domenica 12 maggio 2013

SCHEDA: PER UNA STORIA DELLA MASSONERIA


 


Antonio Drei


Maggio 2005


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Nota del curatore
Quello che segue è un saggio di Antonio Drei sostanzialmente compiuto e, si sarebbe detto una volta,  quando  non  esistevano  sostituti  digitali  alla  carta,  pronto  per  la  stampa,  così  almeno dobbiamo presumere. Infatti, a parte qualche parola scritta in rosso nel file originale, come promemoria di  perfezionamento, tutto lascia pensare che non ci sia nulla o quasi da aggiungere, anche se le Biografie sommarie appaiono ancora, in parte, allo stato grezzo, in alcune delle voci più importanti così come sarebbe stato da completare e limare il pur robusto apparato di note.
Come vedete, nel frontespizio, è indicato che si tratta di Appunti di storia faentina, una specie di collana ideale della quale però Drei non riuscì a stampare nulla. Ne ho trovati altri di file con una identica intestazione, nell’archivio di Antonio Drei, uno con contenuti  appena abbozzati, altri in fase di avanzata preparazione.

Giorgio Bassi


























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Prefazione
Parlare di storia della Massoneria non è cosa semplice in generale, né, in particolare, in una città che faceva parte dello Stato Pontificio poiché la storia della Massoneria è, rare volte, storia di potere o, meglio,  di  complicità  con  il  potere,  ma  più  spesso, molto  più  spesso, storia  di  persecuzioni. Persecuzioni che si identificano non solo con la serie infinita delle scomuniche pontificie (accompagnate però, casomai qualche massone libero pensatore potesse non preoccuparsi degli effetti religiosi di tale atto, dalla pena di morte e dalla demolizione degli edifici che ospitassero templi massonici), ma anche con le demonizzazioni clericali e di una parte del socialismo di inizio novecento1  (protagonista il massimalista Benito Mussolini) ed infine con la repressione fascista accompagnata da distruzione di sedi e sequestri. Basti ricordare che oltre alle devastazioni (a Faenza quella dello studio dell’avv. Tosi) la polizia fascista sequestra in Italia complessivamente
130 casse di documenti e di materiali massonici; a noi sono giunte solamente 8 buste, tutto il resto è scomparso. In particolare si è salvata una «Matricola generale dell’Ordine» che comprende circa
77.000 nomi, ma sappiamo da fonti precedenti al fascismo dell’esistenza di uno schedario che comprendeva i nomi di 250.000 Fratelli.
Oltre  agli  eventi  esterni  come  scomuniche  e  persecuzioni,  pontificie  e  fasciste,  anche  certe procedure  interne  alla  stessa  Massoneria  rendono  difficile  tracciare  una  storia  completa  ed esauriente di questa associazione.
Ad esempio la prassi, diffusa nel secondo Ottocento, dei «Fratelli iniziati sulla spada» cioè noti solo al Gran Maestro ed esclusi pertanto dai piè di lista ci porta spesso a poter avanzare solamente ipotesi  di  appartenenza  massonica  non  suffragata  da  documentazione  e  tutti  questi  elementi
«deludono l’ambizione del ricercatore di tutto provare, documenti alla mano. Esso costituisce una delle insormontabili difficoltà nelle quali s’imbatte chi voglia chiudere la storia della Massoneria entro gli steccati della «storia provata»2 e costringe a limitare a mere induzioni l’interpretazione di alcuni momenti fondamentali dell’Ordine.
Ultima considerazione preliminare: anche chi scrive è stato definito massone secondo la costante italiana che chiunque studi e scriva di Massoneria, dal Francovich al Mola, ne fa parte. Pur facendo scherzosamente notare che, nonostante chi scrive abbia dato alle stampe due volumetti ed un articolo (e non denigratori) su Pio IX, nessuno lo mai accusato di essere un clericale e preciso comunque che non considero affatto offensiva l’accusa di essere massone; chi avrà la pazienza di leggere questo volumetto comprenderà agevolmente il perché.
Ritornando al nostro quaderno preciso ancora che dividerò la mia analisi sulla storia della Massoneria a Faenza in quattro periodi: il Settecento, il periodo napoleonico, quello risorgimentale, che ha spesso gli stessi protagonisti, ed il periodo postunitario per il quale utilizzo in parte il mio articolo  pubblicato da  «Manfrediana» su  La  prima Loggia Torricelli3  con  alcune  integrazioni dovute a successive scoperte di documenti, giungendo sino alle persecuzioni fasciste con le quali si chiude la storia della Massoneria a Faenza poiché, a quanto risulta a chi scrive, nel dopoguerra la Loggia faentina non fu più ricostruita e quindi non esiste più storia della Massoneria faentina; esisterebbe semmai una storia di massoni faentini, ma questa non rientra nei compiti che mi sono prefissati, chi volesse può trovare polemiche, ma non storia, su alcuni quotidiani locali degli ultimi vent’anni.
A  differenza di  altre  opere sulla storia di  singole Logge  che  hanno  potuto giovarsi di  molta documentazione interna e quindi basarsi su di essa questa è in larga parte costretta, in mancanza di documentazione interna, a basarsi su documenti esterni alla  Loggia come organi di stampa o rapporti di polizia. Questo è da una parte un forte limite, ma dall’altro consente anche di non cadere nell’agiografia.

1                     Ciò nonostante la presenza di socialisti nelle Logge sin dagli inizi del movimento. Ricordo per tutti Bakunin ed Andrea Costa.
2                     A. A. Mola,
3                     A. Drei, La prima Loggia Torricelli di Faenza, in Manfrediana, nn° 33/34, 1999/2000.
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IL SETTECENTO: LA PREISTORIA
La Massoneria moderna nasce, al di là delle logge che esamineremo in seguito, dalle antiche corporazioni di muratori ed architetti nel corso del XVII secolo in Inghilterra. Le funzioni delle corporazioni di  mestieri  erano  principalmente  quelle  dell’insegnamento e  del  perfezionamento dell’arte e da tali funzioni derivavano necessariamente il gradualismo e la segretezza. L’apprendimento del mestiere richiedeva, e richiede tuttora, una gradualità dell’apprendimento sintetizzato in tre gradi: apprendista, lavorante e maestro4. Sedi delle riunioni delle corporazioni per discutere dei problemi della categoria e per l’insegnamento o l’approfondimento del mestiere erano, per necessità, le baracche poste nei cantieri di lavoro, quelle che oggi sono le baracche prefabbricate in lamiera ondulata presenti in ogni cantiere edile, che avevano il nome di Logge. L’insegnamento dei maestri era non solo tecnico, ma anche filosofico, morale e religioso (e sempre nell’ambito dell’ortodossia cattolica) poiché il mestiere richiedeva non solo specifiche cognizioni tecniche come la geometria e la matematica, ma anche, per la parte decorativa, nozioni di arte, filosofia e teologia. Questi insegnamenti venivano impartiti, per ovvi motivi di “concorrenza”, sotto il vincolo della segretezza, segretezza che era solennizzata con particolari vincoli e giuramenti. All’insegnamento tecnico poi si aggiungevano anche segni di riconoscimento particolari per ogni grado necessari in un’epoca nella quale non esistevano diplomi riconosciuti né in patria né all’estero e nella quale gli artigiani costruttori di cattedrali, e non solo, si spostavano frequentemente da un paese all’altro portando con sé la necessità di farsi riconoscere dai colleghi (fratelli) degli altri paesi europei per poter chiedere loro aiuto non solo per trovare un lavoro, ma anche per la più banale necessità che oggi potremmo definire di “mutuo soccorso” in momenti di difficoltà. Naturalmente la corporazione dei muratori, i costruttori delle grandi cattedrali gotiche, è quella fra tutte più legata alla Chiesa cattolica ed è perciò che nella maggior parte dei casi troviamo fra i fratelli muratori sacerdoti in funzione di assistenti spirituali e di custodi dell’ortodossia cattolica.
Nel corso del XVI secolo quando in Inghilterra tutte le altre corporazioni entrano in crisi solo quella dei muratori riesce a conservare la propria organizzazione grazie alle cognizioni tecniche ed al prestigio che di conseguenza conserva. Per questi fattori e per la necessità che la corporazione ha di procurarsi protezioni in un momento di crisi vengono ammessi nelle Logge nobili e borghesi che non solo considerano un onore appartenere ad una associazione così antica e famosa per sapienza e cultura ma che non trascurano neppure il vantaggio di poter contare su amicizie ed appoggi anche oltre  Manica.  Questi  «non  muratori»  che  entrano  nelle  Logge  vengono  chiamati  «muratori accettati» ed una volta entrati hanno a pieno titolo gli stessi diritti e doveri degli altri membri della corporazione in nome dell’altro principio cardine dell’associazione, quello dell’eguaglianza. Con questi muratori «accettati» entrano nelle Logge, per usufruire del segreto, anche correnti ereticali ed esoteriche come, nella prima metà del XVII secolo, i seguaci di Christian Rosenkreutz.
Troviamo infatti il rosacroce e stuardista Christofer Wren, il grande architetto costruttore della chiesa di San Paolo, Gran Maestro delle Logge londinesi dal 1688 al 1702 e pochi anni dopo Giacomo I Stuart si proclama protettore della corporazione e nomina l’altro grande architetto Inigo Jones maestro.
Nella seconda metà del XVII secolo le Logge, col prevalere degli «accettati», perdono completamente la loro caratterizzazione professionale per assumere quella di una associazione culturale e filantropica che si avvale solamente di riti e simboli ereditati dalla corporazione e questa trasformazione accade durante la fase più aspra della lotta che si svolge dapprima fra gli Stuart ed il Parlamento e, successivamente, fra le dinastie degli Stuart e degli Orange. Ed in questa fase gli Stuart, cattolici, utilizzano le Logge secondo i propri fini politici poiché la Massoneria è ancora all’osservanza del culto cattolico romano praticando l’obbligo, riconfermato nel 1693, di essere
«fedele a Dio e alla Santa Chiesa».
I protestanti Orange però non rimangono spettatori e Guglielmo III concede alla Massoneria la propria  protezione  affiliandosi  e  presiedendo  una  Loggia  alla  quale  fa  cambiare  lo  statuto
4                     Qualifiche queste che per i mestieri artigiani sono tuttora in uso.
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eliminando il primo articolo che recita: «Il vostro primo dovere è quello di essere fedeli a Dio e di evitare tutte le eresie che lo disconoscono.»
A questo scontro religioso la Massoneria inglese riesce a sottrarsi scegliendo, in piena sintonia con lo  spirito pubblico di  un paese nel  quale ha  già  operato  Locke e  dove già  nel  1689 è  stato promulgato il Bill of Rights, la via della tolleranza religiosa offrendo a tutti gli affiliati segretezza e fratellanza al di là di ogni fede; in Loggia i Fratelli dimenticano tutti i contrasti riconoscendo nel Grande Architetto dell’Universo il vero Dio superiore ad ogni religione rivelata.
Il  controllo  delle  Logge  londinesi  rimane  però  agli  stuardisti,  nonostante  nel  1688  sia  stato detronizzato Giacomo II, sino agli inizi del ‘700 quando gli Hannover, protestanti e deisti, attuano un vero e proprio colpo di stato sulla Massoneria utilizzando alcune Logge di Londra che, avendo perso ogni carattere operativo, si riuniscono solo a fini goderecci nelle osterie della città dalle quali derivano il nome. Quattro di queste Logge il 24 giugno 1717, solennità di S. Giovanni Battista, si fondono fra di loro e danno vita alla Gran Loggia di Londra che si assume il compito di unificare i regolamenti della Massoneria fermo restando che non si desiderano scontri fra cattolici e protestanti poiché dalla fratellanza massonica discende necessariamente la tolleranza religiosa. Anche sotto il profilo politico l’eguaglianza fra nobili e borghesi in nome della fratellanza fa discendere i principi della discussione, della  eleggibilità e della periodicità della cariche nonché delle  decisioni da assumere a maggioranza con voto per testa; principi questi che introducono nelle Logge i principi democratici ai quali aspirano ormai le parti più avanzate dell’opinione pubblica inglese ed europea. James Anderson, pastore presbiteriano, codifica «Le Costituzioni dei Massoni comprendenti la storia, i doveri, le regole ecc.» pubblicate nel 1723; tali Costituzioni vengono subito adottate da tutte le Logge, anche da quelle in concorrenza con la Gran Loggia di Londra. Esse si compongono di una parte storica che identifica l’arte muratoria con la scienza stessa poiché la base di entrambe è la geometria la cui iniziale è la stessa di Dio (God) e la nascita dell’associazione si fa risalire ad Adamo (mentre Gesù Cristo è ricordato in una sola riga come grande architetto) e di una parte di doveri che recita:
Un massone ha l’obbligo in virtù del suo titolo, di obbedire alla legge morale; e se ben comprende l’arte non sarà mai uno stupido ateo, né un libertino senza religione. Negli antichi tempi i massoni erano obbligati in ogni paese di professare la religione della loro patria o nazione, qualunque essa fosse; ma oggi, lasciando a loro stessi le particolari opinioni, si trova più a proposito di obbligarli soltanto a seguire la religione sulla quale tutti gli uomini sono d’accordo: essa consiste nell’essere buoni, sinceri, modesti, e persone d’onore, qualunque sia il credo che li distingue: da ciò se ne deduce che la massoneria è il centro di unione e il mezzo atto a conciliare una sincera amicizia fra le persone che non avrebbero mai potuto senza di ciò, divenire componenti della stessa famiglia.
Per quanto riguarda l’attività politica i doveri massonici impongono obbedienza e lealismo nei confronti dell’autorità costituita, ma se questa norma è valida per l’Inghilterra avviata sulla strada della  democrazia,  si  lascia  uno  spiraglio  al  singolo  massone  degli  altri  paesi  del  continente assolutisti e cattolicamente intolleranti:
qualora un fratello si ribellasse contro lo Stato non dovrà essere sostenuto nella sua ribellione. Pertanto si potrà averne pietà, come per un disgraziato; e per quanto la fedele confraternita debba sconfessare la sua ribellione e non debba dare in avvenire né ombra, né provocare il benché minimo risentimento politico del governo, se il ribelle non è colpevole di altro crimine, non potrà essere escluso dalla Loggia ed il suo rapporto con essa rimarrà immutato.
Mentre poi la Gran Loggia di Londra inizia a stabilire una disciplina unica per le Logge che da essa dipendono compiendo riconoscimenti e concedendo patenti solo a ragion veduta la Massoneria stuardiana continua a vivere nel più totale caos di regolamenti e di amministrazione.
Ora la Massoneria, dalla quale quella stuardiana è sempre più emarginata, è ormai divenuta una corporazione universale, «una confraternita morale, che unisce tutti gli uomini di buona volontà, d’ogni paese, d’ogni lingua, d’ogni razza, d’ogni condizione sociale, indipendentemente dalle loro opinioni politiche e religiose», per affermare gli ideali di libertà e di progresso quali si vanno forgiando nella società inglese.
Nel 1724 viene poi introdotto, ispirandosi alla mitica figura di Hiram, il grado di maestro non
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previsto nelle Costituzioni di Anderson che prevedeva solo i gradi di apprendista e di compagno.
Sul continente registriamo logge stuardiste in Francia sin dal 1661 e nel 1771 esse assommano a
154 nella sola Parigi, 322 nelle provincie ed a una ventina di Logge militari. Ed è in Francia che lo scozzese  André Michel  Ramsay (1686-1743), che  nel  1724  aveva  soggiornato a  Roma  come precettore del pretendente Giacomo III, respinge nel 1737 l’origine corporativa della Massoneria per inventare origini cavalleresche atte a lusingare la nobiltà francese: crociati, Tempio di Gerusalemme, ecc.5
In Italia esiste forse nel 1724 una loggia a Roma dove vive in esilio dal 1718 Giacomo III Stuart, ma prima del 1730, pur non potendo escludere la presenza di logge, composte in prevalenza di stranieri, nelle maggiori città, non abbiamo notizie documentate. Nel 1731 abbiamo la certezza di una loggia a Napoli e fra il 1735 ed il 1737 di una loggia a Roma con affiliati cattolici e protestanti, tutti comunque stranieri con la sola eccezione del conte Soderini, loggia che compie anche manifestazioni pubbliche senza incontrare alcuna opposizione da parte delle autorità pontificie.
In questi anni dobbiamo registrare la presenza per ben due volte a Faenza di Giacomo III Stuart, una prima nel 1717 quando egli si ferma a Faenza ospite dei conti Ferniani per due settimane, ed una seconda nel 1728 ospite, assieme al figlio Carlo Edoardo, di Marc’Antonio Laderchi nel vecchio palazzo di famiglia (attualmente palazzo Valdesi in c.so Mazzini). Segnalo questa presenza come un possibile indizio di presenze massoniche sin da antica data nella nostra città.
Nel 1738, il 4 maggio, il pontefice Clemente XII con la bolla “In Eminenti” fulmina la scomunica sulla Massoneria con una motivazione in parte curiosa che ha fatto molto discutere gli storici, i motivi della scomunica cioè sono la tolleranza religiosa e la segretezza che vengono praticate nella Massoneria e “molte altre ragioni a noi note, ma egualmente giuste e ragionevoli”. Con tutta probabilità la Santa Sede che sinora ha tollerato anche manifestazioni pubbliche della Massoneria considerandola uno strumento utile per la causa degli Stuart e quindi per la riconquista cattolica dell’Inghilterra, considera oramai perduta la battaglia e di conseguenza inutilmente pericolosa la setta.
Alla scomunica segue immediatamente l’editto del cardinal Firrao che commina ai massoni la pena di morte ed ordina la demolizione degli edifici sedi di Logge.
Gli altri stati italiani non ratificano la bolla ed anzi incoraggiano spesso la diffusione di logge in funzione antitemporalista.
Pochi anni dopo, nel 1751, Benedetto XV fulmina una nuova scomunica alla Massoneria. E di questa nuova scomunica scrive nelle sue cronache6 il Righi7:
1751. Correndo quest’anno medesimo il Pontefice riconfermò la Costituzione del suo predecessore nel 17438 contro la setta de’ liberi Muratori, che per amore di brevità tralasciamo […] Da presso la pubblicazione della prefata Costituzione seguirono assai carcerazioni in Italia di persone, ch’erano in sospetto di appartenere alla prescritta setta. Delle quali catture ne avvenne pure alcuna nella Città nostra; ed era tanta l’esecrazione in che l’universale teneva cotali settarj, che molto popolo nel Novembre di quest’anno 1751 trasse pieno di mal talento alla casa di un tale (il cui nome e casato per reverenza di quella famiglia da noi si tace), ch’era tenuto per addetto alla setta, e non potendo avere lui nelle mani, appiccò il fuoco alla sua casa di maniera che se da’ governanti non si faceva opera prestamente per estinguerlo, l’incendio minacciava di apprendersi alle contigue abitazioni.
Notiamo sia il plurale “catture” che il Righi utilizza il che lascia facilmente ipotizzare una loggia, sia l’incendio appiccato alla casa dove forse aveva sede il Tempio. Notiamo ancora il tacere del Righi sul nome e casato non solo del proprietario della casa incendiata, ma anche di tutti gli altri

5                     Da notare è che questo personaggio è il primo ad ipotizzare un nuovo dizionario universale delle arti liberali e delle scienze utili escludendo solo teologia e politica.
6                     Annali della Città di Faenza, Faenza, Montanari e Marabini, 1840-1841, Fascicolo settimo ed ultimo, pag.
321 e seg.
7                     Righi don Bartolomeo, nato a Faenza il 1° ottobre 1767, morto il 14 dicembre 1846,.
8                     Righi si riferisce ad una seconda scomunica alla Massoneria.
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arrestati, tacere che la stessa esplicita dichiarazione dell’autore rivela motivata dall’esistenza al momento in cui scrive, 1840, delle famiglie certo ancora importanti nonché, ovviamente, nobili.
In nota al testo il Righi indica come fonte due cronache precedenti alle sue: Zanelli che però sembra un evidente errore poiché tale cronaca nulla riporta di questo episodio, e Toli.
La cronaca del Toli9 definita “pettegola” dalla tradizione faentina si componeva di ventidue volumi che egli intitolò “Giornali della Città di Faenza” e che volle con disposizione testamentaria rimanessero “sepolti nelle tenebre” per vent’anni prima di poter essere letti. Tali volumi che egli volle affidati ai monaci dell’Osservanza, furono poi oggetto di contesa fra i monaci ed i parenti tanto che il fratello Domenico inviò a Pio VI un esposto nel quale dipinge i “Giornali” come fonte di diffamazione di Sacerdoti, Vescovi, donne, fanciulli, tutti i faentini insomma. L’esposto ottenne il suo effetto poiché nel 1792 per ordine del Vescovo di Faenza i “Giornali” vennero distrutti.10
Supponiamo che il Righi avesse potuto prenderne visione e non fu il solo poiché anche il Valgimigli11   ebbe  testimonianze  di  quelle  cronache  tanto  che  le  definì  pieni  di  calunnie, pettegolezzi ed infamie; forse tutti questi giudizi non sono generosi, certamente fare cronaca senza agiografia in quei tempi non poteva essere molto apprezzato dalla classe dirigente papalina dell’epoca tronfia, piena di se stessa ed abituata ad essere solamente incensata.
Altri elementi però sembrano dimostrarci come a Faenza esistesse una loggia massonica ben prima dell’arrivo dei francesi.
Il primo e forse più importante di questi elementi è costituito da una lettera che il conte Achille Laderchi  scrive  al  fratello  Lodovico nel  1790. Achille  nel  maggio  1788, trentaquattrenne, ha iniziato un “Grand Tour” per l’Europa che, dopo un lungo soggiorno a Parigi, lo porta a visitare, oltre alla Francia, la Svizzera, i Paesi Bassi, i vari stati tedeschi, l’Austria, la Prussia, la Polonia, la Russia e l’Inghilterra. Proprio da Londra egli scrive al fratello il 13 luglio 1790, e bisogna considerare che scrive a chi risiede nello Stato Pontifico e quindi, necessariamente, il suo scrivere non può essere troppo esplicito: «…Celebrerò il giorno 14 alla Taverna con una società d’inglesi e qualche francese amante della libertà…» e nella lettera successiva egli descrive al fratello la serata:
…Ho celebrata la giornata del 14 siccome vi scrissi, ed ho vissuto nell’entusiasmo della libertà per poche ore. Io ne ho sentita pienamente l’energia senza poterla manifestare, e senza intendere li modi con cui si eccitava nella compagnia, la quale era di 600 circa in una bella sala. […] Milord Stenap12 era il presidente, il Dott. Prisa, il segretario, ed in seguito una scielta (sic) dei più colti dicitori di Londra. Quando tutte le tavole furono servite s’implorò la benedizione sopra le vivande, sopra la Francia, la quale con tanta gloria ed ammirazione delle colte nazioni, veniva a discuotere il giogo del dispotismo e costituirsi libera sopra quelle nazioni che meritano ed ambiscono la libertà. Finito il pranzo si pronunciò un altro discorso il quale portava che all’aurora del giorno li re dovevano essere convinti di non essere i padroni ma i servi del popolo. […] Troppo si bevette in onore della Nazione, del re e Legge, poscia di quelli che hanno travagliato alla  rivoluzione e  furono  nominati quelli che  realmente anno  agito pel  bene  dell’umanità. Mad. Deon inviò un fragmento d’una pietra della Bastiglia, sopra la quale si posarono le coccarde nazionali, e si bevette in onore di sì felice avvenimento. Si parlò molto in appresso e lungamente. Non posso dirvi di ché siasi parlato avendomi l’amico, che colà m’aveva seguito, lasciato.
Si cantò una canzone a cui la compagnia faceva coro.
Io partii prima della fine cantando: - Bacerò le mie catene.
Da  questa  lettera  che  mi  sembra  una  chiara  descrizione di  Agape    è  evidente  come  Achille appartenesse alla Massoneria e la sua iniziazione non può ascriversi all’inizio del Grand Tour in quanto nel suo copiosissimo epistolario col fratello mai si accenna, sia pure criticamente, ad un tale episodio, cosa che egli avrebbe certamente fatto. Dobbiamo poi anche considerare che, contrariamente  al  mito  clericale  della  Rivoluzione  Francese  come  complotto  massonico  la

9                     Sebastiano Toli, sacerdote, nato a Faenza il 25 aprile 1712 morì il 25 maggio 1792
10                   C. Porisini, Sebastiano Toli e una cronaca perduta in L’Avvenire d’Italia, …….
11                   Gian Marcello Valgimigli nacque a Brisighella nel 1813, ma la famiglia si trasferì Faenza quando egli aveva pochi anni. Studiò nel Seminario diocesano e nel 1835 divenne sacerdote. Dal 1848 alla morte, avvenuta nel 1877, fu bibliotecario nella Biblioteca Comunale. Scrisse le Memorie Storiche, manoscritte in 17 volumi, sulla storia di Faenza dalle origini al 1793.
12                   Stante l’ostica grafia del conte Achille non posso essere sicuro della grafia dei tre nomi da lui citati.
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Rivoluzione stessa provoca una grave crisi nella Massoneria di quel paese poiché proprio alla vigilia della Rivoluzione il numero delle Logge francesi in sonno supera quello delle Logge rimaste in attività.
Certamente la serata alla Taverna, tradizionale ritrovo della Massoneria inglese, le cariche criticamente indicate in Presidente e Segretario, le tre «salve» iniziali (Capo dello stato, ospite più illustre (Francia Rivoluzionaria), Maestro Venerabile (Loggia promotrice) e quanti sono quelli che hanno agito pel bene dell’umanità? Suppongo quattro per raggiungere il numero simbolico delle sette «salve» ed infine la pietra ci conferma la cerimonia massonica.
Anche la successiva attività di Achille, sia politica sia di committente (sulla quale non mi soffermo essendo fin troppo noti i criteri massonici sui quali sono costruiti e decorati i palazzi e le ville della famiglia Laderchi13), conferma la sua appartenenza, appartenenza che sembra essere anche del fratello Lodovico al quale ad Achille sembrano essere sufficienti gli accenni della lettera perché egli comprenda tutto.
Mi fermo ora con Achille Laderchi sul quale peraltro ritornerò per rimanere nel periodo prenapoleonico e considerare un altro episodio “sospetto” avvenuto a Fusignano nel 1792. In questo paese in quell’anno si trova un chierico francese, certo Cesare Buffaran di Grenoble che sotto le vesti di prete refrattario14  nasconde il suo essere agente della Rivoluzione e la sua affiliazione massonica. È un momento di intensa attività di agenti francesi nel nord Italia, ricordiamo solo l’abate Bouset attivo a Bologna l’anno precedente con il giovane Luigi Zamboni che morirà suicida a soli 21 anni nel 1795 nelle carceri pontificie ed anch’egli, non a caso, massone. Questo Buffaran sarà scoperto, ma quando già si è reso irreperibile, e nel corso delle indagini si appurerà che egli per sopravvivere avesse dato lezioni di francese ai giovani membri di nobili famiglie, ed in particolare a Faenza al giovane Ferniani, Ottaviano, orfano del padre Annibale, del quale è zio e capo casata Gaspare IV, personaggio che ritroveremo poi fra i più accesi giacobini faentini; sarà Gaspare infatti a bruciare sulla piazza il Libro d’oro della nobiltà faentina.
Non entro nel merito della ben nota attività architettonica di Giuseppe Pistocchi, che figura peraltro fra gli affiliati alla Loggia “Il Lamone”15, per il quale rimando ai già citati testi di Franco Bertoni, e del Giani fin troppo noti ed esamino piuttosto i nomi dei fratelli della Loggia “Il Lamone” e, per quanto possibile, le date della loro affiliazione.











13                   F. Bertoni, Giovanni Antonio Antolini e Achille Laderchi. Simbolismo ermetico e massoneria nella Faenza giacobina, in Il Settecento a Ravenna e nelle Legazioni, fabbrica, progetto, società, Faenza, 1979 e Architettura neoclassica in Romagna. Volume primo. Faenza 1780-1814, Faenza, Edit, 2004
14                   Con il termine di refrattari venivano indicati i preti francesi che non avevano accettato la Rivoluzione ed avevano preferito quindi l’esilio, ospitati a centinaia nello Stato Pontificio.
15                   Mi è stato segnalato come recentemente nel palazzo del Pistocchi in c.so Mazzini nel corso di lavori di restauro sia stata rinvenuta murata una piccola stanza ottagonale, non affrescata, con una sedia posta al centro di essa.
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IL PERIODO NAPOLEONICO
Premesso che sino al 1805 Napoleone non è favorevole alla Massoneria16  come scrive il dott. Norino Cani:
In Romagna si conosce una consistente espansione delle Logge Massoniche solo dopo il 1805 durante il napoleonico regno d’Italia, quando, in precedenza, lo stesso Napoleone, tramite il Vice Presidente Francesco Melzi aveva duramente represso, con ottimi risultati, qualsiasi forma di aggregazione segreta.
L’ascesa al trono imperiale francese e a quello reale italiano comporta un’inversione di rotta con la riorganizzazione delle Logge sotto il controllo di un organo superiore, Il Grande Oriente d’Italia, nel quale scalerà i più alti gradi proprio il citato Melzi.17
Accanto a cinque dei nomi faentini che risultano tuttora nell’archivio del G.O.I., Romualdo Montanari, Paolo Portolani, Scipione Naldi, Tommaso Zannoni e Giuseppe Zauli, compare anche l’anno 1799; che tale data non si riferisca solamente al fatto che tutti cinque fossero arrestati e processati in quell’anno per giacobinismo ma alla effettiva affiliazione massonica è testimoniato dalla morte di Portolani, che le cronache dell’epoca indicano come falegname, l’anno successivo nelle carceri di Straper in Ungheria.
Mi sembra dunque più che evidente l’esistenza di una Loggia faentina predente al periodo napoleonico della quale non è rimasta traccia documentaria degli archivi del G.O.I. dal quale risulta la presenza della Loggia “Il Lamone” eretta nel 180818, costituita di Rito Scozzese e della quale è Maestro Venerabile il conte Francesco Ginnasi19.
Tra i fratelli che la compongono figurano non solo faentini, ma anche brisighellesi, solarolesi e castellani. Tra i faentini oltre al Ginnasi, del quale riparleremo, figurano ex nobili come i già ricordati Achille Laderchi e Scipione Naldi, borghesi come Giuseppe Alberini, Carlo Balboni, Procolo Bardani, Vincenzo Bartolazzi, Vincenzo Bertoni, Giovanni Benedetti, Giovanni Bonazzoli, Carlo Bonnini, Vincenzo Canavari, Giuseppe Casati, Tommaso Ceccarelli, Giuseppe Foschini, Pietro Leonardi, Bernardino Pani, Nicola Salvolini, ed i già citati Romualdo Montanari, Giuseppe Pistocchi, Paolo Portolani, Tommaso Zannoni e Giuseppe Zauli, ufficiali napoleonici come Pier Damiano Armandi, Sebastiano Baccarini, Carlo Balboni e Luigi Montallegri. Fra i militari figura poi, anche se non affiliato a Faenza, ma a Lecce nel 1805, il generale Filippo Severoli.20
Fra questi ben 19 sono arrestati nel 1799 come giacobini ed uno di essi, il Portolani mai liberato e deceduto nelle carceri austriache.
Oltre ai faentini compaiono i brisighellesi: Oliviero Ambrosini, Barberini, di Fognano, Carlo e Pasquale Cattani, Domenico Ceroni, Ridolfo Frontali, Grassetti, Luigi e Michelangelo Lega, Silvestro  Lega,  di  Fognano, Sebastiano  Liverani,  Agostino Malpezzi,  Annibale Metalli,  Luigi Montevecchi, Pianori, Giambattista Ravagli,  Bartolomeo Sangiorgi, Giuseppe Tondini, Valli  e Zaccarini, i castellani Giovanni Damasceno Bragaldi, Giuseppe Budini, Giovanni Cani, Giuseppe Favolini, Mauro Sarti, Giuseppe Scardovi e Giuseppe Tassinari ed i solarolesi Paolo Geminiani, Giacchino Mainardi, Alberto Morelli, Domenico Sangiorgi e Giovanni Scardovi.
Oltre a questi nominativi Norino Cani indica, indicando con asterisco i nominativi di sicura affiliazione,  per  Faenza  Gaetano  Baldi*,  Pietro  Balestrazzi,  Andrea  Baroncelli*,  Domenico

16                   Considero anche per questo, oltre che per il fatto nel 1802 Achille Laderchi ha già abbandonato la vita politica e non è certo più gradito al potere, del tutto priva di fondamento l’ipotesi del Golfieri riportata da F. Bertoni nella sua opera citata che cioè «… l’Antolini negli anni 1800-1802 aveva sostituito il Pistocchi come archietto di casa Milzetti. Penso che ciò sia dipeso anche da un avvicinamento politico di Francesco Milzetti ai Laderchi, desideroso com’era di entrare nel circolo massonico-napoleonico dei Laderchi per fare carriera, come poi fece con l’investitura della corona ferrea e del Comando delle Guardie Vicereali a Milano nel 1805 …»
17                   N. Cani, Massoni emiliani e Romagnoli tra XVIII e XIX secolo, Fusignano, 2000.
18                   N. Cani, opera citata.
19                   E. Stolper, Contributo allo studio della massoneria italiana nell’era napoleonica, in Rivista Massonica, n° 4,
1977.
20                   Per non appesantire troppo il testo riporto in appendice, quando è possibile, le succinte biografie dei fratelli.
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Bertolazzi, Giulianini Giulianini, Camillo e Giacomo Laderchi*, Domenico Manzoni*, Sebastiano Montallegri, Antonio Morri, Francesco Morri, Placci, Francesco Rondinini, Francesco Sangiorgi, Giuseppe Sercognani, Vincenzo Succi, Giuseppe Toschi e Francesco Zimbelli, per Brisighella Vincenzo Albonetti, di Foganano, Domenico Bosi, Prospero Della Valle, Maccolini, Annibale Rondinini, per Castelbolognese Luigi Albanesi, Pietro Barbieri e Battista Franceschelli ed infine per Solarolo Gaspare Recuperati.21
Da segnalare ancora come alla nascita della Loggia ravennate “La Pigneta” avvenuta il 4 agosto
180622
Li sei principali che mangiarono nella tavola separata furono i Sig.ri Casoni, Gaspare della Scala, Santini, uno di Bertinoro, uno di Cesena e un altro di Faenza, ch’erano venuti per comuni affari, dopo aver tenuto una lunga seduta fuori di Faenza nel Palazzo Conti verso Bologna.23
Il Palazzo Conti, verso Bologna, è la villa meglio conosciuta come ……….. che all’epoca apparteneva a Francesco Conti, magistrato ed acceso giacobino famoso per avere definito in un suo discorso pubblico i preti come «razza di antropofagi» ed anche se il suo nome non compare in nessuno degli elenchi citati è estremamente probabile, anzi certo alla luce di quanto sopra riportato, che anch’egli fosse affiliato alla Massoneria. La caduta di Napoleone e la successiva restaurazione pontificia creano certo sbandamento fra i fratelli faentini, ma non spegne certo i loro entusiasmi per l’indipendenza italiana che attuano dapprima appoggiando incondizionatamente il tentativo murattiano del 1815. In particolare Ginnasi, oltre a raccogliere fra i faentini una grossa somma per l’esercito  napoletano,  viene  nominato  prefetto  del  Dipartimento  del  Rubicone  e  Sebastiano Baccarini, pur legato da vincoli di parentela al generale Filippo Severoli, segue con [qui Drei ha
lasciato in rosso: “elenco nomi”, ndc] l’armata di Murat24.
















21                   N. Cani, opera citata.
22                   P. Raisi, Giornale di quanto è avvenuto di più rimarcabile dopo l’arrivo dei Francesi in Ravenna proseguito dal cittadino Pompeo Raisi dal 1798, 8 voll. Mss. in Biblioteca Classense-Mob.3.2.M/2 riportato in G. Ravaldini, Appunti sulle origini della Massoneria a Ravenna, in «Rivista massonica» , n.8. ottobre 1976
23                   G. Ravaldini, opera citata.
24                   Gioacchino Murat era Venerabile Maestro.
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LA RESTAURAZIONE E LE CONGIURE
I successivi generosi tentativi dei fratelli faentini sono, purtroppo per loro, fortunatamente per noi, scoperti dalle autorità austriache e gli atti processuali testimoniano questa loro attività.
L’occasione all’inchiesta austriaca è data dalle tremende ingenuità commesse dal Pellico e dal Maroncelli25  partendo dalle quali è ben presto coinvolto il giovane Camillo Laderchi, figlio di Giacomo, all’epoca studente all’Università di  Pavia,    che,  cadendo  in  tutte  le  astute trappole inquisitoriali e cedendo alla paura rivela tutta le trame della Massoneria romagnola strettamente intrecciata alla Carboneria che, da queste confessioni, si rivela come stretta derivazione massonica. Alle confessioni di Camillo seguono ben presto quelle del padre Giacomo26 che esordisce descrivendo come egli intendesse la sua appartenenza:
Nel locale dell’I.R. Direzione Generale di Polizia di Milano in giorno di giovedì li 27 giugno 1822 ore 10 ant.
R. Io sono Giacomo Laderchi, nativo ed abitante in Faenza, figlio del vivente co. Lodovico, e della fu Isabella Gavardini di Pesaro d’anni 50; ammogliato con Catterina Missiroli, padre di 7 figli, fra i quali una sola femmina, il maggiore di questi è Camillo d’anni 22; sono possidente, sono attualmente senza impiego, sotto il cessato Regno Italiano copersi la carica prima di Segretario della Municipalità di Faenza e poi di Vice-Prefetto pria a Camerino, quindi in Ascoli. Non sono mai stato né politicamente né criminalmente inquisito. […]
I. Se egli esaminato abbia mai appartenuto a Società segrete.
R. Io non smentirò innanzi a questa Autorità quel carattere di leale franchezza, di cui mi onoro. Sono quindi risoluto di esporre sinceramente tutto ciò, che si attacca alla fattami interrogazione […] Io ho appartenuto sotto il cessato Regno Italiano alla Massoneria […] Per ciò che concerne l’indole della medesima io non posso deporre che quello che ho udito e veduto; prescindendo da quelle esteriori formalità, e da quei riti che non potevano certamente fare argomentare la vera tendenza  di quella Setta, io null’altra idea mi sono della medesima formato, né potuto formare di quella, essere dessa una Società diretta a promuovere la fratellevole concordia ed il sentimento della beneficenza.27
Dal quadro complessivo delle deposizioni di Giacomo e Camillo Laderchi, di Maroncelli, di Pellico e  di  altri  ricaviamo  che  i  fratelli  faentini  nel  1818, superato lo  choc  della  caduta  di  Murat, riprendono la  loro  attività  cospirativa.  Le  idee  guida  sono  abbastanza  confuse  e  vanno  dalla cospirazione per portare la Romagna sotto l’Impero austriaco28  od il Granducato di Toscana, a quella di creare una “Enotria riunita”; l’unica cosa certa e comune a tutti gli affiliati, faentini e romagnoli, è la volontà di non rimanere sotto il governo della Chiesa.
Nel 1818 il Maestro Venerabile Ginnasi riapre il Tempio e procede all’affiliazione di nuovi fratelli con fini  strettamente politici. Vengono così  affiliati, e  dalle  deposizioni sembrano affiliazioni simultanee alla Massoneria ed alla Carboneria29, i giovani Camillo Laderchi e Carlo Bucci, il primo dei quali è subito incaricato, stante il fatto di essere studente a Pavia, di prendere contatti con i fratelli dell’Emilia e di Milano, l’altro che, sempre per studio, deve recarsi a Roma, di fare nuovi affiliati in quella città. Altro giovane studente faentino che viene affiliato in quei giorni è Silvestro Utili, compagno di studi a Pavia dei due precedenti e che là viene riconosciuto maestro da Piero Maroncelli e che poi si fece promotore d’una medaglia fatta coniare da lui nel 1819 a Bologna al cervese prof. Adeodato Ressi che nel 1818 lasciava la cattedra d’Economia.
A fianco di Ginnasi risultano attivissimi i fratelli Lapi, che partecipa a Bologna alle riunioni per l’”Enotria riunita”, Luigi Montallegri, infaticabile organizzatore di sette carbonare, e Carlo Balboni, anch’egli instancabile nell’organizzare sette fra la Romagna e la Toscana. Il Ginnasi spinge i giovani fratelli da Roma all’Emilia ed a Milano alla disperata ricerca di Logge ancora attive da aggregare al suo disegno antitemporale, ma tutti questi tentativi si rivelano sterili, dalle confessioni

25                   Entrambi massoni.
26                   A. Drei, Giacomo e Camillo Laderchi, in Sette Sere, n° 8, 22 febbraio 1997.
27                   A. Luzio, Il processo Pellico – Maroncelli secondo gli atti ufficiali segreti, Milano, 1903.
28                   Non stupisca questa affermazione; in molti, e non solo massoni, era diffusa durante e dopo il Congresso di Vienna, l’opinione che sarebbe stato meglio essere sudditi austriaci che pontifici, se non altro per la corretta amministrazione.
29                   In Loggia era ed è tuttora proibito discutere di politica e pertanto la creazione della Carboneria serviva anche a superare questo limite.
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emerge come ormai nel nord Italia sembri non esservi più Massoni; a Milano nel 1819 sembra
«essersi  a  Milano  deposto  ogni  pensiero  della  Massoneria».  Ma  questo  vuoto  non  sembra scoraggiare i faentini che riescono ad organizzare a Faenza e nelle Romagne una setta carbonara che conta migliaia di affiliati né i nostri fratelli rimangono nell’ombra: Giacomo Laderchi è nella carboneria uno dei leaders romagnoli e Francesco Ginnasi è, a Faenza, il capo della Turba, l’ala popolare e violenta della carboneria.
Il processo Pellico – Maroncelli ha come conseguenza in Romagna il famoso processo Rivarola. In un prezioso documento di polizia, preliminare a quel processo, “Elenco nominativo degl’Individui che nel 1821 furono colpiti dalle misure politiche”30 troviamo descritti quasi tutti i fratelli faentini:
Francesco Ginnasi. Possidente. Esiliato. Degente a Firenze. Fu mai sempre fanatico nei tempi repubblicani. All’epoca dell’indipendenza Napoletana spiegò tutta la possibile energia, e fu nominato Prefetto del Rubiconde. Si ritiene per uno dei  Capi  Settarj,  e  come  tale  figura  nei  processi fatti  in  Lombardia, e  ministerialmente comunicati al  Governo Pontificio.
Sebastiano Baccarini. Possidente. Ex Tenente Colonnello al Servizio Italiano pensionato. Esiliato. Si crede in Toscana. Si unì all’Armata di Murat, si battè contro gli Austriaci a Modena, emigrò con li Napoletani, indi rimpatriò, e benché pensionato dal Governo pontificio31 si addimostrò mai sempre un caldo liberale, adetto al partito dei Settarj ed uno dei primi fomentatori dei disordini succeduti in Faenza.
Conte Achille Laderchi. Possidente. Esiliato. Uomo di età più che settuagenaria, e benché si ritenga di massime liberali, pure atteso la sopraenunciata età, ed attuale di lui buona condotta comprovata dal Mons. Arcivescovo di Spoleto con lettera delli 3. Maggio anno corrente, si opina possa essere richiamato alla Patria.
Aggiungere Sebastiano Montallegri ed eventualmente altri.
I Massoni faentini, e non solo quelli sopra citati, subiscono quindi pesanti condanne nel processo Rivarola32, ma neppure queste basteranno a spegnere le loro ferme convinzioni liberali poiché ancora molti di essi, Ginnasi, Balboni, Luigi e Sebastiano Montallegri, Sercognani ed Armandi saranno fra i protagonisti od i comprimari della “rivoluzione” del 1831 ed ancora nel 1848 ritroveremo Armandi come Ministro della Guerra della repubblica di Venezia e Baccarini come colonnello comandante della Guardia Nazionale di Faenza.
Ma dopo il processo Rivarola non troviamo più tracce della Massoneria faentina né esiste più una
Loggia.
Ma, anche se la Loggia faentina ormai non esiste più, non per questo mancano tracce, sia pure labili, su attività o presenze massoniche. In un elenco redatto dal Direttore della Polizia pontificia di Ravenna nel 1843-44 l’instancabile Luigi Montallegri che il carcere non ha mai domato, viene descritto  come  vecchio  massone,  probabilmente  affiliato  alla  Loggia  napoleonica  La  Pigneta fondata a Ravenna nel 1806.
Nel 1849 possiamo trovare un’altra labile traccia in tre lettere, datate marzo-aprile, che l’ispettore di polizia Filippo Bergamaschi, già della polizia pontificia ed ora della Repubblica Romana, scrive al Preside della provincia conte Francesco Laderchi  collocando «tra le volute della paraffa finale tre puntini».33  Se il Bergamaschi tirasse ad indovinare o sapesse effettivamente dell’appartenenza di Francesco Laderchi non possiamo saperlo; certamente anche se mancano altri indizi dell’appartenenza del Laderchi non possiamo escluderla a priori per le sue idee politiche, per la sua appartenenza a quella famiglia, per i suoi contatti all’estero e particolarmente in Inghilterra ove si è
30                   Archivio di Stato di Ravenna ecc. ecc.
31                   Dopo il Congresso di Vienna i Governi restaurati, e fra questi il Governo Pontificio ed il Regno Lombardo
Veneto, immisero nei ruoli dei propri eserciti o pensionarono i militari dell’ex Armata d’Italia napoleonica piuttosto che lasciare senza lavoro e senza mezzi di sussistenza migliaia di uomini politicamente ostili nella grande maggioranza ed addestrati alla guerra.
32                   A cura di D. Berardi, Sentenza del Cardinale Agostino Rivarola Legato a Latere della Città e Provincia di
Ravenna il giorno 31 agosto 1825 sugli affari politici, Ravenna, anastatica, 1970
33                   A cura di A. Comandini, Cospirazioni di Romagna e Bologna nelle memorie di Federico Comandini e di altri patrioti del tempo (1831-1857), Bologna, Zanichelli, 1899.
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recato nel ……. per acquistare i macchinari necessari all’impianto del molino a vapore da lui realizzato a Prada ed infine per le responsabilità affidategli durante la Repubblica Romana nella quale molti fratelli, da Saffi a Manzoni ricoprono alti incarichi.
Per chiudere infine con il periodo risorgimentale ricordo le “Memorie” di Gaetano Brussi34, un nome, quello della famiglia Brussi, che per quasi un secolo sarà a Faenza sinonimo di Massoneria. Gaetano dopo aver combattuto a Bologna nel 1849 entra nella cospirazione mazziniana occupandosi in particolare dell’organizzazione degli studenti universitari bolognesi. Costretto poi ad espatriare si stabilisce in Liguria dove:
La nostra dimora alla Spezia non poteva essere inoperosa. Fu stabilito qui un Comitato Mazziniano, di cui faceva parte Giuseppe Ceretti, certo Mazzini negoziante ed io, che prima d’essere chiamato a tal posto, fui accolto nella Massoneria che era estesissima in ogni paese rivierasco.
Ed ecco poi come il Brussi narra la sua partecipazione ai moti mazziniani del 1853:
Un espresso a cavallo speditomi dal Marchese Da Passano di Genova che era conscio e favoreggiatore caldissimo del movimento e non meno di lui la sua gentile Signora Maddalena (Scià Manin) mi avvertiva che tutto era finito, che provvedessi. E  i  provvedimenti erano  duplici. Agevolare il  passaggio ai  principali, che  dal  governo  Sardo  eran egualmente proscritti, e assicurare il deposito d’armi raccolte. Pel primo si attendevano messi e segnali d’avviso per provvedere alla fermata e al rifugio immediato, al chè si trovò modo. Circa alle armi, la sera mi recai a Lerici in un battello a due rematori per farle deporre in un luogo sicuro e scaricare quelle che col nostro contingente doveano essere imbarcate a Viareggio, ove i manipoli nostri doveano pure unirsi a quelli locali già predisposti da taluno degli emigrati introdottisi da giorni in Toscana. Nel tragitto da Spezia a Lerici uno dei rematori (toscano) bestemmiava contro i tedeschi e contro i preti, e tratto tratto mi tempestava di domande per sapere il mio parere sulle opinioni sue. In verità io non era molto disposto a dialoghi: mi pungeva il cuore la fallita levata di scudi del partito e prevedevo molti guai per i compromessi e qualche noja anche per noi.
Infine la polizia sarda conservava gli elementi dei tempi dispotici – doveano dunque per loro proprie tradizioni essere ancora zelanti contro il partito che in massima si riteneva ostile alla Monarchia. Però a forza di punzecchiare colle sue domande e col mostrarmi il suo vivo interessamento pei nostri fratelli di Milano mi indusse a crederlo un buon diavolo e liberale, anziché un agente provocatore. Allora nel gergo Massonico lo chiamai all’ordine. Egli sbarrò tanto d’occhi e arrestò il remo e cominciò a trattarmi come fossi il Grand’Oriente.
Raggiunta l’unità Gaetano Brussi seguirà, inseritovi dal Farini, la carriera prefettizia e troveremo ancora il suo nome nella seconda Loggia Torricelli.














34                   Di imminente pubblicazione.
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LA PRIMA LOGGIA TORRICELLI DI FAENZA35
Studiando questa prima Loggia Torricelli riesce difficile comprendere come agli inizi del secolo passato uno storico di grande cultura e di grande apertura mentale che pure aveva frequentazioni di non poco conto con l’eresia modernista potesse dalle colonne de ‹‹Il Piccolo»›36 offendere uno dei migliori faentini dell’epoca, il dottor Vittorio Tartagni, scrivendo:
... come mai una così egregia ed illuminata persona abbia potuto votarsi alla massoneria e farsene ciecamente paladino […] forse […] l’egregio dottore si è proposto di esilarare il pubblico faentino precisamente come a quei tempi che sulle scene della Filodrammatica, a quanto ne dicono, solo con una parola o con un gesto faceva sbellicare dalle risa tutta la platea.
Non meno difficile riesce comprendere come ancora negli anni ’30 le orfanelle ospitate all’Istituto Mazzolani  che  avessero  commesso  qualche  piccola  disubbidienza  venissero  rinchiuse  dalle monache in uno stanzino ricavato sotto la cosiddetta “Scala dei Massoni” accompagnate dalla spiegazione che i Massoni erano uomini malvagi che nelle loro riunioni evocavano il diavolo37. Sempre negli stessi anni lo storico Piero Zama ripeteva lo stereotipo clericale di una sinistra radicale egemonizzata dalla Massoneria38. Ma già in quegli anni il fascismo, come ogni altro regime illiberale, aveva devastato sedi e distrutto archivi. A Faenza la tradizione orale afferma che per impedire che cadesse nelle mani dei fascisti, che già avevano devastato lo studio dell’avvocato Armando Tosi, l’archivio dell’ultima Loggia Torricelli fu posto in una cassa impermeabilizzata e sepolto nel podere di un affiliato; la morte di chi era al corrente dell’operazione ha poi reso impossibile recuperarlo dopo la caduta del fascismo39.
La moderna massoneria nasce in Italia l’8 ottobre del 1859 con la costituzione a Torino della Loggia Ausonia. Ad attivarsi dietro le quinte per la nascita della nuova Loggia è il conte di Cavour che intende così creare un centro di aggregazione per le tante logge che esistono sparse per la penisola ma che non sono unite fra di loro. La Loggia Ausonia si pone all’Obbedienza del Grande Oriente di Parigi non solo per assecondare l’alleanza politica e militare con quel paese, ma anche perché quella francese è la Massoneria più laica d’Europa, quella che svolge la maggiore attività politica e che ha fra i suoi affiliati una notevole presenza di banchieri. Lo scopo di Cavour è quindi evidente: assecondare la  politica  filofrancese del  governo piemontese, ottenere l’appoggio del governo francese per unificare l’Italia contro lo Stato Pontificio, reperire risorse finanziarie per il nascente stato italiano. Sul piano interno la Massoneria che egli intende creare deve essere, sul modello napoleonico, il cemento unitario del nuovo stato e la camera di compensazione delle diverse anime del risorgimento italiano. I più stretti collaboratori di Cavour in questo progetto sono Costantino Nigra, ambasciatore a Parigi, ed il patriota bolognese Livio Zambeccari, affiliato alla Massoneria sin dal suo esilio in Inghilterra. E’ quest’ultimo che si pone subito alla ricerca di tutte le Logge affini esistenti in Italia per convincerle ad unificarsi sotto la guida della Loggia Ausonia. Pochi  anni  dopo,  nel  1863,  due  autorevoli  Fratelli,  Massimo  D’Azeglio  e  Bettino  Ricasoli considerano ormai riuscita l’unificazione massonica e la Massoneria ben diffusa e ramificata nel nuovo Regno d’Italia.
A Faenza, dove di Massoneria non si hanno più notizie dopo il 1819, secondo il Leti40 una Loggia intitolata ad Evangelista Torricelli sarebbe nel 1863 «all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia sedente in Torino, con indirizzo presso il Maestro Venerabile conte Bonaventura41 Pasolini.»
35                   Utilizzo largamente il mio articolo citato pur con alcuni aggiustamenti.
36                   Il Piccolo 24 novembre 1911, n° 47, pag. 1.
37                   Testimonianza raccolta dall’autore.
38                   P. Zama: Alfredo Oriani candidato politico, in “Nuova Antologia”, 1928, LXIII, 1360, PP. 266-270.
39                   Testimonianza raccolta dall’autore.
40                   G. Leti: Roma e lo Stato Pontificio dal 1849 al 1870, Ascoli Piceno, G. Cesari Editore 1911.
41                   Si tratta evidentemente di una errata lettura da schedari manuali poiché non è mai esistito a Faenza un
Bonaventura Pasolini; si tratta invece del conte Benvenuto Pasolini dall’Onda.
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In altro testo42  si riporta che «A Bologna ed a Ravenna43 si progettava la costituzione di Logge a Forlì ed a Faenza […] e possibilmente in altre città romagnole, ed il Bondoli44 era disposto a recarsi nelle  due prime a  reclutare amici  suoi ritenuti idonei, ma  dovette rimandare la  gita  che  non sappiamo se fu effettuata più tardi e scrisse: “... In quanto poi alla gita a Forlì e Faenza io era per partire in unione di Serra, ma qualche circostanza della mia professione, e condotta mi tolse da questa determinazione, ma se però venisse a tempo questo mio incarico, nell’entrante settimana potrei servirvi. E se per caso voi andate in precedenza procurate di avere Momo Strocchi45 per V.·. che sarebbe un’ottima cosa essendo che è conciliante, è mio amico, come pure Vincenzo Caldesi, ed il conte Achille Laderchi (parlo di Faenza) ...”46 e “Altri ringraziamenti ufficiali il fratello Guerzi47 ricevette l’anno dopo per l’opera da lui svolta a Modena e a Faenza (Logge Fratellanza e Progresso e Torricelli)»48.
Due lettere conservate fra le “Carte Laderchi”49 ci danno invece un quadro leggermente diverso sui tentativi realizzati per costituire anche a Faenza una Loggia Massonica. A scriverle è Carmelo Agnetta, a riceverle, e conservarle, è Achille Laderchi.
Carmelo Agnetta è un siciliano bruno, vivace, coraggioso. Nato nel 1823 partecipa ai moti del 1848 come animatore del Circolo Popolare di Palermo e redattore del ‹‹Giornale›› oltre ad essere uno dei fondatori della Loggia Rigeneratori del 12 gennaio 1848. Con la restaurazione borbonica viene incarcerato e successivamente è esule dapprima in Oriente poi a Parigi. Rientra in patria nel 1859 e nel maggio del 1860 parte da Genova con altri sessanta garibaldini «su d’un guscio che si chiama l’Utile, dove avran dovuto stare pigiati peggio che i negri menati schiavi50». Sbarcato a Marsala il
1° giugno entra a Palermo il 6 mentre le truppe borboniche stanno sgombrando la città e, appena entrato, viene fermato da uno sconosciuto che gli ordina bruscamente di seguire coi suoi uomini i funerali di Tukory; alle proteste dell’Agnetta ed alla sua richiesta di sapere chi sia a dargli ordini riceve la risposta «io sono Bixio» ed un violento ceffone. Agnetta sfida così a duello il secondo dei Mille, duello che, per intervento personale di Garibaldi, si svolgerà solo a campagna finita il 17 novembre 1861 in Svizzera; Bixio riporta una grave ferita alla mano che giustifica spiritosamente sostenendo di avere voluto punire, come Muzio Scevola, la mano che aveva errato nello schiaffeggiare l’Agnetta in Sicilia. Agnetta poi, aiutato da Bixio che non è uomo da serbare rancori, passa dapprima nel Commissariato Militare e successivamente nella carriera prefettizia. Nei primi anni sessanta è infatti consigliere di prefettura a Ravenna e dall’ottobre al dicembre del 186351  è delegato straordinario (commissario prefettizio) a Faenza. Nell’agosto del 1883 Carmelo Agnetta è ricevuto da re Umberto al quale, fra l’altro, chiede che intervenga presso il Duca di Genova perché

42                   Cento anni della Risp.·. Loggia Dante Alighieri di Ravenna. 1863-1963, Ravenna 1963
43                   A Ravenna la Loggia Dante Alighieri era stata costituita con Patente del 12 febbraio 1863.
44                   Luigi Bondoli, nato a Ravenna il 10 gennaio 1803, medico chirurgo, partecipa alle cospirazioni ravennati e, nel 1863, è tra i fondatori della Loggia Dante Alighieri. Muore a Ravenna il 27 febbraio 1870.
45                   Girolamo Strocchi, Momo, nasce da Dionigi nel 1812. Da sempre cospiratore anche se mai vicino alle posizioni mazziniane estreme, dotato di un coraggio fisico proverbiale e più uomo d’azione che di pensiero, è costretto ad esulare nel 1843. Rientrato a Faenza nel 1848 è capitano con il battaglione di volontari faentini che combatte a Vicenza e l’anno successivo viene arrestato dalle autorità pontificie. Nel 1850 è tra i fondatori a Villa Orestina della sezione di Faenza del Partito Nazionale Italiano e nel 1850 è nominato colonnello della Guardia Nazionale. Con l’Unità
d’Italia è più volte consigliere ed assessore comunale. Muore, sinceramente rimpianto da tutta la città, nel 1885.
46                   Lettera del 16 febbraio 1863.
47                   Francesco  Guerzi,  nato  a  Bologna  nel  1784,  giovanissimo  entra  nell’amministrazione  della  famiglia Hercolani, famiglia filonapoleonica e massonica. A 18 anni è iniziato alla Loggia Gli amici dell’onore all’Oriente di Bologna e nel 1848 è membro della Loggia Concordia. Partecipa attivamente alle cospirazioni risorgimentali su posizioni mazziniane e nel 1860 è autorizzato da Livio Zambeccari, a sua volta delegato dal Grande Oriente d’Italia, a
cercare e creare Logge Massoniche. Muore nel 1871.
48                   Lettera del 6 dicembre 1863.
49                   Archivio di Stato di Ravenna, Sezione di Faenza, “Archivio Laderchi”, Busta 66.
50                   G. C. Abba: Da Quarto al Volturno, Mondadori 1997, pag. 95
51                   Regio Decreto 11 ottobre 1863.
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accetti la carica di Gran Maestro Onorario; si riserva poi di far pervenire al re una memoria scritta sulla situazione della Massoneria in Italia, memoria che Agnetta fa pervenire ad Umberto tramite il faentino generale Raffaele Pasi52 aiutante di campo del Re. Carmelo Agnetta morirà sottoprefetto di Massa nel 1889 non senza essere stato nominato cittadino onorario di Faenza quando Sindaco era Benvenuto Pisolini Dall’Onda.
Achille Laderchi è nato nel 1830 da Francesco53, il conte Checco, ed appartiene ad una delle famiglie patriottiche più in vista della città non priva di membri affiliati alla Massoneria in epoca napoleonica. Nel 1848 è aiutante di campo del generale Ferrari e combatte a Cornuda, l’anno successivo è alla difesa di Venezia e per tutti gli anni cinquanta continua ad operare nelle cospirazioni.  Durante  la  seconda  guerra  d’indipendenza è  a  capo  del  Comitato  della  Società Nazionale ove appoggia apertamente il La Farina e nel 1859 è eletto, con Lodovico Caldesi, Marco Claudio  Balelli,  Federico  Bosi  e  Gaetano  Brussi,  all’Assemblea  Nazionale  dei  Popoli  delle Romagne a Bologna e fa parte della commissione incaricata di portare al re Vittorio Emanuele i risultati dei lavori dell’Assemblea. Successivamente è ordinanza del generale Mezzacapo nell’Italia centrale e viene nominato Ufficiale d’ordinanza di S. M. Vittorio Emanuele II. Amico personale di Luigi Carlo Farini54  che gli procura un lucroso incarico di sottogoverno55. Achille Laderchi nel
1860 è autorevole esponente faentino del “Comitato promotore della provincia di Ravenna per le elezioni dei deputati al Parlamento” che in un manifesto datato 28 febbraio 1860 espone agli elettori il suo sintetico programma elettorale: «Programma elettorale. Articolo 1°. Annessione immediata ed assoluta   alla   monarchia   costituzionale   di   casa   Savoja.   Articolo   2°.   Indirizzo   politico all’indipendenza ed unificazione italiana.»  A Faenza ricopre poi quasi ininterrottamente incarichi pubblici fra i quali, a più riprese, quello di sindaco. Sarà poi tra i fondatori, e presidente, dell’Associazione Industriale Italiana sorta a Faenza nel 1864 e vice presidente della locale Cassa di Risparmio
Certamente è per questo curriculum, oltre che per stima personale, che Carmelo Agnetta si rivolge a lui una prima volta il 26 dicembre del 1863, subito dopo avere lasciato l’incarico di Delegato Straordinario a Faenza, scrivendo su carta intestata del “Consiglio di Prefettura”, e rammentando evidentemente precedenti contatti verbali:
«Conte Ornatissimo. Vengo con la presente a rammentarle che ho fatto e fo assegnamento sulla di lei influenza, e sul patriottismo che la distingue: onde impiantare in Faenza una Loggia Massonica. Di già ho fatto cenni di questa mia intenzione al Grande Oriente. Noi cerchiamo per simili lavori uomini energici, popolari, e distintissimi, ed ella Sig.r Conte, ha tutti questi numeri. Credo aver abbastanza esperienza per poterle, con tutta fiducia e franchezza, dire, che par nato per essere un Capo di Loggia. Ella possiede le forme, la nascita, il cuore, e la memoria di passati ed importanti servigi resi al suo paese. Dunque, io la reputo e la reputerò in avvenire qual Capo della Massoneria in Faenza. Cominci dunque i suoi lavori, che per ora consisterebbero, ad assicurarsi del positivo concorso di sei uomini che abbiano la più grande onoratezza, e l’effettiva influenza nel paese. Non guardi che nel colore unitario monarchico che è quello della Massoneria Italiana [sottolineatura dell’autore]. Compiuti questi lavori sarà mia cura farle tenere i regolamenti ed il rituale dell’ordine, e se occorre verrei a conferire seco lei. Termino, con augurarle buone e felici feste, lo stesso pratico verso i nuovi miei concittadini, ai quali auguro, e di vero cuore felicità concordia ed affetto reciproco massime in quest’anno, che entra portando nel suo seno, o la sventura, o la finale costituzione dell’Italia una.»56
Ma il conte Laderchi non sembra attivarsi per costituire la Loggia faentina ed Agnetta scrive una seconda lettera datata 23 febbraio 1864:


52                   Il generale Raffaele Pasi che era stato anche deputato di Faenza dal 1874 al 1876 non risulta fra i parlamentari affiliati alla Massoneria indicati da Luigi Polo Friz in La Massoneria italiana nel decennio post unitario, Milano, Franco Angeli 1998.
53                   Già citato come probabile fratello.
54                   Luigi Carlo Farini è il primo deputato eletto dai faentini al Parlamento Subalpino nel 1860, ma la sua elezione viene annullata dalla Camera per irregolarità.
55                   Ispettore delle Valli di Comacchio con stipendio di cento scudi mensili.
56                   Potrebbe essere un accenno alla Convenzione di Settembre che sarà firmata con la Francia l’anno successivo.
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«Ornatissimo Sig. Conte Le accludo un rituale Massonico pregandola di percorrerlo, e poi con suo comodo sapermi dire se crede fattibile l’installazione d’una Loggia in Faenza. Io persisto a crederla non solo utile ma indispensabile. Sta poi alla sua saggezza decidere sull’opportunità dell’Iniziativa – Gradisca intanto gli attestati della distinta mia stima. Ravenna 23/02/62. D.mo Servo C. Agnetta».
Queste due lettere,  entrambe posteriori, non collimano con quanto riportato nei  testi  citati  in precedenza poiché se Agnetta il 23 febbraio 1864 cerca ancora di convincere Laderchi a costituire una Loggia in Faenza evidentemente essa non esiste ancora anche perché non sembra possibile che la Prefettura non abbia avuto notizia della costituzione di una Loggia nella città più importante della provincia. Altro importante elemento che emerge dal confronto delle lettere è che mentre Agnetta cerca solo ed esclusivamente monarchici unitari quella di Bondoli è un evidente tentativo di inserire nella ipotesi di loggia faentina anche elementi che non rispondano a tale requisito poiché accanto al nome di Achille Laderchi egli avanza non solo quello di Momo Strocchi, che possiamo definire come monarchico unitario, ma quello di Vincenzo Caldesi che notoriamente non è monarchico, che nel 1861 ha cercato di conquistare il seggio parlamentare di Faenza come rappresentante della sinistra  mazziniana  e  che  dal  ‹‹Il  Diritto››57   nel  1860  è  stato  additato  come  vero  patriota contrapposto al «contino Laderchi […] che passò la sua vita ora al caffè, ora a caccia […] il quale non fece mai nulla per la Patria […] e stando sessanta miglia distante dal suo impiego, ha cento
scudi al mese.»58
Altro purtroppo non possiamo sapere sulla nascita della  Loggia Torricelli. Certamente essa  è regolarmente costituita nel 1865 poiché ‹‹La Civiltà Cattolica››, feroce avversaria della Massoneria, in un lungo articolo scrive:
.. Per intendere il gran numero di Logge che in questi ultimi sei anni si sono fondate in Italia, daremo qui la lista di quelle che dipendono regolarmente dal G. O. di Torino, che è la sola conosciuta, ed autentica, perché è pubblicata colla firma del Segretario di quel supremo Consiglio […] Faenza, Torricelli ...59
Questa Loggia che abbiamo visto sia nel 1863 che nel 1865 essere all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia di Torino passa poi successivamente al Rito Simbolico costituito, in antitesi allo stesso Grande Oriente, da Ausonio Franchi nel 1864, Rito che però raccoglie l’adesione di ben poche Logge. Nel 1869, dopo la riunificazione, un rapporto inviato al Grande Oriente ci informa dell’esistenza di 18 Logge dell’ormai disciolto Rito Simbolico e mostra un panorama complessivamente molto deludente; in particolare la Torricelli risulta in dissoluzione come le altre Logge romagnole. Anche le altre fonti sulla Massoneria in Romagna concordano con un sostanziale declino delle Logge romagnole60.
Concludendo con questa prima Loggia Torricelli e rinviando all’appendice le note biografiche sugli affiliati è necessario precisare che nulla lascia supporre che Achille Laderchi abbia aderito alla
proposta fattagli da Agnetta e che altrettanto dobbiamo dire di Momo Strocchi mentre Vincenzo
Caldesi nel 1863 risulta affiliato alla Loggia Galvani di Bologna.







57                   Il Diritto era un quotidiano fondato a Torino nel 1854 e sin da principio portavoce della sinistra costituzionale del Rattazzi; dopo l’Unità prosegue sulla stessa linea politica vicino prima a Depretis poi a Crispi.
58                   Corrispondenza da Faenza del 13 agosto 1860.
59                   Notizie Statistiche in: La Civiltà Cattolica, anno XVII, vol. V, serie VI, Roma 1866.
60                   Memorie di Pietro Cagnoni citate in: Cento anni della Risp.·. Loggia Dante Alighieri di Ravenna, opera citata.
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LA SECONDA LOGGIA TORRICELLI DI FAENZA
Giuseppe Leti, nel suo già citato Roma e lo Stato Pontificio dal 1849 al 1870 fornisce qualche lume sulla seconda Torricelli
Loggia di Rito Scozzese61, all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia, rifondata, con Decreto n° 15, del 12 dicembre
1893, da Giuseppe Liverani, della Loggia “Rienzi” di Roma. Nel 1893 risulta in regola con le contribuzioni al Grande
Oriente. Dal 1894 al 1897 è Maestro Venerabile Giuseppe Liverani, con indirizzo in via Ferra 36462. Nel 1894 devolve
£ 40 per i terremotati della Calabria. Nel 1895 è inserita dal G.O.I. tra le Logge di 1ª Categoria, quelle cioè che sono in regola con il  tesoro e  hanno trasmesso gli  atti  richiesti dalla  Circolare n°  10 del 15  marzo. Partecipa con una rappresentanza alle celebrazioni in Roma del 20 settembre 1895. Nel 1896 partecipa con lo stendardo alle onoranze a Terenzio Mariani a Pesare ed è presente in delegazione alla inaugurazione bandiera della Loggia “Otto Agosto” di Bologna. Il  9  maggio  1897, una  rappresentanza della  Loggia  con  lo  stendardo è  presente all’inaugurazione del monumento al  Gran Maestro Giuseppe Mazzoni. Con decreto n°  104,  del  23  dicembre 1897. viene demolita e ricostituita. Nel 1898 e nel 1899 il G.O.I. approva le elezioni di Loggia. Nel 1901 invia un telegramma di condoglianze ad Adriano Lemmi, per la perdita del figlio, il F. ·. Silvano, Gran 1° Sorv. Del G.O.I. Il 16 marzo 1903 è presente con il labaro alla commemorazione cittadina di Felice Foresti a Ferrara e il 20 settembre a Bologna per l’inaugurazione del monumento ai caduti dell’8 agosto 1849. Nel 1905 la Loggia esprime riprovazione contro le repressioni del governo russo. Il 12 Febbraio 1905 la Loggia ospita nei propri locali la Conferenza Regionale per discutere il problema della scuola. Prende parte all’Assemblea Costituente Massonica del 22 febbraio 1906 a Roma. Nello stesso anno partecipa al Convegno di Rimini, per cementare i legami tra le Logge romagnole. Dal 1904 al 1911 ha indirizzo presso l’avv. Giuseppe Brussi. Viene disciolta con Decreto n° 370, del 14 febbraio 1912. Ricostituita, prima del 1919 è Venerabile Gaetano Brussi, con indirizzo presso l’avv. Armando Tosi, via XX Settembre 24, nel 1919/20 Serafino Tesi63, nel
1921/22 Vincenzo Brussi e nel 1924/25 l’avv. Armando Tosi.
Appartenenti: ing. Pontremoli Giuseppe (appr. 1899) - avv. Serantini Francesco (in. 1920) – cap. Raffaele Pirazzini
(+1896) – Achille Brani (+1897).
Se la prima Loggia Torricelli si è trovata ad operare in una città dove sostanzialmente le divergenze politiche erano fra liberali e repubblicani con una alternanza delle amministrazioni fra la destra e la sinistra liberale la nuova Loggia Torricelli è ora inserita in un contesto molto diverso così come la Loggia, derivando dalla romana Rienzi, è chiaramente orientata, come affiliati, a “sinistra” con una unica eccezione nell’ingegner Luigi Biffi monarchico costituzionale.
L’allargamento del  suffragio elettorale ha  portato la  sinistra,  radicali, repubblicani ed  i  primi socialisti, a conquistare il collegio nel 1886 con il radicale Clemente Caldesi che siederà alla Camera sino al 1904 e, nel 1889 anche il comune. Sono anni di profondo rinnovamento per la città che,  prima  in  Romagna,  si  dota  di  un  piano  regolatore,  si  costruisce  il  nuovo  macello  e  si ammoderna profondamente l’ospedale. Ma nel 1895 i clericali, che hanno organizzato le campagne, muovono all’assalto dell’amministrazione alleandosi con una parte dei liberali e con la determinante complicità del prefetto di Ravenna.
Per fare chiaramente intendere in quale clima si andrà al voto Giuseppe Masoni, il repubblicano facente funzioni di sindaco64, viene condannato a cinque mesi e quattordici giorni di carcere, effettivamente scontati, per avere pubblicato su Il Lamone, un brano tratto da un romanzo di Victor Hugo, che da decenni circola liberamente in Europa ed in Italia, considerato dalla Magistratura, sia in primo grado che in appello “come delitto di eccitamento all’odio fra le classi sociali”65. Il prefetto di Ravenna Serrao, soprannominato dai radicali il prefetto-manetta, sottopone le elezioni faentine ad un clima di vero e proprio stato d’assedio. La legge elettorale dell’epoca prevede che gli
61                   Rito Scozzese Antico e Accettato è uno dei più antichi e in Italia è il più diffuso. Divide la massoneria in quattro classi (Azzurra, Rosa, Nera e Bianca) e fissa la gerarchia in 33 gradi.
62                   La via, attuale via Nuova dove il Liverani possedeva una casa, era all’epoca chiamata Terranova ed indicata anche, più semplicemente, come Terra; l’indirizzo  riportato di Ferra costituisce evidentemente un errore di lettura da
schedari compilati manualmente.
63                   In realtà Testi Serafino.
64                   Giuseppe Masoni rifiuterà sempre di prestare il giuramento di fedeltà al Re prescritto per i sindaci e perciò non avrà mai il diritto di appellarsi tale, ma solo f.f.
65                   Il Lamone, 4 novembre 1895.
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amministratori comunali nominino per ogni seggio elettorale solo un presidente provvisorio che, non appena constatata la presenza nel seggio di una quarantina di elettori, procede a far votare i presenti per l’elezione degli scrutatori nominando presidente colui che riporti il maggior numero di voti; questo meccanismo favorisce ovviamente le forze più organizzate che, con la cosiddetta occupazione dei seggi66, possono facilmente ottenere il presidente a tutti gli scrutatori in ogni seggio, intimidendo così, anche solo psicologicamente, gli elettori che si presentano. Il rito della Democrazia, consolidato negli anni, prevede che alle sei del mattino la banda esca dalla sede dell’Unione Popolare e, al suono di inni patriottici, percorra le vie della città per svegliare i propri elettori che si accodano ad essa e si recano così ad occupare i seggi67. All’alba del giorno destinato alle elezioni del 1895 la sede dell’Unione è circondata dall’esercito che impedisce alla banda di uscire e lo stesso esercito, baionetta in canna, presidia ogni seggio elettorale; l’azione prefettizia, inaspettata e di dubbia legittimità, sconcerta i sostenitori della Democrazia ed ottiene la vittoria dei liberal-clericali, vittoria che, non ostante l’esercito, riesce di stretta misura68.
Di  quali  alte  protezioni  abbia  potuto  usufruire  la  lista  liberal-clericale  e  chi  possa  avere, quantomeno, dato copertura al prefetto Serrao69 è evidente quando si consideri non solo che primo degli eletti è il Marcucci e secondo l’ex deputato faentino e futuro senatore conte Tommaso Gessi, ufficialmente affiliato alla Massoneria70, anche se non alla loggia faentina Torricelli, ma anche che immediatamente dopo le  elezioni  inizia  su Il Lamone una dura campagna di  stampa circa  la presenza di massoni nella maggioranza, massoni non affiliati alla loggia faentina, ma a quelle di altre città. Alla prima seduta poi del nuovo Consiglio Comunale, seduta alla quale sono presenti più carabinieri e questurini che cittadini, non appena Gallo Marcucci è eletto sindaco prende la parola un consigliere di minoranza, certo Vespignani, affiliato alla loggia faentina, che accusa il neo sindaco di essere moralmente indegno di ricoprire quella carica e che precisa poi di essere disposto a rivelarne il motivo solo alla Magistratura, qualora il Marcucci lo quereli, o ad un Giurì d’Onore qualora lo stesso Marcucci preferisca seguire quella via. Gallo Marcucci, sebbene sia invitato anche da amici e compagni politici a denunciare il diffamatore, non agirà mai in nessun modo verso di lui limitandosi a dire ridendo che tanto quello è uno che ce l’ha con lui71.
Gallo Marcucci è un personaggio importante nella storia faentina72  anche se ancora troppo poco conosciuto ed al quale ben poche righe sono state sinora dedicate73. Nasce a Faenza nel 1862 da antica ed agiata famiglia originaria della parrocchia di Sarna non estranea alle cospirazioni risorgimentali. Laureatosi giovanissimo in giurisprudenza a Roma fa pratica legale presso lo studio dell’avvocato Pilade Mazza, «bollente deputato di estrema sinistra, noto – fra l’altro – per avere perso un braccio in duello, per il fiero anticlericalismo e per essere morto di colpo apoplettico in piena Camera subito dopo finito un discorso.»74. Aggiungo che lo stesso Pilade Mazza è anche noto e scoperto esponente massonico e sarà colui che a nome del Grande Oriente terrà l’orazione funebre per il Fratello Andrea Costa.
Delle convinzioni religiose del leader dello schieramento liberal-clericale del 1895 ci dà buona se pur aulica ed interessata testimonianza il sacerdote don Antonio Zecchini:

66                   G. Masoni, Né Guelfi, né Ghibellini. Per la Romagna, Faenza, Tipografia Sociale, 1895.
67                   Il Lamone, 29 giugno 1985.
68                   Gallo Marcucci, primo degli eletti, ottiene 1449 voti, Giuseppe Pasolini Zanelli, primo degli eletti nella lista della Democrazia, 1353. Il Lamone, 7 luglio 1895.
69                   È da notarsi che presso l’Archivio di Stato di Ravenna, nelle carte relative al Gabinetto della Prefettura non è conservato alcun documento che si riferisca al periodo nel quale fu Prefetto il Serrao.
70                   F. Bacchini, Duecento anni di Massoneria ad Imola. Studi storici su Ugo Bassi e Andrea Costa, Imola, La
Mandragora, 1997.
71                   Il Lamone, 14-21 luglio, 11 agosto e 1° settembre 1895.
72                   Sindaco di Faenza dal 30.06.1895 al 29.07.1896, rieletto il 30.09.1901 rinuncia al mandato, nuovamente dal
17.10.1902 al 15.09.1903 ed ancora dal 25.07.1904 al 03.04.1913.
73                   A. Bignardi, Due sindaci liberali di Faenza. Gallo Marcucci ed Enrico Camangi, Bologna, Edizioni Bandiera,
1958
74                   A. Bignardi, op. cit.
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Pur Gallo Marcucci ebbe quella crisi interiore comune a tanti giovani.
Nutrito di Fede cristiana fin dagli anni più belli della puerizia, un giorno non credette più, serbando però della Religione il fascino nell’intelletto ed il profumo nel cuore.
Aveva sì abbandonato le pratiche della Chiesa come superflue; le aveva confinate lontano con i ricordi dell’adolescenza aulente di fiori che la vita aveva quindi avvizzito in lui; però di esse sentiva a volte profonda la nostalgia e vivo il rimpianto, come la forza di una necessità cui non poteva rinunciare.
E ritornò praticante, ma non bigotto, perché egli aveva della Religione un’idea ben lontana da quei convenzionalismi onde alcuni la impoveriscono e la deturpano a proprio comodo personale.
Egli punto si tratteneva dal mostrarsi convinto osservante, e francamente usando alle chiese e assistendo ai sacri ministeri faceva pubblica professione dei propri convincimenti, né esitava a frammischiarsi al popolo in tali atti, in ossequio al cristo, che fu a tutti fratello.75.
E lo stesso Gallo sceglie, certo non a caso, come proprio pseudonimo sulla Gazzetta di Faenza quello dantesco di Nembrotte, «esempio di superbia e di rivolta contro Dio, secondo la tradizione N. volle costruire, per raggiungere il cielo, la torre di Babele in Sennaar.»76.
Dopo questa pesante sconfitta che trasforma Faenza nell’”isola bianca” della Romagna non cessano certo le ostilità che vedono comunque sempre in primo piano nelle fila dell’Estrema, come allora si chiamava la sinistra, che ha ne Il Lamone la sua bandiera e che, dall’altra parte, è costantemente definito giornale radical-massonico. Nel 1898 si verifica un altro pesante scontro quando il vescovo Cantagalli, campione del neotemporalismo e non immune neppure dal gestire la diocesi a fini, anche  economici,  personali77   dopo  avere  scomunicato  Il  Lamone che  ormai  si  riferisce  a  lui chiamandolo  “Baiocchino”  querela  per  diffamazione  ed  ingiurie  la  testata,  il  gerente  Rolli, Vincenzo Brussi ed Olindo Guerrini autore del sonetto, a firma Argia Sbolenfi,, giudicato ingiurioso

Oboli, eredità, feste, novene, Centenari, suffragi e giubilei, Fulmini ai framassoni ed agli ebrei, Ogni cosa mi frutta, e frutta bene.
Lo Stato mi protegge e mi sostiene, Nessun s’impiccia degli affari miei, Avrò il Cappello prima del Paffei
E del resto, accidenti a chi ci tiene.
Ah, come rido quando sento il chiasso
E il balordo furor degli affamati
Che si chetan coi VIVA e cogli ABBASSO!
Io toso intanto e fo’ tosar dai frati Questo mio gregge mansueto e grasso Di pecore, di becchi e di castrati!
Parla il Pastore
La  vertenza  giudiziaria  si  conclude in  primo  grado  con  la  sconfitta dei  querelati  e  vede  poi l’intervento del Ministero dell’Interno che, tramite la prefettura, preme sul vescovo perché si arrivi ad una transazione extragiudiziale. I timori del Ministero sono dovuti sia al fatto che proprio da Faenza  sono  partiti  i  primi  moti  di  rivolta  che  nel  1898  hanno  incendiato  il  nord  Italia concludendosi tragicamente a Milano78  sia perché l’Estrema faentina in occasione delle nuove elezioni amministrative del 1899 organizza una Associazione Anticlericale, accuratamente spiata dagli organi di polizia, che riesce a spaccare il gruppo monarchico costituzionale candidando nelle sue file anche il già citato fratello Luigi Biffi.
75                   A. Zecchini, Il Cenacolo Marabini (L’Ottocento faentino), Faenza, F.lli Lega, 1952
76                   Istituto della Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Dantesca, Roma, 1970
77                   Enrico Golfieri, Un poeta, un vescovo e un giornale, in Fede e Avvenire, anno II, nn. 3-4, 1960 e L. Bedeschi, La querela
del vescovo contro Olindo Guerrini, in Osservatore politico letterario, fasc. 4, aprile 1968
78                   Il giornale clericale Avvenire di Bologna aveva in quella occasione esplicitamente accusato la Massoneria di avere eccitato la folla alla devastazione ed al sangue.
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È da notare come nelle carte di polizia la Massoneria sia accusata di essere la promotrice dell’iniziativa.  Un  rapporto  dei  Carabinieri  datato  29  dicembre  1898  avente  come  oggetto
«Comitato elettorale anticlericale» segnala fra i promotori «… fratelli Brussi avv.to Vincenzo ed avv.to Giuseppe, Acquaviva Paolo79, Biffi ing. Luigi, Betti cav. Gustavo80, Tartagni dott. Vittorio e Caretti Emilio81  (massoni) …». Un successivo rapporto riservato del sottoprefetto di Faenza al prefetto in data 3 giugno 1899 scrive «… Il partito radicale.repubblicano massonico …».
Sempre il solere e bene informato sottoprefetto il 14 aprile 1900, appena conclusa con una transazione la querela del vescovo scrive al prefetto a proposito dello «Spirito pubblico»:
A mozzare anche gli ardori dei partiti sovversivi, ed in specie del repubblicano ha, pare contribuito in buona misura la soluzione del processo del Vescovo.
Il partito radico-repubblicano ha visto di mal occhio la ritrattazione umiliante imposta anche al gerente del giornale Il Lamone 82  per salvare da una facile condanna alla reclusione il notaio Dr. Brussi. E siccome chi ha diretto tutto in questa vertenza, accettandone la soluzione, è stata la Massoneria, così il partito repubblicano avrebbe voluto scindere le singole responsabilità, e desiderato per onore di firma essere condannato.
Si accenna anzi alla certezza , che per lavare l’umiliazione subita, il giornale Il Lamone, che ha finora principalmente servito agli scopi della Massoneria, la quale la condusse per le sue intemperanze al noto processo, cesserà, e sorgerà invece un nuovo giornale, puro organo del partito e delle sue idee.
Ma, se anche il Partito Repubblicano aveva l’intenzione che gli attribuisce il sottoprefetto, sarà solamente nel 1904 che uscì il nuovo settimanale faentino “Il Popolo” che si definiva organo della sezione faentina del P.R.I.
Proseguendo  l’esame  delle  fonti  esterne  alla  Loggia,  in  particolare  Il  Lamone  poiché  l’altro settimanale  faentino,  il  clericale  Il  Piccolo,  non  fa  che  ripetere  stereotipi  demonizzanti  della Massoneria dipingendo sotto tale nome tutto ciò che è o può essere avversario e creando in tal modo anche una notevole confusione fra la Massoneria ed il suo spettro rileviamo come, in sostanza, i fratelli faentini ed in particolare Giuseppe Brussi rimangano, sino all’avvento del fascismo, gli alfieri dei valori risorgimentali legati al mito garibaldino ed i difensori dei valori democratici. Registriamo quindi come fossero gli amici massoni, i soliti Brussi, i gelosi custodi, secondo altri i manipolatori, degli ultimi giorni di vita di don Giovanni Verità; scrive infatti Piero Zama83:
Novembre 12 [1885]: è arrivato a Modigliana da Faenza l’avvocato Luigi Brussi, capo della massoneria faentina, amico di don Verità, che visita l’infermo e rimane presso di lui. Dopo la morte del canonico, l’avvocato Brussi racconterà a chi vuol credergli che in quel giorno 12 lo stesso don Verità gli aveva espresso il desiderio di fare una dichiarazione che non desse luogo ad equivoci sul suo pensiero. Cosicché, a sentire l’avvocato, don Giovanni ha atteso di compiere 78 anni, di trovarsi in quelle condizioni, sfinito, morente, per esprimere a parole quello che i fatti di tutta la sua vita avevano chiaramente ed inequivocabilmente espresso. È mia convinzione che Luigi Brussi sia il regista di questo film di cattivo gusto che ha per vittima il povero ammalato.
Ed in un successivo articolo84:

79                   Non figura nel piè di lista arrivato a noi.
80                   Come sopra.
81                   Come sopra.
82                   «Il dottor Vincenzo Brussi lealmente dichiara che nello scrivere e pubblicare le parole incriminate della
Orazione a S. Pier Damiano non intese offendere sotto qualsiasi aspetto la riconosciuta onorabilità personale di Mons. Gioacchino Cantagalli Vescovo di Faenza; e di essere dolente che le frasi dell’Orazione scritta nell’eccitazione di lotte politiche abbiano potuto ricevere interpretazioni che non erano e non potevano essere nel suo pensiero. Rolli Armando come gerente e rappresentante della Direzione del giornale Il Lamone, ripete e fa proprie le dichiarazioni del dottor Vincenzo Brussi con esplicito riferimento a tutte indistintamente le pubblicazioni del giornale stesso. Il dottor Olindo Guerrini come autore ed unicamente accusato della pubblicazione del sonetto “Parla il Pastore” si associa alla
dichiarazione del dottor Vincenzo Brussi. I dichiaranti signori Brussi, Rolli e Guerrini si obbligano solidamente al
rimborso delle spese giudiziali nonché a quelle delle spese occorse a Mons. Cantagalli per il suo patrocinio da liquidarsi da S. E. il Presidente della Corte. Questa integrale dichiarazione dovrà essere pubblicata nel giornale Il Lamone immediatamente ed in prima pagina.
Brussi dott. Vincenzo, Rolli Armando, Guerrini dott. Olindo.»
83                   P. Zama, Un testamento che non fa testo, in L’Avvenire d’Italia, 6 ottobre 1949
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Massoni o anticlericali accerchianti il letto di un prete patriota – cattolicamente vissuto tutta la vita – per fare del suo cadavere una bandiera da opporre a quella stessa che fu la bandiera del prete vivo, […] Quelle che oggi possiamo di diritto chiamare colpe od errori di uomini possono essere state per quegli uomini stessi una necessità e fors’anche un dovere politico, un’arma di offesa e difesa di quel momento. […] È con questa coscienza che noi abbiamo trattato degli inganni e delle arti miserevoli di cui fu vittima don Verità. Né ci lusinghiamo di aver detto tutto e meno ancora di aver convinto tutti. Fu sempre impresa disperata convincere chi non vuol essere convinto. Abbiamo letto persino, a proposito dell’appartenenza di don Giovanni alla Massoneria, che forse il prete era massone perché la Massoneria non manda – per legge – i suoi labari se non ai funerali dei fratelli. E si scrivono di tali cose dopo che gli archivi ci hanno mostrato taluni documenti da cui risulta che i massoni sono persino autorizzati a mentire quando la menzogna sia utile, ed altri documenti da cui risulta che certi venerati patrioti altro non erano che spie dell’Austria.
Notiamo poi nel novembre del 1898 una visita di Ernesto Nathan a Faenza dove aveva, scrive Il
Lamone, parecchi amici.
Di Giuseppe Brussi non possiamo non ricordare la serie di conferenze organizzate per i fanciulli ospiti del Ricreatorio Laico Festivo85 in occasione del XX Settembre che, annualmente, narravano in forma molto piana la storia del Risorgimento faentino.86
Il Ricreatorio Laico Festivo era divenuto ormai la ridotta dei laici faentini che avevano ormai perso le speranze di riconquistare l’amministrazione comunale. Esso era nato nel 1883 come risposta della Faenza laica all’arrivo dei Salesiani.
Nell’anno 1883 scese fra noi un’accolta di frati chiamati Salesiani, interpreti e seguaci del famoso Don Bosco, i quali aprirono in un principale Sobborgo una specie di Ricreatorio, dove, senza badare a spesa, accogliendo ne’ dì festivi con mille allettamenti e con tutte le arti di cui sono maestri, ogni maniera di fanciulli, poterono in breve noverare piucchè
200 alunni, che senza alcun freno di disciplina e di educazione, si videro ben presto indirizzati secondo i funesti principi di un clericalismo, che richiamò alla mente di tutti gli onesti i tempi più tristi e calamitosi, di cui la storia delle Romagne, e specialmente la nostra, abbia mai fatta menzione.
Precipuo scopo di questa, fra noi, nuova istituzione, si era evidentemente quello di instillare nella gioventù pregiudizi grossolani di credenze religiose per sempre condannate a renderla così moralmente fiacca, disamorata della famiglia, della patria e delle libere istituzioni; insensibile ai santi entusiasmi, misconoscente ed ignara degli uomini, della patria e dell’umanità.
Quando poi si seppe che questi frati stavano per venire in Città ove avevano fatto acquisto di un grandioso stabile con vasto orto, per sempre maggiormente diffondere il loro lavorio, la cittadinanza, senza distinzione di partiti, gravemente preoccupata dal progredire di questa malefica influenza volle, coll’aiuto del Municipio, contrapporre a quella dei frati una istituzione liberale e civilmente educativa, allo scopo di togliere i figli del popolo ai perigliosi allettamenti della piazza, per rafforzarli, ricrearli ed educarli, infondendo nell’animo loro, anziché ottenebrarne la mente ed infiacchirne le membra, il sentimento dell’onore e della propria dignità, i principii di una sana morale e dei santi affetti della patria e
della famiglia.
Anche per l’appoggio delle Autorità locali e del Ministero sorse il nostro Ricreatorio Laico Festivo, di cui fatto aperto ed accetto lo scopo, fu tanto all’altro preferito, che in breve annoverò più che 350 fanciulli che affidati alla direzione ed alla cura di persone competenti più non si videro nei dì festivi scorazzare chiassosi per le vie della Città per apprendervi il linguaggio e le azioni della vita scorretta ed indegna di un popolo civile.
Così in Ricreatorio Laico Festivo in Faenza. Relazione Morale e Finanziari”, stampato dalla Premiata Tipografia Sociale nel 1904. Della Commissione di sette membri che firma tale relazione fanno parte i fratelli Biffi Ing. Cav. Luigi, Brussi Dott. Vincenzo, Galli Dott. Paolo e Tartagni Dott. Vittorio. Ovviamente ad una istituzione nata e cresciuta come contraltare ai Salesiani non poteva rimanere indifferente l’Amministrazione Comunale clerico monarchica che nel 1903 minacciava la soppressione del contributo annuo di 2.000 lire che aveva sempre concesso al Ricreatorio, ma a venire in aiuto all’istituzione fu il fratello Angelo Masini, tenore di grandissima fama che volle

84                   P. Zama, Un testamento che non è tale, ibidem, 19 ottobre 1949. Entrambi gli articoli, ed altri, sono raccolti in
Il cosiddetto “Testamento” di don Giovanni Verità, Faenza, F.lli Lega, s. d.
85                   Allo stabilirsi dei Salesiani in città la Faenza laica aveva reagito creando il Ricreatorio Laico Festivo dove i giovani delle classe meno abbienti potevano ottenere una istruzione professionale senza l’obbligo di sottostare a funzioni ed indottrinamento religioso.
86                   G. Brussi, Ricordo del XX Settembre, Faenza, Tipografia Sociale, 1899, 1900, 1901,1902,1903,1904,1905.
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dedicare l’introito di una sua serata a totale beneficio del Ricreatorio e, sul suo esempio, molti cittadini di ogni colore politico, contribuirono con loro donazioni.
Un curioso episodio si verifica per il XX settembre del 1905 quando nella Faenza “isola bianca” il sottoprefetto consente l’affissione del manifesto del comune, ma blocca quello, peraltro affisso liberamente in tutta Italia, di Ettore Ferrari, Venerabile del G.O.I. Solo a seguito del telegramma immediatamente inviato al Ministro dell’Interno, il fratello Alessandro Fortis, che recita: «Negato permesso affiggere Faenza manifesto che Massoneria Italiana pubblica in tutta Italia commemorazione XX Settembre. Prego dire se qui comanda ancora cardinale Rivarola.» alle ore 9 del XX Settembre il sottoprefetto autorizza l’affissione.
Di un altro fratello, Achille Calzi, si occupano a lungo le cronache locali nel 1907. Achille Calzi è uno dei maggiori artisti faentini dell’epoca e candidato a succedere al prof. Berti, ritiratosi in pensione, alla direzione della Scuola d’Arti e Mestieri. Il Comune aveva quindi aveva indetto un concorso pubblico per titoli ed esami come si direbbe oggi; fra i titoli richiesti è
indispensabile un dato diploma rilasciato la Ministero dell’Industria e Commercio e imposto tassativamente, essendo la nostra scuola sovvenzionata dal Governo. […] fu fatta subito una graduatoria, anzi a vero dire due: una per i meriti artistici, una per i meriti didattici. Nella prima furono classificati primi a parità di meriti artistici il prof. Calzi, di Faenza, e il professor Montevecchi di Imola; nella seconda fu messo il solo Calzi perché solo lui aveva potuto presentare tutti i titoli necessari e sufficienti per essere ammesso al concorso. […] Il nostro Consiglio Comunale nella sua seduta di Giovedì ultimo ha nominato un altro con 17 voti, contro i 6 dati al Calzi e 3 o 4 astenuti. […] il Calzi […] Non è un militante di alcun partito; […] Non va troppo a messa.87
È più che evidente come il Calzi, che peraltro non nascondeva la sua appartenenza, sia stato discriminato dall’amministrazione clericale. D’altra parte tale amministrazione non poteva certo sentirsi tranquilla poiché se grazie all’appoggio cattolico poteva detenere il potere amministrativo nel campo della cultura e dell’insegnamento erano laici, e spesso fratelli, gli uomini migliori. Lo stesso Calzi sarà poi coautore due anni dopo con l’altro fratello Antonio Messeri di quella storia di Faenza che è tuttora un testo base.88 Per la cronaca Calzi presenterà ricorso alla prefettura e vincerà. La Loggia compare poi in diverse occasioni per elargizioni benefiche come quella per le cucine economiche89, per i terremotati di Messina, 40 lire, o per le donne detenute a Molinella a seguito della rivolta del pane, 50 lire, ed infine una consistente somma, mille lire, che nel 1923 viene elargita “Pro monumento ai caduti” della prima guerra mondiale.
Arrivando infine al periodo fascista precisiamo subito che nel piè di lista compare un solo nominativo che risulta anche fascista, anche se non della prima ora, e ciò è forse spiegabile sia col fatto che anima del primo fascismo faentino è Piero Zama, visceralmente antimassonico, sia con la
larga componente cattolica  dello stesso fascio, componente ed  atteggiamento sul  quale non è
possibile soffermarsi in questa sede, ma che farà chiamare dai ravennati quello di Faenza “il fascio dei preti”.
Una riservata personale del sottoprefetto di Faenza al prefetto del 19 gennaio 1923 avente ad oggetto «Partiti politici a Faenza» scrive
I repubblicani sono scarsi e possono distinguersi in tre categorie: repubblicani puri, seguaci della Teoria Mazziniana con addentellati alla Massoneria, guidati dai sig.ri Vincenzo Brussi, avv. Foschini90  e rag. Mingazzini; repubblicani filo fascisti con a capo l’avv. Francesco Serantini vice pretore, persona però molto subdola”
Solo pochi giorni dopo però la stessa sottoprefettura sembra avere mutato parere poiché in una riservatissima avente ad oggetto “Turbatori dell’ordine” inserisce «Serantini avv. Francesco, vice

87                   Il Lamone, 7 aprile 1907.
88                   A. Calzi, A. Messeri, Faenza nella storia e nell’arte, Faenza, dal Pozzo, 1909.
89                   Istituzione benefica per fornire pasti caldi agli indigenti.
90                   Non sono in grado di precisare se sia lo stesso Foschini Giuseppe che figura tra gli affiliati, nato nel 1878 e divenuto Maestro nel 1905
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pretore» nell’«Elenco delle persone maggiormente in vista o che tramano o possono tramare a danno della patria, dello Stato e del Governo.»
Successivamente la Massoneria non viene più citata nei documenti delle autorità. Troviamo sì citati esponenti  della  Loggia,  ma  mai  espressamente  indicati  come  fratelli;  sempre  solo  come repubblicani.
Così la sottoprefettura il 23 marzo del 1925, con oggetto «Sesto anniversario fondazione Fasci di Combattimento - Ordine pubblico - Incidenti» scrive come nel corso di una mezz’ora di violenza fascista vengano danneggiate ed incendiate sedi repubblicane e cattoliche e come poi una delle tre colonne fasciste «danneggiò l’abitazione e lo studio dell’Avvocato Tori (repubblicano), per circa L.
20.000»
Ultimo documento infine che cita fratelli   è del 24 settembre 1926 con oggetto «Circondario di Faenza – Situazione, sviluppi ed atteggiamenti dei vari partiti sovversivi» segnala fra i repubblicani più  in  vista  e  «apparentemente  ossequienti  [ma  solo]  per  evidenti  ragioni  di  opportunità contingente» che mantengono vivo il partito Tosi Armando, Brussi Luigi, Mingazzini Carlo.
Ultima segnalazione infine, doverosa, è che Vincenzo Brussi sarà nel 1926 l’avvocato difensore del comunista Vincenzo Sangiorgi, Cêncio ‘d Ghibèt, imputato di avere sparato a due fascisti91.
E con il fascismo termina anche la storia della II Loggia Torricelli di Faenza.
Esaminando  gli  affiliati  rileviamo  subito  come  anche  a  questa  Loggia  faentina,  come  alle precedenti,  sono  affiliati  non  solo  faentini,  ma  anche  molti  dei  paesi  del  comprensorio, Bagnacavallo, Brisighella, Castelbolognese, Cotignola, Modigliana nonché molti ufficiali della più diversa origine geografica che, evidentemente, si trovano in città per ragioni di servizio92.
È ancora opportuno ricordare come anche l’elenco degli affiliati giunto sino a noi sia, almeno per un primo periodo, mutilo e lacunoso poiché dall’esame di esso su ottanta nominativi ben ventuno sono privi dell’indicazione della data di affiliazione e mancano poi i nomi, dei quali siamo certi,  di Achille Brani, di Gaetano, Luigi e Vincenzo Brussi, dell’ing. Pontremoli e di Raffaele Pirazzini.
Del suo fondatore, Giuseppe Liverani, non sono riuscito a trovare alcuna traccia oltre alla qualifica di ingegnere ed alla proprietà di un immobile in via Terranova dove la Loggia ha il suo primo indirizzo.














91                   Giuliano  Bettoli  Quella  lunga  notte  di  fuoco  del  12  dicembre  1929,  Inserto  speciale  di  «Radio  2001
Romagna», Anno XI, N° 3 (52°) – Ottobre 1989.
92                   Ricordiamo come, fino alla II guerra mondiale, a Faenza fossero molte caserme, in particolare di bersaglieri e cavalleria.
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Appendice






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I funerali di Raffaele Pirazzini
Domenica  3  corr.  alle  ore  21  moriva  in  Castelbolognese  per  paralisi  cardiaca  sopragiunta  a bronchite capillare il Capitano Raffaele Pirazzini. Nato da padre repubblicano, che per amore alla libertà lasciava la testa sul patibolo, Raffaele Pirazzini, che dal padre aveva ereditato la fede e l’amore nei più alti ideali di libertà, incominciò subito a provare, giovinetto ancora, l’odio e la vendetta dei preti che non contenti di averlo reso orfano, gli vollero anche negare un sussidio a cui
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aveva diritto per proseguire i suoi studi all’Università di Bologna, lui che in quella specie di Ginnasio-Liceo che allora esisteva in molti Comuni, si era mostrato uno dei più studiosi , dei più intelligenti allievi. Bersagliato in tal modo dall’odio dei chierici dovette rassegnarsi, privo com’era di lauti beni di fortuna con altri cinque fratelli e la madre da mantenere, ad abbandonare i suoi studi e vivere alla meglio coi pochi avanzi lasciatigli dal padre e con gli scarsi guadagni che gli venivano da una botteguccia. Venuta l’aurora del 1859 abbandonò la famiglia per correre ad arruolarsi ventiduenne appena nei Cacciatori delle Alpi sotto agli ordini del General Garibaldi e fare con lui la gloriosa campagna che ci doveva condurre alle memorabili giornate di San Martino e Solferino e alla proclamazione dell’Unità d’Italia.
Finito il cinquantanove entrava nella Scuola Militare di Modena da dove ne usciva ufficiale. Non prese parte alla campagna del 1866 perché il reggimento al quale apparteneva era stato mandato nel napoletano a combattere il brigantaggio.
Venne il 1867 e fortuna volle che nel tempo in cui Garibaldi arruolava volontari per la conquista di Roma, Raffaele Pirazzini si trovasse a Castelbolognese in aspettativa. Così egli poté prendere parte alla infausta quanto gloriosa campagna e bagnare del suo sangue i colli dell’eterna città. A Castelbolognese da dove partivano a frotte i volontari, nessuno aveva azzardato di dire una parola al Pirazzini che come ufficiale del Regio esercito si sapeva che non poteva partecipare alla spedizione che s’andava formando. Ma il Pirazzini che tutto vedeva, che come tutti i volontari italianamente sentiva, mal soffrendo che l’esercito dovesse rimanere colle armi al piede mentre tanti giovani s’andavano ad immolare alla morte, non volle più oltre rimanere a far parte di un esercito di spettatori e corse e combatté, e a Monterotondo cadde colpito al petto da palla pontificia. E mentre ferito e boccheggiante al suolo sentiva quasi venirsi meno la vita chiedeva, a chi l’assisteva, se i garibaldini erano ancora entrati a Monterotondo, se l’esercito papalino era stato posto in fuga rammaricandosi solo di non poter entrare in Roma come rivendicazione di tutte le infamie, di tutti i delitti commessi dal governo papale, come vendetta dell’infame sentenza che aveva fatto lasciare sul patibolo la testa dell’onesto ed innocente suo padre.
Ma la fortuna volle che la palla urtando contro una costola invece di penetrare in cavità girasse sotto la cute fin verso la regione dorso-renale prestandosi a facile estrazione.
Guarito e richiamato in servizio veniva condannato dal Tribunale militare a sei mesi di carcere da scontarsi nella fortezza d’Ancona. Questa fu la riconoscenza che il Governo italiano diede in quell’occasione a tutti quei soldati od ufficiali, che infranta la consegna per ricordarsi solo di essere italiani, erano corsi a versare il loro sangue per la libertà d’Italia!
Venuto il  1870, il  Pirazzini chiese ed  ottenne di  fare  parte delle  truppe che  muovevano alla conquista di Roma. Era il suo sogno! Roma cadde e il sangue di Monterotondo e di Mentana era vendicato. Continuò poi a rimanere nell’esercito dove poco dopo raggiunse il grado di capitano. Chiesta dopo vari anni la pensione veniva posto in posizione ausiliaria e poi definitivamente in riposo.
Stabilitosi a Castelbolognese dove vive a la sua famiglia, veniva subito chiamato a coprire varie cariche, tanto che nell’elezioni amministrative del 1889 riuscita vincitrice la lista radicale, veniva chiamato alla carica di primo magistrato del Comune, a Presidente dell’Asilo Infantile, a Sopraintendente scolastico, e più tardi a ff.di Presidente della Congregazione di Carità. Nei cinque anni in cui resse la cosa pubblica si mostrò amministratore liberale e sopratutto scrupolosamente onesto. Nessuno ricorreva invanamente a lui: la sua tasca benché gravata da disturbi economici non lievi creatigli e dalla famiglia e da parenti, era pur sempre aperta a tutti, i poveri di Castelbolognese che oggi lo piangono morto ricorderanno sempre quanta beneficenza e quanta carità Raffaele Pirazzini ha fatto in vita sua.
Anticlericale  convinto,  sinceramente  democratico  con  sentimenti  di  tradizione  repubblicana, Raffaele Pirazzini era buono con un cuore tenero come quello di fanciulla, scherzevole, apparentemente allegro anche quando si sapeva tormentato da forti dispiaceri, tutto per la famiglia, tutto per gli altri, e nulla proprio nulla per sé. Poteva avere degli avversari, ma non dei nemici, dei critici benigni, ma non dei detrattori perché al disopra di ogni critica e di ogni avversione vi era in
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lui l’onestà, il coraggio, il carattere, il cuore.
Tale è l’uomo che tutta Castelbolognese à pianto, tale è l’amico che troppo presto abbiamo perduto. A lui che soffrì sempre, che nulla mai chiese per sé e che tutto diede agli altri, che favori ed oneri non cercò da nessuno che morì senza ciondoli, pago solo di aver fatto sempre il proprio dovere, a lui mandiamo oggi come ai cavalieri della leggenda l’estremo saluto, perché cavaliere fu veramente: non di quelli che popolano oggi le carceri del regno, ma di quelli  che scendono nella tomba come Bajardo senza macchia e senza rimbrotti.
I funerali che riuscirono imponenti ebbero luogo Martedì alle ore 15 in forma puramente civile partendo da casa sua e andando direttamente al Cimitero. La magnifica sala attigua alla camera in cui morì il Pirazzini fu trasformata in cappella ardente. Sovra un catafalco adornato di edera e d’altre piante sempre verdi fu collocato in cadavere del povero Pirazzini con a tracolla una sciarpa verde filettata in rosso donata dalla Loggia Massonica di Faenza di cui il Pirazzini era Maestro, e avente ai lati l’uniforme da capitano con chepì e sciabola, e dall’altro lato una camicia rossa da garibaldino con quattro medaglie. Vicino alla camicia rossa era stata collocata la palla che lo aveva ferito a Monterotondo e che lui aveva sempre conservata assieme al fazzoletto col quale gli avevano fasciata la ferita per impedire la fuoriuscita del sangue. Il cuscino pure sul quale poggiava il capo era ricoperto dallo scialle che portava a Monterotondo. Tutto intorno e ai piedi erano disposte corone  di  fiori  di  cui  due  bellissime  mandate  da  Bologna  dai  suoi  amici  Pietro  ed  Ettore Cacciaguerra e dal Dott. Morini di Forlimpopoli. Da un lato della sala vi era un tavolino, un album dove i visitatori lasciavano le loro firme. Fu sempre un via vai per tutta la giornata.
Alle 15 e un quarto circa cominciò a muovere il corteo. Precedevano gli alunni delle scuole con bandiera, poi l’Asilo infantile, l’Orfanatrofio, la Società Braccianti di Castelbolognese, pure con bandiera, le Società dei Reduci di Lugo, Faenza, Imola e Castelbolognese, tutte con bandiere, poi le donne vestite a lutto e subito dopo la banda cittadina. Indi il carro, fatto venire appositamente da Faenza, sul quale erano poste la camicia rossa da garibaldino, la divisa da capitano e le insegne della massoneria. Attaccate al carro vi erano le corone della famiglia e dei parenti, quella del Municipio che intervenne ufficialmente, quella degli amici democratici, quella degli Ufficiali in congedo, quella della Massoneria e quella della Società dei Reduci di Castelbolognese, di cui il Pirazzini era Presidente onorario. Seguivano poi in altro carro le corone mandate dalla famiglia Cacciaguerra e dal Dott. Morini, quelle offerte dalla Società Braccianti, dalla Congregazione di Carità, da alcuni amici, dagli Operai della Tipografia Sociale di Faenza e dagli amici d’Imola. Reggevano i cordoni il Sindaco, il rappresentante la Massoneria, il Dott. Morini, il Sig. Ettore Cacciaguerra amico intimo del povero morto, il Magg. Marzari, a nome della Società degli Ufficiali in congedo, il Cap. Ettore Berti come Presidente della Società dei Reduci di Castelbolognese, il Conte Zanelli per la Congregazione di carità e il Dott. Secondo Monti per la famiglia. Un’immensa onda di popolo ed una carrozza ove si trovavano il fratello e una nipote dell’estinto con alcune amiche, facevano coda al lungo corteo.
Arrivati al cimitero dissero belle parole il Sindaco a nome della Rappresentanza Municipale e della Congregazione di Carità, il Ragion. Tosi a nome degli amici, l’avv. Vincenzo Brussi a nome della Massoneria, il dott. Brunelli che offrì anche una ghirlanda a nome dei socialisti e in ultimo lo studente Pio Schinetti a nome dei repubblicani. Tacque l’elemento militare. A tutti rispose ringraziando il Dott. Monti a nome della famiglia. Poi data lettura di alcuni telegrammi fra i molti arrivati, di cui ricordiamo quelli dell’on. Caldesi, dell’avv. Alfredo Oriani, del Senatore Bonvicini e di  alcuni  altri,  si  trasportò la  salma  nella  camera  mortuaria, di  dove  la  mattina  dopo, previa fotografia fatta dal Gorini di Faenza, fu calata nella fossa accanto alle ossa del suo povero padre dal quale il Capitano Pirazzini aveva saputo trarre la fede, il coraggio e la dolcezza d’animo per lasciare in tutti i suoi concittadini, in tutti gli amici, in tutti i conoscenti, il più sentito rimpianto, il più forte abbandono. (“Il Lamone” 10 gennaio 1897).


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I funerali di Achille Brani
Venerdì scorso venne trasportato, in forma puramente civile, al Cimitero comunale la salma del Maggiore Brani. L’accompagnamento ebbe grande solennità e ad esso prese parte un reparto di cavalleria, la musica del reggimento Padova, nonché molte rappresentanze fra le quali, numerose e con bandiera, i Reduci delle Patrie Battaglie e l’Asilo Infantile. I cordoni erano retti da una parte dal Sig. G. Liverani, dall’avv. Cav. Aristide Bucci, dal Sig. Capitano Da Barberino di cavalleria;
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dall’altra dal Maggiore Cav. Melandri, di fanteria, dall’Ing. Cav. Luigi Biffi e da un capitano di fanteria del quale ci sfuggì il nome. Subito dopo il carro seguivano i parenti e immediatamente il Cav. Borda, Colonnello comandante il presidio ed una eletta numerosa di ufficiali di ogni arma. Subito dopo uno stuolo numeroso di amici. Sul carro erano moltissime corone di fiori, fra le quali si distinguevano per dimensioni e ricchezza quella della vedova e della R. Loggia Torricelli. Il corteo mosse da via XX Settembre alle ore 5 ¼ e giunto sul piazzale del camposanto furono pronunciati due discorsi, uno dell’avv. Brussi per la Massoneria faentina, l’altro dal Conte Achille Laderchi, Tenente Colonnello della territoriale, per gli ufficiali in congedo. Furono letti molti telegrammi e lettere di condoglianza, e fra tutte riproduciamo quella dell’on. Caldesi, perché fece in tutto il pubblico molta impressione.

Caro Peppino,
Faenza, 19 marzo 1897
Sono oltremodo dolente che precedenti ed imperiosi impegni mi tolgano assolutamente la possibilità di trovarmi oggi con voi a rendere l’estremo tributo di stima e di affetto all’impareggiabile amico maggiore Achille Brani.
Egli, soldato e poeta come gli italiani del buon tempo antico, passò su questa terra amato e benedetto da quanti ebbero la fortuna di avvicinarlo e di apprezzarne le doti squisite dell’animo e del cuore. Ed io che l’ebbi sempre fra i miei migliori amici e ne raccolsi le ultime parole, che furono di gentile benevolenza per me, ne piango oggi la perdita con voi
– e alla sua memoria mando commosso l’estremo vale.
Credimi sempre                                                                                         tuo aff.mo
Clemente Caldesi
Vorremmo ora dire del Brani, la cui improvvisa scomparsa ci ha tutti addolorati, ma crediamo che i lettori preferiranno leggere l’elogio che fu pronunciato al cimitero dall’avv. Brussi.
“Parlo a nome della più antica e più vasta Associazione: di quella Associazione che ha, umanità per ultimo fine, la libertà, la uguaglianza, la fratellanza per scopi immediati.
A questa Associazione, che senza secondi fini di dominio politico e di asservimento di coscienze, procede combattuta sempre, ma sempre serena, Achille Brani, votò tutte le migliori energie della mente e del cuore.
Chi fu, che cosa fece Achille Brani?
E’ sempre bene ricordare al popolo la vita e l’esempio di un gran galantuomo, di un uomo nel quale la virtù, l’arte, il valore si diedero la mano e lo guidarono nella vita.
Achille Brani nacque a Forlì il 21 febbraio 1834 e ancora in fascie fu portato a Faenza dove il nonno Michele Bosi nulla risparmiò perché al giovinetto fosse data una educazione completa.
Giunto il momento di scegliere una carriera, Achille Brani si dedicò allo studio del diritto e compì brillantemente la Università.
In questo giovane però di buoni studi, di fervida fantasia, di cuore generoso il concetto del diritto doveva associarsi a quello dei doveri verso la patria e fra gli studi severi si maturava il cuore del soldato generoso e la genialità del poeta gentile.
Fu gran ventura che l’educazione delle generazioni di allora avesse una seria base letteraria perché ciò portava in quei giovani uno spirito di idealità, che lungi dal ridurre tutte le questioni a quella sola del benessere materiale, insegnava invece che quella della vita é una missione complessa e che é vano sperare il risorgere dei popoli, senza che idealità supreme, e prima fra esse il dovere, li guidi per l’aspra via.
Il 1859
Compiuti gli studi Achille Brani tornò in quella che ormai era la sua seconda patria ed ivi si diede all’esercizio della professione legale, quando spuntò l’alba radiosa del 1859.
Il concetto della unità d’Italia, proclamato come fine immediato da Giuseppe Mazzini, da lui coltivato con invitta costanza fra le persecuzioni e i patiboli, aveva finalmente trovato quel complesso di condizioni politiche che doveva farlo trionfare.
... Achille Brani, quando la grande voce della patria chiamò, accorse subito abbandonando la carriera, l’avvenire e lasciando colei che più tardi doveva allietargli la vita.
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Il 1860
Una volta impugnate le armi Achille Brani sentì che doveva rimanere e rimase, e nel 1860 quando la  curia  Romana,  cattolicamente  aiutava  il  brigantaggio  Borbonico  mille  volte  Achille  Brani arrischiò la vita meritando il plauso dei compagni d’arme e dei superiori.
Il 1866 e il 1870
Più tardi fece la campagna del 1866 e nel 1870 partecipò alla spedizione di Roma quando l’Italia nuova, forte del proprio diritto, scrisse la parola fine alla storia del potere temporale dei Papi.
Brani agli Istituti militari di pena.
Le febbri malariche contratte nella campagna Romana avevano molto debilitata la salute di Achille Brani, ma il Governo comprese quanto utile potesse trarre dalle qualità di mente e di cuore del Brani e lo pose a capo degli stabilimenti militari di pena, dove il nuovo superiore conquistò il diritto ad una delle maggiori lodi alla quale un uomo possa aspirare.
Seppe conciliare cioè il dovere d’infrenare i traviati, pur facendosi da loro amare come un padre. Brani cittadino
Ma la forte fibra di Achille Brani era scossa ed egli dovette chiedere ed ottenne di essere collocato in posizione ausiliaria.
Tornato in Faenza, coprì, e sempre con lode universale diverse cariche pubbliche, ebbe grado e Ufficio nella Loggia massonica Torricelli e dovunque furono tenete in pregio la mente eletta e il nobile cuore di lui. (“Il Lamone”, 21 marzo 1897)
















I funerali di Vittorio Tartagni
Purtroppo le dolorose previsioni si sono avverate! Dopo circa un mese di crudele malattia (ateromasia delle arterie cerebrali), dopo un mese di ansie della famiglia, degli amici, della intera cittadinanza, durante il quale la loro affettuosa assistenza prestarono all’infermo il dottor Paolo Galli, medico curante, e il prof. Alberico Testi, consulente, il nostro dilettissimo dott. Vittorio Tartagni si spense serenamente ieri mattina, sabato, alle ore 7 ½; si spense così com’Egli aveva vissuto, coerente ai suoi principii, fermo nella Sua fede di libero pensatore! Coll’animo straziato
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dall’immane sciagura, la quale in modo speciale colpisce il Lamone (giacché del Lamone Vittorio Tartagni fu fondatore, e benemerito azionista, e talvolta collaboratore, e sempre consigliere ottimo), noi diamo il tristissimo annunzio a tutti i nostri lettori, vicini o lontani, sicuri che il nostro dolore avrà una lunga, profonda ripercussione nell’animo loro.
Dire adeguatamente delle virtù insigni del povero amico nostro non è facile in questo momento, in cui il nostro cuore è spezzato, ed i singulti ci salgono alla gola; mentre sanguina ancora la ferita ed impera il dolore, nulla v’ha di più eloquente, forse, che il silenzio ed il pianto. Egli pareva un perpetuo sorriso di giovinezza, giovinezza di fede, di amore e d’animo; e come nelle forti coscienza mai tramonta il raggio dell’idea onde esse si sono formate e temprate, così pareva non dovesse tramontare e spegnersi mai la forza fisica che di lui, ormai vecchio, faceva sperare una lunga vita. Era di mente sveglia, d’animo buono e giocondo per naturale inclinazione, di spirito pronto ed arguto, di carattere aperto e leale. La grande bontà del suo cuore nobilissimo lo rendeva caro a quanti lo conobbero; la sicura coscienza della propria fede, e l’entusiasmo delle opere che vi corrispondevano pienamente, lo resero ammirato ed amato non solo da coloro che consentivano al suo pensiero, ma anche dagli stessi avversari politici, tra i quali aveva amicizie personali forti e radicate.
Fin dai primi anni della sua gioventù, in quel periodo glorioso della nostra rivoluzione nel quale cospirare significava correre il rischio di lasciar la testa sul patibolo, Vittorio Tartagni si ascrisse alla Giovane Italia (sezione di Bologna), e seguì con entusiasmo le idee mazziniane, nelle quali rimase fermissimo fino alla morte, partecipando all’azione con molta sagacia, incurante di sè e pensoso soltanto della santità dello scopo. Così fu, per esempio, che nel 1858, mentre era studente in medicina a Bologna, ebbe l’incarico di mettere in salvo due disertori ungheresi della guarnigione bolognese; il quale incarico egli scrupolosamente adempì, conducendo i due giovani patriotti a Faenza, e da Faenza mandandoli a Modigliana, presso don Giovanni Verità, del quale godeva la massima fiducia ed amicizia. Nel 1859 fu tra i giovani mazziniani che, mediante l’opera loro prudente ed accorta, contribuirono ad impedire l’aperta scissura tra il La Farina e il Cavour da un lato, e Garibaldi e il Partito d’Azione dall’altro, proponendo che tutte le controversie fossero rimandate a dopo finita la spedizione dei Mille nel mezzogiorno d’Italia: quella spedizione della quale era già sorto il concetto e si preparava l’attuazione.
Quando poi scoppiò la guerra del 1866, il Tartagni fu al suo posto, e compì con vero entusiasmo l’ufficio di medico militare nella Divisione comandata dal general Longhi, dirigendo con rara competenza ed attività il reparto oftalmico di Faenza.
Abbiamo detto di sopra che don Giovanni Verità, l’eroico prete liberale e cospiratore di Modigliana, ebbe per il povero amico nostro un affetto vivo e costante; aggiungeremo qui ora che don Giovanni morì tra le braccia di Vittorio Tartagni, il quale lo aveva amorosamente assistito fino all’ultimo momento. Né ci uscirà mai dalla memoria il volto commosso, rigato da due grosse lacrime, del nostro caro perduto, allorquando, il 26 dello scorso agosto in Modigliana, egli vide cadere il velario che ricopriva il monumento del prete modiglianese. – E mì don Zvan! – balbettò – Né seppe dir altro: ma quelle parole compendiavano sicuramente un tesoro di affetti, di memorie ed anche di speranze per l’avvenire.
Affigliatosi giovanissimo nella Massoneria, fu uno dei fondatori della Loggia Torricelli della nostra città,  e  con  immenso  ardore,  con  instancabile  attività  lavorò  per  gli  ideali  massonici,  che  si compendiano nel trinomio glorioso Libertà – Eguaglianza – Fratellanza; della Loggia Torricelli anzi fu Venerabile per molti anni, dirigendone l’azione con energia non disgiunta da prudenza ed equanimità; e tutti ricordano una Sua Vigorosa lettera pubblica nella quale, dichiarandosi altamente onorato di appartenere all’istituzione massonica, stigmatizzava gli attacchi ingiuriosi e velenosi di parte clericale. L’atto nobilmente leale gli procurò i rallegramenti e le felicitazioni, oltre che dei suoi fratelli di fede, di moltissimi cittadini liberali; del che Egli si sentiva orgoglioso e commosso. Che dire, infine, di Lui come medico e come privato cittadino? Professionista, adempì al suo ufficio con  iscrupolosità  più  unica  che  rara,  e  moltissimi  ammalati  curò  gratis  nel  suo  ambulatorio oftalmico della farmacia Zanotti, e passò beneficando nelle case de’ poveri, ai quali non di rado
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lasciava di che comprare le medicine o gli alimenti; cittadino, diè esempio memorabile di una vita integra e specchiata; “Fu un galantuomo perfetto” – dicono di Lui quanti lo avvicinarono; “l’anima sua racchiuse un tesoro di virtù e di amore” – dicono tutti quelli che più da presso poterono spinger lo sguardo nelle intime fibre del suo cuore buono.
Agli Ospizi Marini, de’ quali era segretario, giovò col consiglio, con la beneficenza, con l’opera, ed a lungo si ricorderanno di Lui le centinaia di poveri bambini scrofolosi ch’Egli ogni anno, con animo di padre, accompagnava ai bagni a Riccione; all’Orfanatrofio femmine fu medico esperto ed affettuoso, tanto che, mentre Egli era gravemente ammalato, la Presidenza dell’Orfanatrofio gli fece pervenire una lettera commovente, di speranza e di augurio: al Pio Istituto Mazzolani, infine, di cui fu per lunghi anni Presidente durante l’amministrazione radicale, recò i grandi vantaggi dell’opera Sua d’amministratore retto, previdente, coscenziosissimo.
E’ morto sulla breccia. Il giorno innanzi di mettersi a letto aveva operato di cateratta, con mano ferma, un vecchio suo coetaneo, restituendogli la vista e con la vista la maggior parte dei benefici della vita; e la notte precedente all’operazione non aveva dormito, angustiato dal pensiero che la grave età  e l’imminenza della  propria malattia  (di cui  aveva avuto non dubbi segni) non  gli consentissero quella felice riuscita ch’Egli desiderava.
A Vittorio Tartagni il nostro mesto e riverente saluto!
La Sua memoria vivrà sacra nel nostro cuore ed in quello della intera cittadinanza! (Il Lamone 30 dicembre 1906)
Onoranze funebri al dott. Vittorio Tartagni.
Le onoranze funebri che Faenza liberale rese domenica scorsa alla salma del nostro carissimo amico dott. Tartagni, troppo presto ahimé! Rapito all’affetto delle sue gentilissime figlie e di tutti i buoni, furono veramente grandiose e degne di Lui, sia pel concorso di popolo, sia per la qualità degl’intervenuti. La nostra città fu, può dirsi, unanime nel lutto e nelle dimostrazioni di cordoglio. Come i lettori sanno, pubblicarono manifesti nobilissimi, e nei quali vibrava concorde la nota dell’ammirazione per la bontà squisita del povero Estinto, la Loggia massonica Torricelli, gli Amici, il Partito Repubblicano, l’Associazione Nazionale fra i Sanitari, l’Associazione dei Medici di Romagna, la Società degl’Impiegati Civile, l’Associazione di M. S. Fra gli operai.
Telegrafarono condoglianze e furono rappresentati: il  Gran Maestro della Massoneria Italiana, Ettore Ferrari, il Presidente del grado XXX, il Capitolo dei IX di Ravenna, la Loggia Risveglio Basso Ferrarese di Copparo, la Loggia Felice Foresti di Ferrara, il dott. Prof. Luigi Babacci e il dott. Silvio Pata da Forlì; il dott. Enrico Evangelisti da Lugo, pei medici lughesi, il dott. Lorenzo Venturi da Cotignola, il prof. Giuseppe Borghi da Imola, il sig. Giuseppe Brenti da Tredozio, l’ing. Romeo Boselli Donzi da Bologna, il  sig. Pietro Cagnoni da Ravenna, il  sig. Sante Babini da Massa Fiscaglia, i dottori Gambarati, Ghigi e Saravalle da Russi, il dottor Gugnoni da Forlì, le famiglie Trevi e Muratori, Livio ed Elena Pasini, pure da Forlì, il cav. Filippo Agosti da Mantova; il maggiore Pietro Gramentieri da Parma, l’avv. Enrico Golinelli e il prof. Ing. Antonio Zannoni da Bologna; il dott. comm. Domenico Nigrisoli da Ravenna; la famiglia Del Vecchio da Forlì; Ernesto Nathan da Roma; la Sezione Repubblicana e i sodalizi popolari da Modigliana.
Oltre al nostro Lamone, pubblicarono necrologie piene di venerazione e di affetto, e riboccanti di vivo e sentito dolore i giornali Il Popolo di Faenza, il Faro Romagnolo e la Libertà di Ravenna, il Resto del Carlino di Bologna, la Vita di Roma.
La cara salma dell’Estinto, con sciarpa e decorazioni massoniche, disteso su un piccolo letto di ferro adorno di foglie d’edera, a capo del quale s’ergeva il labaro rosso e verde della Loggia massonica Torricelli di Faenza, fu vegliata a turno, fino al momento del trasporto, dai Fratelli di fede e dagli amici; é superfluo il raccontare tutte le manifestazioni di cordoglio, di affetto, di rimpianto che i molti  visitatori  ebbero  per  il  caro  perduto,  tutte  le  lacrime  che  Fratelli  ed  amici  versarono, deponendo ciascun fratello il fiore simbolico sulla salma, secondo le disposizioni del pietoso e poetico rito.
Alle ore 15 ½ il mesto corteo, in forma puramente civile, partì dalla casa dell’Estinto, e s’avviò pel
Corso Mazzini, la Piazza centrale, il Corso di Porta Montanara, verso il cimitero. Precedevano con
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bandiera le rappresentanze del Ricreatorio Laico, dell’Asilo Infantile, dell’Istituto Mazzolani, degli Ospizi Marini, dell’Orfanatrofio femmine e dell’Orfanatrofio maschi; seguiva il carro funebre di seconda classe (il povero amico nostro avea lasciato ordine che i suoi funerali fossero modestissimi e senza fiori), sul quale era la sciarpa massonica dell’estinto; ed attorno al quale stavano sei labari massonici: a destra quelli delle Loggie Rubicone di Cesena, Venerucci di Rimini, Torricelli di Faenza; ed a sinistra quelli delle Loggie Saffi di Forlì, Alighieri di Ravenna, Fabrizi di Modena. Dietro al carro funebre, dopo i rappresentanti della famiglia, venivano i rappresentante del Grande Oriente di Roma, Giuseppe Brussi, e della Loggia 8 Agosto di Bologna. Reggevano i cordoni del carro il cav. Ing. Luigi Biffi per la Loggia Torricelli di Faenza, il sig. Zanotti per gli amici, il dott. Umberto  Brunelli,  per  l’Associazione  Nazionale  dei  Medici,  il  prof.  Testi  Alberico,  per l’Associazione fra i Sanitari di Romagna, il sig. Avv. Vicini pel Municipio di Faenza, il sig. Pietro Liverani pel Partito Repubblicano Italiano.
Seguiva un immenso stuolo di Fratelli di fede e di Amici; tra cui anche non poche Signore. Chiudevano il lunghissimo e mesto corteo i Reduci Garibaldini Vincenzo Caldesi e le bandiere del P.R.I. con relative rappresentanze. Tra due ali di popolo riverente e silenzioso, il trasporto giunse al Cimitero; e quivi parlarono degnamente, con viva e affettuosa spontaneità, l’avv. Giuseppe Brussi per la Massoneria, il dott. Brunelli per l’Associazione Nazionale dei Medici, il dott. Dal Prato per l’Associazione  fra  i  Sanitari  di  Romagna.  Pubblichiamo  più  sotto  il  testo  del  bellissimo, commovente discorso del dott. Antonio Dal Prato, e quello altrettanto bello e commovente di Giuseppe  Brussi,  dolente  che  l’assenza  del  Dr.  Brunelli  dalla  Romagna  non  ci  permetta  di pubblicare anche il nobile ed elevato discorso di lui.
Concludendo: la nostra Faenza seppe compiere nobilmente il suo dovere di riconoscenza e di affetto verso il suo diletto figlio, verso l’immacolato cittadino, che tutte le energie della Sua nobile vita spese a beneficio della sua città natale e della patria, e pel trionfo dei più alti ideali di libertà e di umanità.
Sappiamo che i Fratelli e gli Amici dell’estinto hanno iniziato una sottoscrizione, erogando a favore degli Ospizi Marini, che stavano tanto a cuore del povero Tartagni, o di altre opere pie, i denari da loro destinati invece di fiori.
Ciò dimostra quanto sia stata sentita nella nostra città l’immensa sciagura che rapiva il più buono, il più mite, il più onesto e nobile di tutti noi!
DISCORSO DAL PRATO
Mancherei ad uno stretto dovere, per quanto in questo momento sia per me penosissimo, se non mandassi anch’io l’ultimo saluto alla cara salma del Dott. Tartagni a nome dell’Associazione fra i Sanitari delle Romagne, di cui fu uno dei più fedeli veterani.
Fedele veterano – ecco in una parola resa la caratteristica di tutta la sua vita! Fedele veterano per l’arte sua che coltivò fino agli ultimi momenti; fedele veterano per la sua classe, della quale seguì sempre con giovanile fervore tutte le vicende; fedele veterano nell’amore degli umili che sempre predilesse e della famiglia che egli volle gelosamente custodita dal suo occhio paterno; fedele veterano infin pei suoi principii ai quali anche davanti alla morte e anche dopo morte, a differenza di tanti, volle restar fermo.
O figlie che lo adoravate, e vi mostraste così eroiche nel vostro dolore quando davanti alle proposte dei soliti mercanti di coscienze rispondeste quelle semplici e nobili parole che vi renderanno eternamente degne del padre che piangete ...
O genti umili che ne vedeste e ne provaste il cuore buono e generoso!
O  amici,  che  scopriste tutta  la  squisitezza di  quell’anima delicata  pur  sotto la  scorza di  una bonarietà gioconda che sembrava indifferenza, ed era la serenità della coscienza tranquilla!
O colleghi, che pur sotto un manto di modestia impenetrabile scorgeste tutta la vivacità della sua intelligenza, e ne saggiaste tutta la lealtà, tutto lo scrupolo, tutta la rettitudine! ...
Ebbene, la figura di Vittorio Tartagni non muore coll’involucro suo fisico. Essa resta e resterà ancora per molto tempo una bella, una simpatica figura di lavoratore, di medico condotto, di cittadino che ha compiuto nobilmente la sua giornata. Essa è sempre là davanti ai nostri occhi ferma
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e salda nella sua austera dolcezza che ammonisce.
O colleghi, noi abbiamo molto da imparare da questo collega che ha finito.
O giovani, voi avete molta forza d’animo, molta fermezza di carattere da attingere da questo vecchio che muore e vi insegna.
DISCORSO BRUSSI
Signori – Quando pochi giorni or sono, sotto una pioggia torrenziale un piccolo manipolo di cittadini accompagnavano, mesti e reverenti, la salma del compianto amico carissimo Carlo Caldesi, sfidando intemperie ben più gravi di quella d’oggi, si vide tra quei pochi un uomo già vecchio ed in modo apparente minato nella salute, procedere con passo sicuro in mezzo a noi.
Quel vecchio era il dottor Vittorio Tartagni il quale, di fronte all’amicizia e sotto l’impulso del cuore, sfidava le ire del tempo, le ragioni dell’età, le minaccie di un male che covava, per compiere quello che esso reputava un dovere.
In questo piccolo episodio sta tutta la caratteristica della vita di Vittorio Tartagni.
Io non avrei mai creduto, o Signori, che a così breve distanza da quel doloroso giorno sarei dovuto tornare qui per portare al fratello carissimo dottor Vittorio Tartagni l’estremo saluto, non solo in nome del Governo dell’Ordine e della Universale Massoneria, alla quale il fratello Tartagni si onorò di appartenere, ma anche a nome delle Loggie di Romagna qui convenute con i loro labari e della Loggia Torricelli di Faenza, della quale il F. Tartagni resse a lungo le sorti con cuore elevato e mano ferma.
Voi poi, o Signori, sapete quali consuetudini di vita quotidiana, quali legami mi stringessero al fratello Tartagni, e mi credereste sulla parola se io vi dico che in questo momento non posso farvi un discorso degno di lui, degno della grande e secolare istituzione massonica in nome della quale ho l’onore di parlare, perché troppa è l’angoscia dell’animo mio. Dalla morte di mio padre ad oggi mai avevo provato così atroce dolore come quello che a me cagionò la morte del f Tartagni.
Io mi limito perciò a ringraziare gli Istituti educativi, le numerose associazioni politiche e professionali, il largo ed imponente stuolo di cittadini che accogliendo l’invito della nostra Loggia, accorsero a rendere questo estremo tributo di onore alla cara e venerata memoria di Vittorio Tartagni.
Ringrazio per voi, carissimi fratelli, accorsi così numerosi dalle varie Valli di questa Romagna nostra.
Io vi prego, quando ciascuno di voi torni al proprio Oriente, di voler chiamare attorno a voi i fratelli più giovani per parlar loro della solennità di queste onoranze rese al fr. Tartagni.
Dite loro che il fr. Tartagni, - dal giorno nel quale cospirava con Mazzini, a quello nel quale come medico militare nel 1866 leniva i dolori che della guerra sono conseguenze, - dal giorno nel quale divenne medico valente e stimato per ogni parte di Romagna a quello nel quale a 70 anni operava brillantemente di cateratta un altro settantenne, dite loro che sempre VITTORIO TARTAGNI, al disopra della politica e della scienza, pose il cuore, pose un amore fraterno verso tutti gli uomini, un illuminato spirito di filantropia, pel quale sorsero e prosperarono attorno a lui le istituzioni delle quali più si giovano i figli del popolo.
Dite loro che il fratello Tartagni fu franco e sommo assertore in faccia a tutto il mondo, dei vostri ideali e della fede massonica, e che noi alle basse accuse del secolare nemico possiamo rispondere che quando uomini della probità di Vittorio Tartagni e della virtù sua, da tutti riconosciuta, muoiono fedeli alla nostra Istituzione e si onorano di appartenervi e di dividere il nostro lavoro, noi possiamo disprezzare le stolte e gratuite calunnie.
Ed ora consentitemi, o Signori, che a nome dei fratelli di Fede, che commossi vedo stringersi attorno a me, e a nome di voi tutti io mandi un pensiero di affetto e una parola di conforto alle buone e care figliuole dell'estinto. Esse col cuore straziato dal dolore, seppero con onesta fermezza difendere il patrimonio morale del padre mostrandosi veramente buone e veramente degne di Lui. Come nel loro cuore, finché la vita duri, vivrà eterno il ricordo e il desiderio del padre perduto, così nei vostri cuori fraterni e tra le nostre colonne vivrà eterna la memoria del fratello Tartagni, esempio insigne dell’ingegno congiunto alla modestia, alla fermezza del carattere, della probità
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della vita, congiunti ad una inesauribile ed infinita bontà.
Fratelli delle logge di Romagna, onorate la memoria di Vittorio Tartagni imitandone la virtù. Questo sia il monumento che gli erigeremo nei nostri cuori fraterni.
(Il Lamone 6 gennaio 1907)
























Biografie sommarie
ALBANESI LUIGI Di Castelbolognese, ex ufficiale napoleonico, cospiratore, carbonaro. Nato il 18 aprile
1776 entra in servizio come sottotenente nell’anno V nella Legione Emilia, nel 1809 è nominato membro della Legion d’Onore e nel 1813 raggiunge il grado di maggiore. Con Murat è incaricato del reclutamento dei volontari nel Dipartimento del Rubicone.
ALBERANI  GIUSEPPE  Affiliato  alla  Loggia  Il
Lamone, carcerato nel 1799.
ALBONETTI VINCENZO  Affiliato  alla  Loggia  Il
Lamone, democratico di Fognano.
AMBROSINI  OLIVIERO  Affiliato  alla  Loggia  Il
Lamone, democratico di Brisighella.
ARMANDI PIER DAMIANO Affiliato alla Loggia Il Lamone,  risulta  anche  affiliato,  come  fratello  di  1ª classe ad una Loggia milanese. Tra i fondatori del Circolo Costituzionale Democratico di Bologna.
BACCARINI SEBASTIANO Affiliato alla Loggia Il Lamone. Nato a Faenza il 9 giugno del 1776 ed ivi morto  il  12  dicembre  1853.  Arrestato  nel  1799  al ritorno  degli  Austriaci  come  acceso  giacobino,  si
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arruola volontario nelle Guardie d’Onore il 28 gennaio
1806. Combatte a Napoli ed in Spagna e nel 1810 è decorato della Corona Ferrea e l’anno successivo della Legion d’Onore. Raggiunge il grado di maggiore e nel
1815 segue Murat. Esula con la reazione del 1821/2 e nella sentenza Rivarola è  fra gli abilitati a  rientrare nello Stato per sottoporsi a giudizio. Rientra probabilmente in patria nel 1828. Nel 1847 è nominato colonnello comandante della Guardia Civica faentina.
BADINI SANTIPPO Di Cotignola, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, nato il 7 giugno 1872, ingegnere, Apprendista il 7 febbraio 1905, Compagno il 18 aprile 1910, Maestro il 4 gennaio 1913.
BAGNARESI BATTISTA Di Giovanni, di Castelbolognese, affiliato alla seconda Loggia Torricelli,  ragioniere,  Apprendista  il  18  novembre
1918.
BAGNARESI BATTISTA Di Antonio, di Castelbolognese, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, nato l’8 luglio 1899, geometra, Apprendista
14 marzo 1923, Compagno 8 giugno 1923.
BALBONI CARLO Affiliato alla Loggia Il Lamone. n Nato il 19 luglio 1791 entra in servizio nel 1811 col grado di sergente raggiungendo presto il grado di ufficiale. Nel 1815 segue Murat e l’anno successivo entra  nella  Gendarmeria pontificia di  stanza  a  Forlì dove è tra i fondatori della Vendita carbonara dell’Amaranto che accoglie diversi ufficiali della guarnigione ed ha il grado di capo-sezione. Abbandona poi il servizio e con la copertura di attività commerciali si dedica all’organizzazione di sètte carbonare, logge guelfe, militari e studentesche in varie città dell’Emilia e della Toscana. Tenta dovunque di ottenere la fusione della superstite Massoneria con la carboneria per organizzare una rivolta nello Stato pontificio in concomitanza coi moti di Napoli, Piemonte e Spagna. Scoperto viene arrestato nella notte dal 3 al 4 luglio
1821 e rinchiuso nelle carceri di Ferrara. Condannato nel 1825 dal Cardinal Rivarola alla detenzione perpetua viene liberato coi moti del 1831 e ripara in Francia. Nel
1847   si trovava a Firenze, poi di lui si perde ogni traccia.
BALDI GAETANO Probabile affiliato alla Loggia Il Lamone. Nato a Faenza il 16 dicembre 1782 è volontario nei  Veliti  Reali  nel  1805 come sergente. Combatte in Dalmazia, Italia, Austria, Russi, Prussica e Provincie Il  liriche e  viene  decorato con la  Corona Ferrea. Nel 1813 raggiunge il grado di tenente. Nel
1815 segue Murat e la sentenza Rivarola del 1825 lo condanna a morte come reo di alto tradimento, carbonaro ed appartenente all’Unione degli Ulluminati, e di delitti capitali. Commutata la pena con il carcere a vita viene liberato coi moti del 1831 dopo i quali esula in Francia. Nel 1848, col grado di capitano della Guardia Civica, partecipa alla difesa di Vicenza con i volontari faentini.
BALDINI UGO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Ragioniere comunale, collaboratore sporadico de “Il Lamone”. Apprendista 5 marzo 1904.
BALELLI MARCO CLAUDIO. Affiliato alla prima Loggia Torricelli, nato a Faenza nel 1827, medico. è cospiratore sempre fra i più equilibrati, nel 1859 fa parte della Giunta Provvisoria di Governo di Faenza e che nello stesso anno è eletto deputato all’Assemblea di Bologna. Anch’egli fa parte del gruppo dei fondatori dell’Associazione Industriale prima di trasferirsi come protomedico a San Benedetto del Tronto dove muore da libero pensatore nel 1885.
BALESTRAZZI PIETRO Carcerato nel 1799.
BALLARDINI LUIGI Fu Angelo, di Ravenna, nato 7 settembre  1883,  affiliato  alla  seconda  Loggia Torricelli,   dottore in agraria. Apprendista 10 ottobre
1918, Compagno 8 gennaio 1920, Maestro 8 gennaio
1920.
BARBERINI ….. Affiliato alla Loggia Il Lamone, democratico di Fognano.
BARBIERI PIETRO Di Castelbolognese.
BARDANI   PROCOLO   Affiliato   alla   Loggia   Il
Lamone, carcerato nel 1799.
BARNABÉ ANGELO Di Domenico, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, industriale. Apprendista 0 gennaio 1920, Compagno 8 febbraio 1921, Maestro 27 dicembre 1921.
BARONCELLI ANDREA Affiliato alla Loggia Il Lamone, di Sebastiano, gendarme, viene condannato a quindici anni di detenzione, ridotti ad undici e un quarto. Con la sentenza Rivarola del 1825. Nel 1833 è nuovamente colpito da precetto politico e nel 1849 è castellano di Castelfranco. Successivamente è Ispettore delle carceri di Forte Urbano in Bologna ed in tale veste aiuta il carbonaro ravennate detenuto Primo Uccellini ed altri.
BARTOLAZZI VINCENZO Affiliato alla Loggia Il
Lamone, carcerato nel 1799.
BENEDETTI  GIOVANNI  Affiliato  alla  Loggia  Il
Lamone, carcerato nel 1799.
BERTOLAZZI DOMENICO Affiliato alla Loggia Il Lamone. Nato a Faenza il 24 marzo 1786 e morto a Forlì il 14 aprile 1862. Chirurgo partecipa alle campagne d’Austria, Spagna e Italia meritando la Corona Ferrea alla battaglia di Dresda. Nel 1815 segue Murat e si dedica poi alla professione medica pubblicando anche alcune opere scientifiche. Nelle confessioni che portano al processo Rivarola è indicato fra gli iscritti alle sette. Dopo la sua partecipazione alla rivolta del 1831 per la quale viene espulso dall’impiego di  medico  esula  in  Francia.  Tempo  dopo  ottiene
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condotta medica a Forlì e si distingue durante l’epidemia di colera del 1855.
BERTONI   VINCENZO   Affiliato   alla   Loggia   Il
Lamone, carcerato nel 1799.
BIFFI GENTILI UGO Di Luigi, affiliato alla seconda
Loggia  Torricelli,  possidente.  Maestro  22  dicembre
1895. Figlio di Luigi Biffi nasce a Faenza il 6 luglio
1870 e muore a Firenze il 1° giugno 1929. Dopo gli studi al Liceo faentino compie quelli di medicina a Torino, Napoli e Bologna ove si laurea nel 1895. Segue poi la Scuola di Perfezionamento e nel 1896 si iscrive a Berlino ai corsi di bacteriologia ed igiene. L’anno successivo   è   nominato   assistente   effettivo   della Sezione Medica
BIFFI LUIGI (1840-1912). Affiliato alla seconda Loggia Torricelli. Di Giuseppe, ingegnere. Maestro 10 marzo  1894.  Ingegnere,  architetto,  cavaliere. Progettista della casa neogotica del canonico Valenti (attuale caserma dei carabinieri). 1904: rappresentante degli azionisti nel Ricreatorio Laico Festivo. 1905: partecipa al  banchetto per  festeggiare il  laticlavio a Clemente Caldesi. Aggiungere Anticlericale
BIFFI  VINCENZO  Fu  Alessio,  affiliato  seconda
Loggia Torricelli, commerciante. Maestro 5 febbraio
1904. 1890, agosto: eletto Consigliere Comunale nella lista  di  sinistra  con  686  voti.  1903:  benefattore del Ricreatorio Laico Festivo.
BOLOGNINI ALFREDO Affiliato seconda Loggia
Torricelli, Maestro 19 ottobre 1903.
BONAZZOLI  GIUSEPPE  Affiliato  alla  Loggia  Il
Lamone, carcerato nel 1799.
BONETTI GIULIO Di Angelo, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, nato a Roma il 17 marzo 1887, avvocato. Apprendista 15 febbraio 1922, Compagno 23 ottobre 1922.
BONNINI CARLO Affiliato alla Loggia Il Lamone, carcerato nel 1799.
BORGHESI VINCENZO Fu Giuseppe, affiliato seconda Loggia Torricelli, nato 31 gennaio 1872, commerciante.  Apprendista  30  maggio  1919, Compagno 3 gennaio 1920. Nel 1896 è volontario garibaldino nella guerra greco-turca per Candia.
BORGHI GIUSEPPE Affiliato alla seconda Loggia
Torricelli, professore, Maestro 26 febbraio 1904. Nel
1904 svolge una conferenza alla “Dante Alighieri” in tema di alimentazione. Nello stesso anno partecipa al banchetto per festeggiare il laticlavio a Clemente Caldesi. 1905, 12 novembre: “Oggi a Imola col concorso di molti amici nostri, estimatori da lunga data del Prof. Giuseppe Borghi, si festeggia il 25° anniversario dell’insegnamento dell’amico nostro, oggi Direttore  di  quella  Scuola  Agraria.”  Nella  stessa
occasione viene nominato Ufficiale della Corona d’Italia.
BOSI DOMENICO Democratico di Brisighella.
BRAGALDI GIOVANNI DAMASCENO Affiliato alla Loggia Il Lamone, nato a Castelbolognese nel 1763 studia nel Seminario faentino e si laurea poi in giurisprudenza all’Università di Bologna. A Castelbolognese ricopre incarichi municipali ottenendo nel 1796 che il comune sia aggregato a Bologna nel Dipartimento del Reno. Deputato al secondo Congresso Cispadano è chiamato nel Corpo Legislativo alla costituzione della Repubblica Cisalpina assumendone nel 1798 la segreteria e distinguendosi nel settore finanziario. Dopo Marengo è Commissario di Governo presso il Dipartimento del Santerno e nel 1801 è deputato, in rappresentanza della Guardia Nazionale, alla  Consulta  di  Lione.  Nel  1802  è  viceprefetto  di Imola.
BRANI  ACHILLE.  Affiliato  alla   prima   ed   alla seconda Loggia Torricelli nasce a Forlì nel 1834, ma viene portato a Faenza in fasce dal nonno materno Michele Bosi che se ne prende cura. Si laurea in giurisprudenza a Bologna ed ha appena iniziato la professione forense a Faenza quando lo scoppio della seconda guerra d’indipendenza lo porta ad arruolarsi. Si rafferma come ufficiale del Regio Esercito, combatte il brigantaggio e la terza guerra d’indipendenza e partecipa nel 1870 alla presa di Roma prima di passare, a causa della malaria contratta nelle campagne romane, a  dirigere  gli  Istituti  Militari  di  Pena.  Collocato  a riposo col grado di maggiore e nominato Cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro rientra a Faenza dilettandosi nello scrivere versi sotto lo pseudonimo di Emiliano Romagnoli  e  ricoprendo  incarichi  pubblici  in particolare nel settore dell’istruzione. Muore nel 1897 come  libero  pensatore  dopo  avere  avuto  grado  ed ufficio nella Loggia Torricelli e lascia la sua biblioteca alla Biblioteca Comunale.
BRIOLO LUIGI Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 28 gennaio 1907. Fu Antonio, nato a Cuneo il 7 maggio 1880, ufficiale di cavalleria.
BRUNI  ROBERTO  Affiliato  alla  seconda  Loggia
Torricelli, Apprendista 18 novembre 1921, Compagno
16 giugno 1922, Maestro 5 dicembre 1923. Di Vincenzo,  nato   a   Faenza   il   30   novembre  1900, enologo.
BRUSSI GAETANO.
BRUSSI GIUSEPPE. Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro 29 maggio 1896. Fu Luigi, Avvocato. 1897: al funerale di Achille Brani pronuncia l’orazione funebre in  nome della Massoneria. Fra il
1899 ed il 1905 svolge una serie di conferenze annuali sul Risorgimento italiano intitolate “Ricordo del XX Settembre”   nelle   quali   fa   ampie   citazioni   delle memorie a  lui  dettate  da  don  Giovanni Verità.  Nel
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1905 rappresenta il Comitato Organizzatore del banchetto per festeggiare il laticlavio a Clemente Caldesi. Nel 1907 firma per la Loggia Torricelli il manifesto funebre per la morte di G. Carducci (vedi in appendice).
BRUSSI  LUIGI  Avv.  Vedi  allegato  “Il  cosidetto
Testamento di Don Giovanni Verità”
BRUSSI VINCENZO. Notaio. Figlio di Luigi e nipote di Gaetano, entrambi grandi cospiratori amici fraterni di don Giovanni Verità ed affiliati notoriamente alla Massoneria. Buon  giocatore di  bracciale per  quanto zoppo. Piuttosto alto, le spalle larghe, ben piantato, con un’aria di imperturbabile sicurezza, barba alla cappuccina,   ma,   folta,   tonda,   occhi   penetranti   e profondi sotto l’arco scuro delle folte sopracciglia. Moriva al Ghiarone, nell’arcipretale di Sarna, in età di anni 81, l’8 settembre 1944. Soprannominato Cencio. Fu molto amico di don Antonio Zecchini, storico faentino, che ne scrive: “... e forse sarebbesi, pur con un gesto di assentimento, accomunato a me nel cercare, come viatico estremo, il sublime conforto della preghiera, chiedendo a  Dio  quel  perdono, e  da  Lui attingendo quella speranza che aveva chiesto invano alla  giustizia  fredda  e  alle  promesse  fallaci  degli uomini ...” Lascia allo stesso don Zecchini le memorie manoscritte dello zio Gaetano tuttora inedite. (Fotografia b/n).
BUBANI GIUSEPPE Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 30 maggio 1919. Compagno 3 gennaio 1920. Di Luigi, nato a Faenza il 10 maggio
1893, ufficiale di fanteria.
BUDINI GIUSEPPE Affiliato alla Loggia Il Lamone, di Castelbolognese, carbonaro ed esule.
CALABRI DANTE Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 12 marzo 1906, Compagno 4 novembre 1909, Maestro 20 novembre 1910. Di Giovanni, nato a Modigliana il 18 dicembre 1873, studente in legge.
CALDESI VINCENZO. Affiliato alla Loggia Galvani di Bologna. Nato a Faenza il 2 agosto 1817 da famiglia giacobina   inizia   giovanissimo   a   dare   aiuto   ai cospiratori ricercati. A Firenze cospira con altri patrioti faentini e, col Ribotty, organizza il sequestro dei “Tre Cardellini”. Costretto ad espatriare rientra in Faenza nel 1845 purtroppo in ritardo per partecipare al moto delle Balze; ritorna quindi in esilio sino all’amnistia di Pio IX ed è, pur mazziniano convinto, fra i patrioti più assennati. Partecipa poi alla battaglia di Vicenza come ufficiale addetto allo Stato Maggiore del generale Durando. Nel  ’49  è  eletto  deputato  alla  Costituente Romana ed a Roma fa parte della Commissione alle Barricate.  Espatriato  poi  in  Francia  è,  con l’inseparabile fratello Leonida e con Domenico Lama, sulle barricate di Parigi contro il colpo di stato di Napoleone  III.  Intimo  di  Mazzini  ripara  quindi  a Londra dove apre uno studio fotografico che diviene
ben presto famoso nel bel mondo londinese, studio che ha fra i propri clienti anche la regina Vittoria e fra i collaboratori il  famoso anarchico Amilcare Cipriani. Lo studio è anche una delle principali fonti di ricavi finanziari per l’organizzazione mazziniana in quanto le fotografie di Giuseppe Mazzini stampate e vendute in migliaia di copie coprono coi ricavi le spese necessarie alle cospirazioni.  Con tutta probabilità sovvenziona ed aiuta  anche  Giovanni  Pianori  nell’attentato  a Napoleone III. Rientra in patria nel 1859 per organizzare la  colonna Roselli. Raggiunge poi Garibaldi nell’Italia meridionale come ufficiale di Stato Maggiore, non può, gravemente ammalato, essere nuovamente col Generale all’Aspromonte, ma è di nuovo con lui nel ’66 in Trentino e nel ’67 a Monterotondo. Si ritira poi a Firenze dove muore il 7 agosto 1870. Giosuè Carducci lo celebra come Leon di Romagna.
CALZI ACHILLE Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 7 febbraio 1905. Di Giuseppe, nato a Faenza il 4 settembre 1873, apprese le basi del disegno nella scuola “T. Minardi” diretta da Antonio Berti per passare poi a Firenze nella scuola di A. Burcheri dove si diplomò insegnante di disegno industriale oltre che artistico. Fu infatti il Calzi uno dei più  esperti  disegnatori  di  arte  applicata  e   molto contribuì  allo  sviluppo  artistico  dell’artigianato faentino, quando trionfava lo stile “Liberty” o floreale, all’inizio  di  questo  secolo.  Ma  la  natura  erotica  e satirica del suo temperamento lo portò ad abbandonare il verismo pittorico per l’Espressionismo allegorico con tendenze simboliste ove spesso il nudo femminile deformato in forme esasperate e tenebrose, rasenta il macabro. In lui l’Espressionismo di gusto “mitteleuropeo” e secessionistico, influenzato dalle scuole di Monaco e di Vienna, tendeva ad obliterare il fondo romagnolo umanitario così ben impersonato dal più giovane concittadino Domenico Baccarini: Calzi si era  culturalmente  formato  nell’ambiente nazionalista che  faceva capo  ad  Alfredo  Oriani molto amico ed ammirato dal vecchio maestro A. Berti; inoltre su Calzi influiva la tradizione risorgimentale mazziniana a massonica del padre. Prevaleva in lui uno spirito scettico   da   libero   pensatore   più   che   un’anima romantica e mistica come invece aveva Baccarini, eppure anche nello stile disegnativo di Calzi si trovano tracce baccariniane che stranamente si legano con i più scattanti e mondani graficismi di gusto centro-europeo del  triestino  Marcello  Dudovich  presente  ed  attivo anche  a  Faenza,  dove  risiedevano  i  parenti  della moglie. Stretto fra questi due grandi disegnatori, il mistico Baccarini ed  il  mondano Dudovich, calzi si difese  col  suo  Espressionismo  simbolista,  ma soprattutto col disegno satirico aggressivo e di effetto immediato che era il più idoneo ad esprimere i suoi sentimenti patriottici di commentatore dei tragici avvenimenti della prima guerra mondiale. Andato in pensione il Berti, alla Scuola di Disegno nel 1906, il Calzi viene incaricato all’insegnamento del disegno ornamentale, dopo che aveva fatto da assistente al maestro già nell’anno precedente. Nel 1909 è autore
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della parte artistica (il Messeri di quella storica) del volume “Faenza nella storia e nell’arte” edito, sia pure in ritardo, in occasione della Esposizione Torricelliana. Nell’anno 1911, continuando l’insegnamento dell’ornato, il Calzi aveva assunto anche la direzione della Scuola. Achille Calzi morì inaspettatamente nel
1919.
“Sappiamo che la Deputazione Provinciale di Ravenna in una delle sue ultime sedute chiamava a far parte del Consiglio Accademico di Belle Arti della nostra provincia il concittadino prof. Achille Calzi.”
(Il Lamone 02.06.1907)
Conservatore  della  Pinacoteca  e  Museo  oltre  che
Direttore della Scuola “T. Minardi”.
CANAVARI  VINCENZO  Affiliato  alla  Loggia  Il
Lamone, carcerato nel 1799.
CANI    CARLO    Affiliato    alla    seconda    Loggia
Torricelli, Apprendista il 2 agosto 1907. Contabile.
Il 15.03.1904 scrive a “Il Lamone” a proposito di quanto comunicato sulla sua nomina a Vice Presidente della Società fra gli Impiegati Civili specificando di non essere ragioniere sebbene il   “... lungo servizio prestato come contabile in uffici pubblici e privati.
CANI GIOVANNI Affiliato alla Loggia Il Lamone, di
Castelbolognese.
CASATI GIUSEPPE Affiliato alla Loggia Il Lamone, carcerato nel 1799.
CASTELLANI FILIPPO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro il 26 febbraio 1904. Fu Bartolo, nato a Viardo il 24 marzo 1862, tenente bersaglieri.
CATTANI  CARLO  Di   Brisighella,  affiliato  alla
Loggia Il Lamone.
CATTANI PASQUALE Di Brisighella, Affiliato alla
Loggia Il Lamone,
CENNI GIOVANNI Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 14 marzo 1923, Compagno 8 giugno 1923. Di Achille, nato a Bagnacavallo il 21 agosto 1885, ferroviere.
CECCARELLI TOMMASO Affiliato alla Loggia Il
Lamone, carcerato nel 1799.
CERONI DOMENICO Di Brisighella, Affiliato alla
Loggia Il Lamone.
CIANI  LUIGI  Affiliato  alla  seconda  Loggia Torricelli, Apprendista 18 novembre 1921. Di Giulio, nato a Modigliana nel 1893, ragioniere.
DELLA  VALLE  PROSPERO  Di  Brisighella, Affiliato alla Loggia Il Lamone.
DI  GIORGIO  UMBERTO  Affiliato  alla  seconda
Loggia Torricelli, Apprendista il 28 gennaio 1907. Fu Giovanni, nato a Roma il 14 marzo 1882, ufficiale di cavalleria.
DILETTI GIOVANNI Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista il 2 agosto 1907. Fu Pasquale, nato  a  Brisighella il  24  novembre 1878,  industriale inchiostro.
DILETTI PLACIDO Affiliato alla  seconda Loggia Torricelli, Apprendista il 2 agosto 1907. Fu Pasquale, nato a Brisighella il 23 dicembre 1883, studente.
DONATI DOMENICO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro 27 giugno 1898. Di Battista, nato a Faenza, possidente.
EVANGELISTI ENRICO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro il 22 dicembre 1895. Nato a Bentivoglio, medico.
FAGNOCCHI GIUSEPPE Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 23 marzo 1921, Compagno 16 giugno 1922, Maestro 8 giugno 1923. Di Angelo, nato a Faenza il 30 aprile 1892, impiegato.
FANELLI ARMANDO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista il 9 febbraio 1920. Nato a Modigliana, direttore d’orchestra.
FANTINI  ODDONE  Affiliato  alla  seconda  Loggia
Torricelli, Apprendista 12 dicembre 1918, Compagno
8 febbraio 1921, Maestro 8 febbraio 1921. Di Bettino, nato a Carreggio il 15 gennaio 1890, ufficiale di fanteria.
FAVOLINI GIUSEPPE Di Castelbolognese, Affiliato alla Loggia Il Lamone.
FERLINI ACHILLE Affiliato alla  seconda Loggia Torricelli, Apprendista 23 maggio 1908, Compagno 26 giugno 1909, Maestro 18 febbraio 1910. Di Orazio, nato a Cotignola il 14 novembre 1882, dottore in zooiatria.
FERLINI ORAZIO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro il  26 febbraio 1904. Fu Achille, nato a Cotignola il 22 marzo 1857.
FERNIANI GASPARE Conte, di Ottaviano, nato a
Faenza il 28 giugno 1748.
FIORENTINI ENRICO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista il 28 gennaio 1907. Fu Luigi, nato a Castrocaro il 20 febbraio 1864, agrimensore.
FOSCHINI   GIUSEPPE   Affiliato   alla   Loggia   Il
Lamone.
FOSCHINI GIUSEPPE  Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro il 10 febbraio 1905. Di Raffaele, nato a Faenza il 29 settembre 1878, ragioniere.
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Ragioniere. 1899: componente della Congregazione Comunale di Carità. 1905: eletto alla Congregazione di Carità.
FRANCESCHELLI BATTISTA Di Castelbolognese, condannato nel processo Rivarola.
FRONTALI RIDOLFO Di Brisighella, Affiliato alla
Loggia Il Lamone.
GALLI PAOLO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro il 19 marzo 1903. Fu Nicola, nato a Faenza il 30 agosto 1869, medico
1904: membro della Commissione del Ricreatorio Laico Festivo per il Municipio. Vedi allegato “Curriculum Vitae del Dott. Paolo Galli”
GEMINIANI  PAOLO  Di   Solarolo,  affiliato  alla
Loggia Il Lamone.
GESSI Conte TOMMASO Vedi fotocopie allegate.
GIACOMETTI ANTONIO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista il 26 febbraio 1904, negoziante.    (1839-1910). Commerciante, grandi magazzini di vetrerie, terraglie, porcellane, siti in via Mittarelli. La sua prima giovinezza era stata fervida di sensi rivoluzionari, e a vent’anni era corso ad offrire il braccio all’Italia per liberarla dallo straniero. Anche nell’età declinante, restando per sempre giovane per attività  e  sentimento, fu  ognora  tra  i  primi  in  ogni manifestazione democratica,  portandovi il  contributo del suo entusiasmo e del suo cuore. Prodigo di sua fortuna, quasi  si  rovinò per  sostenere “Il  Lamone”, bisettimanale repubblicano, esponente delle sue idealità politiche e umanitarie.
GIARDINI ALFREDO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro il 13 febbraio 1896. Nato a Castiglione, maestro di scherma.
GINNASI   ALESSANDRO   Conte,   affiliato   alla
Loggia Il Lamone, Maestro Venerabile nel 1808.
GIULIANINI GIULIANO Ex militare, arrestato nel
1815.
GRASSETTI ….. Di Fognano, Affiliato alla Loggia Il
Lamone,
GUALANDRI GIOVANNI Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista il 2 gennaio 1920. Di Dante, commerciante.
LA CANNA FRANCESCO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 30 maggio 1919, Compagno 3 gennaio 1920, Maestro 8 febbraio 1921. Fu Giuseppe, nato ad Amendolara il 7 febbraio 1883, industriale.
LADERCHI  ACHILLE   Affiliato   alla   Loggia   Il
Lamone,
LADERCHI  CAMILLO  Affiliato  alla  Loggia  Il
Lamone,
LADERCHI FRANCESCO
LADERCHI  GIACOMO  Affiliato  alla  Loggia  Il
Lamone,
LANZONI ADRIANO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista il 28 settembre 1904. Fu Romolo, nato a Kars il 16 maggio 1869, ispettore sanitario. “Nessuna caccia notevole in questi giorni. Solo   registriamo  li   5   storni   e   una   lepre   uccise Domenica scorsa dai fratelli Brussi insieme col dottor Adriano Lanzoni.”
“L’amico nostro carissimo è stato traslocato quale ispettore sanitario dal posto di Hadeidak nel Mar Rosso a quello più importante di Bagdad.”
“Abbiamo avuta in questi giorni la visita del nostro carissimo amico dott. Adriano Lanzoni, reduce da Bagdad, la famosa residenza dei califfi. Egli occupa l’alto posto di ispettore sanitario del Mar Rosso e regioni finitime dell’Arabia; é uno dei pochi europei che abbia percorso la Mesopotamia e minutamente esplorato tutto lo Iémen.
In questo ufficio, così grave di responsabilità e di pericoli personali, egli ha saputo dimostrare scienza, cultura e buon volere, ed operare sempre con diligenza scrupolosa, con energia calcolata, sì che una invidiabile carriera egli ha rapidamente percorsa. Anzi in riconoscimento degli ottimi servigi prestati egli veniva insignito di varie onorificenze, ed ultimamente della commenda del Medidié.
All’egregio amico, che onorando se stesso onora anche l’Italia e Faenza nostra, mandiamo da queste colonne il saluto più cordiale, sperando di averlo spesso fra di noi in questi mesi di licenza che a lui sono accordati” (Il Lamone 02.06.1907). 29.01.13 La Turchia contro un medico faentino. I medici italiani, addetti al consiglio sanitario   internazionale   dell’impero   ottomano   ed espulsi dalla Turchia durante la guerra, furono riammessi in servizio dopo la pace di Losanna. Il governo ottomano ha fatto eccezione per la riammissione  in  servizio  di  un  solo  nostro connazionale, il dottor Lanzoni di Faenza, accusato dal governo  di  aver  fornito  utili  informazioni  ai comandanti delle nostre navi che incrociavano nel mar Rosso durante la guerra. Il dottor Lanzoni infatti possedeva una perfetta conoscenza delle cose del Mar Rosso avendo per diversi anni avuto occasione di percorrere queste coste come medico a servizio della Turchia.
LEGA LUIGI Di Brisighella, affiliato alla Loggia Il
Lamone,



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LEGA  MICHELANGELO Di  Brisighella,  affiliato alla Loggia Il Lamone,
LEGA ODOARDO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro il 16 dicembre 1896. Fu Mario Girola, nato a Brisighella, commerciante.
LEGA SILVESTRO Di Fognano, affiliato alla Loggia
Il Lamone,
LEONARDI   PIETRO   Affiliato   alla   Loggia   Il
Lamone, carcerato nel 1799.
LIVERANI   GIUSEPPE.   Affiliato   alla   seconda Loggia  Torricelli,  Maestro  Venerabile nel  1894.  Fu Ettore ?
LIVERANI GIUSEPPE Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro il 10 marzo 1894. Fu Pietro, nato a Faenza nel 1855 (?), possidente. “...che tuttora (1905) vive, e che anche voi tutti ... conoscete certamente per la lunga e veneranda barba, la quale conferisce aspetto quasi fiero ad un uomo di intima e grande bontà. Prese parte  alla  campagna  dell’Agro  Romano  coi cavalleggeri  di  Masina  (ritengo  questo  un  errore). Ferito e prigioniero a Mentana fu tratto nelle carceri di Civitavecchia dove rimase parecchio tempo senza che si avesse notizia di lui. Vive tuttora in verde vecchiezza e,  sempre  irriducibile, conserva ancora  fede  ai  suoi vecchi ideali mazziniani”. (Giuseppe Brussi).
“La mattina del giorno 13 (giugno 1859) ... alle ore 9
Tancredi Liverani, staccata la bandiera dalla cancellata della torre, si mise alla testa d’una gran colonna di dimostranti (v’era tra essi anche il vivente GIUSEPPE LIVERANI fu Pietro, che avea preso parte alla campagna dell’agro romano, e che, ferito e prigioniero a Mentana, rimase a lungo nelle carceri di Civitavecchia), e li guidò alla caserma di S. Francesco, dove a grandi grida i soldati furono invitati a fraternizzare col popolo. (Messeri – 1908) (vedi anche fotocopie opuscolo allegate).
Vedi allegato “Monterotondo e Mentana nelle memorie del capitano Garibaldino Giuseppe Liverani”
LIVERANI PIETRO Affiliato alla  seconda Loggia Torricelli,   Apprendista   il   19   ottobre   1903.   Fu Vincenzo, nato a Faenza nel 1842, Direttore del Monte di Pietà. Nato a Faenza nel 1841 ed ivi deceduto nel
1930.  Di  sentimenti  mazziniani combatte  nella  II  e nella III guerra d’indipendenza per entrare poi come impiegato nel Monte di Credito su Pegno dove, pur di limitata istruzione scolastica, non era andato oltre la quinta elementare, e senza nessuna preparazione professionale specifica diviene direttore. Come tale vuole tenacemente l’ampliamento dell’attività del Monte  di  Credito  su  Pegno  affiancando  alla  sua secolare funzione di pegno una moderna attività bancaria  resasi  necessaria  dopo  il  fallimento  della Cassa di Risparmio di Faenza. Con tenacia e volontà, avvalendosi anche dell’amicizia con l’on. Fortis, riesce a trasformare la vecchia istituzione in un moderno strumento di credito aprendo gli sportelli, una volta
apprestati nuovi locali, senza neppure attendere le scadenze ufficiali il 1° dicembre 1911. Direttore generale dal 1899 lo sarà sino al 1914.
LIVERANI SEBASTIANO Di  Brisighella, affiliato alla Loggia Il Lamone,
LUGLIA   FRANCESCO   Affiliato   alla   seconda Loggia Torricelli, Apprendista 25 giugno 1919, Compagno 8 gennaio 1920, Maestro 8 febbraio 1920. Di Andrea, nato a Matera il 5 gennaio 1882, giudice.
MACCOLINI ….. Democratico di Brisighella.
MAINARDI  GIOACCHINO  Di  Solarolo,  affiliato alla Loggia Il Lamone.
MALPEZZI AGOSTINO Di Brisighella, affiliato alla
Loggia Il Lamone.
MANZONI  DOMENICO  Affiliato  alla  Loggia  Il
Lamone, banchiere.
MARRI MARIO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista il 23 febbraio 1922. Di Ugo, nato a Bagnacavallo il 12 maggio 1898, geometra.
MATELLI ANNIBALE Di Brisighella, affiliato alla
Loggia Il Lamone.
MATTEUCCI AMILCARE Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 25 giugno 1919, Compagno 3 gennaio 1920, Maestro 8 febbraio 1920. Fu  carlo,  nato   a   Bologna  il   6   novembre  1885, professore violoncello.
MATTEUCCI UGO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 10 ottobre 1918, Compagno 8 gennaio 1920, Maestro 8 gennaio 1920. Di Giacomo, nato a Faenza il 4 dicembre 1885, impiegato.
MESSERI ANTONIO. Affiliato alla seconda Loggia Torricelli,  Maestro   il   26   febbraio   1904.   Nato   a Scarperia nel 1868 viene a Faenza come professore al Liceo “Torricelli” e si dedica agli studi di storia e di filologia. Carducciano e dichiaratamente massone prende  parte  netta  nelle  polemiche,  anche giornalistiche, che in quegli anni dividono aspramente la  città  ed  in  particolare  polemizza  duramente  con mons. Francesco Lanzoni. La sua opera più famosa, scritta con un altro illustre massone, Achille Calzi, “Faenza nella storia e nell’arte” pubblicata nel 1909, è tuttora un testo base, anche perché l’unico, per l’approccio alla storia della città. Muore a Faenza nel
1933.
MICCOLI ARMANDO Di Riolo, Affiliato alla seconda  Loggia  Torricelli,  Apprendista  23  gennaio
1908, Compagno 11 marzo 1913, Maestro 11 marzo
1913. Di  Cesare,  nato  a  Riolo  il  22  gennaio  1882, maestro.
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MILZETTI FRANCESCO Certamente Massone. Conte, nato a Faenza il 17 gennaio   1769, morto a Bologna il 6 febbraio 1848. Studia al Collegio degli Scolopi di Urbino per passare poi a Pisa dove si laurea in giurisprudenza. Nel 1797, all’arrivo dei francesi, fa parte della Giunta Civile e Criminale ed in seguito del Collegio Elettorale dei Possidenti. Nel 1805 entra in servizio come Capitano Comandante della 1ª Compagnia di Romagna delle Reali Guardie d’Onore e nel 1813 passa Ufficiale Civile della Casa Reale. Il palazzo faentino da lui fatto riedificare è uno dei più eclatanti esempi di architettura massonica.
MINGAZZINI CARLO Affiliato alla seconda Loggia
Torricelli, Apprendista 12 dicembre 1918, Compagno
8 gennaio 1920, Maestro 8 gennaio 1920. Di Pietro, nato a Faenza il 24 luglio 1896, impiegato.
MONTALLEGRI LUIGI affiliato alla Loggia Il Lamone. Nato a Forlì, ma originario di Faenza, il 5 novembre  1799,  morto  a  Firenze  nel  1859  circa. Medico  militare  nel  1814  è  residente  a  Milano  e sembra partecipare alla  congiura militare dell’Aprile per l’indipendenza italiana. L’anno successivo segue Murat e partecipa poi a tutte le trame massoniche e carbonare. Nel processo Rivarola è condannato, come capo della Turba di Faenza, al carcere a vita. Liberato nel 1831 combatte coi rivoluzionari fino ad Ancona dove  si  imbarca sull’«Isotta» che  viene  catturata in mare dagli austriaci. Tradotto nelle carceri di Venezia dove perde un occhio viene poi rilasciato e si reca esule in Francia dove aderisce alle fila mazziniane.
MONTALLEGRI    SEBASTIANO    Affiliato    alla
Loggia Il Lamone. Fratello di Luigi nasce il 22 agosto
1784. Arruolatosi volontario nel 1803 come semplice soldato raggiunge dieci anni dopo il grado di capitano. Partecipa  al  blocco  di  Venezia,  alla  campagna  nel regno di Napoli, all’assedio di Gaeta ed al blocco di Maratea. Nel 1812 è in Russia e nel 1813 e 1814 in Italia. Decorato della Corona Ferrea segue nel 1815
Murat per passare poi in Spagna a combattere per i costituzionalisti nella guerra del 1821-1823. Rientrato in patria partecipa alle cospirazione e viene condannato dal Rivarola a 15 anni di detenzione. Liberato con l rivoluzione del 1831 comanda la Guardia Nazionale di Cesena agli ordini dell’amico Sercognani. Al termine della rivolta è tra gli esclusi dall’amnistia e ripara in Corsica per rientrare l’anno seguente e combattere al Monte  di  Cesena  contro  i  mercenari  del  Cardinal Albani  il  20  gennaio  1832.  Nuovamente  esule  in Francia si arruola, col grado di capitano, nella Legione Straniera.   Combatte   quindi   in   Algeria   venendo decorato della Legion d’Onore. Sempre con la Legione combatte quindi in Spagna dove, nel 1839, trova la morte in combattimento.
MONTANARI ROMUALDO Affiliato alla Loggia Il
Lamone, carcerato nel 1799.
MONTEVECCHI LUIGI Di Brisighella, affiliato alla
Loggia Il Lamone.
MORELLI  ALBERTO  Di  Solarolo,  affiliato  alla
Loggia Il Lamone.
MORRI  ANTONIO  Nato  a  Faenza  l’11  dicembre
1793 ed ivi deceduto il 21 dicembre 1868. Dopo gli studi nel Seminario di Faenza ed iniziati quelli di giurisprudenza a Roma si arruola volontario nelle Guardie d’Onore. Partecipa alla campagna di Russia ed è poi preso prigioniero a Dresda nel 1813. Liberato per intercessione del faentino Cardinale Severoli, nunzio a
Vienna, resta per qualche tempo presso di lui come
segretario. Nel 1815 rientra a Faenza e si dedica nuovamente agli studi ed alle cospirazioni. Condannato dal Rivarola a 20 anni di carcere ripara in Corsica. Nel
1849, con la Repubblica Romana, è eletto consigliere comunale e si dedica poi all’insegnamento a Solarolo. Nel 1860 presiede l’Assemblea comunale di  Faenza che elegge il primo sindaco. È autore, fra l’altro, del Vocabolario Romagnolo-Italiano tuttora ristampato.
MORRI FRANCESCO Nato a Faenza nel 1787. Guardia d’Onore nel 1815 segue Murat. Il Rivarola lo condanna al  precetto politico-morale a  seguito delle denuncie dei Laderchi.
PANI   BERNARDINO   Affiliato   alla   Loggia   Il
Lamone.
PANZAVOLTA ANTONIO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 25 giugno 1919, Compagno 8 gennaio 1920, Maestro 8 febbraio 1920. Fu Francesco, nato a Faenza nel 1876.
PASI RAFFAELE
PASOLINI DALL’ONDA BENVENUTO. Nasce nel
1827 da  genitori di  idee  estremamente conservatrici tanto che dopo avere compiuto gli studi alle Scuole Pie di Urbino cerca di arruolarsi, con grado di sottotenente, nei famigerati Volontari pontifici di Gregorio XVI. Si dimette però ben presto da tale incarico per avvicinarsi ai patrioti faentini ed in particolare al conte Francesco Laderchi, padre di Achille; aderisce quindi alla Giovine Italia mettendo sempre a disposizione casa e denaro per le cospirazioni. Nel 1848 è con i volontari faentini a Vicenza e nel 1849 sposa la contessa Pazienza Laderchi, sorella di  Achille. Nel  1850 è  nel  Partito Nazionale Italiano come Capo Sezione e tre anni dopo è costretto ad esulare. A Genova fonda con l’amico Raffaele Pasi una fabbrica di spilli, purtroppo finita in un dissesto economico, e partecipa al tentativo insurrezionale mazziniano del 1857 in stretto rapporto con Maurizio Quadrio e Giuseppe Mazzini. Rientrato a Faenza  ormai  su  posizioni  filosabaude ricopre numerosi incarichi pubblici, fra i quali anche quello di sindaco,  oltre  ad  essere  tra  i  fondatori dell’Associazione Industriale e della Banca Popolare di Faenza. Nel 1863 apre anche al pubblico un elegante stabilimento balneare al canale del Portello. Muore a soli 44 anni nel 1871 per un carcinoma alla gola.
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PIANCASTELLI ANGELO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista il 2 gennaio 1920. Di Francesco, nato a Castelbolognese nel 1886, medico.
PIANORI ….. Di Brisighella, affiliato alla Loggia Il
Lamone.
PICCININI SILVESTRO Di Brisighella, affiliato alla seconda  Loggia  Torricelli,  Apprendista  il  3  marzo
1909. Fu Giuseppe, nato a Brisighella il 31 dicembre
1845, commerciante.
PIRAZZINI RAFFAELE. Di Castelbolognese, affiliato alla Loggia Il Lamone, Vedi Appendice 1
PISTOCCHI  GIUSEPPE  Affiliato  alla  Loggia  Il
Lamone.
PLACCI ….. Carcerato nel 1799.
PONTREMOLI GIUSEPPE.
PORTOLANI   PAOLO   Affiliato   alla   Loggia   Il
Lamone.
RAVAGLI  GIAMBATTISTA  Di  Brisighella, affiliato alla Loggia Il Lamone.
RAVAGLIOLI ORLANDO Di Modigliana, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista il 28 gennaio 1907. Di Tomaso, nato a Modigliana il 2 settembre 1869, contabile.
RECUPERATI GASPARE Di Solarolo.
RICCARDI RICCARDO Di Foggia, affiliato alla seconda  Loggia  Torricelli,  Apprendista  5  dicembre
1921, Compagno 16 giugno 1922, Maestro 8 giugno
1923. Fu Angelo, nato a Foggia il 15 agosto 1880, ferroviere.
RICCI MARIO Di Meldola, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 28 dicembre 1905, Compagno 5 giugno 1907, Maestro 23 giugno 1908. Nato a Meldola nel 1877, professore.
RIVALTA GIULIO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro il 13 aprile 1922. Fu Francesco, nato   a   Faenza   il   16   aprile   1875,   ufficiale   dei bersaglieri.
RONDININI ANNIBALE Di Brisighella, militare reduce, condannato dal Rivarola.
RONDININI FRANCESCO Conte, nato a Faenza il
23 giugno 1783 ed ivi morto nel 1851. Volontario Guardia d’Onore nel 1805 raggiunge il grado di capitano nel 1809. Combatte in Tirolo ed in Spagna e nel 1815 segue Murat. Il Rivarola lo condanna al precetto politico-morale di prim’ordine. Nel 1831 combatte  come  Maggiore  a  Rimini  ed  esula  poi  in
Corsica per rientrare pochi mesi dopo in patria.
RONDININI RENZO Di Brisighella, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 13 aprile 1922, Maestro 8 luglio 1923. Fu Paolo, nato a Brisighella il 6 gennaio 1898, dottore in agraria.
SALVOLINI   NICOLA   Affiliato   alla   Loggia   Il
Lamone, carcerato 1799.
SANGIORGI BARTOLOMEO Di Brisighella, affiliato alla Loggia Il Lamone.
SANGIORGI DOMENICO Di Solarolo, affiliato alla
Loggia Il Lamone.
SANGIORGI  FRANCESCO  Ex  militare napoleonico, condannato per i moti del 1832.
SARDI GIOSUÈ Di Torino, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 30 gennaio 1903, Compagno 23  novembre 1903, Maestro 20  febbraio
1904. Fu Luigi, nato a Torino nel 1869, impiegato.
SARTI  MAURO  Di  Castelbolognese,  affiliato  alla
Loggia Il Lamone.
SAVELLI  FRANCESCO  Di  Castelbolognese, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 28 gennaio 1907, Compagno 8 gennaio 1920, Maestro 8 gennaio 1920. Di Giovanni, nato a Castelbolognese il
23 gennaio 1882, studente.
SAVORANI NULLO Di Modigliana, affiliato alla seconda Loggia  Torricelli, Apprendista il  29  agosto
1907. Fu Luigi, nato a Modigliana il 14 agosto 1866, direttore didattico.
SAVORANI ROMEO Di  Modigliana, affiliato  alla seconda  Loggia  Torricelli,  Apprendista  23  gennaio
1908. Di Emilio, nato a Modigliana il 28 agosto 1870, impiegato.
SCARDOVI GIOVANNI Di Solarolo, affiliato alla
Loggia Il Lamone.
SCARDOVI GIUSEPPE Di Castelbolognese, affiliato alla Loggia Il Lamone.
SECRETI ALFREDO Di Roma, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 11 febbraio 1907, Compagno 28 giugno 1906, Maestro 28 giugno 1910. Fu Luigi, nato a Roma il 30 ottobre 1879, ufficiale di fanteria.
SELLI FRANCESCO Affiliato alla seconda Loggia
Torricelli, Apprendista il 19 ottobre 1903. Nato nel
1873, impiegato.
SERANTINI  FRANCESCO  Affiliato  alla  seconda
Loggia   Torricelli,   Apprendista   2   gennaio   1920,
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Compagno  8  febbraio  1921,  Maestro  27  dicembre
1921.
SERCOGNANI GIUSEPPE Nato a Faenza il 4 maggio 1781, morto a Versailles il 9 dicembre 1844. Arruolatosi giovanissimo raggiunge il grado di maggiore nel 1814. Partecipa ad innumerevoli campagne  ed   in   particolare  a   quella  di   Spagna. Decorato  con  la  Corona  Ferrea  e  con  la  Legion d’Onore.  Nel  1815  segue  Murat  e  si  ritira  poi  a Fognano sempre però strettamente sorvegliato dalla polizia. Nel 1831 è a Pesaro ove si pone alla testa della Guardia Civica di quella città costituendo poi la Vanguardia che intende marciare su Roma. Postosi in dissenso con il rivoluzionario Governo delle Provincie Unite che lo aveva promosso generale di brigata che non appoggia il suo generoso tentativo esula in Francia dopo l’intervento austriaco che costringe il Governo alla fuga. Vive poi a Parigi in condizioni di estrema miseria e muore nell’ospedale militare di Versailles.
SEVEROLI FILIPPO Maestro Loggia Della Filantropia di Lecce nel 1805, in seguito fratello di 1ª classe in Loggia milanese. Conte, nato a Faenza il 16 novembre 1762 ed ivi deceduto il 6 ottobre 1822. Dopo avere ricoperto incarichi politici all’arrivo dei francesi a Faenza entra in servizio l’8 maggio 1797 come maggiore. Raggiunge il più alto grado militare per un non francese e, primo generale italiano ha ai suoi ordini generali francesi. Oltre a tutte le decorazioni napoleoniche nel 1809 è nominato Conte di Hannover. Per volontà di Napoleone il suo nome, unico italiano oltre a Theuliè alla memoria, è scolpito sull’Arco dell’Etoile a Parigi. Fedele ad viceré Eugenio che considera l’unico in grado di poter portare all’indipendenza   italiana,   combatte   contro   Murat quando questi, nel 1814, è alleato all’Austria. Successivamente accetta il grado di maresciallo conferitogli dall’Austria.
SIBONI GIUSEPPE Di Cesena, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista il 30 gennaio 1903. Fu Luigi, nato a Cesena il 13 dicembre 1847, segretario comunale.
SUCCI VINCENZO
SUGLIA MICHELE Di Matera, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 5 dicembre 1921, Compagno 16 giugno 1922, Maestro 8 giugno 1923. Di Andrea, nato a Matera nel 1887, dottore in legge.
TARTAGNI   VITTORIO   Affiliato   alla   seconda Loggia Torricelli, Maestro il 10 marzo 1894. Non sono del tutto sicuro se il dottor Vittorio Tartagni sia stato anche affiliato alla prima Loggia Torricelli o solo di quella successiva ove ricopre anche l’incarico di Maestro Venerabile; l’indicazione che egli sia entrato giovanissimo in Massoneria mi fa propendere per entrambe le Logge.. Nato nel 1837 entra giovanissimo nella Giovine Italia a Bologna ove studia medicina. Mazziniano partecipa attivamente alle cospirazioni e
durante la seconda guerra d’indipendenza è fra coloro che   assumono   una   posizione   conciliativa   fra   le posizioni del La Farina e quelle dei mazziniani. Nel
1866 è medico militare e dirige il reparto oftalmico della divisione Longhi ubicato a Faenza. Oculista tiene l’ambulatorio presso la farmacia Zanotti non solo curando gratuitamente i poveri, ma donando loro anche il denaro occorrente per le medicine. Per lunghi anni è l’anima degli  istituti benefici faentini, in  particolare degli Ospizi Marini per la cura dei bambini scrofolosi e dell’Istituto Mazzolani. Durante l’epidemia di difterite del 1889 accorre al Lazzaretto, allestito in Piazza d’Armi,   ove   si   distingue   per   l’opera   svolta   in particolare verso i bambini ricoverati. Repubblicano è componente di varie associazioni di mutuo soccorso, sostenitore della candidatura alla Camera del radicale Clemente Caldesi e fondatore ed azionista del settimanale ‹‹Il Lamone››. In campo culturale oltre ad essere l’autore dei versi del Lunêri di Smèmbar dal
1870 al 1874 è direttore della Filodrammatica e fra i promotori della Società Scientifica e Letteraria in Faenza costituita nel 1862. Muore da libero pensatore nel 1906. Di quest’uomo che si era fatto «ciecamente paladino» della Massoneria per «esilarare il pubblico faentino» come aveva scritto mons. Lanzoni scriverà invece un altro sacerdote, mons. Antonio Zecchini nel suo Il Cenacolo Marabini (l’Ottocento faentino), Faenza,  F.lli  Lega  1952:  «Pur  mancandogli  la  luce della vera Fede, tuttavia non derogò dal cammino della rettitudine, in virtù della direttura della coscienza, la lealtà del carattere, e la bontà del cuore, che furono di continuo norma ad ogni atto e guida ad ogni suo pensiero.»
TASSINARI  GIUSEPPE  Di  Castelbolognese, affiliato alla Loggia Il Lamone.
TESTI   SERAFINO   Di   Cotignola,   affiliato   alla seconda Loggia Torricelli, Maestro il 26 febbraio 1904. Fu Leopoldo, nato a Cotignola il 15 agosto 1859, dentista.
TONDINI GIUSEPPE Di  Brisighella, affiliato  alla
Loggia Il Lamone.
TOSCHI GIUSEPPE Nato nel 1779 a Faenza. Risulta essere stato tenente di fanteria ed oste di professione. Nel 1815 segue Murat. Forse è lo stesso Toschi Giuseppe, qualificato come muratore, condannato dal Rivarola   nel   1825   come   carbonaro   complice   di ferimenti e delitti.
TOSI ARMANDO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 28 gennaio 1907, Compagno 29 dicembre 1919, Maestro 29 dicembre 1919. Di Sante, nato a Castelbolognese l’11 gennaio 1885, studente.
TRERÈ VITTORIO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 30 maggio 1919, Compagno 8 gennaio 1920, Maestro 8 febbraio 1921. Fu Angelo, nato a Faenza il 20 gennaio 1888, insegnante.
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UTILI ATTILIO Di Taranto, affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 23 marzo 1921, Compagno 16 giugno 1922, Maestro 8 giugno 1923. Di Leopoldo,   nato   a   Taranto   il   25   maggio   1885, impiegato.
UTILI SILVESTRO Affiliato alla Loggia Il Lamone, nato   a   Faenza   il   9   ottobre   1791,   affiliato   alla Massoneria nel 1818 con Camillo Laderchi, compie gli studi in medicina all’università di Pavia. Nominato successivamente professore di botanica e materia medica  all’università  di  Macerata  nel  1831  è,  col collega Cucinotti, alla testa degli studenti nell’insurrezione. Nominato poi chirurgo dell’Armata dei Volontari è destituito dall’insegnamento con la restaurazione. Nel 1849 la città di Ancona lo elegge deputato all’Assemblea Costituente Romana ed al ritorno del Governo Pontificio è costretto all’esilio. Nel
1854 è a Genova, nel ’58 a Firenze e muore, pare, nel
1870.
VALLI  …..  Di  Brisighella,  affiliato  alla  Loggia  Il
Lamone.
VERZELLONI MAURO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Apprendista 19 ottobre 1903, Compagno 8 febbraio 1921, Maestro 8 febbraio 1921. Di Francesco, nato a Fabbrico E. il 30 gennaio 1869, negoziante sartoria.
VESPIGNANI CAMILLO Affiliato alla seconda Loggia Torricelli, Maestro il 5 febbraio 1904. 1890: componente la Congregazione Comunale di Carità totalmente rinnovata.
VEZZALI ANTONIO Affiliato alla seconda Loggia
Torricelli, Apprendista 18 novembre 1921, Compagno
16 giugno 1922. Fu Antonio, nato a Buenos Ayres nel
1881,  commerciante.  1906:  candidato  per  l’Unione
Popolare alle elezioni provinciali.
ZACCARINI ….. Di Brisighella.
ZAGNOLI  ALDO  Affiliato  alla  seconda  Loggia
Torricelli, Apprendista 12 dicembre 1918, Compagno
8 gennaio 1920, Maestro 8 gennaio 1920. Fu Giovanni, nato a Faenza il 21 ottobre 1891, impiegato.
ZAMBELLI FRANCECO Nato a Faenza nel 1793. Volontario nelle Guardie d’Onore nel 1812 è poi sottotenente nel 4° Reggimento Cacciatori a cavallo. Partecipa alle campagne del 1813 e del 1814. Nel 1825 è indiziato di cospirazione nel processo Rivarola, ma esule in Corsica.
ZANELLI ORESTE Di Castelbolognese, affiliato alla seconda  Loggia  Torricelli,  Apprendista  10  ottobre
1918, Compagno 8 gennaio 1920, Maestro 8 gennaio
1920. Fu Domenico, nato a Castelbolognese il 9 luglio
1885, commerciante.
ZANNONI  TOMMASO  Affiliato   alla   Loggia   Il
Lamone, carcerato nel 1799.
ZAULI GIUSEPPE Affiliato alla Loggia Il Lamone, carcerato                              nel                              1799.
















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