche contribuire a chiarirli, perché la dottrina della Chiesa non è esoterica. Inoltre, siamo portati ad affrontare questo argomento per il fatto che oggi i progressisti cercano in mille modi di sminuire le prerogative del Pontificato romano e predicano la ribellione contro il secolare insegnamento del Magistero.

Magistero papale e universale, ordinario e straordinario

Prima di affrontare il problema dell’infallibilità, bisogna fissare alcune distinzioni fondamentali. Il magistero ecclesiastico deve essere preventivamente diviso in pontificio e universale[1].

[1] Magistero:
1°) papale: del solo Pontefice romano;
a) straordinario: definizione solenne o ‘non-comune’ sia quanto al modo (proclamazione “in pompa magna”) che quanto alla sostanza (dogma di fede divino-cattolica). È infallibile di per se stesso (p. es. l’Immacolata o l’Assunta, sono state solennemente proclamate da Pio IX e XII come verità divinamente rivelate e proposte a credere obbligatoriamente in ordine alla salvezza eterna);
b) ordinario: comune o ‘non-solenne’ quanto al modo di insegnare. È infallibile solo se il Papa, quanto alla sostanza della verità insegnata, vuole definire e obbligare a credere come divinamente rivelato ciò che insegna, in maniera ordinaria, ‘non-solenne’ o comune (p. es. Giovanni Paolo II sull’inammissibilità del sacerdozio femminile);
 
2°) universale: dei vescovi assieme al Papa;
c) straordinario: Papa e vescovi uniti fisicamente nello stesso luogo (in Concilio Ecumenico a Firenze, Trento o Roma), insegnano solennemente o in maniera ‘non-comune’ quanto al modo (essendo uniti eccezionalmente nello stesso luogo e non sparsi abitualmente nel mondo). È infallibile, quanto alla sostanza della verità insegnata, se vuole definire e obbligare a credere come divinamente rivelata una dottrina per la salvezza eterna;
d) ordinario universale: insegnamento comune, ‘non-solenne’ dei vescovi abitualmente sparsi fisicamente nel mondo nelle loro rispettive Diocesi, ma uniti intenzionalmente al Papa nel proporre una verità. È infallibile se tale insegnamento è proposto, quanto alla sostanza della verità insegnata, come definitivo e obbligatorio a credersi per la salvezza dell’anima.
Magistero pontificio è quello del Papa, Capo supremo della Chiesa. Magistero universale è quello di tutti i vescovi uniti al Sommo Pontefice. Nel magistero pontificio il successore di San Pietro parla individualmente e per autorità propria. Per esempio, attraverso encicliche, costituzioni apostoliche, allocuzioni dirette a pellegrini. Nel magistero universale, in unione con il Sommo Pontefice, parla l'insieme dei vescovi, sia riuniti in Concilio (magistero straordinario universale) che dispersi nel mondo (magistero ordinario universale). È assolutamente necessario cautelarsi contro una concezione errata del magistero universale, secondo cui i vescovi potrebbero insegnare indipendentemente dal Papa. Niente di più falso. Tenendo presente il carattere monarchico della Chiesa, l'insegnamento dei vescovi, sia quando sono riuniti in Concilio, sia quando sono dispersi nel mondo, non avrebbe nessuna autorità se non fosse approvato, almeno implicitamente, dal Papa (cum Petro et sub Petro). Il magistero universale trae tutta la sua autorità dall'unione almeno di pensiero se non di luogo con il Sommo Pontefice. Il carattere monarchico della Chiesa è di diritto divino, ed è stato oggetto di numerose definizioni del magistero[4]. Mons. Antonio de Castro Mayer, vescovo di Campos, trattando del magistero di ciascun vescovo nella sua diocesi, insegna che «essendo infallibile il magistero pontificio, e fallibile, anche se ufficiale, quello dei singoli vescovi, è possibile, per la fragilità umana, che uno o altro vescovo cadano in errore; e la storia registra alcune di tali eventualità» [5]. Altra distinzione basilare, che è necessario stabilire, e quella tra magistero ordinario e straordinario. Nel magistero straordinario quanto alla sostanza ogni pronunciamento gode dell'infallibilità di per se stesso. Di questo tipo sono le definizioni dogmatiche come quelle della Immacolata Concezione, della Infallibilità pontificia, della Assunzione di Maria Santissima. Ma, come più avanti vedremo, non tutto quanto insegnano i Papi, i concili e i vescovi è di per sé infallibile. Tanto il magistero pontificio quanto quello universale possono essere ordinari o straordinari. Nella Santa Chiesa abbiamo quindi quattro modalità diverse di insegnamento. Cercando di farsi un'idea del magistero universale straordinario, è necessario non confondere il senso che abbiamo appena attribuito al termine «straordinario quanto alla sostanza insegnata» con l'altro senso, che la parola comporta, di «cosa fuori dal comune quanto al modo di insegnamento», che si sottrae alla routine di tutti i giorni. Infatti, ogni Concilio è straordinario quanto al modo nel senso che non è permanentemente o abitualmente riunito; ma il suo insegnamento è straordinario quanto alla sostanza soltanto se definisce una verità di fede come da credersi obbligatoriamente. In questo articolo useremo il termine «straordinario quanto alla sostanza» solo nel senso di definizione dogmatica e infallibile. Tra i teologi, la parola si trova usata ora in un senso, ora in un altro, il che ci sembra fonte di non piccole confusioni[6]. Preferiamo adottare la terminologia indicata perché, oltre a sembrarci più didattica, è stata sanzionata da Paolo VI in due discorsi relativi al Concilio Vaticano II[7]. Ad analoga confusione si presta la parola «solenne», che talora indica il pronunciamento «di per se stesso infallibile quanto alla sostanza», talora quello che, inoltre, si circonda di formule particolarmente solenni quanto «al modo in cui sono pronunciate»[8].

Pronunciamento pontificio “ex cathedra

Analizziamo inizialmente il magistero pontificio straordinario. Dalle lezioni di catechismo, ogni cattolico ricorda che il Papa è infallibile quando parla ex cathedra, e in materia di fede e di morale. Formula vera, ma che per il suo carattere estremamente laconico può indurre in inganno, e perciò richiede alcune spiegazioni. Infatti, che cosa significa ex cathedra? Parlare dalla Cattedra di Pietro significa soltanto insegnare ufficialmente? Significa rivolgersi alla Chiesa universale? Le encicliche, per esempio, essendo documenti ufficiali, in generale diretti a tutta la Chiesa, sono ipso facto pronunciamenti ex cathedra? Nella definizione della infallibilità pontificia, nel Concilio Vaticano I, troviamo la soluzione chiave per questi dubbi. La costituzione Pastor Aeternus stabilisce le condizioni necessarie per la infallibilità delle definizioni pontificie. Insegna che il Papa è infallibile «quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la fede ed i costumi, che deve tenersi da tutta la Chiesa»[9]. I teologi sono unanimi nel vedervi la soluzione del problema delle condizioni della infallibilità pontificia[10]. Pertanto; le condizioni necessarie perché si abbia un pronunciamento del magistero pontificio straordinario sono quattro: 1°) che il Papa parli come Dottore e Pastore universale; 2°) che usi della pienezza della sua autorità apostolica; 3°) che manifesti la volontà di definire e di obbligare a credere; 4°) che tratti di fede o di morale. La infallibilità è una facoltà che risiede nella persona del Pontefice come in un essere dotato di intelligenza e di volontà. Egli userà o non userà di questo potere, a seconda che voglia o no. Nella sua vita privata, per esempio in una conversazione con amici o in una lettera ad un parente, è chiaro che il Papa non sta usando del suo potere di definire. Da questo deriva la prima condizione, e cioè che parli come Maestro universale. In più di un documento Benedetto XIV afferma che non emette una certa opinione teologica come Sommo Pontefice ma come semplice dottore privato. Lo stesso ha dichiarato San Pio X a proposito di affermazioni che il Papa fa in udienze private[11]. Ma perché si abbia infallibilità non è sufficiente che il Papa insegni come Maestro universale. È infatti necessario che sia rispettata una seconda condizione, e cioè che parli usando la pienezza dei suoi poteri. L'importanza e la gravità di un pronunciamento infallibile sono tali che è necessario sia ben chiaro che, emettendolo, il Papa sta facendo uso della pienezza delle prerogative che gli competono come legittimo successore di San Pietro. Per questa ragione tanto Pio IX nella definizione della Immacolata Concezione quanto Pio XII in quella della Assunzione di Maria in Cielo dichiarano di parlare «per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra». Tuttavia, anche questo non basta. Infatti, anche parlando come Maestro universale e nell'uso di tutta la sua autorità, il Papa può limitarsi a raccomandare una dottrina, o a ordinare che sia insegnata nei seminari, o a mettere in guardia i fedeli dal pericolo presente nella sua negazione. Per questa ragione vi è una terza condizione, e cioè la manifestazione della volontà di definire o obbligare a credere come divinamente rivelata. Questa volontà di definire manca, per esempio, nei documenti, che tuttavia sono tanto saggi, positivi ed energici, con i quali i Papi hanno raccomandato o anche imposto ai professori di filosofia e sacra teologia lo studio e l'insegnamento del tomismo. Tra gli altri, si possono vedere 1'enciclica Aeterni Patris di Leone XIII, il ‘motu proprio’ Doctoris angelici di san Pio X, e l'enciclica Studiorum ducem di Pio XI. L'ultima condizione è che si tratti di materia di fede e di morale. Lasciamo da parte questo punto, perché esorbiterebbe dai limiti di questo articolo lo studio degli oggetti primari e secondari della infallibilità[12].

La “volontà di definire

Il punto cruciale del problema è nella terza condizione, e cioè che vi sia intenzione di definire ed obbligare a credere. Come si manifesta questa intenzione? Con 1'uso della parola «definiamo»? Con la scomunica di chi dica il contrario? Con la natura giuridica del documento? Nessuno di questi segni da solo è apodittico[13]. Fondamentale è che sia chiaro, in un modo o nell’altro, che il Papa vuole definire una verità da credere obbligatoriamente in quanto divinamente rivelata. Per questa ragione, nelle definizioni solenni, i Sommi Pontefici accumulano i verbi per rendere indiscutibile la loro intenzione: «promulghiamo, decretiamo, definiamo, dichiariamo, proclamiamo», ecc. In altri casi, potranno mancare tali verbi, ma le circostanze che circondano il documento mostreranno che vi è stata volontà di definire. È quanto accade quando il Papa impone a tutta la Chiesa l'accettazione di una formula di fede. O quando risolve ufficialmente, definitivamente ed in maniera obbligatoria una disputa dottrinale sorta tra i vescovi, in un documento indirizzato, in modo almeno indiretto, alla Chiesa universale.

Magistero universale straordinario

Il Concilio Vaticano I non ha dichiarato in che condizioni un Concilio ecumenico è infallibile. Ma, per analogia con il magistero pontificio, si può affermare che le condizioni sono le stesse quattro. Come il Papa, il Concilio ha la facoltà di essere infallibile, ma può usarne o no, a sua volontà. Molti cattolici male informati potrebbero a questo punto obiettarci di avere sempre sentito dire che ogni Concilio ecumenico è necessariamente infallibile. Questo non è però quanto dicono i teologi. San Roberto Bellarmino spiega che solo dalle parole del Concilio si può sapere se i suoi decreti sono proposti come infallibili. E conclude che, quando le espressioni al riguardo non sono chiare, non è certo che tale dottrina sia di fede[14]. E, se non è certo, non è da credere, perché, secondo il Codice di Diritto Canonico, «nessuna verità deve essere considerata come dichiarata o definita come da credere, a meno che questo consti in modo manifesto»[15].

Costanza di un insegnamento nel magistero ordinario

Non si può definire il magistero ordinario, sia pontificio che universale, come quello costituito dagli insegnamenti che non godono della nota della infallibilità. È vero che, di per sé, cioè isolato dagli altri, un insegnamento del magistero ordinario senza la voluntas definiendi non comporta 1'infallibilità. Cosi, quando l'enciclica Ad diem illum, di san Pio X, sostiene la Corredenzione di Maria, ma non obbliga a crederla come divinamente rivelata non dice nulla che impegni l’infallibilità pontificia. Quindi, in questo caso, siamo ben lontani dalle definizioni solenni (quanto alla sostanza e al modo), come per esempio da quella della bolla Ineffabilis Deus, che ha definito l’Immacolata Concezione, e che da sola chiuderebbe la questione, anche se non vi fosse nessun altro pronunciamento pontificio in proposito. Tuttavia, il magistero ordinario può, in altro modo, comportare l’infallibilità. Così, a proposito della Corredenzione, il padre J. A. Aldama dice: «Benché il magistero ordinario del Pontefice Romano non sia di per sé infallibile, se però insegna costantemente e per un lungo periodo di tempo una certa dottrina a tutta la Chiesa, come accade nel nostro caso [quello della Corredenzione], si deve assolutamente ammettere la sua infallibilità; in caso contrario, la Chiesa indurrebbe in errore»[16]. Pertanto, secondo il padre Aldama, la Corredenzione Mariana è dottrina già oggi infallibilmente insegnata dalla Chiesa, benché non sia ancora stata oggetto di qualche pronunciamento straordinario quanto al modo, sia pontificio che universale. In questo caso ci troviamo di fronte alla infallibilità del magistero ordinario per la continuità di uno stesso insegnamento. Si tratta di un principio importantissimo, di cui generalmente si dimenticano molti cattolici che studiano la nostra fede[17]. Il fondamento dottrinale di questo titolo di infallibilità è quello indicato dal padre Aldama: se in una lunga e ininterrotta serie di documenti ordinari su uno stesso punto i Papi e la Chiesa universale potessero ingannarsi, le porte dell'inferno avrebbero prevalso contro la Sposa di Cristo. Essa si sarebbe trasformata in maestra di errori, la cui influenza pericolosa e perfino nefasta i fedeli non avrebbero modo di sfuggire. Evidentemente il fattore tempo non e l'unico di cui si debba tenere conto. Ve ne sono numerosi altri. Secondo la classica formula di san Vincenzo di Lerino, dobbiamo credere a quanto è stato insegnato sempre, ovunque e da tutti, «quod semper, quod ubique, quod ab omnibus». Infatti l'assistenza dello Spirito Santo sarebbe manchevole se una dottrina insegnata sotto queste tre condizioni potesse essere falsa. Tuttavia è necessario non intendere l'adagio in senso esclusivo, cioè come se l’infallibilità per la continuità di uno stesso insegnamento esistesse soltanto quando si verificassero queste tre condizioni[18]. È possibile che qualche documento pontificio o conciliare contrasti diametralmente con insegnamenti infallibili del passato? Evidentemente, se anche il nuovo pronunciamento è infallibile, questa opposizione non si può dare. Ma se non lo è, autori di vaglia - come san Roberto Bellarmino, Suarez, Cano e Soto - prendono in considerazione questa ipotesi come teologicamente possibile. Ed è chiaro che il cattolico dovrebbe allora restare fedele alla dottrina infallibile.

Canonizzazione, liturgia e leggi ecclesiastiche

Nello studio del magistero della Chiesa, tanto ordinario quanto straordinario, meritano speciale rilievo le canonizzazioni, la liturgia, le leggi ecclesiastiche, l’approvazione di regole di ordini e congregazioni religiose. Nella canonizzazione, il Sommo Pontefice afferma che un determinato servo di Dio si e santificato e che merita il culto della Chiesa universale; e propone la sua vita come modello per tutti i fedeli. Ora, se quell'anima si fosse dannata, la santa Chiesa proporrebbe ai suoi figli un culto falso, e un modello che li porterebbe alla perdizione eterna. E allora le porte dell'inferno avrebbero prevalso sulla roccia di Pietro. Per questo il Papa nelle canonizzazioni è infallibile secondo la dottrina più comunemente insegnata. Le dottrine implicitamente insegnate, raccomandando l’imitazione e la venerazione del nuovo santo, non sono abbracciate dalla infallibilità. Nella canonizzazione è infallibile soltanto la dichiarazione che il servo di Dio è in Cielo. In certi passi, gli autori pongono le canonizzazioni nel magistero ordinario, mentre in altri le classificano nel magistero straordinario. Evidentemente queste due posizioni non sono contraddittorie. La dichiarazione che una data persona si è salvata è infallibile di per se stessa, e quindi fa parte del magistero straordinario. E d'altra parte 1'insegnamento dottrinale implicitamente contenuto nella canonizzazione appartiene al magistero ordinario[19]. Per la stessa ragione per cui le porte dell'inferno prevarrebbero sulla Chiesa se il Papa orientasse i fedeli verso la perdizione eterna, le leggi ecclesiastiche e in modo speciale l’approvazione delle regole religiose comportano in qualche modo la infallibilità. Se, per esempio, la Santa Sede, con un atto legislativo paragonabile a quello che sarebbe, in materia dottrinale, una definizione dogmatica solenne, obbligasse i fedeli ad una pratica peccaminosa, o approvasse una regola di vita condannabile, si sarebbe trasformata in strumento di condanna. Anche le orazioni della sacra liturgia possono comportare la infallibilità, a seconda del grado di autorità che la Chiesa ha in esse voluto impegnare. «Lex orandí, lex credendi - la legge della preghiera è la legge della fede». Come potrebbe la Chiesa, attraverso le preci che impone o raccomanda con tutto il peso della sua autorità, instillare nelle anime princìpi contrari alla fede? A somiglianza di quanto accade con gli insegnamenti direttamente dottrinali, non sono garantite dal carisma della infallibilità le leggi disciplinari e liturgiche, nella cui approvazione la Chiesa non abbia voluto impegnare la pienezza della sua autorità. Inoltre, l’infallibilità relativa ad una legge ecclesiastica o liturgica non comporta l’ammissione che sia la più perfetta possibile. I diversi titoli di infallibilità che abbiamo indicati non si devono confondere con la cosiddetta “infallibilità passiva dei fedeli”. Questa espressione, corrente nella sacra teologia, indica che i figli della Chiesa, seguendone gli insegnamenti, conosceranno certamente la vera fede. Ma non compete loro nessuna missione ufficiale di magistero, ossia la loro parte è a questo riguardo puramente passiva[20].

Valore dei documenti non infallibili

L'impegno nello studio dei diversi titoli di infallibilità non ci deve, però, portare a mettere in ombra i documenti non infallibili. Infatti, gran parte degli insegnamenti contenuti nelle encicliche, nelle allocuzioni pontificie, nelle lettere dirette dalla Santa Sede a vescovi e a congressi di tutto il mondo, nei decreti delle Sacre Congregazioni Romane, non comportano l’infallibilità. Con questo pretesto dobbiamo disprezzarli? Questo cercarono di fare i modernisti con i documenti pubblicati contro di loro da San Pio X. E già allora si trattava di un vecchio problema, perché eretici anteriori erano ricorsi alla stessa insidia con l’intento di poter rimanere all’interno della Chiesa per meglio diffondere il loro veleno. Dei numerosi documenti pontifici che insegnano quale deve essere la posizione dei fedeli di fronte ai pronunciamenti non infallibili, citiamo soltanto un passo dell’enciclica Humani generis di Pio XII: «Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro magistero supremo. Infatti questi insegnamenti sono del magistero ordinario, per cui valgono pure le parole: "Chi ascolta voi, ascolta me" (Lc. X, 16)»[21]. Come si vede, Pio XII dice: «per sé», perché in realtà, per accidens, in casi evidentemente non normali, si possono presentare situazioni in cui sia lecito sospendere l'assenso rispetto a un documento del magistero. È quanto insegnano i teologi. Nel testo che di seguito citiamo, dom Nau tratta in modo speciale delle encicliche, ma è chiaro che l’affermazione vale per qualsiasi documento del magistero ordinario: «Un solo motivo potrebbe farci sospendere il nostro assenso: una opposizione precisa tra un testo di enciclica e le altre testimonianze della Tradizione. Anche in questo caso, una tale opposizione non potrebbe essere presunta, ma esigerebbe una prova, che solo difficilmente potrebbe essere ammessa»[22].
I documenti del Concilio Vaticano II sono infallibili?
A questo punto, alla mente del lettore affiorerà inevitabilmente una domanda: il Concilio Vaticano II ha usato la prerogativa della infallibilità? La risposta è semplice e categorica: no. In nessuna occasione i Padri conciliari hanno avuto la voluntas definiendi et obligandi, cioè in nessuna occasione hanno osservato la terza condizione di infallibilità sopra indicata. Già nella fase preparatoria della sacra assemblea Giovanni XXIII aveva dichiarato che essa non avrebbe definito verità da credere, ma doveva avere soltanto un carattere pastorale. Tali dichiarazioni di Giovanni XXIII non ci sembrano tuttavia sufficienti per autorizzare l’affermazione che il Concilio non ha usato del suo potere di definire. Infatti la sovranità del Papa nella Chiesa di Dio è assoluta. Niente impediva che, avendo Giovanni XXIII convocato un Concilio pastorale, lui stesso o il suo successore decidesse posteriormente di trasformarlo in un Concilio dogmatico. E, d'altra parte, in via di principio niente impedisce che un Concilio principalmente pastorale definisca anche e secondariamente un dogma, dal momento che un dogma non è qualcosa di anti-pastorale, ma solo sovra-pastorale! La prova che il Vaticano II non ha voluto definire nessun dogma è data dai suoi atti e del tenore dei suoi documenti, in nessuno dei quali si trova in modo non equivoco la manifestazione della volontà di definire. Si veda in proposito la dichiarazione del 6 marzo 1964 della Commissione Dottrinale[23]. Questa dichiarazione ha un’enorme importanza, non solo per essere stata ripetuta posteriormente dalla stessa commissione[24], e applicata ufficialmente a più di uno schema[25], ma soprattutto perché Paolo VI l'ha indicata come norma di interpretazione di tutto il Concilio[26]. Qualche teologo potrebbe discordare da quanto abbiamo appena affermato, se non vi fossero diversi pronunciamenti di Paolo VI che sono venuti a dirimere questa importante questione in modo definitivo e irrevocabile. Chiudendo il Concilio, egli ha dichiarato che, in esso «il magistero della Chiesa [...] non ha voluto pronunciarsi con sentenze dogmatiche straordinarie»[27]. Posteriormente, in occasioni meno solenni, ma in modo ancora più chiaro e circostanziato, Paolo VI ha riaffermato che il Concilio «ha evitato di pronunciare in modo straordinario dogmi dotati della nota di infallibilità», ma «ha [...] munito i suoi insegnamenti dell'autorità del supremo magistero ordinario»[28]; e che ha avuto come uno dei suoi punti programmatici «quello [...] di non dare nuove solenni definizioni dogmatiche»[29]. Un Concilio ha solo l'autorità che il Papa gli vuole attribuire. Orbene, questi pronunciamenti pontifici, posteriori alla promulgazione dei documenti conciliari, mettono fine a tutti i dubbi che potessero sussistere. Il documento del Concilio Vaticano II sulla Chiesa si intitola «costituzione dogmatica Lumen gentium». Se ne può dedurre che in esso vi sia qualche definizione dogmatica? La domanda può parere superflua, ma la poniamo per mettere in guardia il lettore contro questo errore, in cui alcuni sono incorsi. Sappiamo anche di un professore di teologia che vi è caduto, affermando che il titolo di «costituzione dogmatica» è sufficiente per provare che tutto quanto è contenuto nella Lumen gentium è dogma. Evidentemente l'aggettivo «dogmatica» significa soltanto, nel caso, che si tratta di materia che ha rapporto con il dogma. Nello stesso senso, non è dogma tutto quello che si legge in un manuale di teologia dogmatica. Come la pastorale ha rapporto col dogma ma non è dogma. Non cerchiamo, quindi, di dare al Vaticano II un assenso che esso stesso non ci ha chiesto.
Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira
«Catolicismo» n° 202, ottobre 1967, San Paolo del Brasile.


[1] Mt. XVI, 18.
[2] Ibid. XXVIII, 20.
[3] Lc. XXII, 32
[4] DB, 44, 498, 633, 658 ss., 1325, 1500, 1503, 1698 ss., 1821, 2091, 2147-a.
[5] Mons. Antonio De Castro Mayer, Problemi dell’apostolato moderno, trad. it., Edizioni dell'Albero, Torino, 1963, p. 114.
[6] Cfr. Ioachim Salaverri, De Ecclesia Christi, in Sacrae Theologiae Summa, BAC, Madrid, 1958, vol. I, pp. 68l-682; Paul Nau, El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, in Verbo, Madrid, n. 14, pp. 37-38; Sisto Cartechini, Dall'Opinione al Domma, La Civiltà Cattolica, Roma, 1953, p. 42.
[7] Cfr. Paolo VI, Discorso del 7-12-1965, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. III, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma, 1966, p. 822; Id., Discorso del 12-1-1966, in Insegnamenti di Paolo VI, cit., vol. IV, Roma, 1967, p. 700.
[8] Cfr. Charles Journet, L’Eglise du Verbe Incarné, Desclée, Friburgo, 1962, vol. I, p. 534, n. 2; Paul Nau, Une source doctrinale: les encycliques, Les Editions du Cèdre, Parigi, 1952, p. 65.
[9] DB, 1839.
[10] Cfr. Franciscijs Diekamp, Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi-Tours-Roma, 1933, vol. I, p. 71; Luduvicus Billot, Tractatus de Ecclesia Christi, Giachetti, Prato, 1909, tomo I, pp. 639 ss.; Lucien Choupin, Valeur des décisions doctrianales et dísciplinaires du Saint-Siège, Beauchesne, Parigi, 1928, p. 6; J. M. Hervé, Manuale Theologiae Dogmaticae, Berche, Parigi, 1952, vol. I, pp. 473 ss.; Charles Journet, op. cit., vol. I, p. 569; Paul Nau, El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, cit., p. 43; Ioachim Salaverri., op. cit., p. 697; Sisto Cartechini., op. cit., p. 40.
[11] Cfr. Paul Nau, El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, cit., p, 48, n. 35.
[12] Cfr. Ludovicus Billot, op. cit., pp. 392 ss.; Lucien Choupin, op. cit., pp. 38 ss.; J. M. Hervé, op. cit., pp, 496 ss.; Ioachim Salaverri, op. cit., pp. 729 ss.
[13] Cfr. Sisto Cartechini, op. cit., pp. 29, 31, 36, 54.
[14] Cfr. San Roberto Bellarmino, De Conciliis, 2, 12, in Opera omnia, Natale Battezzati, Milano, 1858, vol. II.
[15] Codex Iurís Canonici (1917), can. 1323, 2. Nello stesso senso, cfr. Sisto Cartechini, op. cit., p. 26.
[16] Josephus A. De Aldama, Mariologia, in Sacrae Theologiae Summa, BAC, Madrid, 1961, vol. III, p. 418.
[17] Cfr. Paul Nau, Une source doctrinale: les encycliques, cit., pp. 68 ss.; Id., El magisterio pontificio ordinario lugar teologico, cit pp. 47 ss
[18] Cfr. Franciscus Diekamp, op. cit. p. 68.
[19] Cfr. Sisto Cartechini, op. cit., pp. 36, 53, 110, 174.
[20] Cfr. Paul Nau, El Magisterio pontificio ordinario lugar teologico, cit., p. 45; Sisto Cartechini, op. cit., p. 251.
[21] Pio XII, Humani generis, 12-8-1950, in La Chiesa, “Insegnamenti pontifici” a cura dei monaci di Solesmes, trad. it., Edizioni Paoline, Roma, 1961, p. 248.
[22] Paul Nau, Une source doctrinale: les encycliques, cit. pp. 83-84.
[23] Cfr. L'Osservatore Romano, edizione in francese, 18-12-1964, p. 10.
[24] Ibidem.
[25] Cfr. L'Osservatore Romano, edizione in francese, 26-11-1965, p. 3.
[26] Cfr. Paolo VI, Discorso del 12-l-1966, in Insegnamenti di Paolo VI, cit., vol VI, Roma, 1967, p. 700
[27] Id., Discorso del 7-l2-1965, ibid., vol. III, Roma, 1966, p. 722
[28] Id., Discorso del 12-1-1966, ibid., vol. IV, p. 700.
[29] Id., Discorso dell’8-3-1967, ibid., vol. V, Roma, 1968

 
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a cura di don CURZIO NITOGLIA
17 novembre 2010


 
 

SE VI POSSA ESSERE L’ERRORE NEI DOCUMENTI DEL MAGISTERO
La teologia ci fornisce numerose ragioni a sostegno della tesi secondo cui, in via di principio, vi possono essere errori in documenti del magistero non forniti delle condizioni di infallibilità. Tali ragioni sono tante e di tale peso che ci pare sufficiente fare cenno ad alcune di esse per dare al lettore una visione sommaria dell'argomento.
 
Possibilità di errori in documenti episcopali
Dobbiamo anzitutto notare che il magistero della Chiesa è dato dal Papa e dai vescovi, unici autorizzati a parlare ufficialmente a nome della Chiesa, come interpreti autentici della Rivelazione. Sacerdoti e teologi non godono del privilegio dell’infallibilità, in nessuna ipotesi, neppure quando insegnano con la missione canonica ricevuta dal Papa o da un vescovo. Anche i vescovi, quando parlano isolatamente o insieme, possono errare, a meno che, in Concilio o fuori di esso, definiscano un dogma, assieme al Sommo Pontefice (cum Petro et sub Petro). Nella dottrina della Chiesa è pacifico il principio secondo cui i vescovi non sono mai infallibili quando si pronunciano senza il Sommo Pontefice. In proposito mons. Antonio de Castro Mayer, vescovo di Campos, scrive: «essendo infallibile il magistero pontificio, e fallibile, anche se ufficiale, quello dei singoli vescovi, è possibile, per la fragilità umana, che uno o altro vescovo cada in errore; e la storia registra alcune di tali eventualità»[29]. A questo punto, dunque, s’impone una conclusione: quando, ragioni evidenti mostrano che un vescovo, alcuni vescovi insieme o anche tutto l’episcopato di un Paese o di una parte del globo sono caduti in errore, niente autorizza il fedele ad abbracciare questo errore adducendo la scusa che non gli è lecito divergere da coloro che sono stati posti da nostro Signore a capo del suo gregge. Sarà per lui lecito, o persino doveroso, dissentire da simili insegnamenti episcopali. Questo dissenso, a seconda dei casi, potrà essere anche pubblico.
Una definizione del Concilio Vaticano I
Passando dai documenti episcopali a quelli pontifici, vedremo inizialmente che, in via di principio, anche nell'uno o nell'altro di questi vi può essere qualche errore, anche in materia di fede e di morale. Il fatto si ricava dalla definizione stessa della infallibilità pontificia data dal Concilio Vaticano I. Vi si stabiliscono le condizioni secondo le quali il Papa è infallibile. È dunque facile comprendere che, quando non vengano osservate tali condizioni, in via di principio potrà esservi errore in un documento papale[29]. In altri termini, potremmo dire che il semplice fatto che i documenti del magistero si dividano in infallibili e in ‘non infallibili’, lascia aperta, in tesi, la possibilità di errore in qualcuno di quelli non infallibili. Questa conclusione si impone in base al principio metafisico enunciato da san Tommaso d'Aquino; «quod possibile est non esse, quandoque non est», «ciò che può non essere [infallibile], talora non è [infallibile]»[29]. Se, in via di principio, in un documento pontificio vi può essere errore per il fatto di non osservare le quattro condizioni dell’infallibilità, lo stesso si deve dire a proposito dei documenti conciliari, quando non osservino le stesse condizioni. In altri termini, quando un Concilio non intende definire con la voluntas obligandi verità di fede come divinamente rivelate, a rigore può cadere in errore. Questa conclusione deriva dalla simmetria esistente tra la infallibilità pontificia e quella della Chiesa, messa in evidenza dallo stesso Concilio Vaticano I [29].
Sospensione dell’assenso interno
A favore della tesi secondo cui, de jure, vi può essere errore anche in documenti pontifici e conciliari, milita pure l’argomento che teologi tra i più quotati ammettono, in casi molto specifici e straordinari, che il cattolico sospenda il suo assenso a una decisione del magistero. Di per sé, le decisioni pontificali, anche quando sono non infallibili, postulano 1'assenso sia esterno (“silenzio ossequioso”) che interno dei fedeli. Pio XII nella Humani generis ha espresso questa verità in termini incisivi: «Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro magistero supremo. Infatti questi insegnamenti sono del magistero ordinario, per cui valgono pure le parole: “Chi ascolta voi, ascolta me” (Lc. X, 16)» [29]. Tuttavia, quando vi sia «un’opposizione precisa tra un testo di enciclica e le altre testimonianze della Tradizione apostolica»[29], allora sarà lecito al fedele dotto e che abbia studiato accuratamente la questione, sospendere o negare il suo assenso al documento papale. La stessa dottrina si trova in teologi molto autorevoli. Ne citiamo alcuni. «Questi atti non infallibili del magistero del Romano Pontefice non obbligano a credere e non postulano una sottomissione assoluta e definitiva. Tuttavia bisogna aderire con un assenso religioso e interno a tali decisioni, dal momento che costituiscono atti del supremo magistero della Chiesa, e che si fondano su solide ragioni naturali e soprannaturali. L'obbligo di aderire ad esse può cominciare a cessare solo nel caso, che si da soltanto rarissimamente, in cui un uomo idoneo a giudicare l'argomento in questione, dopo una diligente e ripetuta analisi di tutte le ragioni, giunga alla convinzione che nella decisione si è introdotto l'errore» [29]. «[...] Si deve assentire ai decreti delle Congregazioni Romane, finché non diventi positivamente chiaro che hanno errato. Siccome le Congregazioni, per sé, non forniscono un argomento assolutamente certo a favore di una data dottrina, si possono o perfino si devono indagare le ragioni di questa dottrina. E così, o succederà che tale dottrina sia lentamente accettata in tutta la Chiesa raggiungendo in questo modo la condizione d’infallibilità, o succederà che l'errore sia a poco a poco individuato. Infatti, siccome il citato assenso religioso non si basa su una certezza metafisica, ma solo morale, non esclude ogni timore di errore per accidens. Perciò appena sorgano sufficienti motivi di dubbio, l'assenso sarà prudentemente sospeso: ciò nonostante, finché non si presentino tali motivi di dubbio, l'autorità delle Congregazioni basta per obbligare ad assentire. Gli stessi princìpi si applicano senza difficoltà alle dichiarazioni che il Sommo Pontefice emette senza coinvolgere la sua autorità suprema e anche alle decisioni degli altri superiori ecclesiastici, che non sono infallibili» [29]. «[...] Finché la Chiesa non insegna con autorità infallibile, la dottrina proposta non è di per sé irreformabile; perciò, se per accidens, in un’ipotesi per altro rarissima dopo un esame assai accurato, a qualcuno sembra che esistano ragioni gravissime contro la dottrina così proposta, sarà lecito senza temerarietà, sospendere l'assenso interno [...]» [29]. «[...] Se alla mente del fedele si presentano ragioni gravi e solide, soprattutto teologiche contro decisioni del magistero autentico, sia episcopale che pontificio gli sarà lecito respingere l’errore, assentire condizionatamente, o perfino sospendere anche l'assenso [...]» [29]. Nell'ipotesi di decisioni non infallibili «deve il suddito, eccetto il caso in cui abbia l’evidenza che la cosa comandata sia illecita, dare un assenso interno. [...] Se poi qualche dotto studioso avesse delle ragioni gravissime per sospendere l'assenso, può sospenderlo senza temerità e senza peccato [...]›› [29]. Il consiglio dato con frequenza al fedele, in tali casi, è di «sospendere il giudizio» sull'argomento. Se questa «sospensione del giudizio» comporta un’astensione, da parte del fedele, da qualsiasi presa di posizione di fronte all'insegnamento pontificio in questione, essa rappresenta soltanto una delle posizioni lecite nell’ipotesi considerata. Di fatto, la «sospensione dell’assenso interno», di cui parlano i teologi, ha maggiore ampiezza della semplice «sospensione del giudizio» del linguaggio corrente. A seconda del caso, il diritto di «sospendere l'assenso interno›› comporterà quello di temere che vi sia errore nel documento del magistero, o quello di dubitare dell’insegnamento in esso contenuto, o anche quello di respingerlo.
Qualche teologo non ammette la sospensione dell'assenso interno
Alla tesi che stiamo sostenendo sarebbe possibile obbiettare che non tutti gli autori ammettono questa sospensione dell'assenso interno. È il caso di Choupin[29], Pègues[29] e Salaverri[29]. Tuttavia anche questi autori non negano la possibilità di errore nei documenti del magistero: «posto che la decisione non viene garantita dall’infallibilità, la possibilità di errore non è esclusa»[29]. Essi sostengono soltanto che la grande autorità religiosa del Papa, il valore scientifico dei suoi consiglieri, e tutto quanto circonda i documenti non infallibili, consigliano di non sospendere l'assenso interno, anche quando uno studioso abbia ragioni serie per ammettere che la decisione pontificia sia affetta da errore. Non è il caso di analizzare in questa sede con maggiori particolari la posizione di questi teologi. Per il momento ci basta provare, come abbiamo fatto, che anch'essi ammettono la possibilità di errore in documenti del magistero ordinario. Quanto al giudizio da emettere a proposito della loro tesi secondo cui non è mai permesso sospendere l'assenso interno[29], crediamo che questi autori non abbiano preso in considerazione esplicitamente l'ipotesi che si trovino uniti nello stesso caso i seguenti fattori: 1°) che le circostanze della vita concreta obblighino il fedele, in coscienza, a prendere posizione di fronte a un problema; 2°) che gli appaia evidente un’opposizione precisa tra l'insegnamento del magistero ordinario sull'argomento e le altre testimonianze della Tradizione; 3°) che la decisione infallibile, capace di mettere termine alla questione, non sia stata proferita. Nell'ipotesi, dottrinalmente ammissibile, che questi tre fattori si uniscano, ci sembra che nessun teologo condanni la sospensione dell'assenso interno ad una decisione non infallibile. Condannarla sarebbe perfino un'azione contro natura, e violenta, perché significherebbe obbligare a credere, contro l’evidenza stessa, in qualcosa che non è garantito dall’infallibilità della Chiesa.
Altri teologi negano la possibilità di errore in documenti non infallibili
Contro la tesi secondo cui vi possono essere errori in documenti del magistero ordinario pontificio o conciliare, si presenterebbe anche un'altra obbiezione: secondo alcuni autori di valore, come i cardinali Franzelin e Billot, anche i documenti non infallibili sono garantiti contro qualsiasi errore dall’assistenza dello Spirito Santo[29]. In questo modo, la tesi che stiamo sostenendo potrebbe sembrare incerta. E ci si potrebbe chiedere se non sarebbe più consono allo spirito eminentemente gerarchico, e perfino monarchico, dell’organizzazione della Chiesa, adottare il parere di questi eminenti teologi. Non sarebbe più conforme alla condizione di figli della Chiesa ammettere che è assurdo che vi sia qualche errore anche in pronunciamenti non ex cathedra? Un’analisi esauriente di questo problema ci porterebbe molto oltre gli obiettivi del presente studio. Perciò, ci interessa soltanto mostrare che anche i cardinali Franzelin e Billot, come gli altri teologi che ne adottano la posizione, in ultima analisi ammettono la possibilità di errore in documenti infallibili. Essi partono dal presupposto che i documenti della Santa Sede o insegnano una dottrina infallibile, oppure dichiarano che una determinata sentenza è sicura o non è sicura: «In queste dichiarazioni, benché la verità. della dottrina non sia infallibile - ammesso per ipotesi che non vi sia intenzione di definire l’argomento - vi è tuttavia sicurezza infallibile, in quanto per tutti è sicuro abbracciarla, e non è sicuro respingerla, e questo non può essere fatto senza violare la sottomissione dovuta al magistero costituito da Dio»[29]. Così, dunque, questi autori sostengono che nei pronunciamenti non infallibili il magistero non si compromette con l’affermazione della verità della dottrina che propone, ma sostiene soltanto che questa dottrina non presenta pericolo per la fede, nelle circostanze del momento. Questi teologi riconoscono chiaramente che l’insegnamento contenuto in questi documenti può essere falso: «La dottrina a favore della quale esiste una solida possibilità che non si opponga alla regola di fede, sarà forse teologicamente falsa sul terreno speculativo, cioè, se presa sin rapporto alla norma di fede, oggettivamente considerata»[29]. Diventa evidente che, pertanto, anche questi autori ammettono la possibilità di errore per quanto riguarda la dottrina contenuta in documenti del supremo magistero ordinario. Che pensare della teoria secondo cui i pronunciamenti non infallibili mirano soltanto a dichiarare che una dottrina è sicura o non è sicura? Questa teoria non sembra concordare con i termini della maggior parte dei documenti della Santa Sede. In alcuni, chiaramente si tratta soltanto della sicurezza o del pericolo di una certa dottrina. Ma in molti altri - nelle encicliche; per esempio - è manifesto il proposito di presentare insegnamenti come certi, e non solo come sicuri. Inoltre, gli autori in generale hanno abbandonato questa teoria[29]. Tuttavia, ora non dobbiamo analizzare dettagliatamente la citata posizione dei cardinali Franzelin e Billot. Vogliamo solo sottolineare che, anche secondo loro, in via di principio non si può escludere la possibilità di errore dottrinale in documenti pontifici e conciliari.
Conclusione
Da tutto quanto esposto si deduce che, in via di principio, non ripugna 1'esistenza di errori in documenti non infallibili del magistero, anche del magistero pontificio e conciliare. Indubbiamente tali errori non possono essere durevolmente proposti nella Santa Chiesa, al punto da mettere le anime nel dilemma di accettare l’insegnamento falso oppure di rompere con la Chiesa. Tuttavia è possibile, in via di principio, che per qualche tempo, soprattutto in periodi di crisi e di grandi eresie, si trovi qualche errore in documenti del magistero. Come è evidente, facciamo queste osservazioni senza alcun obbiettivo demolitore. Non miriamo a fondare le «contestazioni» ereticali con cui i progressisti cercano, in ogni momento, di scuotere il principio di autorità nella Chiesa. Quello a cui di fatto miriamo, mettendo in risalto la possibilità di errore in documenti non infallibili, è aiutare a illuminare i problemi di coscienza e gli studi di molti antiprogressisti che; per il fatto di ignorare tale possibilità, si trovano spesso in condizione di perplessità per quanto riguarda il Concilio Vaticano II e le riforme da esso scaturite.
Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira
«Catolicismo» n° 223, luglio 1969, San Paolo del Brasile.
 
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a cura di don CURZIO NITOGLIA
18 novembre 2010

 
 

SE SIA LECITA LA RESISTENZA PUBBLICA
ALLE DECISIONI DELL’AUTORITÀ ECCLESIASTICA
 

Introduzione
La Chiesa insegna che di fronte ad una decisione erronea dell’autorità ecclesiastica al cattolico ben istruito nella dottrina cristiana è lecito non solo negare il suo assenso a questa decisione, ma anche in certi casi estremi ed eccezionali, opporsi a essa perfino pubblicamente. Addirittura, tale opposizione può costituire un vero e proprio dovere.
L’autorità dei vescovi
Dom Prosper Guéranger, abate di Solesmes, scrivendo di san Cirillo di Alessandria, insigne avversario del nestorianesimo, insegna: «Quando il pastore si cambia in lupo, tocca soprattutto al gregge difendersi. Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai vescovi ai fedeli; e non devono i sudditi giudicare nel campo della fede i capi. Ma nel tesoro della rivelazione vi sono dei punti essenziali dei quali ogni cristiano, per ciò stesso ch’è cristiano, deve avere la necessaria conoscenza e la dovuta custodia»[29]. Analizzando i diversi fattori che contribuiscono a una sempre maggiore esplicitazione dei dogmi nel corso dei secoli, Hervé elogia l’opposizione fatta dai fedeli contro Nestorio, patriarca eretico di Costantinopoli: «Sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, i fedeli possono essere spinti a comprendere e a credere meglio quando aumenta la pietà e il culto, favorendo così il progresso del dogma. Infatti la sollevazione dei fedeli contro Nestorio fu di grande aiuto alla definizione della divina Maternità della Santissima Vergine […]»[29]. Mons. Antonio de Castro Mayer, l’illustre vescovo di Campos, ha pubblicato un documento in cui ricorda la dottrina tradizionale sul diritto di resistenza alla autorità ecclesiastica ingiusta. Si tratta della lettera di approvazione al “Vademécum do catolico fiel”, nel quale quattrocento sacerdoti di diversi Paesi, combattendo il progressismo, espongono i principi della fede cattolica autentica ed invitano i fedeli ad opporsi all’eresia neomodernista che oggi invade tutto il mondo. Nella sua lettera di approvazione di questo Vademécum, il vescovo di Campos ne dichiara la grandissima opportunità e aggiunge: «non ci vengano a dire che non tocca ai fedeli – come proclama il Vademécum – giudicare quello che succede nella Chiesa; che devono soltanto seguire docilmente l’orientamento dato dai ministri del Signore. Non è vero. La storia della Chiesa elogia l’atteggiamento dei fedeli di Costantinopoli che si opposero alla eresia del loro patriarca Nestorio». Quindi mons. Antonio de Castro Mayer cita il testo di dom Guéranger che abbiamo riprodotto sopra.
«Gli resistetti in faccia, perché meritava di essere ripreso»
Sarà legittimo, in casi estremi resistere anche a decisioni del Sommo Pontefice? In risposta a questa domanda, trascriviamo soltanto documenti relativi alla resistenza pubblica perché, se in certe circostanze essa è legittima, a maggior ragione la sarà l’opposizione privata a una decisione papale. Nessun autore, a nostra scienza, ha mai sollevato dubbi quanto al diritto di una simile opposizione privata. Questa potrà manifestarsi in due modi: esponendo alla Santa Sede le ragioni che militano contro il documento; o attraverso la cosiddetta «correzione fraterna», cioè con un avvertimento dato in privato, con l’intenzione di ottenere la correzione dell’errore commesso[29]. Passiamo ai testi che ammettono la resistenza pubblica in casi particolarissimi:
a.   San Tommaso d’Aquino, in diverse sue opere, insegna che in casi estremi è lecito resistere pubblicamente a una decisione pontificia, come san Paolo ha resistito in faccia a san Pietro: «essendovi un pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere ripresi, perfino pubblicamente, da parte dei loro soggetti. Così san Paolo, che era soggetto a san Pietro, lo riprese pubblicamente, in ragione di un pericolo imminente di scandalo in materia di fede. E, come dice il commento di sant’Agostino, “lo stesso san Pietro diede l’esempio a coloro che governano, affinché essi, allontanandosi qualche volta dalla buona strada, non rifiutino come indebita una correzione venuta anche dai loro soggetti” (ad Gal. II, 14)»[29]. Nel commento all’Epistola ai Galati, studiando l’episodio in cui san Paolo resistette in faccia a san Pietro, san Tommaso scrive: «La riprensione fu giusta e utile, e il suo motivo non fu di poco conto: si trattava di un pericolo per la preservazione della verità evangelica […]. Il modo della riprensione fu conveniente, perché fu pubblico e manifesto. Perciò san Paolo scrive: “Parlai a Cefa, cioè a Pietro, “di fronte a tutti”, perché la simulazione operata da san Pietro comportava un pericolo per tutti. In 1 Tim. V, 20 leggiamo: “coloro che hanno peccato riprendili di fronte a tutti”. Questo si deve intendere dei peccatori manifesti, e non di quelli occulti, perché con questi ultimi si deve procedere secondo l’ordine proprio alla correzione fraterna»[29]. San Tommaso osserva anche che il citato passo della Scrittura contiene insegnamenti tanto per i prelati quanto per i loro soggetti: «Ai prelati [fu dato esempio] di umiltà perché non rifiutino di accettare richiami da parte dei loro inferiori e soggetti: e ai soggetti [fu dato] esempio di zelo e libertà, perché non temano di correggere i loro prelati, soprattutto quando la colpa è stata pubblica ed è ridondata in pericolo per molti»[29].
b.  Francisco De Vitoria. L’eminente teologo domenicano del secolo XVI scrive: «Cajetanus, nella stessa opera in cui difende la superiorità del Papa sul concilio, al cap. 27 dice: “Orbene, si deve resistere in faccia al Papa che pubblicamente distrugge la Chiesa, per esempio concedendo benefici ecclesiastici solo per denaro o in cambio di servigi; e si deve negare, con tutta l’ubbidienza e il rispetto, la presa di possesso di tali benefici da parte di coloro che li hanno comperati” […]. E Silvestro [Pireria], alla parola Papa, paragrafo 4, si chiede “Che cosa si deve fare quando il Papa, con i suoi cattivi costumi, distrugge la Chiesa?” E al paragrafo 15: “Che fare se il Papa volesse, senza ragione abrogare il diritto positivo?” A questo risponde: “Peccherebbe certamente; non gli si dovrebbe permettere di agire così, e non gli si dovrebbe ubbidire in quanto fosse cattivo; ma si dovrebbe resistergli con una riprensione cortese”. […]. Di conseguenza, se volesse dare tutto il tesoro della Chiesa o il patrimonio di san Pietro ai suoi parenti, se volesse distruggere la Chiesa, o fare altre cose di questo genere, non gli si dovrebbe permettere di agire in tale modo, ma si avrebbe l’obbligo di opporgli resistenza. La ragione di questo sta nel fatto che egli non ha il potere per distruggere; quindi, constatando che lo fa, è lecito resistergli.[…]. Da tutto questo deriva che, se il Papa, con i suoi ordini e i suoi atti, distrugge la Chiesa, gli si può resistere e impedire l’esecuzione dei suoi comandi […]. Seconda prova della tesi. Per diritto naturale è lecito respingere la violenza con la violenza (“vim vi repellere licet”). Ora, con tali ordini e dispense, il Papa esercita una violenza, perché agisce contro il diritto, come è stato provato sopra. Quindi è lecito resistergli. Come osserva Cajetanus, non facciamo questa affermazione nel senso che qualcuno possa essere giudice del Papa o avere autorità su di lui, ma nel senso che è lecito difendersi. Chiunque, infatti, ha il diritto di resistere a un atto ingiusto, di cercare di impedirlo e di difendersi»[29].
c.    Suarez: «Se [il Papa] emana un ordine contrario ai buoni costumi, non gli si deve ubbidire: se tenta di fare qualcosa di manifestamente contrario alla giustizia e al bene comune, sarà lecito resistergli; se attaccherà con la forza, potrà essere respinto con la forza, con la moderazione propria della legittima difesa [cum moderamine inculpatae tutelae [29].
d.   San Roberto Bellarmino: «così come è lecito resistere al Pontefice che aggredisce il corpo, così pure è lecito resistere a quello che aggredisce le anime, o che perturba l’ordine civile, o, soprattutto, a quello che tentasse di distruggere la Chiesa. Dico che è lecito resistergli non facendo quello che ordina e impedendo la esecuzione della sua volontà: non è però lecito giudicarlo, punirlo e deporlo, poiché questi atti sono propri a un superiore» [29].
e.    Cornelio a Lapide. L’illustre esegeta mostra che secondo sant’Agostino, sant’Ambrogio, san Beda, sant’Anselmo e molti altri Padri, la resistenza di san Paolo a san Pietro è stata pubblica «perché in questo modo lo scandalo pubblico dato da san Pietro fosse riparato da un richiamo anch’esso pubblico» [29]. Dopo aver analizzato le diverse questioni teologiche ed esegetiche sollevate dall’atteggiamento assunto da san Paolo, Cornelio a Lapide scrive: «che i superiori possano essere ripresi, con umiltà e carità dagli inferiori, affinché la verità sia difesa, è quanto dichiarano sulla base di questo passo [Gal. II, 11] sant’Agostino (Epist. 19), san Cipriano, san Gregorio, san Tommaso e altri sopra citati. Essi insegnano chiaramente che san Pietro, pur essendo superiore, fu ripreso da san Paolo […]. A ragione dunque, san Gregorio disse (Homil. 18 in Ezech.): “Pietro tacque, affinchè, essendo il primo nella gerarchia apostolica, fosse anche il primo nella umiltà”. E sant’Agostino affermò (Epist. 19 ad Hieronymum): “Insegnando che i superiori non devono rifiutare di lasciarsi richiamare dagli inferiori, san Pietro ha dato alla posterità un esempio più eccezionale e più santo di quello di san Paolo, insegnando che, nella difesa della verità, e con carità, ai minori è dato avere l’audacia di resistere senza timore ai maggiori”» [29].
f.     Wernz e Vidal. L’opera Ius Canonicum di Wernz-Vidal ammette, citando Suarez, che, in casi estremi, è lecito resistere a un cattivo papa: «I mezzi che si possono usare contro un cattivo Papa senza offendere la giustizia sono, secondo Suarez (Defensio fidei catholicae, lib. IV, cap. 6, nn. 17-18), l’aiuto abbondantissimo della grazia di Dio, la speciale protezione dell’Angelo Custode, la preghiera della Chiesa universale, l’ammonimento o correzione fraterna in segreto o anche in pubblico, e perfino la legittima difesa contro, una aggressione sia fisica che morale» [29].
g.   Peinador. Gli autori contemporanei fanno loro le affermazioni degli antichi sull’argomento che stiamo analizzando. Così Peinador, citando ampi brani di san Tommaso, scrive: «“anche il suddito può essere obbligato alla correzione fraterna del suo superiore”. (S. Theol., II-II, q. 33, a. 4). Infatti anche il superiore può essere spiritualmente bisognoso, e niente impedisce che da tale bisogno sia liberato dal suddito. Tuttavia “nella correzione nella quale i sudditi riprendono i loro prelati, bisogna agire in modo conveniente, cioè non con insolenza e asprezza, ma con mansuetudine e riverenza” (S. Theol., ibidem). Perciò, in generale il superiore deve sempre essere ammonito privatamente “Si tenga però presente che, essendovi pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere richiamati dai sudditi anche pubblicamente” (S. Theol., II-II, q. 33, a. 4, ad 2)» [29].
Una divergenza apparente
Come si è visto, gli autori che dichiarano lecito, in casi straordinari, opporsi anche pubblicamente a qualche decisione erronea dell’autorità ecclesiastica e anche della Sede romana, sono numerosi e di grande valore. Se aggiungiamo gli esempi storici di santi che si sono comportati in questo modo concludiamo che si tratta di una tesi pacifica nella Chiesa. Esiste però, un fatto che a qualcuno sembrò togliere a questa tesi il suo carattere pacifico: in testi tanto di dogmatica che di morale è frequente – e anche comune – la sentenza secondo cui non è mai lecito al fedele rompere il “silenzio ossequioso” verso un documento papale, anche di fronte alla evidenza che in esso vi è qualche errore. In uno studio precedente, abbiamo già affrontata la delicata questione del “silenzio ossequioso”[29]. Solo per fissare i dati fondamentali del problema, riassumiamo rapidamente ciò che allora abbiamo scritto:
1)  un documento del Magistero è di per sé stesso infallibile solo quando ottempera alle condizioni esplicitate dal Concilio Vaticano I[29];
2)  i documenti che non ottemperano a queste condizioni non sono di per sé infallibili, e quindi possono in via di principio e anche se in casi rarissimi, contenere qualche errore;
3)  quindi, in via di principio, non si può escludere l’ipotesi che una persona dotta, dopo un accurato esame di un determinato documento del magistero non infallibile, giunga all’evidenza che in esso vi è qualche errore;
4)  in questa ipotesi, sarà necessario agire con circospezione e umiltà, usando tutti i mezzi ragionevoli per chiarire la questione, tra i quali ha particolare rilievo la domanda di spiegazione presso l’organo del magistero da cui è stato emanato il documento;
5)  se, dopo aver usato tutti i mezzi consigliabili, rimane l’evidenza dell’errore, sarà lecito, a questo punto, sospendere l’assenso interno che di per sé il documento postula.
Qui si pone il problema che ora ci impegna: sarà pure lecito, almeno in casi estremi, rifiutare alla dichiarazione pontificia il rispetto esterno, cioè il cosiddetto “silenzio ossequioso”? In altre parole: in qualche ipotesi sarà lecito opporsi esternamente, forse anche pubblicamente a un documento del magistero romano? Nella risposta a questa domanda gli autori apparentemente divergono. Da una parte, infatti, grandi teologi come quelli sopra citati ammettono in via di principio che, in certe circostanze, il fedele ha il diritto e anche il dovere di “resistere in faccia” a Pietro. Dall’altra, teologi eminenti sembrano sostenere che assolutamente in nessuna ipotesi sarà lecito rompere il cosiddetto “silenzio ossequioso”. Prima, però di proporre la soluzione che ci sembra conciliare le opinioni degli uni e degli altri vogliamo mettere sotto gli occhi del lettore alcuni testi caratteristici nei quali sembra chiusa ogni porta per rompere il “silenzio ossequioso”.
Il “silenzio ossequioso” sembra imporsi sempre
a)  Straub. Egli espone il problema in questi termini: «Può accadere, per accidens, che […] a qualcuno il decreto appaia come certamente falso, o come opposto a un argomento tanto solido, […] che la forza di questo argomento non sia assolutamente annullata dal peso della sacra autorità; […] nella prima ipotesi, sarà lecito dissentire; nella seconda, sarà lecito dubitare, o anche considerare probabile la sentenza divergente dal sacro decreto; tuttavia, in considerazione della riverenza dovuta alla sacra autorità, non sarà lecito contraddirla pubblicamente […]; ma dovrà essere conservato il “silenzio”, detto “ossequioso”» [29].
b) Merkelbach. Nella Summa Theologiae Moralis, padre Merkelbach chiude l’esame dell’argomento con queste parole: «se per accidens, in una ipotesi per altro rarissima, dopo un esame molto accurato, a qualcuno sembra esistano ragioni gravissime contro la dottrina così proposta, sarà lecito, senza temerarietà, sospendere l’assenso interno; tuttavia, esternamente sarà obbligatorio il “silenzio ossequioso”, in ragione del rispetto dovuto alla Chiesa» [29].
c)  Mors. Padre José Mors teorizza il “silenzio ossequioso” in questo modo: «è la sottomissione esterne e rispettosa alla autorità ecclesiastica; consiste nel fatto che non sia detto nulla [in pubblico] contro i suoi decreti. Questo silenzio è richiesto dall’apprezzamento dovuto alla autorità ecclesiastica e per il bene della Chiesa, anche nel caso in cui il contrario fosse autenticamente evidente» [29]. E padre Mors, dopo avere esposto la dottrina tradizionale sull’assenso dovuto ai documenti del magistero, conclude: «Tuttavia, nel caso vi siano contro il decreto ragioni autenticamente evidenti, cesserò l’obbligo dell’assenso interno; ma anche allora rimarrà l’obbligo del silenzio. questo caso, però, non si darà facilmente» [29].
d)  Zalba. «Per accidens, l’assenso interno potrà essere negato, nel caso consti con certezza la falsità [dell’insegnamento di una Congregazione Romana]; allo stesso modo, sarà lecito dubitare, quando ve ne siano ragioni veramente solide. Ma tanto in un caso come nell’altro, bisogna mantenere il “silenzio ossequioso” esterno» [29].
Due esempi illuminanti
Vi è autentica contraddizione tra la sentenza dei teologi che sostengono la liceità, in casi molto rari, di resistere pubblicamente a decisioni papali, e quella di coloro che dichiarano sempre illecita la caduta del “silenzio ossequioso”? Si tratta di due orientamenti diversi che realmente ed effettivamente dividono gli autori? Non lo crediamo. Un’analisi accurata della questione mostrerò che è facile armonizzare le due sentenze – che quindi, a nostro modo di vedere sono contraddittorie soltanto in apparenza. In teologia, infatti, e soprattutto in morale – e il nostro caso è prima di ordine morale che di dogmatica – si incontrano con frequenza affermazioni generiche, tassative, assolute, che però non hanno il valore universale che sembrano presentare. L’autore risolve la questione in via di principio, non prendendo in considerazione tutta la ricchissima casistica che potrebbe portare maggiori precisazioni alla soluzione proposta. Oppure, mirando alla soluzione di un caso concreto, presenta la sua conclusione in termini astratti e generali, e questo può far credere – contro il suo stesso pensiero più profondo – che la norma enunciata non ammetta eccezioni. Due esempi renderanno più facile la comprensione del fatto cui facciamo allusione. [….].
Demolizione di una divergenza apparente
Ciò posto, invitiamo il lettore a rileggere attentamente i passi sopra citati, o qualsiasi altro in cui teologi dichiarino essere sempre illecito rompere il cosiddetto “silenzio ossequioso”. Il testo e il contesto di tali passi rendono evidente che in essi si stabilisce soltanto un principio generale, valido per i casi ordinari. Non vi si prendono in considerazione ipotesi ammissibili, ma rare e straordinarie, più proprie della casistica, come sono quelle che avevano presenti san Tommaso d’Aquino e gli altri autori precedentemente citati. Non si prende in considerazione, per esempio:
1.   l’ipotesi di un errore che comporti per il popolo cristiano un “pericolo prossimo per la fede” (come è accaduto, spiega san Tommaso, nell’episodio in cui san Paolo resistette in faccia a san Pietro);
2.   l’ipotesi di un errore che costituisca una “aggressione alle anime” (espressione di san Roberto Bellarmino).
In altri termini, la lettura dei passi in cui gli autori dichiarano proibita ogni e qualsiasi rottura del “silenzio ossequioso” mostra che essi prendono in considerazione soltanto il caso di qualcuno che, “in sede dottrinale” , cioè sul semplice terreno della speculazione teologica, diverge su un punto dal documento magisteriale. Essi non intendono con questo dichiarare che anche sul terreno pratico nella soluzione di un concreto caso di coscienza che affligge il fedele, sia sempre illecito agire pubblicamente in disaccordo con la decisione del magistero. Perciò, se tali autori fossero messi di fronte a un “pericolo prossimo per la fede” (san Tommaso), possiamo sostenere con assoluta sicurezza che anch’essi, seguendo le orme del Dottore Angelico, per non parlare di quelle di san Paolo, autorizzerebbero una resistenza pubblica. Se si trovassero di fronte a una “aggressione alle anime” (san Roberto Bellarmino) o a uno “scandalo pubblico” (Cornelio a Lapide) in materia dottrinale; oppure a un Papa “che si fosse allontanato dalla buona strada” (sant’Agostino) con i suoi insegnamenti erronei e ambigui; o a una “colpa pubblica” che ridondasse in pericolo per la fede di molti (san Tommaso) – come potrebbero negare il diritto di resistenza e, se necessario, di resistenza pubblica? A nostro modo di vedere sarebbe assolutamente insufficiente per fino errata la spiegazione che potrebbe venire in mente a qualcuno – che la citata divergenza tra gli autori potrebbe risolversi con la distinzione tra le decisioni disciplinari e quelle dottrinali. Alle prime sarebbe lecito resistere, alle seconde no. Tale spiegazione ci sembra falsa per due ragioni principali:
1.   gli argomenti addotti dal primo gruppo di autori citati valgono per decisioni sia dottrinali che disciplinari. Le une e le altre possono, per esempio, comportare il “pericolo prossimo per la fede” su ci san Tommaso fonda il suo ragionamento. E, d’altro canto, anche gli argomenti del secondo gruppo di autori valgono tanto per le decisioni disciplinari che per quelle dottrinali. Se, per esempio, il “rispetto dovuto alla sacra autorità” esige un silenzio assoluto di fronte a decisioni dottrinali erronee, perché non lo esigerà di fornite a decreti disciplinari ingiusti?
2.   se si ammette la possibilità di errore dottrinale in documenti del magistero - possibilità che non si vede come possa essere esclusa in via di principio [29] - è fuori di dubbio che anche sul terreno dottrinale vi sarà posto per casi di coscienza gravissimi, che rendano lecita o perfino obbligatoria la resistenza del fedele. Sostenere il contrario significherebbe misconoscere o negare la parte fondamentale della fede nella vita cristiana.
 
Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira
«Catolicismo» n° 224, agosto 1969, San Paolo del Brasile.








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L’AUTORITÀ DOTTRINALE dei DOCUMENTI PONTIFICI CONCILIARI
 

  Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira: Grave lapsus teologico di Mons. Ocáriz

Disponiamo di un altro testo (Fonte: Una Vox) che approfondisce la nostra riflessione sul recente dibattito scaturito dalle affermazioni Mons. Fernando Ocáriz Braña, strettamente collegate al Preambolo dottrinale sottoposto alla FSSPX; ma di fatto riguardanti la Chiesa tutta e i gradi dell'assenso interno dovuto agli atti Magisteriali, basato sulla virtù dell'obbedienza. Il dibattito si arricchisce e si approfondisce. Siamo grati per il grande dono di poter aver accesso a questi testi che nutrono la nostra consapevolezza e la nostra fede e danno le ali alla nostra ulteriore riflessione e sintesi.

Arnaldo Vidigal Xavier Da Silveira, è stato stretto collaboratore di Sua Eccellenza mons. Antonio de Castro Mayer Vescovo di Campos ed è Direttore della rivista teologica mensile “Catolicismo” di San Paolo del Brasile. Sono numerosi i suoi scritti sui problemi di coscienza, posti dal Vaticano II e dalle riforme che ne sono scaturite, ad ogni cattolico fedele alla verità e all’autorità. Egli è anche l’autore assieme a mons. De Castro Mayer di numerosi saggi teologici sul Novus Ordo Missae di Paolo VI pubblicati in francese in un libro divenuto celeberrimo sotto il titolo “La Nouvelle Messe de Paul VI: qu’en penser?”, Chiré, 1975.

Grave lapsus teologico di Mons. Ocáriz

1 - L’Osservatore Romano del 2 dicembre scorso, col titolo Sull’adesione al Concilio Vaticano II, ha pubblicato un importante articolo [ne abbiamo parlato qui - qui - qui - qui - qui] di Mons. Fernando Ocáriz Braña, Vicario Generale dell’Opus Dei, uno dei periti della Santa Sede nei colloqui teologici con la Fraternità Sacerdotale San Pio X. 

L’articolo esprime in maniera esauriente la posizione dominante di quegli ambienti che accettano il Vaticano II anche in quei passi riconosciuti come contrari alla Tradizione, invocando questa o quella infallibilità del Magistero Ordinario, o l’obbligo di un “assenso interno” poggiante sulla virtù dell’obbedienza. 

Dell’assenso interno secondo Mons. Ocáriz 

2 - L’illustre prelato scrive: «Il concilio Vaticano II non definì alcun dogma, nel senso che non propose mediante atto definitivo alcuna dottrina. Tuttavia il fatto che un atto del magistero della Chiesa non sia esercitato mediante il carisma dell’infallibilità non significa che esso possa essere considerato “fallibile” nel senso che trasmetta una “dottrina provvisoria” oppure “autorevoli opinioni”. Ogni espressione di magistero autentico va recepita come è veramente: un insegnamento dato da Pastori che, nella successione apostolica, parlano con il “carisma della verità” (…), “rivestiti dell’autorità di Cristo” (…), “alla luce dello Spirito Santo”. Questo carisma, questa autorità e questa luce furono certamente presenti nel concilio Vaticano II; negare ciò all’intero episcopato cum Petro e sub Petro, radunato per insegnare alla Chiesa universale, sarebbe negare qualcosa dell’essenza stessa della Chiesa (…)

3 - Poco dopo, Mons. Ocáriz aggiunge: «Le affermazioni del concilio Vaticano II che ricordano verità di fede richiedono ovviamente l’adesione di fede teologale, non perché siano state insegnate da questo Concilio, ma perché già erano state insegnate infallibilmente come tali dalla Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale. (…) Gli altri insegnamenti dottrinali del Concilio richiedono dai fedeli il grado di adesione denominato “ossequio religioso della volontà e dell’intelletto”. Un assenso “religioso”, quindi non fondato su motivazioni puramente razionali. Tale adesione non si configura come un atto di fede, quanto piuttosto di obbedienza, non semplicemente disciplinare, bensì radicata nella fiducia nell’assistenza divina al magistero, e perciò “nella logica e sotto la spinta dell’obbedienza della fede»” (…). Le parole di Cristo “chi ascolta voi ascolta me” (…) sono indirizzate anche ai successori degli apostoli». 

4 - Verso la fine, Mons. Ocáriz afferma: «Comunque, rimangono legittimi spazi di libertà teologica per spiegare in un modo o in un altro la non contraddizione con la tradizione di alcune formulazioni presenti nei testi conciliari e, perciò, di spiegare il significato stesso di alcune espressioni contenute in quei passi». 

Le vie di Dio non sono le nostre 

5 - Naturalmente, Gesù Cristo potrebbe aver dato a San Pietro e ai suoi successori il carisma dell’infallibilità assoluta. Questa infallibilità, in teoria, potrebbe coprire qualsiasi pronunciamento dottrinale dei Papi e dei concilii, oltre che le decisioni canoniche, liturgiche, ecc. E potrebbe anche coprire le decisioni pastorali e amministrative. Ma il problema non consiste nel sapere se l’assistenza dello Spirito Santo sarebbe possibile in linea di principio in presenza di tale potere assoluto e generale. È chiaro che lo sarebbe. Fatto sta, però, che Nostro Signore non ha voluto conferire a San Pietro, al collegio dei vescovi col Papa, in definitiva alla Chiesa, un’assistenza in termini così assoluti. Le vie di Dio non sempre sono le nostre. La barca di Pietro è soggetta alle tempeste. In sintesi: la teologia tradizionale afferma che risulta dalla Rivelazione che l’assistenza dello Spirito Santo non fu promessa, e quindi non fu assicurata, in forma così illimitata, in tutti i casi e le circostanze. 

6 - Questa assistenza garantita da Nostro Signore copre in modo assoluto le definizioni straordinarie, tanto papali quanto conciliari. Ma le grandi opere teologiche, specialmente dell’età d’argento della scolastica, insegnano che nei pronunciamenti papali e conciliari non garantiti dall’infallibilità, possono esserci errori e perfino eresie. 

La dottrina è più complessa di quanto pretenda Mons. Ocáriz 

7 - L’articolo afferma, come assoluto e incondizionato, il principio che anche gli insegnamenti non infallibili del Magistero papale o conciliare esigono necessariamente l’assenso interno del fedele. Ora, i grandi autori della neo-scolastica pongono importanti riserve a questa tesi, dimostrando che non si può assumerla, in modo semplicistico, come una regola che non ammette eccezioni. 

8 - Infatti: 
 - Diekamp dichiara che l’obbligo di aderire agli insegnamenti papali non infallibili “può incominciare a venir meno” nel caso rarissimo in cui un esperto, dopo un diligente esame, “arriva alla convinzione che nella decisione si sia introdotto un errore” (Th. Dog. Man., I, 72). 
- Pesch ammette il detto assenso “in quanto non appaia positivamente chiaro che nel decreto della Curia Romana o del Papa vi sia un errore” (Pr. Dogm., I, 314/315). 
- Merkelbach insegna che la dottrina proposta in forma non infallibile, accidentalmente e in circostanze rarissime, può ammettere la sospensione dell’assenso interno (S. Th. Mor., I, 601). 
- Hunter afferma che di fronte alle decisioni non infallibili può essere lecito “temere un errore, assentire condizionatamente o anche sospendere l’assenso” (Th. Dogm., I. 492). 
- Cartechini sostiene che l’assenso interno alle decisioni non infallibili può essere negato nel caso in cui il fedele “avendo l’evidenza che la cosa ordinata sia illecita, può sospendere l’assenso… senza timore e senza peccato” (Dall’Op. al Dom., 153-154). 
- Dom Paul Nau spiega che l’assenso può essere sospeso o negato se vi è “una precisa contraddizione tra un testo dell’enciclica e altre testimonianze della tradizione” (Une source doct., 84).

Assolutizzazione impropria della nozione di assistenza divina 

9 - Qui sta l’errore grave, gravido di conseguenze ancora più gravi e perfino gravissime, nel quale incorre l’illustre e venerabile Vicario Generale dell’Opus Dei. Egli sostiene che il Magistero, assistito dallo Spirito Santo, sarebbe in ogni caso e necessariamente immune da ogni deviazione dottrinale. Ora, come il Magistero ordinario di ogni tempo, benché assistito dallo Spirito Santo, non sempre è coperto dall’infallibilità, così il Magistero odierno, pur contando sull’assistenza divina, non per questo presenta la garanzia assoluta dell’essere esente da errore. In tal modo, alcuni insegnamenti del Magistero ordinario possono divergere dalla Tradizione, anche gravemente. Questo è quanto si deduce logicamente dalla Lettera Apostolica Tuas libenter, nella quale Pio IX espone le diverse condizioni necessarie perché il Magistero ordinario goda dell’infallibilità, condizioni che chiaramente il Vaticano I non ha rimosso nel sintetizzare questa dottrina nell’espressione “Magistero ordinario universale” (questa questione richiederebbe uno studio molto ampio, che ho intenzione di elaborare a breve). 

10 - Le nuove dottrine del Vaticano II indicate come divergenti dalla Tradizione – come la libertà religiosa, la collegialità, l’ecumenismo, ecc. – possono costituire un insegnamento diverso (si quis aliter docet – I Tim., 6, 3) senza che con questo si possa dire che l’assistenza divina dello Spirito Santo abbia fallito, né che sia stata vulnerata l’indefettibilità della Chiesa. Tutti i giorni, fino alla fine del mondo 

11 - Pertanto, non si può affermare, senza ulteriori precisazioni, l’infallibilità assoluta dei pronunciamenti papali e conciliari: né in nome di una infallibilità magisteriale, né in nome dell’obbedienza dovuta dai fedeli a Pietro, né in nome di una pretesa sicurezza nell’accettazione di tutto quanto dichiara il Magistero autentico non infallibile, né tampoco in nome di qualche altra dottrina teologica o para-teologica che si possa escogitare; la verità è che nella Rivelazione niente assicura che i pronunciamenti non infallibili possano, in questa o in quella forma, essere infallibili. Qui ripeto che le tesi dell’eminente Mons. Ocáriz si discostano dalla retta via. 

12 - Guardiamo a questa questione con la dovuta attenzione. Non v’è dubbio che vi sono dei documenti della Sede Apostolica e della teologia tradizionale che affermano, senza maggiori distinzioni, che tutti gli insegnamenti dottrinali dei papi e dei concilii devono essere accolti dai fedeli, anche se non sono infallibili e quindi anche se non sono dotati del carisma dell’infallibilità. Ma qui si introducono delle sfumature dell’ermeneutica in generale e della sacra esegesi in particolare: come non si può assumere in modo monolitico il “non uccidere” del Decalogo, perché esso comporta delle eccezioni, per esempio quella della legittima difesa, così non si può considerare assoluto il principio che si devono sempre, in ogni caso, accettare gli insegnamenti non dotati del carisma dell’infallibilità. Il prestito a interesse fu vietato, poi ammesso, passando per mille vicissitudini. I riti cinesi conobbero le stesse esitazioni. 

L’altra faccia della medaglia: il papa eretico e il papa scismatico. 

13 - Questa medaglia ha due facce. Se da un lato la dottrina tradizionale ammette la possibilità di errore nell’insegnamento non infallibile del Magistero supremo, come in effetti è ammesso inequivocabilmente, dall’altra ammette anche parallelamente, senza alcuna valenza sedevacantista, le ipotesi di un papa eretico e di un papa scismatico. 

14 - Circa il papa eretico: 
San Roberto Bellarmino, San Francesco di Sales, Suarez, Domenico Soto, Buix, Coronata e tanti altri tra i maggiori maestri della scolastica, ammettono la tesi che un papa possa cadere nell’eresia. Pietro Ballerini, il cui lavoro fu importante per la definizione dell’infallibilità nel Vaticano I, vede nell’ipotesi di un papa eretico “un pericolo imminente per la fede e tra gli altri il più grave di tutti”, di fronte al quale qualsiasi fedele può “resistergli, rifiutarlo e, se necessario, interpellarlo ed esortarlo a pentirsi”, “perché tutti possano essere messi in guardia nei suoi confronti” (De Pot. Eccl., 104/105). 

15 - Circa il papa scismatico: è incontestabile che l’età d’argento della scolastica e la neo-scolastica hanno chiarito che, in periodi di crisi profonda, è possibile in linea di principio che un papa, senza perdere immediatamente il suo incarico, si separi dalla Chiesa cadendo nello scisma. E questo accade quando il Sommo Pontefice “sovverta tutte le cerimonie ecclesiastiche”, “disobbedisca alla legge di Cristo”, “ordini qualcosa contraria al diritto naturale o divino”, “non osservi ciò che è stato ordinato universalmente dai concilii universali e dalla autorità della Sede Apostolica, soprattutto in relazione al culto divino”, “non osservi il rito universale del culto ecclesiastico”, “smetta di rispettare, ostinatamente, quanto stabilito dall’ordine comune della Chiesa”, rendendo così possibile ed eventualmente obbligatorio in coscienza “resistergli”. A tal punto che in questi casi il card. Caietano dice, sempre senza alcuna valenza sedevacantista, che “né la Chiesa sarebbe in lui, né lui nella Chiesa” (II - II, q. 39, a. 1, n. VI). 

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Sottopongo rispettosamente le presenti considerazioni al reverendissimo Vicario Generale dell’Opus Dei e, relativamente a quanto stabilisce la Chiesa, alla Sede di Pietro, colonna e fondamento della Verità, oggetto di tutto il mio amore e della mia devozione fin dal giorno in cui, congregato mariano, ho appreso a venerare la sacrosanta dottrina della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana; mentre le sottopongo ugualmente ai teologi tradizionali dei nostri giorni. 

Per le chiare ragioni che molti di essi hanno presentato, e per queste mie stesse considerazioni, ritengo che niente, in teologia dogmatica e morale, obblighi ad assentire alle nuove dottrine del Vaticano II, le quali, come dice lo stesso Mons. Ocáriz, «sono state e sono ancora oggetto di controversie circa la loro continuità con il magistero precedente, ovvero sulla loro compatibilità con la tradizione». 
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 Fonte Una Vox, gennaio 2012
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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