martedì 28 maggio 2013

Ecumenismo e dialogo interreligioso?



Ecumenismo e dialogo interreligioso




«La secolare saggezza della Chiesa ha sempre preso le distanze dalle religioni non cristiane per tutelare la fede dei suoi figli, sottraendoli al contatto, all’influsso e perfino al confronto con altri “credi”. Ciò non le impedì, ovviamente, d’assumere quanto di buono, d’onesto e di bello fosse in essi: una presenza che qualcuno spiegò, e tutt’oggi spiega, come effetto dei “semina verbi”, diffusi da Dio anche al di fuori della rivelazione cristiana. L’aver sottratto i fedeli al rapporto con le altre religioni li prevenne sempre dal pericolo dell’indifferentismo religioso, secondo il quale una religione vale altra. È questo, purtroppo, il giudizio oggi largamente diffuso fra non poche frange del popolo di Dio, frastornato, esterrefatto, meravigliato ed un po’ anche scandalizzato dallo zelo di troppi teologi e operatori pastorali nel sostenere e sottolineare gli elementi di verità delle religioni non cristiane» (B.Gherardini, Quale accordo fra Cristo e Beliar? Osservazioni teologiche sui problemi, gli equivoci ed i compromessi del dialogo interreligioso, Verona 2009, p. 48).


 
Sull’ecumenismo non si hanno le idee chiare. Esso dovrebbe intendersi come il “cammino” verso l’unità di tutti i cristiani nell’unica Chiesa voluta e fondata da Gesù, che è quella cattolica. Purtroppo non è solitamente inteso così. Questo perché esso nasce in maniera ambigua. Vediamo come.
 
L’Ecumenismo
Il cosiddetto “spirito ecumenico” si sviluppò all’interno del Protestantesimo. Il pastore John Mott, nel 1910, volle che si tenesse a Edimburgo una riunione di tutti i missionari protestanti affinché nelle terre di missione non fosse manifesta ed evidente la divisione tra i missionari cristiani. Nel 1925, il vescovo luterano Nathan Soderblom cercò di raggiungere, almeno sul piano pratico, l’unione delle diverse comunità protestanti e diede vita al cosiddetto movimento Vita e Azione. Due anni più tardi, nel 1927, l’arcivescovo episcopaliano Charles Brent, convinto che l’unione dovesse realizzarsi non solo sul piano pratico ma anche su quello dottrinale, diede vita al movimento Fede e costituzione, nel quale confluirono successivamente anche gli appartenenti al movimento Vita e azione
Fu proprio da questi due movimenti (Vita e azione e Fede e costituzione) che, nel 1948, nacque ad Amsterdam il Consiglio Ecumenico delle Chiese. A questo organismo aderirono tutte le confessioni protestanti e anglicane. Successivamente, nel 1961, nell’assemblea di Nuova Delhi, anche la Chiesa Ortodossa Russa.
Anche nella Chiesa Cattolica si “muoveva” qualcosa, soprattutto a livello di iniziative di preghiera. Nel 1908, un pastore anglicano convertitosi al Cattolicesimo, Paul Wattson, ideò l’Ottavario di preghiere per l’unità, ovvero per otto giorni cattolici e anglicani dovevano pregare insieme per la loro unità. Nel 1935, per volere di Paul Couturier, un sacerdote di Lione, questo ottavario si estese anche agli Ortodossi e ai Protestanti. Oggi si celebra dal 18 al 25 gennaio, giorno della conversione di san Paolo.
Un avvenimento significativo nel cammino ecumenico fu segnato dall’istituzione, voluta da Papa Giovanni XXIII nel 1961, del Segretariato per promuovere l’unione dei Cristiani. Fu proprio questo Segretariato ad invitare al Concilio Vaticano II osservatori delle comunità non cattoliche.
 
Un presupposto inaccettabile
Ma, per capire il perché di un diffuso malinteso sull’ecumenismo, dobbiamo tornare al Consiglio Ecumenico delle Chiese. Esso afferma una cosa che è assolutamente inaccettabile, ovvero che l’unica santa Chiesa voluta da Gesù, pur già esistendo, non si sarebbe ancora manifestata in modo visibile. Ad essere visibili sarebbero solo le tante chiese separate fra loro; e l’unità visibile dei cristiani si realizzerà per la confluenza di tutte le “chiese” cristiane in una nuova Chiesa visibile, diversa ma anche più perfetta.
Perché un’affermazione di questo tipo è inaccettabile? Perché l’unica santa Chiesa voluta e fondata da Gesù esiste già in modo visibile, ed è appunto la Chiesa Cattolica. L’unità dei cristiani va sì auspicata, ma deve realizzarsi con il riconoscimento da parte di tutte le comunità cristiane della Chiesa Cattolica e quindi della necessità di ritornare in essa. Gesù ha voluto e fondato una chiesa che fosse “visibile” a tutti fino alla fine del mondo, come la «città posta sul monte» (Mt. 5,14). Ora, se questa chiesa oggi fosse invisibile, vuol dire che Gesù ha detto il falso e che la sua missione è fallita. 
Poi ci sono i motivi costitutivi della dottrina cattolica:
1. Solo la Chiesa Cattolica ha storicamente conservato nei secoli il collegamento con Pietro.
2. Solo la Chiesa Cattolica si è conservata “Una” come Gesù promise quando disse: «un solo ovile e un solo Pastore». (Gv. 10,16) Le altre “chiese” che si sono separate dalla Chiesa Cattolica hanno subìto processi di frammentazione. In Oriente, con le cosiddette “chiese autocefale”; in Occidente, con le tantissime sètte protestanti.
3. Solo nella Chiesa Cattolica si è conservata davvero intatta la stessa dottrina. La Chiesa Ortodossa nacque intono all’XI secolo e il Prostestantesimo nel XVI secolo.           
 
Per un ecumenismo e un dialogo interreligioso legittimi
Vediamo adesso come si deve impostare correttamente tanto l’ecumenismo quanto il dialogo interreligioso. Ecumenismo e dialogo interreligioso non sono sinonimi. Il primo riguarda il dialogo tra cattolici e cristiani separati; il secondo tra cattolicesimo e religioni non-cristiane. Vi sono quattro presupposti fondamentali da cui non si può assolutamente prescindere.
                               
Primo presupposto: la Chiesa Cattolica è la Chiesa di Cristo
Nella Lumen gentium (decreto del Concilio Vaticano II), al numero 8, vi è l’affermazione secondo cui la Chiesa di Cristo sussiste (subsistit in) nella Chiesa Cattolica. E’ un’affermazione, questa, indubbiamente poco felice, se non addirittura ambigua, perché farebbe capire che non c’è una perfetta identificazione tra Chiesa di Cristo e Chiesa Cattolica. Il documento Congregazione per la dottrina della Fede, Dominus Jesus (Dichiarazione circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa), del 6 agosto 2000, ha però chiarito. Al numero 16 è infatti scritto: «Con l’espressione “subsistit”, il Concilio Vaticano II volle armonizzare due affermazioni dottrinali: da un lato che la Chiesa di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani, continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa Cattolica, e dall’altro lato “l’esistenza di numerosi  elementi di santificazione e di verità al di fuori della sua compagine”, ovvero nelle Chiese e Comunità ecclesiastiche che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa Cattolica. Ma riguardo a queste ultime, bisogna affermare che “il loro valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa Cattolica”. È perciò contraria al significato autentico del testo conciliare l’interpretazione di coloro che dalla formula “subsistit in” ricavano la tesi secondo la quale l’unica Chiesa di Cristo potrebbe pure sussistere in Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche. Il Concilio aveva invece scelto la parola “subsistit” proprio per chiarire che esiste una sola “sussistenza” della vera Chiesa, mentre fuori della sua compagine visibile esistono solo “elementa Ecclesiae”, che – essendo elementi della stessa Chiesa – tendono e conducono verso la Chiesa Cattolica».
                                     
Secondo presupposto: La Chiesa Cattolica è la visibile Chiesa di Cristo                                                                             
Come abbiamo già avuto modo di dire: è assolutamente inaccettabile la tesi del Consiglio Ecumenico delle Chiese, secondo cui la Chiesa di Cristo ci sarebbe, ma ancora non sarebbe diventata realmente visibile. Abbiamo anche detto che se le cose stessero veramente così, sarebbe fallita la promessa di Gesù riguardo la fondazione della Chiesa. Leggiamo cosa dice Pio XII nella sua Mystici Corporis: «Si allontanano dalla verità divina coloro che immaginano la Chiesa come se non potesse raggiungersi né vedersi, quasi che fosse una cosa “pneumatica” come dicono, per la quale molte comunità di cristiani, sebbene vicendevolmente separate per fede, tuttavia sarebbero congiunte tra loro da un vincolo invisibile».
 
Terzo presupposto:  L’unità della Chiesa c’è già
Altra tesi inaccettabile è quella secondo cui l’unità della Chiesa ancora non si sarebbe realizzata. Infatti, la presenza di uomini che non accettano la Chiesa Cattolica o che da essa si sono separati non comprometterebbe l’unità della Chiesa cattolica stessa.
Questa presunta non unità della Chiesa starebbe a significare che la Verità non è unita, per cui c’è ne sarebbe un po’ di qua e un po’ di là, un po’ nella Chiesa Cattolica e un po’ al di fuori di essa. Pio XI nella Mortalium animos scrive molto chiaramente: «Poiché il Corpo mistico di Cristo, la Chiesa, è uno (1 Cor.1, 12), compatto e sottomesso (Ef. ,5) e simile al Suo corpo fisico, è una sciocchezza e una bestialità pretendere che questo Corpo mistico risulti di membra disgiunte e disperse».
Anche la stessa Dominus Iesus sembra chiarire: «La mancanza di unità tra i cristiani è certamente una “ferita” per la Chiesa; non nel senso di essere privata della sua unità, ma “in quanto la divisione è ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett.Communionis notio, n.17)».
 
Quarto presupposto:  il rifiuto dell’essenza del Cristianesimo
 Nella teologia cattolica del XX secolo si è fatta strada, per motivi ecumenici, l’idea di un Cristianesimo “essenziale” distinguibile da un Cristianesimo da accettare nella sua interezza.
Anche questa idea è completamente da rifiutare. Quando due persone non vanno d’accordo è da saggi proporre di pensare a ciò che è importante e di trascurare il superfluo. Le discussioni umane riguardano l’umano, e nell’ambito dell’umano si può tendere alla verità ben sapendo che è difficilissimo raggiungere la verità tutt’intera. Questo vale per le discussioni umane, ma non può e non deve valere per le questioni religiose, perché, in tal caso, non si è più nell’ambito della verità umana, ma della Verità rivelata; quindi non più del tendere verso la verità, ma della conoscenza della Verità tutt’intera.
Almeno dall’inizio del secolo XX nell’ambito di una certa teologia cattolica si è fatta strada la cosiddetta teoria dell’“essenza del Cristianesimo”. Ovvero la teoria secondo la quale il Cristianesimo sarebbe costituito da un’essenza e da elementi puramente accidentali, cioè meno importanti. Un po’come la differenza tra la bistecca e l’insalata: la bistecca è la sostanza; l’insalata, il contorno. Insomma, questa teoria afferma che il Cristianesimo avrebbe un “cuore” che lo renderebbe tale e la semplice adesione a questa “essenza” basterebbe per definirsi cristiano.
Quale lo scopo di una simile teoria? Favorire l’ecumenismo. È evidente che il dialogo con gli ortodossi e i protestanti, in tal modo, sarebbe molto più facile. Ma si tratterebbe di pura svendita e rinnegamento del patrimonio di verità del Cattolicesimo; il dialogo si deve fare nella verità non a discapito della verità.
Per capire quanto questa posizione sia sbagliata basterebbe ricordare il noto adagio: «Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu». Il bene, infatti, è nell’accettare la verità tutt’intera, perché nell’ambito della verità assoluta solo l’interezza conta.
Vediamo adesso qualche citazione autorevole con cui possiamo meglio capire quanto sbagliata sia questa teoria dell’“essenza del Cristianesimo”:
1. Sant’Agostino, nel Commento al salmo 54 (precisamente al numero 19), afferma: «In molte cose (di fede) concordano con me; in alcune con me non concordano; ma per quelle poche cose in cui non convengono con me a nulla serve loro essere con me d’accordo in molte».
2. Scrive Papa Leone XIII nella sua Satis Cognitum: «Ripugna infatti alla ragione che anche in una sola cosa non si creda a Dio che parla. (…) Gli Ariani, i Montanisti, i Novaziani, i Quartodecimani, gli Eutichiani [qui Leone XIII elenca alcune famose eresie] non avevano abbandonato in tutto la dottrina cattolica, ma solo questa o quella parte; e tuttavia è cosa nota che essi sono stati dichiarati eretici ed espulsi dal seno della Chiesa (…). Tale è infatti la natura della fede che essa non può sussistere se si ammette un dogma e se ne ripudia un altro. (…) Colui che anche in un sol punto non assente alle verità da Dio rivelate, ha perduto tutta la fede, perché ricusa di sottomettersi a Dio, somma Verità e motivo proprio della fede. (…) Perciò la Chiesa, memore del suo ufficio (di custodire il deposito della fede), non si è mai con ogni zelo e sforzo tanto affaticata come nel tutelare in ogni sua parte l’integrità della fede».
3. Anche Papa Benedetto XV allude a questo errore, precisamente nella sua Ad Beatissimi Apostolorum Principis:  «Vogliamo pure che i nostri si guardino da quegli appellativi, di cui si è cominciato a fare uso recentemente per distinguere cattolici da cattolici; e procurino di evitarli non solo come “profane novità di parole”, che non corrispondono né alla verità, né alla giustizia, ma anche perché ne nascono fra i cattolici grave agitazione e grande confusione. Il cattolicesimo, in ciò che gli è essenziale, non può ammettere né il più né il meno: “Questa è la fede cattolica; chi non la crede fedelmente e fermamente non potrà essere salvo” (Symb Athanas.); o si professa intero, o non si professa assolutamente. Non vi è dunque necessità di aggiungere epiteti alla professione del cattolicesimo; a ciascuno basti dire così: “Cristiano è il mio nome, e cattolico il mio cognome”; soltanto, si studi di essere veramente tale, quale si denomina».
4. E anche il Magistero attuale ne accenna. Nell’udienza generale del 20 agosto del 1997, Giovanni Paolo II pronunciò delle parole che richiamano chiaramente la condanna di questo errore. Il Papa disse in quell’occasione: «Il Concilio esorta i fedeli a guardare a Maria, perché ne imitino la fede “verginalmente integra”, la speranza e la carità. Custodire l’integrità della fede rappresenta un compito impegnativo per la Chiesa chiamata ad una vigilanza costante, anche a costo di sacrifici e di lotte. Infatti, la fede della Chiesa è minacciata, non solo da coloro che respingono il messaggio del Vangelo, ma soprattutto da quanti, accogliendo soltanto una parte della verità rivelata, rifiutano di condividere in modo pieno l’intero patrimonio di fede della Sposa di Cristo. Tale tentazione, che troviamo sin dalle origini della Chiesa, continua purtroppo ad essere presente nella sua vita, spingendola ad accettare solo in parte la Rivelazione o a dare alla Parola di Dio un’interpretazione ristretta e personale, conforme alla mentalità dominante e ai desideri individuali. Avendo pienamente aderito alla Parola del Signore, Maria costituisce per la Chiesa un insuperabile modello di fede “verginalmente integra”, che accoglie con docilità e perseveranza tutta intera la Verità rivelata. E con la sua costante intercessione, ottiene alla Chiesa la luce della speranza e la fiamma della carità, virtù delle quali, nella sua vita terrena, è stata per tutti esempio ineguagliabile».
 

Corrado Gnerre 22 gennaio 2013

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