domenica 12 maggio 2013

conoscere l'islam


 
di Edouard Pertus 1
 
religione islamica
 
I
INTRODUZIONE GENERALE
 
l Attualità dell'islam
 
L'islam è in piena espansione; dal Senegal alla Nuova Guinea, per un raggio di circa 20.000 chilometri, i Paesi islamici cinturano il globo; diverse centinaia di milioni di musulmani (400 secondo alcuni, 800 secondo il quotidiano Le Point del 13 marzo 1984), ricchi del petrolio racchiuso nei loro deserti, ricchi dei figli che mettono al mondo, osteggiano la loro volontà di potenza, malgrado le guerre intestine che li dividono. In Europa, la presenza di parecchi milioni di immigrati di origine musulmana è un fenomeno che ci concerne direttamente. «Quattrocentomila di essi sono naturalizzati, e circa quarantamila francesi si sono convertiti all'islam. In Francia, fino a cinque anni fa, non si contavano che ventitre moschee, mentre ora ne esistono cinquantuno; se si chiamano moschee, come è stato fatto con superficialità, anche le sale di preghiera ove si raccolgono questi musulmani, tale numero sale a circa cinquecento unità» 2. Ora, cosa incredibile, malgrado questi fatti, l'islam è quasi sconosciuto. Certamente, a riguardo di questo soggetto, le opere abbondano, e forse la vita di un uomo non basterebbe per esaurirne la bibliografia. Una tale profusione scoraggia la persona non specializzata che desidererebbe disporre di una documentazione facilmente accessibile sui punti chiave dell'islam... In qualche modo, la foresta nasconde l'albero...
 
l Obiettivo e limiti di questo studio
 
cupola di una moscheaIslam: che cosa si deve intendere con questo termine? Quale religione? Quale ideologia? Quale organizzazione della società? Quale volontà di conquista politica? Quali punti in comune - e quali differenze - con il cristianesimo? Quale specificità di fronte all'Occidente? Il presente studio vorrebbe dare a queste domande delle risposte elementari, qualche dato fondamentale, e alcune spiegazioni basilari che costituiscano un bagaglio minimo sull'argomento. Il filosofo francese Joseph Hours (1896-1963) ha scritto: «Per studiare l'islam occorre stabilirsi al centro della sua ispirazione, e cioè nella sua nozione di Dio. Privi di questa luce, molti non-credenti hanno applicato a questa nuova materia dei metodi troppo vecchi. Essi si sono immersi nella filosofia e nella lingua araba, prestandovi eccessiva importanza, e si sono persi nei dettagli del diritto islamico [...]. Troppo spesso il loro ateismo gli ha impedito di capire il fatto fondamentale che l'islam è innanzi tutto una religione» 3. La storia della sua propagazione, delle sue conquiste e dei suoi riflussi, quella delle dinastie successive dei califfi, dell'arte e della letteratura islamiche... costituiscono sicuramente tanti aspetti degni di interesse, ma che non affronteremo in questo breve studio essenzialmente incentrato sul fatto religioso, e sul suo impatto sulle mentalità, sui costumi e sulle strutture attuali del mondo musulmano.
 
l Principali fonti utilizzate
 
Nel corso di questo studio, ci appoggeremo essenzialmente sui seguenti testi:
 
- Il Corano 4
In effetti, quale fonte più obiettiva che il libro sacro dei musulmani (dall'arabo muslim, participio del verbo arabo salima, ossia «sottomettersi», il cui infinito sostantivo è appunto islam)? Citeremo, dunque, il più sovente possibile molti tra i suoi versetti più idonei ad illustrare un determinato dogma, un determinato atteggiamento, o una determinata opzione dell'islam. Per far ciò, utilizzeremo una delle traduzioni più apprezzate, ovvero quella di Arnaldo Fracassi.
 
- L'islam: croyances et institutions 5
Avendo compiuto i suoi studi nel seminario di Gazir, ed essendo quasi sempre vissuto in Libano, il gesuita Padre Henri Lammens s.j. (1862-1937) ha consacrato allo studio dell'islam una lunga vita di ricerche e di contatti prolungati con l'ambiente musulmano. Inoltre - ed è questa una delle ragioni della nostra scelta - Padre Lammens è considerato dagli specialisti come un critico distaccato e imparziale; ancora oggi, non esiste in materia un'autorità migliore per abbordare questo argomento.
 
Le più grandi biblioteche mondiali (Città del Vaticano, Beirut, Damasco, Dublino, Il Cairo, Leningrado, Parigi e Yale) conservano i manoscritti in lingua araba o in karsunì (arabo in caratteri siriaci) di uno scambio epistolare avvenuto sotto il regno di Al Mamùn (786-833), califfo di Bagdad, nel lasso di tempo che va dall'813 all'834 della nostra era, ossia ad appena due secoli dalla nascita dell'islam. Esso è composto da due lettere; nella prima, un musulmano convinto (Al Hashimi) scrive ad un suo amico cristiano (Al Kindi), esponendogli la dottrina dell'islam e invitandolo a convertirsi. Nella seconda, il cristiano riprende punto per punto gli argomenti dell'amico per confutarli, ed espone a sua volta il cristianesimo, invitandolo ad aderirvi. Fin dal 1141, questi manoscritti furono tradotti in latino da Pedro de Toledo (1484-1553), su richiesta di Pietro il Venerabile (1092-1156), abate di Cluny. Essi furono successivamente tradotti in francese dal pastore protestante Georges Tartar, professore di arabo. Oltre a queste fonti principali, citeremo, strada facendo, quegli autori che ci sembreranno utili per migliorare la comprensione di un determinato punto che analizzeremo.
 
padre henri lammens s.j.l'islam: croyances et institutions - padre henri lammenspedro de toledo
Padre Henri LammensL'islam: croyances... Pedro de Toledo
 
II
LA CULLA DELL
'ISLAM
 
l Il quadro geografico
 
L'islam è nato nell'Arabia occidentale, e precisamente nella regione che costeggia la penisola arabica ad Est del Mar Rosso chiamata Hegiaz, una zona accidentata e montuosa, con qualche oasi generalmente poco fertile, caratterizzata da un calore opprimente e da lunghi periodi di siccità interrotti da piogge torrenziali, e che appartiene all’attuale Arabia Saudita.
 
l Il quadro umano
 
- I beduini
Come ai nostri giorni, a quel tempo i beduini costituivano l'immensa maggioranza della popolazione. Di razza e di lingua araba, essi erano dei pastori nomadi. Tuttavia, una parte di essi si era sedentarizzata nelle oasi e in tre città di quell'epoca: Medina, La Mecca e Taif. «Malgrado le sue apparenze rozze, il beduino non è né un primitivo, né un barbaro. Egli apprezza la poesia. A partire dal secolo VI dell'era cristiana, il poeta occupa nella tribù, a fianco del capo, un posto a parte. Nondimeno, questa poesia è povera di immagini originali, di motivi religiosi o morali» 6. Per ciò che concerne le qualità morali, Padre Lammens reagisce contro «l'infatuazione delle ammirazioni romantiche»; egli vede nell'individualismo del beduino la fonte principale dei suoi difetti, e la causa della sua incapacità di fondare una forma stabile di potere e di organizzarsi. «Qualcuno ha detto che il beduino è coraggioso. Alcuni eruditi hanno attribuito i successi delle prime conquiste musulmane alla qualità eccezionale del suo valore» 7. Padre Lammens non condivide senza riserve tale opinione e sottolinea che, a questo riguardo, l'autore del Corano non si fà alcuna illusione. Il beduino prova ripugnanza a combattere allo scoperto, e vede nel coraggio un'imprudenza gratuita, preferendo cogliere di sorpresa il suo nemico e facendo uso della fuga come di un semplice stratagemma bellico. Esso non pratica che la razzia, sempre che la razzia possa essere definita guerra. Ciò nonostante, la tenacità è la sua più incontestabile qualità. Essa gli ha forgiato un temperamento d'acciaio che gli permette di vivere e di prosperare ove tutto inaridisce.
 
- Gli ebrei
Essi si insediarono ripartendosi nelle diverse oasi (di cui possedevano la maggior parte), e nelle tre già citate grandi città; in particolare, essi erano molto numerosi a Medina, dove costituivano oltre la metà della popolazione. Proprietari a Medina delle migliori tenute, del commercio e dell'industria, essi avevano come clienti gli arabi che guardavano dall'alto in basso, come dei «gentili», dei «non-scritturali», nel senso che gli arabi non possedevano, al pari di essi, un libro rivelato.
 
- I cristiani
Meno numerosi e meno favoriti degli ebrei, i cristiani intrattenevano buone relazioni con gli arabi; si trattava in buona parte di monaci ed eremiti, i quali godevano di una certa popolarità, e il Corano stesso riporterà persino l'eco di questa simpatia. «Tuttavia, essi appartenevano ad alcune sètte eterodosse, e principalmente al giacobitismo 8, e in seguito al nestorianesimo 9, e a quel cristianesimo d'Abissinia fortemente intriso di elementi ebraici. Alla Mecca, Maometto sembra aver ricercato la loro compagnia. I contatti con questo genere di informatori, spiriti rozzi che parlavano una lingua straniera, e che conoscevano assai male la loro religione, i loro successivi disaccordi, le loro divisioni dottrinali ed altre circostanze, contribuirono a formare le idee che Maometto si fece dei dogmi e del valore del cristianesimo» 10.
 
l Il quadro religioso preislamico presso i beduini dell'Hegiaz
 
Qual'era il contesto religioso alla vigilia dell’entrata in scena di Maometto? Abbiamo appena visto le minoranze ebraica e cristiana. Per l'arabo, grazie anche ad alcune osservanze locali, la religione presentava due tratti caratteristici: il politeismo e la litolatria.
 
- Politeismo: esso venerava una dozzina di divinità, tra cui figurava una triade femminile - Allàt, Al'Uzzà e Manàt (vedi foto sotto) - elemento questo che denota una certa arguzia per una società in cui la donna era già tenuta in disprezzo e in uno stato di inferiorità. Più oltre, vedremo come il Corano ironizzi su «coloro che attribuiscono figli ad Allah» (contrazione del vocabolo arabo al-ilàh, ovvero «la divinità» per eccellenza).
 
allàt, al’uzzà e manàt
 
- Litolatria: (dal greco «culto delle pietre») essa consisteva nell'adorazione, molto popolare e predominante, delle «pietre sacre», ovvero di monoliti o blocchi erratici modellati dalle erosioni. Situata alla Mecca, la Kaaba (il «cubo» o il «dado») è un edificio rettangolare in pietra lavica di circa dieci metri di lunghezza, dodici di larghezza e quindici di altezza, che sembra essere stato oggetto di un vero culto fin dagli inizi del primo millennio. In un angolo di questo edificio, è incastonata la «Pietra Nera» (probabilmente un meteorite di circa trenta centimetri di diametro raccattato in passato tra le sabbie del deserto, che - secondo la tradizione musulmana - sarebbe stato posto nella Kaaba dallo stesso Patriarca Abramo), anch'essa venerata dai beduini litolatri di cui abbiamo già parlato. L'islam si appropriò di questo santuario (la Kaaba costituisce in un certo senso il cardine del pellegrinaggio rituale dei musulmani alla Mecca), facendone il perno e l'unico punto di incontro dei pellegrini musulmani di tutto il mondo.
 
kaaba - pietra nera - la mecca
A sinistra, la Kaaba. A destra, la pietra nera.
 
l Il quadro economico e politico
 
- La Mecca, crocevia commerciale
La «sterile vallata» della Mecca costituiva il passaggio obbligato per innumerevoli carovane che trasportavano pelli, spezie e diverse derrate provenienti da Oriente e dall'Arabia, dirette verso l'Africa del Nord. «Paradiso dei carovanieri, dei mediatori, dei cambiavalute, dei prestatori a pegno e dei banchieri usurai [...], febbre di lucro, furore di speculazione [...], così condiviso che ben poche carovane o tutta la popolazione, uomini e donne compresi, non vi erano coinvolte». Così Padre Lammens descrive questa piazza «borsista» e il suo ronzio di alveare umano.
 
- Nessuna struttura politica
Metropoli religiosa e commerciale dell'Hegiaz, essa vide dominare una tribù: i coreiscìti (dall’arabo qurays). Nessun governo propriamente detto, ma solo la mala, una sorta di assemblea di notabili, i più ricchi e i più influenti. Notiamo anche l'esistenza di una specie di sindacato dei mercanti. Ma di fatto non esisteva nessuna struttura politica reale, giacché anche La Mecca era dominata dai costumi e dai pregiudizi dell'arabo individualista.
 
III
il fondatore
: Maometto
 
maometto
 
l Le fonti storiche
 
La vita di Abùl-Kàsim ibn Abd-Allah, detto Maometto (in arabo Muhammad, «il glorificato») ci è nota:
  • Tramite il Corano (dall'arabo al-quràn, e cioè «recitazione ad alta voce», scritto nel 657 - ossia venticinque anni dopo la sua morte - da Zàid ben Thabit, un suo discepolo), sebbene in maniera eccessivamente allusiva (non una sola volta il nome di Maometto vi è citato);
  • Tramite la Sirah o «Vita di Maometto» (scritta da Ibn Isham, morto nell'anno 833), di cui i musulmani hanno iniziato a raccogliere il materiale un secolo circa dopo la morte di quest'ultimo, e che è stato considerevolmente arricchito nel corso degli anni e dei secoli.
l Lacune ed incertezze
 
In effetti, la nostra conoscenza della personalità e della carriera del fondatore dell'islam, non si fonda su alcuna certezza storica. La stesura della Sirah, come abbiamo appena visto, è iniziata non meno di un secolo dopo la sua morte, e la maggior parte di essa è stata elaborata a partire da alcune vaghe quanto enigmatiche allusioni del Corano. Un gran numero di storici arabi, quali ad esempio Lahbani e Mahsudi, hanno raccontato la vita di Maometto. In Occidente, le prime opere su questo argomento sono apparse solamente verso la fine del secolo scorso - Ludolf von Krehl (1861-1937), Theodor Nöldeke (1836-1930), ecc... Tuttavia, «lo studio critico delle tradizioni più antiche sembra dover modificare alquanto l’idea che fin qui ci si è fatti della vita e del carattere del profeta arabo» 11. Nöldeke, al termine di lunghi anni di studio, dichiarò di «rinunciare a scrutare il mistero della personalità storica di Maometto». L'ebreo Ignàc Goldziher (1850-1921), un altro illustre islamologo, nella sua opera Muhammadische studien («Studi su Maometto»; 1889-1890), dopo aver sottoposto i racconti della vita di Maometto ad una critica scientifica rigorosa, mise in luce «il carattere tendenzioso di questi scritti, la cui unica fonte risiede in un'interpretazione più o meno esaustiva di versetti più o meno oscuri del Corano».
 
ludolf von krehltheodor nöldekeignàc goldziher
Ludolf von KrehlTheodor NöldekeIgnàc Goldziher
 
l Realtà, leggende ed estrapolazioni
 
Se gli autori musulmani della Sirah hanno spesso dato prova di possedere una viva immaginazione estrapolando a partire da «versetti più o meno oscuri del Corano», anche alcuni specialisti occidentali, dai quali pertanto ci si aspettava una più esigente obiettività, non sono stati risparmiati da questa stessa inclinazione. Tale fenomeno è sufficientemente frequente nella letteratura occidentale consacrata all'islam, per cui ci attardiamo un istante citando un paio di esempi:
 
- Primo esempio
Sura LXXIV (Il mantello)
1. «Tu che sei coperto col mantello»! 12
2. «Alzati e istruisci...» (F).
 
Partendo da questi versetti, la tradizione musulmana conclude: «Un giorno Maometto si trovava sul Monte Hirà, allorché intese una voce che lo chiamava; non vedendo nessuno, egli alzò gli occhi e vide l'angelo Gabriele. Spaventato, rientrò in casa e disse alla sua donna: "Avvolgimi in un mantello". Fu allora che Gabriele discese nuovamente e lo chiamò: "Tu che sei coperto col mantello!..."». Così Régis Blachère (1900-1973) commenta questo versetto: «"Colui che è coperto con un mantello": senza alcun dubbio possibile, questa espressione designa il profeta in stato di estasi». Senza alcun dubbio possibile, in stato di estasi! Sulla traccia di Padre Gabriel Théry o.p. (1891-1959), citato da don Joseph Bertuel 13, e al quale dobbiamo questo esempio, ci si può interrogare circa il rigore scientifico di un tale commento.
 
- Secondo esempio
Sura XCIV (La dilatazione)
1. «Non abbiamo dilatato il tuo cuore»?
2. «Non ti abbiamo scaricato di un fardello»?
3. «Esso opprimeva le tue spalle col suo peso» (F).
 
Così commenta la Sirah: «Un compagno di Maometto, che con lui custodiva gli armenti, vide un giorno due angeli gettare a terra il giovane Maometto, aprirgli il petto e togliere dal suo cuore una macchia nera». Ed ecco il commento di Emile Dermenghem 14: «Si tratta di una morale basata su di un senso erroneo [...], ma la cui importanza sta a significare che ad appena quattro o cinque anni di vita il profeta venne lavato dal peccato originale, da cui solo Gesù e Maria (sic!) erano stati preservati sin dalla nascita». È lecito domandarsi chi, tra l'autore arabo della leggenda e il Dermenghem, si spinga più lontano nell'audacia interpretatrice. È, dunque, alla luce di questi elementi e con le dovute riserve che ora andremo a passare in rivista i punti principali di ciò che si sa - o si ritiene di sapere - sulla personalità e sulla carriera del fondatore dell'islam.
 
l Le principali tappe della vita di Maometto
 
- Dalla nascita alla predicazione
Secondo Padre Lammens, la data di nascita di Maometto dovrebbe porsi verso il 580 d.C. (sempre che risponda a verità che egli non abbia superato la cinquantina), anziché verso il 570, data comunemente ritenuta giusta dalla maggior parte degli islamologi. A quell'epoca, la tribù araba dei coreiscìti costituiva alla Mecca una specie di oligarchia commerciale, con un consiglio di notabili. La famiglia di Maometto - quella degli hasimìti - pur facendone parte, era caduta nell'indigenza. Secondo la tradizione musulmana, tradizione che si fonda sul Corano, Maometto nacque «povero ed orfano»:
 
Sura XCIII (Il sole al più alto della sua carriera)
1. «Non eri tu orfanello? Non ti accolse nell'infanzia»?
2. «Ti ha trovato nell’errore; egli ti ha illuminato».
3. «Tu eri povero; egli ti ha arricchito» (F).
 
- Infanzia e giovinezza
L'orfano sarebbe stato raccolto dal nonno Abd-al-Muttalib (custode alla Mecca della «Sacra fonte di Zamzam», una sorgente che sgorga presso la Kaaba, la cui acqua possiederebbe, secondo i musulmani, qualità miracolose), e in seguito dallo zio Abù Tàlib (il cui figlio Alì sposò più tardi Fàtima, una delle figlie di Maometto). Come mai Maometto, nato e cresciuto nell'ambiente politeista dell'epoca, giunse ad intraprendere una carriera come la sua? Cosa predispose tale evoluzione? Secondo Padre Lammens, «Maometto possedeva uno spirito riflessivo. Egli si interessava alle questioni religiose che lasciavano indifferenti i suoi scettici concittadini. Lo si scopre alla ricerca di un ideale religioso superiore a quello dei suoi contemporanei» 15. Torneremo in seguito su questo punto.
 
l Maometto era analfabeta?
 
Sì, afferma la tradizione islamica, e i musulmani vi intravedono una prova dell'origine divina del Corano; se Maometto non sapeva né leggere né scrivere, l'autore del Libro non può che essere stato lo stesso Allah... Ecco un punto molto importante meritevole della nostra attenzione. Ancora una volta, l'islam si basa su alcuni passi del Corano, di cui presentiamo la traduzione di Albert de Biberstein Kazimirski (1808-1887):
 
Sura VII (Elaraf)
157. «Dì: sono l'interprete del cielo; la mia missione è divina. Essa abbraccia tutto il genere umano. Non c'è che Allah, il sovrano del cielo e della terra, che dà la vita e la morte. Abbracciate l'islamismo; seguite il profeta analfabeta, che crede in Allah, e camminerete sulla via della salvezza».
 
Sura LXII (Il venerdì)
2. «È lui che suscitò, fra un popolo di illetterati, un apostolo scelto tra loro per spiegargli la fede, purificarlo e insegnargli la dottrina del Libro della sapienza. Prima di lui, gli arabi erano sepolti in profonde tenebre».
 
É dunque chiaro che la versione di Kasimirski degli estratti di queste due sure, non solo non contraddice la tradizione musulmana sull'origine divina del Corano, ma, al contrario, la rafforza. Ma ecco che tutto cambia con la versione di Régis Blachère, arabista contemporaneo, la cui traduzione da a questi versetti un senso e una portata completamente diversi:
 
Sura VII (Elaraf)
157-158. «Dì: «Uomini! Io sono l'apostolo di Allah (inviato) a voi tutti».
158. «(Da Allah) che ha la sovranità dei cieli e della terra. Nessuna divinità eccetto lui! Egli è (colui che) fà vivere e fà morire. Credete in Allah e nel suo apostolo, il profeta dei gentili che crede in Allah e nei suoi decreti! Seguitelo! Forse sarete sulla retta via».
 
Sura LXII (Il venerdì)
2. «È lui che ha inviato, tra i gentili, un apostolo uscito da essi, che comunica loro i suoi "aya", li purifica, gli insegna la Scrittura e la saggezza. In verità (questi gentili) si trovavano prima in uno smarrimento evidente».
 
Così, secondo Blachère, non bisogna leggere «il profeta analfabeta», ma «il profeta dei gentili», o meglio, «degli analfabeti», cioè dei «non-scritturali», dei beduini che, a differenza degli ebrei e dei cristiani, non avevano ancora ricevuto le Scritture e non possedevano un Libro Santo... Per certi versi, seguendo questa tesi, Maometto, profeta dei «gentili», sarebbe stato il San Paolo dell'islam. Numerosi islamisti occidentali hanno seguito Blanchère in questa traduzione. Occorre tuttavia sottolineare che l'ortodossia musulmana, nella sua stragrande maggioranza - ed è questo che ci interessa - si attiene ancora a quanto si diceva poc'anzi: Maometto era analfabeta; dunque, il Corano è di origine divina.
 
l Difficoltà di traduzione dalla lingua araba
 
coranoCom'è possibile che due arabisti così quotati come Kasimirski e Blachère possano aver attribuito allo stesso vocabolo arabo un senso radicalmente diverso? Dopo il paragrafo precedente, non è possibile ignorare tale questione. Evidentemente, per un coranista occidentale razionalista (come del resto - anche se per ragioni ben diverse - per un cristiano), la tesi dell'origine divina del Corano è inaccettabile, e quindi, la traduzione di Régis Blanchère dei summenzionati versetti soddisfa maggiormente lo spirito (dell'uomo moderno). Nondimeno, non è lecito dubitare circa l'«onestà» intellettuale dei traduttori in questione, e, di conseguenza, il problema rimane irrisolto. Il Prof. François Gautier ha riassunto il problema in questi termini: «Lo spirito orientale è completamente diverso dal nostro. I vocaboli della lingua araba e i concetti che essi rendono, non corrispondono mai esattamente ai nostri vocaboli e ai nostri concetti. Tradurre dall'arabo al francese, o in qualunque lingua occidentale, è una fatica che non può essere minimamente rapportata ad una traduzione da una lingua occidentale ad un altra lingua occidentale. Gli orientalisti sono fin troppo coscienti di questa difficoltà, con la quale sono in perpetuo contatto, e la evitano per prudenza limitandosi ad una traduzione letterale. Ciò premesso, è evidente che gli storici arabi sono doppiamente inaccessibili: sia in sé stessi, che tramite i loro traduttori» 16. Gautier ci fornisce quindi una spiegazione (anche se di parte) circa le innumerevoli oscurità che ci confondono nel Corano, opera già intrinsecamente confusa, e spesso incoerente in innumerevoli passi. Egli ci illumina anche sulle diversità, talvolta considerevoli, che constatiamo tra le varie traduzioni del Corano attualmente in commercio. Ci si può domandare se alcuni traduttori non usino, o non abusino un po', onde adeguare a loro piacimento il senso e la portata dei versetti alle loro tendenze personali, o all'immagine che essi vogliono dare del messaggio islamico... È per tale motivo che, a nostro avviso, quando si esamina questo o quest'altro concetto del dogma musulmano, occorre sempre sforzarsi di verificare se il senso fornito dalla traduzione concorda con i fatti, e cioè, nel modo in cui il musulmano percepisce, vive concretamente e mette in pratica questo punto del dogma. La constatazione di Gautier spiega infine, più in generale, la difficoltà esistente ad intendersi in maniera chiara e precisa con interlocutori arabi, dal momento che si tratta di parlare di tutt'altra cosa che della pioggia o del bel tempo, difficoltà che, ad esempio, conoscono bene coloro che, per via della loro professione, sono abituati a trattare con degli arabi, e ad accordarsi sui termini e sulle clausole di un contratto.
 
l Primo matrimonio di Maometto
 
Maometto si sposò nell'anno 595 all'età di venticinque anni. In un Paese in cui le ragazze vengono considerate nubili molto presto, si rimane sorpresi nell'apprendere che il giovane beduino sposò in prime nozze Cadìgia (555-620), una ricca vedova della Mecca che aveva già passato la quarantina. Come osserva Padre Lammens, i beni portati in dote dalla sua sposa lo liberarono dalle preoccupazioni materiali che, sin dalla nascita, sembravano dover essere il suo destino. Il manoscritto di Al Kindi descrive questa fase della carriera di Maometto in questi termini: «Poi, egli crebbe in questa situazione (povero e orfano), fino al momento in cui entrò come cammelliere al servizio di Cadìgia, figlia di Huwaylid, alle cui dipendenze lavorava. In seguito, tra lui e Cadìgia nacque qualcosa, ed egli la sposò per la ragione che tu ben conosci» 17. È piccante notare che in una società in cui la donna era già ritenuta di gran lunga inferiore all'uomo, e nella quale la nascita di una figlia veniva considerata una sventura, il padre dell'islam non abbia generato che figlie; ciò nonostante, egli riaffermò questa convinzione anche nella religione da lui più tardi fondata. In realtà, la coppia ebbe anche dei figli maschi (sembra due o tre), ma che morirono alla nascita, e solo quattro figlie sopravvissero, tra cui Fàtima. Torneremo più avanti sulla discendenza di Maometto e sul suo legame con lo scisma sciita.
 
l Gli inizi della carriera religiosa di Maometto
 
- La vocazione
É verso l’età di trenta, o forse quarant'anni che, secondo Padre Lammens, prende inizio la carriera religiosa di Maometto. Su questo punto, la tradizione si fonda sul seguente versetto del Corano:
 
Sura X (Giona)
17. «Se Allah avesse voluto, non vi avrei letto i suoi comandamenti, e non ve li insegnerei. Non ho forse vissuto tra di voi senza farlo fino all'età di quarant'anni»? (K)
 
Più cauto in merito all'età in cui Maometto iniziò la sua carriera, Blachère così traduce questi versetti:
 
Sura X (Giona)
17. «Dì: Se Allah avesse voluto, io non vi avrei trasmesso questa predicazione, ed egli non ve l'avrebbe fatta conoscere. Ho abitato con voi per una vita, prima di dare inizio a questa predicazione. Come? Non capite»? (B)
 
«E così - nota Padre Lammens - a riguardo delle circostanze precise che hanno gradualmente condotto Maometto a considerarsi come investito di una missione di predicatore e di moralista, elevato in seguito al rango di "profeta", non possediamo che le vaghe e misteriose allusioni del Corano, trascritte e arricchite di dettagli in seguito, negli innumerevoli e pittoreschi aneddoti della Sirah. Disgustato dal grossolano feticismo e dal materialismo dei coreìsciti, egli abbracciò il monoteismo e la fede nel dogma della resurrezione della carne. Su questi dogmi si trovava d'accordo con gli ebrei e con i cristiani, persuaso che, come non esiste che un unico Dio, non deve sussistere che un'unica rivelazione, al di fuori della quale non potevano certamente essere stati lasciati proprio gli arabi; egli si credette dunque chiamato a predicare la verità tra i suoi compatrioti e nella loro lingua. Si trattava di un ruolo modesto che si limitava nel dare una redazione araba della rivelazione universale, adattata ai bisogni di ciascun popolo» 18.
 
gabriele parla a maometto
L'arcangelo Gabriele appare a Maometto.
 
l Le influenze: giudaismo e nestorianesimo
 
«Maometto fu nutrito di spirito ebraico». Questa asserzione dello storico ebreo Bernard Lazare 19, diventa subito lampante a chiunque sfogli il Corano, un libro profondamente ispirato - se non impregnato - dal giudaismo. È fuor di dubbio che Maometto frequentò a lungo ed interrogò, soprattutto agli inizi della sua carriera religiosa e grazie anche ai suoi viaggi, degli ebrei o dei rabbini, dai quali cercò di trarre degli elementi per dare un fondamento alle sue nascenti convinzioni. Perché, e in seguito a quali circostanze egli fu in seguito condotto a prenderebernard lazare le distanze da costoro, per poi finalmente creare un sistema religioso tutto suo? Questo rimane uno dei punti non ancora ben chiariti di questa storia. Tuttavia, l'impronta ebraica contrassegnò in modo indelebile sia il contenuto religioso dell'islam, che le pagine del Corano. Per convincersene, sarà sufficiente seguirà quanto via via esporremo nelle pagine a seguire. Il lettore interessato a questo aspetto primordiale di questo tema, potrà consultare con profitto le opere di Padre Théry. Ai nostri giorni, i suoi scritti sono pressoché introvabili, anche in biblioteca, ma l'essenziale delle sue tesi sulle origini giudaiche dell'islam, è stato ripreso da don Bertuel 20 in una forma accessibile al grande pubblico, pur restando ricca e documentata. Il manoscritto di Al Kindi non fà mistero della presenza di alcuni ebrei al fianco di Maometto, e di un monaco nestoriano 21 che avrebbe cercato di conquistare alle sue idee Maometto. Questo monaco si faceva chiamare Nestorio, come il suo maestro, ma «quando la causa del cristianesimo si sviluppò e fu sul punto di riuscire, Nestorio morì. Allora, sorsero Abd Allah ben Sallàm e Kab, soprannominato Al-Akbar, due ebrei che agirono con astuzia e malizia al fianco di Maometto, lasciando credere che lo avrebbero seguito e che avrebbero adottato la sua dottrina. Essi perseverarono nella loro scaltrezza e nel loro stratagemma, dissimulando il loro vero pensiero e tenendolo segreto fino alla prima occasione favorevole dopo il suo trapasso. In effetti, alla morte di Maometto, quando le genti abbandonarono l'islam, e il potere pervenne ad Abù Bakr (che Alì b. Abì Talib non volle riconoscere), questi due ebrei compresero che alla fine avevano ottenuto ciò che avevano cercato e voluto segretamente» 22. «Questi due ebrei - prosegue Al Kindi - avrebbero allora mostrato ad Alì il suo brillante avvenire di "profeta" sulla scia di Maometto, ma Alì, influenzato da Abù Bakr, rinunciò. Allora i due ebrei si impadronirono del libro che possedeva Alì, che aveva avuto dal suo maestro, e che era stato scritto nel senso del Vangelo. Essi vi introdussero dei racconti della Toràh 23, e alcune delle sue leggi» 24.
 
l Principali tappe della carriera religiosa di Maometto
 
La carriera religiosa di Maometto propriamente detta, può essere suddivisa in tre fasi:

 
610-622primo periodo meccano
622-629periodo medinese
629-632secondo periodo meccano
 
maometto predica ai meccani- Primo periodo meccano
Uomo maturo, ormai nell'agiatezza dovuta alle ricchezze di Cadìgia, avendo acquisito, come si direbbe oggi, un certo standing mediante questo matrimonio che gli permise di entrare a far parte della borghesia meccana, Maometto acquistò sicurezza, e le sue prime convinzioni religiose si fecero più chiare e forti. Egli si sforzò dunque di propagarle e di farne partecipi i suoi concittadini. Come abbiamo visto in precedenza, egli incentrò la sua predicazione sul monoteismo e sulla resurrezione della carne; ma, assai presto, egli si scontrò con lo scetticismo dei meccani... Certamente, egli godeva ancora di un certo rispetto, dovuto alla considerazione di cui godevano Cadìgia e la sua famiglia, ma non è difficile immaginare il coro dei sogghigni e delle burle alle sue spalle; non lo avevano forse conosciuto come un piccolo e misero orfano, e in seguito, come un semplice commesso di Cadìgia che, prima del suo matrimonio, percorreva le piste con le sue carovane? In poche parole: chi era costui? Chi lo autorizzava a prendersi gioco dei predicatori (pagani)? Chi si credeva di essere? Il sarcasmo dei suoi avversari fu principalmente diretto contro la sua tesi sulla resurrezione dei corpi e contro le sue predicazioni riguardanti gli increduli meccani. Tuttavia, a questo scetticismo subentrò ben presto una vera e propria crescente ostilità. Su questo periodo della vita di Maometto, il manoscritto di Al Kindi ci illumina più crudamente: «Allorché divenne potente, grazie agli averi della sua donna, egli bramò di regnare e di dominare sulla sua tribù e sul suo paese. Poi, constatò che ciò non era possibile, in quanto, essendo vissuto per molto tempo nell'indigenza, poche erano le persone che lo seguivano [...]. Quando si stancò di aspettare che si avverasse quanto anelava, egli pretese di essere un profeta e un apostolo inviato dal Signore dell'Universo [...]. Essi erano degli arabi nomadi, e non capivano nulla né dell'apostolato, né dei segni di profezia, poiché nessun profeta era mai stato inviato loro: fu lì che si svolse l'insegnamento di un uomo che li istruiva, di cui noi diremo il nome e racconteremo la storia in un altro punto della nostra lettera [...]. In seguito, egli scelse per compagni delle persone oziose, dedite alla razzia, di quelli che taglieggiano i viaggiatori [...]. Cominciò ad inviare delle spedizioni nei luoghi dove vanno le carovane cariche di merci [...]. Queste persone le intercettavano lungo il tragitto, si impossessavano delle merci e massacravano gli uomini. La situazione divenne critica: cosa sarebbe successo»? 25.
 
- Il periodo medinese
Secondo Padre Lammens, «alcuni incontri occasionali misero Maometto in comunicazione con degli arabi di Medina 26, di passaggio alla Mecca, i cui rapporti con i loro concittadini ebrei avevano reso più ben disposti verso le sue idee religiose» 27. Forse che Maometto pensava di trovare a Medina un uditorio più interessato alla sua predicazione, e un clima più favorevole alle sue tesi? Decise di lasciare spontaneamente La Mecca, o ne fu cacciato dai suoi concittadini? Secondo la lettera di Al Kindi, «la sua prima partenza fu dovuta a questa ragione (ovvero, come abbiamo visto più sopra, a causa delle razzie e delle aggressioni che avevano provocato l'ostilità dei meccani) [...]. Maometto aveva a quel tempo cinquantatre anni, dopo che alla Mecca aveva preteso per tredici anni di essere un profeta. Egli partì con i suoi compagni che lo frequentavano e si erano legati a lui in numero di quaranta uomini. Aveva subito tutti i generi di tribolazioni e di angherie da parte di quei meccani che lo conoscevano e che adducevano come scusa la sua pretesa profezia, ma nel loro intimo lo facevano a causa del fatto certo che, sulle strade, egli si dava al brigantaggio» 28. Sia quel che sia, Maometto e i suoi primi compagni lasciarono la loro città natale nel 622 per andare a Medina. Ma tralasciamo per un istante questo rapido sguardo alla carriera del fondatore dell'islam, per soffermarci su quest’episodio di capitale importanza.
 
- L'anno 1 dell'islam: l'égira
L'esodo dalla Mecca inaugurò l'égira 29. Essa rappresenta il punto di partenza dell'era musulmana, istituito ufficialmente diciassette anni dopo dal califfo 30 Omar, e che si pensa abbia avuto inizio il 16 luglio dell'anno 622. Riteniamo, dunque, che il 622 sia l'anno 1 del calendario musulmano 31, ma ciò che conta è sottolineare che con l'égira si ha un'evoluzione importantissima. Secondo Padre Lammens, più che unamaometto detta il corano semplice emigrazione geografica, l'égira assegnò a Maometto un nuovo ruolo: «Nella carriera di Maometto, l'égira segna un cambiamento [...] interessante: l'evoluzione politica dell'islam. Maometto, dapprima predicatore monoteista, e in seguito profeta, diventa capo di Stato. Nel vecchio diritto arabo, l'égira non significava solamente la rottura con la sua città natale, ma equivaleva ad una specie di dichiarazione di guerra. Su questo punto, il sindacato meccano non si ingannava. Fino a quel momento la parola d'ordine per i discepoli di Maometto era stata quella di "tenere duro" in mezzo alle contrarietà, e di non fare uso che di mezzi pacifici di persuasione. La gihàd 32 era una guerra spirituale. A Medina si aprì un periodo di azione, e venne raccomandato di lottare con le armi sino che l'islam non avesse preso il sopravvento» 33. A Medina, la predicazione di Maometto ottenne maggior successo, e raccolse rapidamente tra i pagani un certo numero di discepoli (sembra numerose centinaia): erano gli ansar (gli «ausiliari») mentre i meccani convertiti che avevano seguito il maestro a Medina erano i muhagirun (gli «emigrati»). «Emigrati» e «ausiliari» formavano i ranghi della futura aristocrazia dell'islam. A Medina, dunque, mentre le conversioni andavano moltiplicandosi, Maometto, la cui influenza cresceva di giorno in giorno, tentò di consolidare la sua autorità nascente; egli cercò per mezzo di un trattato abilmente redatto, di maometto entra a medinafarsi arbitro tra i musulmani, gli ebrei e i pagani di Medina, e di far confluire tutte le contestazioni davanti al suo tribunale. In tal modo, egli preparò gli animi ad accettare la sua supremazia religiosa e politica. «Tuttavia - prosegue Padre Lammens - ciò significava non tenere conto dell'ostinazione e dell'orgoglio degli ebrei, che egli aveva cercato di avvicinare alle sue tesi, in quanto fortemente convinto di attingere alla loro stessa fonte della rivelazione» 34. Ciò nonostante, i disaccordi dottrinali si fecero presto strada, in quanto gli ebrei professavano il principio secondo cui la profezia era un privilegio esclusivo di Israele, rifiutando pertanto le pretese del profeta «gentile». Alla fine, Maometto li dichiarò «i peggiori nemici dell'islam», lottò apertamente contro di essi, espulse i clan più deboli, di cui uno - quello di Banù Quràyza - vide i suoi seicento uomini massacrati fino all'ultimo, e donne e bambini venduti come schiavi 35. Un'intesa non fu nemmeno possibile con i cristiani; Maometto, dopo averne lodato le benevole disposizioni d'animo e l'assenza di orgoglio - il Corano ne conserva l'eco - ruppe anche con essi, non avendoli trovati più arrendevoli degli ebrei. Ma Maometto non aveva dimenticato La Mecca, la sua città natale; è contro di essa che egli scagliò in seguito i più portentosi ardori della gihàd. Da semplici raid, gli attacchi contro i meccani e contro le loro carovane si mutarono con il tempo in vere e proprie battaglie; dopo la vittoria di Badr 36 (nel gennaio del 624), e gli insuccessi di Uhud 37 e Mouta (nella primavera del 625), in cui circa 3.000 razziatori furono completamente sbaragliati dagli arabi cristiani della Siria, Maometto giudicò senza dubbio giunto il momento di prendere il controllo della città natale. Riallacciando segretamente i contatti con il coreìscita più qualificato, Abù Sofian, di cui aveva sposato la figlia, Maometto promise un'amnistia e il rispetto dei costumi e del culto meccano, pur assicurandosi dei complici sul posto. Si realizzò quindi la fath Makka, la «conquista della Mecca», in cui Maometto alla testa di 10.000 uomini penetrò senza colpo ferire nel mese del ramadàn del 629. L'unica mancanza alla promessa fatta, fu costituita dall'uccisione di alcuni tra i suoi più acerrimi nemici. Quanto alla popolazione, essa si sottomise. Da allora, La Mecca è la città santa per eccellenza, quella nella cui direzione il fedele deve orientarsi durante le preghiere e gli atti devozionali.
 
- Secondo periodo meccano
Tuttavia, è solamente per un bisogno di semplificare che abbiamo chiamato «meccana» questa terza fase della carriera di Maometto. In realtà, sembra che dopo la resa della Mecca, Maometto non si sia fermato affatto nella sua città natale, ma si sia reinsediato assai rapidamente a Medina; nel 631, egli condusse alcuni raid in direzione della Siria, e inviò delle bande a taglieggiare le città della Nabatea e i piccoli porti del Mar Rosso. Il pellegrinaggio alla Mecca esisteva già; da quel momento egli decretò che gli infedeli (i non-musulmani) non ne avrebbero mai più preso parte, e, all'inizio del 632, decise di recarvisi personalmente e di assicurarne egli stesso la direzione. «La conversione dell'Arabia aveva fatto grossi progressi unicamente nell'Hegiaz. Solo Medina poteva essere considerata come definitivamente assoggettata alla nuova dottrina. D'altronde, ovunque l'islamizzazione non era che iniziata: nondimeno, tutti riconoscevano soprattutto la potenza politica dell'islam» 38.
 
l Morte e successione di Maometto
 
L'8 giugno dell'anno 632, ossia tre mesi dopo il suo ritorno a Medina, Maometto morì di malattia. Secondo Padre Lammens, egli non aveva ancora superato i cinquant'anni, o, secondo l'opinione più corrente, la sessantina. Secondo la tradizione musulmana, Maometto aveva ordinato ai suoi compagni di non seppellirlo dopo la morte, in quanto sarebbe asceso al cielo. «I suoi compagni erano talmente persuasi di ciò che, quando egli morì lunedì 12 rabì-al-awwal, all'età di sessantatre anni, in seguito ad una malattia durata quattordici giorni, lo lasciarono, credendo che sarebbe salito in cielo come aveva predetto. Dopo un'attesa di tre giorni, il suo odore mutò, e la loro speranza di vederlo salire in cielo si dissolse. Delusi da queste premesse illusorie, e constatando la sua menzogna, essi lo seppellirono il mercoledì» 39. Alcuni musulmani sostengono che Maometto sapeva che, dopo la sua morte, avrebbe avuto il privilegio di essere elevato in cielo, ma che vi rinunciò liberamente, scegliendo la sorte comune ad ogni mortale.
 
maometto guerriero- La successione: le mogli di Maometto
Maometto scomparve dunque dalla scena. Aveva forse preparato la sua successione? Chi, tra i suoi discepoli, doveva riprenderne la missione, organizzare e consolidare la struttura politico-religiosa che, come abbiamo appena visto, era nata ed era cresciuta tra mille difficoltà? I problemi posti dalla successione di Maometto, e le circostanze in cui essa avvenne, non possono essere compresi con chiarezza se prima di tutto non si prende conoscenza, almeno a grandi linee, di quella che fu la vita coniugale e la discendenza di Maometto. Così, prima di esaminare quest'ultima e postuma fase della vita di Maometto, cerchiamo di redigere uno stato di famiglia del fondatore dell'islam. Maometto rimase fedele a Cadìgia - e dunque ufficialmente monogamo - fino alla morte di quest'ultima. In seguito, la tradizione musulmana gli attribuì diciassette spose legittime (Cadìgia compresa), di cui quindici donne libere e due schiave, e un numero imprecisato di concubine 40. Il nome, la filiazione e certi tratti particolari di ciascuna delle diciassette spose, costituiscono dei dettagli che non possiamo qui riportare per motivi di spazio, ma che si possono ritrovare, ad esempio, nella lettera di Al Kindi 41. Notiamo che il Corano limita a quattro il numero delle spose legittime che il musulmano può avere; e così, alcuni versetti «derogatori» regolarizzano il «caso» di Maometto 42. In effetti, la donna, e più in generale la sessualità, hanno occupato un posto particolare nella vita e nelle preoccupazioni di Maometto. Al Kindi non fà che riprendere la tradizione islamica, allorché ricorda al suo amico musulmano che Maometto «dichiarò di essere infiammato dall'amore, dal profumo e dalle donne, e che uno dei segni della sua profezia (della sua missione profetica) era costituito dal fatto che gli era stata donata una potenza sessuale pari a quella di quaranta uomini per copulare con le donne» 43. Questo aspetto della personalità del fondatore dell'islam, sembra mettere a disagio certi commentatori o autori occidentali, i quali si sforzano di ridurlo, di idealizzarlo, o molto semplicemente, di cancellarlo. Questo modo di procedere è prova di una profonda misconoscenza del musulmano, per il quale la sessualità esuberante del padre dell'islam non è affatto incompatibile con la missione religiosa di cui si credette investito, ma è esattamente vero il contrario! Ma ritorniamo alle alleanze e alla discendenza di Maometto, elementi che giocarono in seguito un ruolo decisivo nel processo della sua successione politico religiosa.
 
- La successione: discendenza di Maometto
Abbiamo già rilevato come Maometto ebbe da Cadìgia quattro figlie, tra cui Fàtima, che sposò Alì, figlio di Abù Tàlib (zio di Maometto, che lo aveva raccolto orfano), che fu per giunta uno dei primi e più fedeli compagni di Maometto. Lo schema sottostante - un abbreviato albero genealogico - ci permette di capire meglio: per non complicare le cose inutilmente, vi facciamo figurare, al fianco di Cadìgia, solamente le mogli di Maometto (ÿscia e Hafsa) che, come vedremo, furono implicate nella successione.
 
albero genealogico di maometto
 
- La successione: intrighi e discordie
I primi califfi sono nell'ordine:
 
632: Abù Bakr634: Omar
644: Uthman656: Alì
661: Moawia  
 
La morte inattesa di Maometto - ci dice Padre Lammens - creò disordini e dissapori nel suo entourage, prima ancora che si iniziasse a sotterrare il suo cadavere. Alì, cugino di Maometto 44, che fu poi uno dei suoi primi e più fedeli compagni, e a cui Maometto concesse la mano di sua figlia Fàtima - che gli diede una discendenza maschile (Hasan e Husayn) - sembrava designato a succedere al maestro, e ad accedere al primo califfato 45. Ma Àiscia, la sposa favorita di Maometto, riuscì con i suoi intrighi e con l'appoggio di Omar a far imporre suo padre Abù Bakr, con grande disappunto di Alì, con il quale essa era in pessimi rapporti 46. Nel 634, Abù Bakr morì designando come suo successore Omar, padre di Hafsa, un'altra moglie di Maometto. Alì rimase dunque tagliato fuori dalla corsa per la conquista del potere. Allorché Omar venne assassinato nel 644, fu eletto Uthman, genero di Maometto, di cui aveva sposato le figlie Erkia e Um Kesun. Nel 656, Uthman fu a sua volta assassinato; Alì, attraverso mille intrighi e lotte, che non possiamo per ovvi motivi riportare, poté infine accedere al califfato, ma non vi rimase che faticosamente per essere anch'egli assassinato nel 661. Gli succedette Moawia, ex governatore della Siria, e nemico di Alì, che, a quanto pare, fu promosso califfo grazie in parte anche all'appoggio di Àiscia. Il suo successore fu il figlio Yésid. Ma ritorniamo ad Alì: Hasan - suo figlio maggiore, che inaugurò la dinastia degli «sceriffi» 47 - abdicò e si ritirò a Medina, dove morì avvelenato. Husayn, il secondogenito, si ribellò contro Yésid, ma venne massacrato dai suoi uomini nel corso di una battaglia presso Kerbelah. Più avanti, vedremo come questi dissensi attorno alla successione di Maometto diedero vita allo scisma sciita. Come abbiamo già scritto all'inizio di questo opuscolo, lo studio delle successive dinastie islamiche non sarà oggetto di trattazione, limitandoci alla presente breve relazione. Tuttavia, fin da ora, prima di chiudere questa rapida carrellata sulla carriera del fondatore dell'islam, possiamo fare alcune riflessioni.
 
alìhasanhusayn
AlìHasanHusayn
 
l Brevi note su Maometto e sulla nascita dell'islam
 
Fin dalla sua nascita, l'islam si caratterizzò:
  • Per l'uso della forza legata all'apostolato;
  • Per il potere sia politico, che religioso (teocrazia).
La forza «legittimamente» utilizzata per la conversione: ecco un concetto che non ci è affatto familiare... Confusione tra spirituale e temporale; nessuna frontiera marcata, nessuna distinzione tra il dominio di Cesare e quello di Dio... In realtà, questi due aspetti caratteristici che abbiamo appena sottolineato, non sono che un'unica cosa, o più esattamente, sono così intimamente legati che è impossibile concepire uno senza l'altro. L'islam li ha trovati nella sua culla; Maometto glieli ha imposti allo stesso modo in cui, nel corso della sua carriera - come abbiamo appena visto - utilizzò tutti i mezzi coercitivi (razzie, battaglie, uccisioni, ecc...), con la propagazione della nuova religione che era stata via via elaborata dallo spirito del suo fondatore. I sanguinosi episodi che segnarono questa carriera, e le lotte per la successione di Maometto, mostrano bene come in gioco non c'era solamente il potere religioso, ma il potere stesso, civile, militare, economico, ecc... Dei primi quattro califfi, tre (Omar, Uthman e Alì) morirono assassinati. Quale contrasto con i primi Papi della Chiesa cattolica, il cui canone della Messa venera, dopo quella di San Pietro, la memoria di:
 
San Lino, 2º Papa, martirizzato nell'anno 79;
San Cleto, 3º Papa, martirizzato nell'anno 90;
San Clemente, 4º Papa, martirizzato nell'anno 94.
 
Predicatore, Maometto divenne contemporaneamente capo di una banda, poi capo di una guerra, e infine capo di Stato; più sopra, abbiamo sottolineato il fatto che nell'Hegiaz preislamico non esistesse né una struttura politica, né uno Stato organizzato. Alla morte di Maometto, la conversione alla nuova dottrina non aveva ancora varcato i confini dell'Hegiaz - forse solo Medina e La Mecca - ma tutta l'Arabia conosceva già la potenza politica dell'islam.
 
- Maometto fu un «profeta»?
Diciamo subito che la maggior parte delle opere o degli articoli dedicati all'islam - anche quelli che portano la firma di autori cattolici - impiegano correntemente il termine di «profeta» per designare Maometto, e generalmente con una «P» maiuscola, come per sottolinearne la portata. Il Dizionario Robert da, come significato improntato al latino ecclesiastico, «interprete di Dio», e per esteso, «colui che predice l'avvenire e pretende, in nome di Dio, di rivelare delle verità nascoste». Il Dizionario Larousse aggiunge che in termini assoluti, «profeta» è ilmaometto profeta? «titolo che i musulmani attribuiscono a Maometto» 48. Molto bene; ma per il musulmano è in senso proprio (quello fornito più sopra dal Robert) che si tratta di sapere se il titolo di «profeta» conviene o meno al fondatore dell'islam. Maometto è stato l'«interprete di Dio»? Ha forse predetto l'avvenire e rivelato, in nome di Dio, alcune verità nascoste? Undici secoli prima di noi, il cristiano Al Kindi pose questa domanda all'amico musulmano, e gli diede una risposta: «"Profeta" significa "annunciatore", e cioè colui che informa di un fatto sconosciuto o che annuncia un evento futuro che si deve realizzare [...]. Si crede che ciò che egli annuncia è vero mediante i segni che confermano le sue parole, e che attestano la verità di ciò che egli dice e racconta» 49. In seguito, Al Kindi cita, ad esempio, Mosè, Isaia, Geremia, Daniele, le loro profezie e i segni che le accompagnarono, evocando infine Gesù Cristo, di cui sottolinea, in onore del suo amico musulmano, la posizione a parte, in quanto «la sua condizione è al di sopra della profezia, poiché il suo rango è infinitamente più elevato, più nobile e più degno di quello dei profeti». E il cristiano interroga Al Hashimi: «Facci dunque conoscere, a riguardo del tuo maestro, cui tu attribuisci (il dono della) profezia, ciò che egli profetizzò, la profezia che proferì, e perché egli meriterebbe da te e dalla tua gente sensata il titolo di "profeta", e quale prova diede di esserlo. Se tu dici che egli ci ha insegnato i racconti dei profeti [...] come Noè, Abramo, Isacco [...], io ti rispondo che egli ci ha insegnato ciò che noi conoscevamo già, e che i nostri bambini imparano...». In effetti, il Corano contiene numerosi racconti estratti direttamente dall'Antico Testamento, e alcuni se ne fanno meraviglia, ritenendo che ciò costituisca un fattore di unione tra cristiani e musulmani. Senza dubbio, non si tratta di cose false; ma allora, in che cosa consiste la novità dell'islam? «Se tu pretendi - prosegue Al Kindi - che egli abbia annunciato degli avvenimenti futuri, noi esigiamo che tu ci dica quali. Ecco che in effetti sono ormai trascorsi oltre duecento anni 50 dalla sua epoca, nel corso dei quali si sarebbe profeta maomettodovuto realizzare o verificare qualcosa annunciato da lui. Ora, tu sai che su questo punto egli non annunciò assolutamente nulla, né disse una sola parola e non articolò neppure una lettera, il che chiaramente non soddisfa la "seconda condizione necessaria ad autenticare la profezia"». E i segni? Prosegue Al Kindi: «Ha forse compiuto dei miracoli? No, il Corano non ne menziona nemmeno uno, e Maometto non ne ebbe mai la pretesa, mentre riconobbe (nel Corano stesso) quelli di Gesù Cristo» 51. Riprendiamo dunque la definizione del Dizionario Robert, e ripetiamo la domanda: Maometto è stato l'«interprete di Dio»? Ha egli predetto l'avvenire e rivelato delle verità nascoste in nome di Dio? In breve: fu (letteralmente parlando) un «profeta»? La critica di Al Kindi risponde negativamente, e non senza una logica, a questo interrogativo. Per il musulmano, Maometto è sicuramente l'interprete di Dio e, a questo titolo, egli è certamente un «profeta» (o, più precisamente, un rasùl, un «inviato»). Per il non-musulmano, nulla gli impone di seguire gli islamici su questo terreno. E per il cristiano? L'ammiraglio Gabriel Paul Auphan (1894-1982) 52 faceva notare nel resoconto di un colloquio cristiano-islamico, tenuto sotto la direzione di un religioso del Segretariato delle relazioni con l'islam a Versailles il 10 maggio 1979, questa frase: «Si dice che Maometto sia un falso profeta; peccato, perché il messaggio coranico contiene il messaggio biblico 53. Si tratta - commentò l’ammiraglio Auphan - di una presa di posizione teologica, di cui lascio la responsabilità agli organizzatori del colloquio, poiché la Chiesa insegnava e insegna ancora, che non esiste altra Rivelazione che quella della Sacra Scrittura - Antico e Nuovo Testamento - illuminata dalla Tradizione, completamente priva di alcuna "continuazione" da attendere, che se non ciò che l'intelligenza, penetrata dalla fede, o le grazie accordate ad alcune anime privilegiate, che permettono di fare precisazioni sull'insieme teologico così circoscritto» 54. Non potendo dire di meglio, cerchiamo dunque di concludere. Personaggio sicuramente fuori del comune, Maometto presenta a distanza di tredici secoli una statura storica sufficientemente di rilievo perché ci sia il bisogno di aggiungervi qualcosa. Ci sembra che l'appellativo di «profeta», con tutto ciò che esso significa nella nostra lingua, sia improprio per qualificare il fondatore dell'islam. Inoltre, dal punto di vista cristiano, questa improprietà va evitata, in quanto essa contribuisce a perpetuare un'opinione falsa, secondo cui il messaggio islamico si inscriverebbe nell'insieme della Rivelazione.
 
IV
FONTI PRINCIPALI DELLA DOTTRINA
E DELLA DISCIPLINA DELL
'ISLAM
 
Le fonti dottrinali e disciplinari dell'islam sono contenute nel Corano, nella Sunna (dall'arabo sunnàh, ossia «tradizione»), e infine nella legge o sharìa. Esaminiamole in successione.

 
l Il Corano
 
- Le Scritture
Nelle pagine del Corano, gli ebrei e i cristiani vengono designati come gli «scritturali», o «genti della Scrittura», e cioè - in trasparenza - coloro che, prima dell'islam, furono favoriti da Dio con una rivelazione scritta; l'Antico Testamento per gli ebrei e per i cristiani, completato dal Nuovo testamento per questi ultimi. «O voi che riceveste le Scritture»! Vedremo più oltre il Corano interpellare così gli «scritturali», prima di esortarli ad aderire all'islam. O voi che avete ricevuto prima di noi questi «assaggi» della Parola divina, come potete restare sordi al messaggio di Maometto, dell'Ispirato?
 
- Il libro
Secondo Padre Lammens, la parola «Corano», più che «recitazione» significherebbe «lettura». Ma per i musulmani, la parola «Libro» designa a priori il Corano; se si afferma di un uomo che egli «legge», l'uso di questo verbo senza complemento indica che quest'uomo legge il Corano, altrimenti bisognerebbe precisare che «egli legge il tal libro...». Se il beduino preislamico era ghiotto di poesia, e usava una lingua ricca ed evoluta che impedisce di classificarlo tra le nazioni primitive, al contrario, la tradizione nell'Hegiaz era essenzialmente orale e la letteratura pressoché inesistente. Ricordiamoci anche che gli ebrei, questi «scritturali» - e come tali favoriti - guardavano con disprezzo questi beduini politeisti e litolatri. Ma ora, ecco che con Maometto, con la rivelazione del Corano e con la verità dell'islam, il beduino entra a sua volta a far parte della casta degli «scritturali»; anche a lui, e specialmente a lui, Dio ha parlato e ha dettato un libro... Forse era l'unico libro dell'arabo dell'Hegiaz, ma che libro! Alla luce di questi rilievi, andiamo ora ad affrontare il tema trattato nel capitolo che segue.
 
corano
 
l Origine del Corano: il suo autore
 
- Per i musulmani
Secondo la tradizione, mentre Maometto se ne stava a meditare in una grotta del Monte Hira, gli apparve l'angelo Gabriele (in arabo Jabrà), messaggero di Allah, e gli trasmise tutto il contenuto del Corano. Fu la «notte della rivelazione». Riavutosi da questa specie di estasi, e ridisceso a valle in mezzo ai suoi, Maometto, durante i giorni e le settimane successive, trasmise loro questa rivelazione mano a mano che, in modo frammentario, questi gli ritornavano alla memoria; i suoi compagni si affrettavano poi ogni volta a metterli per iscritto. Tutto ciò non ci rammenta nulla? Ma sì, è evidente!! Mosè che scende ancora sfolgorante dal Monte Sinai verso il suo popolo, con le tavole della Legge. Eccoci dunque in presenza di un'analogia caratteristica, di cui, nel corso di questo studio, evocheremo molti altri esempi. Ogni cosa accadde come se Maometto volesse in qualche modo rafforzare la credibilità della dottrina e della tradizione che stava elaborando, ricorrendo ad alcuni precedenti storici attinti dall'eredità degli «scritturali», accaparrandoseli liberamente come se fossero stati ricevuti da lui per grazia divina.
 
- Autore probabile per i non-musulmani: Maometto
Padre Lammens 55 considera il Corano come l'opera personale di Maometto, stimando che ciò non sarebbe mai stato rimesso in questione, e pensa che la composizione delle diverse parti del Corano sia avvenuta tra il 610 ed il 632. Tuttavia, ciò non esclude affatto le mutuazioni dall'Antico Testamento e dal Talmud 56, mutuazioni alle quali ha massicciamente provveduto il redattore del Corano. Le opere di Padre Théry hanno messo in evidenza in modo impressionante la realtà di questi plagi, e la somiglianza pressoché letterale che talvolta esiste tra alcuni versetti del Corano e diversi passi dell'Antico Testamento. Altrove, si rimano sorpresi nel constatare nel Corano il ruolo che occupano i precetti - minuziosamente dettagliati - relativi alle donne; ora, questi stessi precetti occupano circa una settima parte del contenuto del Talmud...
 
- Forma materiale del Corano: Sure e versetti
Il Corano è diviso in 114 capitoli, detti Sure (dall'arabo srah, ossia «capitoli» o «parti»), ma per designarli i musulmani non impiegano i numeri, ma dei nomi (Sura «La Vacca», Sura «La Luce», ecc...) che generalmente si ispirano al tema principale trattato in quel capitolo. A loro volta, le Sure sono suddivise in versetti (in arabo àyàt, ovvero «versi» o «righe»), ognuno dei quali termina con un'assonanza, tenendo conto della rima. Il Corano contiene in totale 6.200 versetti (circa, perché il modo di troncare i versetti varia a seconda delle diverse edizioni).
 
- Classificazione delle Sure in ordine decrescente
Nella sua forma materiale, il libro sacro dei musulmani presenta una prima singolarità: le Sure sono classificate in ordine decrescente di lunghezza, ad eccezione della prima di esse, detta Fatihat-el-kitab («che apre il libro» o la «preliminare»), la quale non contiene che sette versetti.
 
- Mancanza di ordine logico e cronologico nel Corano
La seconda particolarità più sconcertante per il lettore del Corano è costituita dal disordine che vi regna. Manca di ogni ordine logico: l'insegnamento su questo quel tema preciso (la donna, il paradiso, l'inferno, ecc...) è spezzettato a caso; oltre a ciò, si aggiunga che nella stessa Sura i discorsi senza capo né coda, da un versetto all'altro, sono legione. Manca anche un ordine cronologico: sebbene la redazione del Corano abbia richiesto tre decenni e contenga numerose allusioni a fatti storici precisi riguardanti la carriera di Maometto, lo svolgimento dell'opera stessa è una «carambola [...], una vera sfida alla storia e all’intelligenza del testo» 57.
 
sacro corano- La recensione del califfo Uthman
L'edizione del Corano, nella sua forma esteriore di cui abbiamo or ora sottolineato le peculiarità, viene attribuita al califfo Uthman (644-656). «Uthman comprese la necessità di fermare in tempo la pericolosa diffusione di redazioni e copie di carattere privato, contenenti una caterva di imprecisioni e varianti» 58. Il manoscritto di Al Kindi aggiunge alcuni ulteriori particolari sulle circostanze che motivarono la decisione del califfo Uthman: «Quando il potere passò nelle mani di Uthman [...], le genti leggevano diversamente gli uni dagli altri [...]. In quel tempo, qualcuno leggeva il tal versetto, e un altro lo leggeva in un modo diverso, e l'uno diceva all'altro: "La mia lettura è migliore della tua". Ognuno faceva riferimento al maestro presso cui leggeva, dimodoché il testo veniva allungato o abbreviato, cambiato o alterato. A Uthman venne dunque riferito che la gente leggeva il testo in modi diversi; che essa aggiungeva qualcosa o lo toglieva a piacimento, e che su questo punto si facevano delle dispute; che l'inimicizia andava propagandosi, e che le persone finivano per dividersi in partiti opposti; che se la situazione si fosse prolungata e aggravata, si rischiava di vedere gli uomini uccidersi gli uni gli altri, alterarsi il libro, e ricominciare l'apostasia» 59. Per dirla in breve, Uthman fece riunire tutti i rotoli e le pergamene, e designò una commissione incaricata di dare forma ad una redazione definitiva, dopodiché «scrisse ai prefetti ordinando di raccogliere tutto ciò che potevano e di distruggere tutto quanto, e che si fosse appreso che qualcuno avesse tentato di custodire una copia del libro, di minacciarlo e di punirlo. Tutti i testi raccolti furono gettati nell'aceto bollente ed inzuppati fino ad essere completamente distrutti» 60. Questo fatto ci sembra fornire lo spunto per una riflessione: da queste contese, alle quali il califfo mise fine, ognuno dei protagonisti era indubbiamente animato dalla volontà di far prevalere la propria versione della parola del Maestro, giudicata come sicuramente la più fedele all'originale. Poc'anzi, abbiamo però dimostrato che ciò che si era impiantato nell'Hegiaz non era un potere unicamente religioso, ma era anche una supremazia politica, legislativa, militare, e anche finanziaria... Ci si può dunque domandare se ciascuno degli adepti rivali non fosse anch'egli spinto dal movente di provare di essere stato - più di ogni altro - vicino al Maestro e suo intimo, e che quindi detenesse legittimamente e in maniera incontestabile anch'esso una parte di questo potere. La nostra storia non manca di esempi di situazioni analoghe, in cui, immediatamente dopo la dipartita di qualcuno, scoppiavano delle rivalità che, sotto le apparenze di una difesa della purezza del messaggio, celavano dei contrasti tra arrivisti... Non si vede quindi perché l'islam avrebbe dovuto essere risparmiato da tali situazioni.
 
- Tentativo di riclassificazione delle Sure
Riprendendo gli studi di Padre Théry, don Bertuel sottolinea che qualsiasi studio del Corano esige che, prima possibile, sia restituito l'ordine cronologico delle Sure, al fine di poter fissare le diverse tappe della predicazione di Maometto, prima alla Mecca e in seguito a Medina. Verso la fine del secolo scorso e all'inizio del nostro, numerosi esegeti occidentali hanno cercato di ristabilire quest'ordine; tra di essi, ricordiamo Hubert Grimme (1892), Hartwig Hirschfeld (1902), o ancora Noldeke (1909), la cui classificazione fu accolta con maggior favore dagli eruditi 63. Queste riclassificazioni poggianti su alcune analisi stilistiche, letterarie o concettuali, permettono di distinguere una prima serie di novanta Sure, detta «meccana», e una seconda di ventiquattro, detta «medinese», posteriore quindi alla prima. Naturalmente, il nuovo ordine delle Sure, così stabilito, non ha più nulla in comune con quello del Corano uthmaniano ufficiale, ed una tale manipolazione del loro libro, non potrebbe essere considerata dai musulmani che con riprovazione.
 
l Ciò che il Corano è per i musulmani
 
- Libro divino e «increato»
Per i musulmani, il Corano è il Libro e la Parola di Allah, tanto che ogni citazione coranica viene sempre introdotta dal preambolo «Allah ha detto...» 61. «L'ortodossia musulmana considera il Corano come increato nel senso che non solo esso riproduce una copia conforme al prototipo della rivelazione divina - Omm-al-kitab 62 - conservata in Cielo fin dall'eternità (Sura XIII, 39; Sura XLIII, 3), ma che nella sua forma attuale, nella sua riproduzione fonetica e grafica, e nel suo rivestimento linguistico arabo, esso è identico e coeterno all’originale celeste» 63.
 
- Rivelato a Maometto
Più avanti, nel corso di questo articolo, si comprenderà meglio l'importanza del seguente concetto: è a Maometto, e a lui solo, che Allah, con la mediazione dell'angelo Gabriele, ha rivelato il Corano. Non che Maometto abbia ricevuto l'esclusiva del Messaggio divino (giacché l'islam ammette la realtà, ma non l'integrità del contenuto), ma è a lui solo che Allah ha rivelato il Messaggio per eccellenza, quello che contiene tutti gli altri, che li perfeziona e che li supera. Su quest'ultimo punto è necessario riportare una considerazione che ci pare caratteristica. Scrive il filosofo Mohammed Arkoun (1928-2010): «Si tratta, oggi, di rendere possibile una riflessione religiosa scevra di preconcetti teologici e aperta a tutte le esperienze religiose dell'umanità» 64. A tal fine, egli cita Al-Hassan al-Basrî (542-728), intellettuale musulmano: «Allah ha incluso nel Corano le scienze dei Libri anteriori, e ha poi incluso le scienze del Corano nella Fatiha 65; chiunque dispone del commento di quest'ultima assomiglia a colui che possiede l'esegesi di tutti i libri rivelati». Árkoun stima che questo testo «ci metta in guardia contro ogni lettura riduttrice» (del Corano). Si potrebbe contestare a questi autori il diritto a tali affermazioni. Tuttavia, tali riflessioni ci sembrano alquanto scarne perché il lettore possa trarne motivo di convinzione.
 
mohammed arkounfatiha
Mohammed Arkoun Fatiha
 
- Scritto in lingua araba
Come abbiamo visto in precedenza, l'originale celeste del Corano, custodito dagli Angeli in Cielo, è scritto in arabo. Difficilmente si immagina la portata di un simile concetto, motivo per cui addurremo ora alcuni esempi. Innanzi tutto, va sottolineato che, per il musulmano, ogni traduzione del Corano in un'altra lingua che non sia l'arabo è in qualche modo una pratica peccaminosa - harâm 66 - ovvero sulla linea di confine della liceità, e quindi impensabile. Tempo addietro, una giovane coppia di nostri amici, all'uscita dalla Messa davanti alla chiesa di Rueil, è stata avvicinata da un musulmano di circa vent'anni, alla ricerca di un indirizzo. Dopo che i nostri amici gli fornirono le indicazioni necessarie, si passò a discutere di altre cose. Questo ragazzo studiava presso una facoltà universitaria parigina, e anche suo padre, immigrato marocchino, abitava a Parigi. Avendo inteso dei canti all'uscita della chiesa, egli ne chiese il significato e l'origine, e si iniziò così a parlare di temi religiosi:
 
- Amici - «E lei conoscerà certamente il Corano»!
- Marocchino - «No - rispose un po' confuso l’interessato - confesso di no averlo mai letto, poiché non conosco l'arabo...».
- Amici - «Ma esistono numerose traduzioni francesi...», obiettarono con prudenza i nostri amici...
- Marocchino - «No; ho posto tale questione a mio padre, ed egli mi ha risposto che il Corano in francese non esiste»!
 
corano - quranAggiungiamo che, nello spirito musulmano, si tratta di un'inesistenza, di un non-essere, quasi nel senso filosofico del termine... Uno dei nostri amici, aveva sentito dire che presso la grande moschea di Parigi, era possibile reperire - gratuitamente e in formato tascabile - alcuni esemplari «di volgarizzazione» del Corano. Mosso dalla curiosità, si recò alla moschea; alcuni impiegati, tanto gentili quanto perplessi, lo mandarono da un ufficio all'altro, finché alla fine gli venne mostrato quasi con reticenza tutto ciò che era disponibile: una lussuosa edizione in due volumi, formato Larousse, dal prezzo molto elevato, contenente - sembra - le Sure del Corano, ma anche tante altre cose, il tutto vivacemente miniato. Ma del Corano in francese per il proselitismo non vi era assolutamente nessuna traccia. È fuor di dubbio che l'islam sia conquistatore e cerchi di convertire. Ciò nonostante, esso stenta a diffondere in grande scala il Corano tradotto in un'altra lingua che non sia l'arabo. Nondimeno, esso dovrebbe avere presente questi problemi e tenere conto di certe evoluzioni: è indubbio, infatti, che la maggior parte dei musulmani del Marocco - tranne le ultime generazioni - quando sono in grado di leggere, leggono il francese, e un po', o per nulla, l'arabo. Com'è dunque possibile in queste condizioni insegnare la loro religione alle giovani generazioni senza troppo derogare dai principî? Una risposta a questo interrogativo può essere trovata nel modo in cui è stata presentata l'edizione del 1983 dell'Istruction islamique, utilizzata negli istituti dell'insegnamento secondario in Marocco 67. Tutto il testo, composto da seicento pagine, è praticamente in francese, ma tutte le citazioni estratte dal Corano sono in arabo, e seguite dalla traduzione in francese. Oltre a ciò, tali menzioni sono stampate su fondo verde (il colore prediletto dell'islam) e circondate da miniature, per mettere maggiormente in risalto il testo sacro e staccarlo così dal resto dell'opera. Resta il fatto che la lingua araba è, in un certo qual modo, il passaggio obbligato di chi voglia abbracciare l'islam, visto che generalmente ogni neofita è tenuto ad apprendere in arabo le Sure più importanti. Non si può forse affermare che, in una certa maniera, nell'islam l'arabo occupa lo stesso ruolo che occupava il latino presso il cattolicesimo fino a qualche decennio fa (anche se è sempre stato possibile convertirsi al cattolicesimo senza passare obbligatoriamente per il latino), e che l'islam ha saputo conservare questo fattore di unità abbandonato con tanta leggerezza dall'Occidente cristiano? Occorre perciò aggiungere che - parallelamente all'espansione dell'islam - il mondo arabo dispone così di un efficace strumento per l'espansione mondiale della sua lingua, e quindi, della sua influenza.
 
studia il corano- Somma di tutte le conoscenze «lecite»
Affronteremo ora uno degli aspetti più essenziali dell'islam; se non lo si afferra in modo corretto, è meglio rinunciare a comprendere la mentalità del musulmano, la sua storia, la sua civiltà e alcuni dei suoi atteggiamenti odierni. A tale scopo, iniziamo citando dal Professor Gautier una delle migliori analisi che conosciamo su questo punto-chiave dell'islam: «Il Corano non è, come il Vangelo, un semplice libro sacro su cui si basa la vita religiosa; esso è il Codice, la raccolta di tutti codici, e la base unica della vita giuridica. Esso è la costituzione, la fonte teorica di ogni potere politico, e il principio di ogni amministrazione di qualsiasi Stato islamico [...]. Ma il colmo per noi occidentali è costituito dal fatto che il Corano è per di più il compendio stabilito una volta per sempre di ogni conoscenza. Abbiamo già una certa dimestichezza con alcune conseguenze derivanti da questa concezione. Ad esempio, la mancanza di interesse del musulmano di fronte ai prodigi della scienza; "djenun fih", "c'è di mezzo il diavolo", e "tutto ciò è sospetto di eresia"» 68. Fin dalla sua tenera età, la scuola coranica radica nell'animo del musulmano questo concetto e questa inclinazione: il Corano contiene tutto, assolutamente tutto, ciò che è necessario e sufficiente alla conoscenza umana, sia per condurre la sua vita terrena, che per guadagnare il Paradiso. Di conseguenza, tutto ciò che non è contenuto nel Corano è privo di reale e profondo interesse per l'uomo. Il Corano, dunque, libro sacro dei musulmani, racchiude certamente tutte le scienze, ma anche tutte le scienze «permesse» al conoscere umano da Allah, l'Onnisciente. Conseguentemente, tutto ciò che non è contenuto nel Corano è macchiato di sospetto, hâram... o, come sostiene il Gautier, al limite del diabolico. Per finire, questo libro divino, questo Corano coeterno, raccolta necessaria e sufficiente di tutto ciò che l'uomo deve conoscere, è scritto in arabo, ed è stato rivelato a Maometto, e a lui solo. Da ciò ne deriva che l'islam detiene il monopolio non solamente del vero, ma anche del vero «utile».
 
- Una conoscenza chiusa
Come abbiamo appena visto, per i musulmani il Corano contiene la somma di tutte le scienze, e che «nulla è stato omesso». A questo punto, non si può fare a meno di constatare come interi settori della conoscenza, laboriosamente edificati in millenni dal genio infuso nell'uomo dal suo Creatore, siano totalmente assenti dal Corano. In esso, infatti, non si fà menzione della fisica, della chimica, della metallurgia, delle scienze agrarie, della medicina, della biologia, ecc..., e - non certo in misura maggiore - dell'insegnamento o dei contributi esistenti nell'immenso dominio delle arti: musica, pittura, scultura, ecc... A questo proposito, scrive Hours: «Questo atteggiamento è la negazione di ogni sforzo scientifico, di ciascuna scienza particolare, della "scienza" stessa. Non c'è nulla di inspiegabile quindi nell'inerzia dell'islam sia dilegge il corano fronte a qualsiasi sforzo scientifico, che ad ogni tipo di applicazione delle scoperte della scienza» 69. Ciò nonostante, siccome siamo convinti che lo spirito dell'arabo musulmano non sia minimamente inferiore a quello dell'uomo occidentale, ci poniamo questa domanda: com'è possibile che a tredici secoli dalla nascita dell'islam, che i popoli musulmani, compresi quelli più ricchi, siano ancora tributari dell'Occidente per qualsiasi applicazione delle scoperte scientifiche? Possiamo forse fare menzione di almeno un'automobile, di una macchina-utensile, di un farmaco o di un prodotto industriale un tantino evoluto, concepiti e prodotti da un Paese arabo islamico? Nel constatare che ciò non è possibile, insistiamo sul fatto che non si tratta di intelligenze inferiori, ma di un profondo disinteresse, spesso leggermente tinto di un sospettoso disprezzo per tutte queste cose. E per chiudere queste brevi note, richiamiamo con Hours un'obiezione che viene spesso sollevata: «Come negare l’attitudine dell'islam all'attività scientifica, quando è proprio lui che in un periodo lungo cinque secoli, che va dall’Alto Medio Evo ai nostri giorni, ha ricevuto dai greci la fiaccola della ricerca per poi trasmetterla a noi? Come negarlo, dal momento che tutti i campi, dalla filosofia alla matematica e all'"algebra", dalle scienze naturali alla medicina e all'"alchimia", li dobbiamo con riconoscenza proprio all'islam, e che la nostra stessa lingua conserva ancora il ricordo di questo debito? Già molto tempo fa (e precisamente nel corso di una conferenza tenuta alla Sorbona il 29 marzo 1883), Ernest Renan 70 ha dato una risposta a tale obiezione. Infatti, egli dimostrò che se l'estendersi delle conquiste arabe permise agli islamici di entrare in contatto con civiltà diverse [...], e che se questi contatti favorirono su numerosi punti l'accrescimento delle reciproche conoscenze, essi non furono generalmente l'opera di arabi propriamente detti, e che l'elemento arabo fornì unicamente a questa attività una lingua per comunicare [...]. Tale attività continuò non per effetto dell'islam, ma indipendentemente da esso e senza godere della sua simpatia; la potente reazione musulmana [...] finì in seguito per arrestare questo movimento e per estinguerlo ben presto radicalmente. E Renan concludeva: "In realtà, i liberali che difendono l'islam non lo conoscono affatto. L'islam è la coesione indivisibile dello spirituale con il temporale, è il regno di un dogma, è la catena più pesante che l'umanità abbia mai portato. Nella prima metà del Medio Evo [...] l'islam [...] ha tollerato la filosofia perché non ha potuto fare altrimenti. Ma quando esso ha avuto a sua disposizione delle masse ardentemente credenti, l'ha completamente distrutta"». Questa citazione ci sembra costituire un interessante sviluppo della constatazione di Gautier sull'atteggiamento dell'islam di fronte alla scienza.
 
- Le arti figurative sono proscritte dall'islam
Il giudaismo antico riteneva che, onde evitare ogni ritorno a qualsiasi ritorno all'idolatria, occorresse proibire la rappresentazione di uomini e di animali; l'islam ha ereditato dall'ebraismo questa e molte altre cose, l'ha interpretata a modo suo, e l'ha inoltre amalgamata con un concetto che gli è proprio: «Rappresentare un essere vivente, equivale a voler scimmiottare il Creatore (pretesa diabolica)». Ecco un apologo che dimostra questo concetto: un giorno un uomo scolpì una statua d'uomo e se ne inorgoglì; egli morì, e il Giorno del Giudizio, Allah lo interrogò alla presenza degli Angeli:
 
- «Dimmi: cos’hai fatto di buono sulla terra»?
L'uomo esibì la sua statua e rispose: «Ho fatto questa, Signore»!
E Allah gli chiese: «E tu ne sei fiero?»
«Sì, Signore, ne sono fiero»!
E Allah gli ordinò: «Dona la vita a questa immagine»!
E l'uomo confessò vergognosamente: «Non ci riesco! Tu solo, o Signore, ne hai il potere»!
 
Poiché egli aveva voluto imitare Allah, fu ridicolizzato davanti a tutto l'Universo! Come stupirsi di tutto questo visto che l'islam (del quale tuttavia numerosi storici attestano il ruolo decisivo svolto a suo tempo nello sviluppo delle arti architettoniche, e che non è assente - benché fino ad un certo grado - in altre arti come la musica, o la ceramica) non ha mai partorito un Michelangelo o un Rubens?
 
maometto a cavallo
 
- Tentativi musulmani di correggere questa immagine
Attualmente, alcuni pedagoghi musulmani stanno tentando di inculcare nelle giovani generazioni la convinzione che, lungi dall'essere una religione antiscientifica o ascientifica, l'islam è al contrario la religione non solo della ragione, ma anche della scienza. È interessante osservare il modo in cui essi spingano in questa direzione; si tratta certamente di elemento rivelatore. Ecco ciò che chiunque può leggere nella summenzionata Instruction islamique pubblicata in Marocco nel 1983:
 
- L'islam è la religione della scienza: «É suo dovere (dell'uomo) [...] contribuire allo sviluppo di tutte le scienze. A questo proposito, leggiamo nel Corano: "Il Signore eleverà a dei ranghi privilegiati i credenti tra voi; difatti, per coloro ai quali Egli avrà rivelato la scienza"... e il profeta Maometto ha detto in un hâdìt: "L'acquisizione della scienza è un dovere per ogni musulmano"» 71.
 
- La scienza non è la conoscenza esclusiva della religione: «L'islam [...] ci esorta ad apprendere ciò che ci è utile. (In questo modo), Allah ci ordina di studiare la biologia (eccone la prova) nei seguenti versetti: "Che l'uomo consideri ciò con cui egli fu creato. Egli è stato creato da una goccia d'acqua (il seme) uscita dallo spazio tra i lombi e le costole". Lo stesso manuale affronta in seguito il tema dell'agricoltura: «Il fatto che l'islam inviti ad occuparsi dell'agricoltura è manifesto nelle parole dell'Altissimo: "Che l'uomo consideri il suo nutrimento; abbiamo solcato profondamente la terra, e ne abbiamo fatto uscire dei cereali, delle vigne, dei legumi"» 72. Poi è la volta dell'industria: l'islam la conosce, la pratica e la prova: «Nel Corano è detto: "Noi abbiamo appreso a fabbricare delle cotte d'armi per premunirvi contro il pericolo"» 73.
 
Occorrerebbe citare tutto... L'autore non si basa su delle constatazioni, su dei fatti, o su dei ragionamenti. Tutta la forza di convinzione - tipicamente musulmana - risiede nell'affermazione, e l'unica fonte su cui poggiare le proprie argomentazioni rimane il Corano. La scoperta dell'elettricità ha rivoluzionato il pianeta, e questa forma di energia occupa ormai nelle nostre esistenze un posto di primaria importanza. Cosciente di questo, e anche del fatto che tale scoperta non deve nulla né agli arabi, né all'islam, un dottore musulmano scrisse alcuni anni fa che l'islam conobbe l'elettricità prima di tutti gli altri popoli. «La prova - sentenziava - sta nel fatto che cercando nel Corano, ho trovato la parola "folgore"». Non c'è forse qualcosa di patetico in questo goffo tentativo dell'islam, che cerca di trarsi d'impaccio da un peso, ricorrendo allo stesso peso per tentare di dimostrare il contrario? Per concludere, citiamo un altro estratto del succitato testo scolastico:
 
- L'islam combatte l'ignoranza: «Alcune branche della scienza furono esplorate e approfondite, ed è per questo che numerosi musulmani possedevano biblioteche ricche di opere in persiano, in greco e in indiano che trattavano temi di filosofia, matematica, astronomia, medicina, chimica, ecc... In seguito, queste scienze divennero arabe e furono trasmesse all'Europa» 74.
 
- Il Corano si iscrive nella Rivelazione?
Non di rado, si legge o si sente parlare di «Corano rivelato», o di «Rivelazione» a proposito del libro sacro dei musulmani, o del suo contenuto religioso. Dal punto di vista del cristiano, che cos'è esattamente il Corano? Il cristiano deve forse ammettere che l'insieme del messaggio coranico si inserisce nella Rivelazione divina? Per non incorrere nel rischio di ripeterci, rinviamo il lettore al paragrafo intitolato «Maometto fu un «profeta»?, dove si troverà che l'insegnamento costante della Chiesa cattolica esclude il messaggio coranico dalla Rivelazione divina.
 
l La Sunna 75
 
La Sunna è un insieme di regole di vita religiosa, morale e sociale estratto dalla vita di Maometto e dal suo insegnamento.
 
- Composizione
Pare che l'elaborazione della Sunna sia stata iniziata già durante il primo secolo dell'égira, per poi arricchirsi considerevolmente nel corso dei secoli successivi. Essa viene confermata dagli hâdìt; l’hâdìt consiste in una frase o in una sentenza attribuita a Maometto o ai suoi compagni, mediante la quale si cerca di giustificare o confermare una pratica della Sunna. «Le fazioni politiche e religiose che crebbero in seno all'islam primitivo, cercarono ben presto di utilizzare il metodo dell'hâdìt per raggiungere le loro rispettive mire particolari. Omayyadi, abbasidi e alidi poterono così combattere e polemizzare tra loro avvalendosi degli hâdìt» 76. Padre Lammens ci rivela che, fin dal V secolo, la ricerca di nuovi hâdìt era divenuta un vero e proprio sport: «Alcuni mohadditi si vantavano di conoscerne a memoria 100.000, o persino 1.000.000 [...]. É in questa situazione - mal vista dai sapienti ufficiali - che si giunse ad attribuire a Maometto questo aforisma: "Se incontrate una bella frase, non esitate ad attribuirmela: devo averla sicuramente detta"» 77.
 
- Utilità
La Sunna ha lo scopo di completare e spiegare il Corano (il cui testo - quantunque il suo autore affermi «di non avere omesso nulla» - Sura VI, 38 - contiene molte oscurità e lacune). Così, ad esempio, il Corano raccomanda la preghiera, ma senza fissarne le modalità (numero, riti, ecc...), e i dettagli che si trovano invece sulla Sunna, ottenuti dall'esempio o dalle indicazioni di Maometto. «In tutti i casi, dunque, in cui nessuna usanza era stata prestabilita, o laddove il testo del Corano non aveva stipulato alcunché, ci si rivolgeva alla Sunna, all'Usanza del Profeta [...], talvolta anche per pia finzione non si esitava a supporre o a presentare come realmente accaduto - o in altri termini - ad inventare ciò che si era deciso trovandosi di fronte a nuove situazioni» 78.
 
- Infallibilità
Maometto agì sotto l'ispirazione dell'Altissimo; e così anche la Sunna, insegnata da lui o tracciata sul suo esempio, beneficiò del privilegio dell'infallibilità, comportando quindi per i fedeli l'obbligo a sottomettervisi. È per tale motivo che i musulmani ortodossi si auto-definiscono «gente della Sunna» (o «sunniti»).
 
l La legge dell'islam (sharìa e giurisprudenza)
 
- Origine: il diritto o fiqh
«L'espansione dell'islam al di fuori dell'Arabia, la fondazione e l'organizzazione del califfato, determinarono la formulazione del diritto o "fiqh", che letteralmente significa "saggezza", ed equivale alla "prudentia" dei romani. Come presso questi ultimi, ma in senso molto più stretto, il "fiqh" è [...] la conoscenza e la definizione delle leggi divine e umane [...]. La teoria ortodossa afferma che sostanzialmente non esistono azioni buone o cattive, indipendentemente dalla legislazione rivelata. Il loro valore morale dipende dalla volontà divina, iscritta nelle rivelazione coranica. L'islam è essenzialmente una religione legale. Nulla viene lasciato né all’arbitrio, né all’iniziativa del fedele. Il fiqh abbraccia dunque l'insieme degli obblighi che la legge (in arabo sharìa) coranica impone al musulmano, nella sua triplice qualità di credente, di uomo e di cittadino di una teocrazia. Il Corano rappresenta per lui il Discorso sulla Storia universale. Da esso egli ha appreso il mistero dei destini religiosi delle società umane e la preminenza della collettività islamica. Ecco dunque che la sharìa, proponendosi come l'interpretazione della rivelazione, gli detta lo statuto familiare, il diritto penale, il diritto pubblico e internazionale, le relazioni con i non-musulmani, e infine regola la sua vita religiosa, politica e sociale, di cui essa si riserva di sorvegliare le molteplici manifestazioni e di dirigerne il complicato ritmo» 79.
 
- Le diverse scuole giuridiche
Principalmente, si distinguono quattro scuole giuridiche ortodosse, ciascuna delle quali porta un nome derivante da quello del suo fondatore:
 
  • scuola sciaffiita (fondata dall'imam - «guida», «modello» o «esempio» - al-Shàfiì-Abù-Abd-Allah Muhammed ibn Idris; 767-820);
  • scuola malikita (fondata dall'imam Màlik ben Anas; 710-795);
  • scuola hanifita (fondata dall'imam iracheno Abù Hanìfa; 696-767);
  • scuola hanbalita (fondata dall'imam Ahmed ibn Hanbal; 780-855).
Ognuna di esse privilegia una fonte piuttosto di un'altra, ed è proprio questo aspetto che le differenzia; tuttavia, tali diversità non poggiano che alcuni dettagli. Eccone un esempio: si può dire «io sono credente» senza aggiungere «insh'Allah»? Sì, dice la scuola hanifita; no, dicono le altre.
 
- Gli uléma
Essi, come ci dice Padre Lammens, sono gli interpreti autorizzati del consensus, e cioè dell'idjma (l'accordo tra i dottori qualificati e gli uléma di un certo periodo su tale o su tal'altra interpretazione dei testi della Sunna). In caso di dubbio, i semplici fedeli debbono ricorrere ad essi. Il loro responso - scritto - costituisce una «decisione».
 
- Il cadi
Scelto nella classe degli uléma, egli è il titolare di una magistratura giudiziaria.
 
 
 
banner crisi della chiesa
 
NOTE
 
1 Traduzione dall'originale francese Connaissance élémentaire de l'islam («Conoscenza elementare dell'islam»), a cura di Paolo Baroni.
2  Cfr. Le Point, del 13 marzo 1984.
3 Cfr. J. Hours, La conscience chrètienne devant l'islam («La coscienza cristiana di fronte all'islam»), 1962; ristampato a parte sui nn. 60 e 65 della rivista Itinéraires, pag. 8.
4 Cfr. Il Corano, Brancato Editore, Catania 1989, pagg. 467. Di volta in volta, per la traduzione di alcuni particolari versetti, oltre alla traduzione italiana di A. Fracassi, verranno usate altre due versioni: quella di Kasimirski (Maisonneuve et Larose, Parigi 1980) e quella di Blachère (Editions Baudoin, Parigi 1980), che a seconda del traduttore saranno contrassegnati con la sigla (K) o con la sigla (B), mentre quelli di A. Fracassi con la sigla (F).
5 Libraire Orientale, Beirut 1943.
6 Cfr. P. H. Lammens s.j., op. cit., pag. 11.
7 Ibid., pag. 15.
8 Sètta monofisita fondata in Siria dal monaco Giacomo Baradeo († 578) Vescovo di Edessa. Il monofisismo (unità di natura) predicava una dottrina che negava la distinzione delle due nature, umana e divina, di Gesù Cristo, e pretendeva che la prima avesse assorbito la seconda; il Concilio di Calcedonia (451) definì che queste due nature sono unite, ma non confuse, e condannò questa eresia.
9 Dottrina ereticale della sètta di Nestorio (380-440), Patriarca di Costantinopoli, secondo il quale Gesù Cristo non era che un uomo in cui il Verbo di Dio risiedeva come in un tempio; essa distingueva in Lui due persone: una umana e l'altra divina. Maria doveva essere chiamata «Madre di Cristo» e non «Madre di Dio». Tale dottrina fu condannata dal Concilio di Efeso (431).
10 Cfr. H. Lemmans, op. cit., pag. 30.
11 Cfr. B. Carra De Vaux, Dictionnaire théologique, pag. 1138.
12 Questa disposizione del testo verrà usata ogni qualvolta useremo, nel corso di questo opuscolo, un versetto del Corano. «Le rivelazioni coraniche [...] erano accompagnate da fenomeni impressionanti: la tradizione musulmana narra che quando Maometto le sentiva venire era scosso da forti brividi, cadeva a terra febbricitante e gridava: “Avvolgetemi in un mantello”»! Alla fine, restava esausto, madido di sudore e con fortissimi dolori al capo (cfr. C. M. Guzzetti, Il Messaggio di Allah, Leumann, Torino 1979; cit. in J. M. De La Croix, Le religioni e la religione, Mimep-Docete, Milano 1990, pag. 123).
13 Cfr. J. Bertuel, L'islam: ses véritables origines («L'islam: le sue vere origini»), N.E.L. 1981.
14 Cfr. E. Dermenghem, Mahomet et la tradition islamique («Maometto e la tradizione islamica»), du Seuil, 1955, pag. 14.
15 Cfr. P. H. Lammens s.j., op. cit., pag. 33.
16 Cfr. E. F. Gautier, Le passé de l'Afrique du Nord («Il passato dell'Africa del Nord»), Payot, 1952, pag. 67.
17 Cfr. G. Tartar, op. cit., pag. 138. Al Kindi è quel cristiano in contatto epistolare con un amico musulmano a cui accennavamo in apertura nell'introduzione generale citando le fonti che avremmo utilizzato.
18 Cfr. P. H. Lammens s.j., op. cit., pag. 34.
19 Cfr. B. Lazare, L'Antisémitisme, son histoire et ses cause («L'antisemitismo, la sua storia e le sue cause»), Documents et tèmoignages, 1969, pag. 51.
20 Cfr. J. Bertuel, op. cit..
21 L'eresia nestoriana negava la persona divina di Gesù Cristo; come dunque stupirsi di ritrovare questa stessa negazione, ripetuta con forza e veemenza, anche nel Corano?
22 Cfr. G. Tartar, op. cit., pag. 181.
23 Termine ebraico (Toràh, ossia «insegnamento») designante la Legge mosaica, e che comprende i cinque libri del Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.
24 Cfr. G. Tartar, op. cit., pag. 182. A sostegno della tesi della giudaizzazione dell'islam nascente, si è espresso anche Hanna Zacharias (pseudonimo di Padre G. Théry), autore del libro Vrai Mohammed et faux Coran («Vero Maometto e falso Corano»), secondo il quale Maometto divenne il genero del rabbino della Mecca (cfr. E. Latour, Le quattro cause della rivoluzione, Gotica, Ferrara 1990, pag. 13). Non è quindi affatto azzardato supporre che, come avvenne a causa delle influenze nestoriane, giacobite, manichee e gnostiche, l'islam abbia mutuato dall'ebraismo talmudico il rifiuto radicale della SS.ma Trinità, della divinità di Gesù Cristo, e il conseguente odio per il cristianesimo.
25 Cfr. G. Tartar, op. cit., pag. 138.
26 A quel tempo, la città si chiamava ancora Yatrib, e solo in seguito all'esilio di Maometto fu denominata Medina (dall'arabo Madìnat an Nabì, ossia «la città del profeta»).
27 Cfr. P. H. Lammens, op. cit., pag. 36.
28 Cfr. G. Tartar, op. cit., pag. 140.
29 Égira deriva da Higra, termine arabo che significa «emigrazione», ma in tono vendicativo.
30 Con questo termine, che significa «successore del messaggero di Allah», vengono designati i successori di Maometto.
31 Il calendario musulmano è iniziato il 16 luglio del 622. Da notare che l'anno musulmano, che si conta in mesi lunari, è più corto di dieci giorni circa dell'anno gregoriano. Ciò spiega perché vediamo ogni anno le feste musulmane avanzare progressivamente nel nostro calendario. A titolo di esempio, il 6 settembre 1986 è stato per l'islam il Giorno dell'Anno dell'era egiriana 1407.
32 Gihàd, termine arabo significante «sforzo», ma generalmente utilizzato per identificare la «guerra santa».
33 Cfr. P. H. Lammens, op. cit., pag. 38.
34 Inizialmente, onde captare la benevolenza degli ebrei, Maometto aveva ordinato che la preghiera islamica fosse fatta in direzione di Gerusalemme. In seguito all'atteggiamento ostile dei giudei, Maometto ordinò di pregare in direzione non più di Gerusalemme, ma della Kaaba, scelse che fosse il venerdì il giorno deputato al servizio divino e sostituì al giorno di digiuno (ashùrà) - che era stato introdotto sul modello giudaico - con il mese di digiuno (ramadàn) (cfr. Enciclopedia delle religioni, Garzanti 1989, pag. 485).
35 Cfr. P. H. Lammens, op. cit., pag. 42. Secondo altri autori, gli ebrei decapitati pubblicamente nel 627 nella piazza di Medina in ottemperanza al comando del Corano (Sura VIII, 12-13) furono dai 700 ai 900 (cfr. J. M. De La Croix, op. cit., pag. 124), mentre le altre due comunità ebraiche della città di Medina furono costrette all'esilio.
36 A proposito del copioso bottino catturato in questa battaglia, il Corano (Sura VIII, 1) assegnò tutto a Maometto, ma poi in seguito alle rimostranze della gente, gliene assegnò solo una quinta parte (cfr. J. M. De La Croix, op. cit., pag. 125).
37 Durante questa battaglia, Maometto venne ferito: una pietra gli tagliò le labbra, una freccia gli passò da parte a parte una guancia e perse due denti (cfr. Enciclopedia delle religioni, pag. 486).
38 Cfr. P. H. Lammens, op. cit., pag. 45.
39 Cfr. G. Tartar, op. cit., pag. 166.
40 «Tra le mogli di Maometto, la più amata fu Àiscia, figlia di Abù Bakr, che sposò ancora bambina all'età di sei anni e tra le cui braccia morì dodici anni dopo; ma amò molto anche la bella Zàynab, moglie del figlio adottivo Zàyd, il quale, dietro intervento del Corano si affrettò a divorziare da lei per darla al profeta» (cfr. J. M. De La Croix, op. cit., pag. 125). Ed ecco i versetti Corano (Sura XXXIII, 37) che «autorizzarono» Maometto a sposare la nuora: «Quando tu dicevi a colui che Allah aveva arricchito delle sue grazie, che tu avevi colmato di beni, conserva la tua sposa e temi il Signore, nascondevi in fondo al tuo cuore un amore che il cielo stava per manifestare [...]. Zàyd ripudiò la sua sposa. Ti abbiamo unito con lei, affinché i fedeli abbiano la libertà di sposare le mogli dei loro figli adottivi, dopo averle ripudiate. Il precetto divino deve ottenere il suo effetto. Il profeta non è colpevole di aver usato di un diritto autorizzato dal cielo, conforme alle leggi divine stabilite».
41 Cfr. G. Tartar, op. cit., pag. 151.
42 Ibid., pag. 149.
43 Ibid.
44 Abbiamo visto come Abù Tàlib, padre di Alì e zio di Maometto, aveva raccolto quest'ultimo quando era orfano.
45 Dall'arabo hàlifa, ossia «successore».
46 Secondo alcuni racconti, Alì l'avrebbe sorpresa mentre «amoreggiava» con un compagno di Maometto, e avrebbe invano fatto pressioni su quest'ultimo affinché se ne separasse; ma egli ne era troppo innamorato.
47 Vocabolo che sta ad indicare la discendenza da Maometto per questa stirpe.
48 D'altronde, ciò non è esatto, in quanto il significato della corrispondente parola araba rasùl è piuttosto quello di «inviato».
49 Cfr. G. Tartar, op. cit., pag. 153 e ss.
50 Come abbiamo visto, si tratta di un manoscritto che risale all'inizio del IX secolo.
51 «Maometto [...] sembrava disprezzare i miracoli. La frequenza con cui nel Corano ritorna sull'obiezione di quelli che gli chiedevano prodigi, lascia intravedere un'opposizione persistente. Alcune volte egli si accontenta di affermare con forza di essere mandato da Allah (Sura VI, 4-11; 19-21; 25-28; Sura X, 94-97; Sura XII, 8-27, ecc...). Altre volte osserva che Allah dà il potere dei miracoli a chi vuole (Sura X, 21), e che i miracoli non servono a nulla con gli ostinati (Sura III, 121-123). Infine, che Allah, dal quale deriva la sua missione, è una garanzia sufficiente (Sura IV, 152-164; Sura XV, 89-95). Egli insiste soprattutto sul fatto che Allah gli ha dato, come ad ogni altro dei suoi inviati, un libro (Sura XIII, 37-38; XVII, 46, ecc...) e che questo libro, il Corano, per la sua trascendenza, rende inutile ogni altro miracolo (Sura VI, 114-159; Sura XVIII, 47-50» (cfr. C. Falconi, Gli pseudo-rivelatori di Cristo, in AA.VV. Mondo Cattolico, Soc. An. Editrice, Bergamo 1941, pagg. 54-55). Inoltre, «Maometto riconobbe di non essere che un semplice uomo mortale: "Io non sono che un uomo [...] incaricato di predicare a voi credenti" (Sura VII, 188, e Sura XVII, 93); riconobbe di essere peccatore (episodio del cieco di La Mecca, Sura LXXX, 1-11); riconobbe di non saper fare i miracoli (Sura VII, 188), neppure per comprovarla verità del Corano (Sura II, 23)» (cfr. J. M. De La Croix, op. cit., pagg. 126-127). Ciononostante, «alla naturale venerazione (verso Maometto), si aggiunse presto l'aureola miracolosa [...]. Sulla base di elementi folcloristici, di leggende talmudiche e rabbiniche, di racconti degli apocrifi cristiani circolanti in Oriente, di arbitrarie interpretazioni di passi coranici, e anche di concetti derivanti dal parsismo e da dottrine gnostiche e neoplatoniche, a partire già dal primo secolo dell'égira, le successive generazioni musulmane andarono elaborando la leggenda miracolosa di Maometto, in parte anche per fare di lui un contrapposto alla figura di Gesù presso i cristiani. Scrittori del XIII secolo fanno salire a più di tremila i suoi miracoli e li classificano in varie categorie secondo l'oggetto su cui si esercitavano. Notevoli per la loro popolarità e per il posto loro dato in catechismi moderni, sono i vari portenti che preannunziarono la sua nascita, i miracoli della sua infanzia (calcati soprattutto sugli apocrifi cristiani), il viaggio notturno a Gerusalemme sulla cavalcatura portentosa al-Bura, la successiva salita al cielo nel periodo meccano e la scissione della luna operata da Allah in seguito a una preghiera di Maometto per convertire alcuni fedeli (un quarto di Luna si sarebbe staccato egli sarebbe entrato nella manica; da ciò deriva la mezzaluna, il simbolo islamico per eccellenza» (cfr. C. Falconi, op. cit., pag. 54).
52 Dalla prefazione del già citato libro L'islam, ses véritables origines.
53 Cfr. Neuf, del 12 giungo 1979.
54 Sappiamo che Nostro Signore ha istituito la Chiesa dotandola di un Magistero infallibile per conservare fedelmente la dottrina rivelata e dichiararla infallibilmente (cfr. Denz.-Sch., nº 3020). Ora la Rivelazione si è chiusa in maniera definitiva con la morte dell'ultimo Apostolo, San Giovanni.
55  Cfr. P. H. Lammens, op. cit., pag. 50.
56 Il Talmud (dall'ebraico lamad, ossia «apprendimento», «dottrina», «ammaestramento») è, dopo la Bibbia, l'opera principale della letteratura ebraica. Si tratta di un'ampia raccolta di materiale tradizionale ebraico (in diversi punti con accenti fortemente anticristiani) che va dal I secolo a. C. al V secolo d. C. (cfr. Enciclopedia delle religioni, pag. 343).
57 Cfr. J. Bertuel, op. cit., vol. I, pag. 22.
58 Ibid.
59 Cfr. G. Tartar, op. cit., pag. 185.
60 Ibid., pag. 188.
61 Cfr. P. H. Lammens, op. cit., pag. 48.
62 Omm-al-kitab, e cioè «madre della scrittura» o «matrice».
63 Cfr. P. H. Lammens, op. cit., pag. 49.
64 Cfr. M. Bergé, Les Arabes («Gli arabi»), Lidis, Parigi 1978, pag. 284.
65 Come abbiamo visto, la Fatiha è la prima Sura del Corano, contenente sette versetti.
66 Hâram, vale a dire «interdetto», «sospetto» o «proibito».
67 Cfr. Instruction islamique, per il 1°, 2°, 3° e 4° anno delle scuole medie, Librerie El Maârif, Rabat 1983; pubblicato sotto l'egida del Ministero dell'Educazione nazionale del regno del Marocco.
68 Cfr. E. F. Gautier, Mœurs et coutumes des musulmans («Usi e costumi dei musulmani»), Club du Meilleur Livre, Parigi 1959, pag. 7.
69 Cfr. J. Hours, op. cit., pagg. 19-20.
70 Ernest Renan (1823-1892), esponente del positivismo, celebre per la sua Vita di Gesù (1863), in cui la personalità e la predicazione di Cristo vengono considerate in termini soltanto umani. Ex seminarista, Renan negava la divinità di Gesù Cristo, motivo per cui gli fu interdetto l'insegnamento al Collegio di Francia per diversi anni. Per questa sua viscerale prerogativa anticlericale e anticristiana, ci pare veramente preziosa la sua testimonianza, visto che si tratta di un personaggio certamente non di parte e al di sopra di ogni sospetto.
71 Cfr. Instruction islamique, 4° anno secondario, pag. 18.
72 Ibid., 1° anno secondario, pag. 32.
73 Ibid.
74 Ibid., 4° anno secondario, pag. 18; si noti l'impavida affermazione: «In seguito queste scienze divennero arabe...».
75 Dall'arabo sunnàh, che significa «la tradizione».
76 Cfr. P. H. Lammens, op. cit., pag. 94.
77 Ibid., pagg. 94-95.
78 Ibid., pag. 90.
79 Cfr. P. H. Lammens, op. cit., pag. 108.
 

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