lunedì 13 maggio 2013

don curzio - alcune considerazioni su BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA: distinguere per unire

BENEDETTO  XVI 
IN  TERRA  SANTA
Distinguere per unire"
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DON CURZIO NITOGLIA
18 maggio 2009
 

 
Benedetto XVI e Mons. Fouad Twal
a Betlemme il 13 maggio 2009
 
Introduzione
 
La nostra Fede, compendiata nel Credo e spiegata nel Catechismo, ci insegna che il Papa è il Vicario in terra di Gesù Cristo. Egli è la Pietra sulla quale Cristo ha costruito la sua Chiesa e contro la quale “le porte degli inferi non prevarranno”.
 
1°) Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è un mistero che si definisce come “Unione Ipostatica”, tale mistero ci disorienta spesso, durante la sua vita e specialmente durante la sua Passione, quando la sua “Natura divina si nascondeva e lasciava trasparire solo quella umana, che soffriva terribilmente” (s. Ignazio da Loyola) ed era “più simile ad un verme che ad un uomo” (Isaia). Gli Apostoli stessi si scandalizzarono, smarrirono lo spirito di Fede e rinnegarono Gesù, non riuscendo a capire ed ammetter che il Messia potesse essere sconfitto e umiliato.
 
2°) La Chiesa è Cristo che continua nel corso della storia. Anch’essa ha un duplice elemento, quello divino (il principio che l’ha fondata, ossia Cristo e il fine cui tende, vale a dire il Cielo e Dio visto “faccia a faccia”) ed uno umano (le membra di cui è composta, gli uomini sia i semplici fedeli che i gerarchi). Nel corso della storia della Chiesa vi sono pagine gloriose e pagine poco belle, altre addirittura brutte. Se non avessimo la virtù teologale della Fede nella sua origine divina e nella protezione di cui la ammanta Gesù “ogni giorno, sino alla fine del mondo”, rischieremmo di scandalizzarci e perdere proprio la Fede, “senza la quale è impossibile piacere a Dio” (san Paolo).
 
3°) Il Papa è un uomo, ma assistito da Dio infallibilmente; però solo a certe specifiche condizioni, che non tolgono o aggiungono nulla alla sua natura umana debole e caduca. San Pietro stesso rinnegò Gesù non una ma ben tre volte (“non conosco quest’uomo”). Onde, per quanto riguarda Gesù, la Chiesa e il Papa occorre, sempre, aver presente il loro duplice elemento: umano e dunque “deficiente”; divino e quindi “impeccabile”. Se si vede solo il primo, si cade nel razionalismo naturalista e si rinnega la Fede teologale, se si fa caso solo al secondo si scivola verso un angelismo rigorista e “purista” o pneumatismo cataro, che porta egualmente alla rovina (“ogni eccesso è un difetto”).
 
● Nel caso di Benedetto XVI, non si può negare la sua forma mentis filosoficamente e dommaticamente modernistica, acquisita sin dai primi anni di seminario. Essa è apparsa anche nel viaggio in Terra Santa, durante le riunioni interreligiose con islamici e israeliti. Tuttavia non si può non costatare che la saggezza e la lungimiranza della Chiesa e del Papato è rifulsa ancora una volta, nei discorsi, “storico-politici” di papa Ratzinger, che presuppongono - specialmente in Terra Santa - un substrato teologico non indifferente. In questo breve articoletto mi limiterò a riportare qualche passaggio di essi e a fare alcune considerazioni di puro buon senso. Poi concludo, incorniciando il “problema palestinese” di cui si è occupato il Papa, rinviando alle origini che lo hanno causato (“sionismo e fondamentalismo”)e che debbono essere affrontate alla radice, se si vuol risolvere la spinosa questione della Terra Santa, specialmente dal 1948 ad oggi.
 
 
I discorsi “storico-politici” di Benedetto XVI
 
Nel pomeriggio del martedì 12 maggio 2009, tra il Gethsemani e l’Orto degli Ulivi, il Papa ha celebrato, nella valle di Giosafat (ove avverrà il giudizio universale), la prima messa in pubblico dopo il suo arrivo in Terra Santa, ove ha potuto vedere anche i pochi abitanti della striscia di Gaza - scampati al genocidio del dicembre 2008/gennaio 2009 - ai quali il governo israeliano ha concesso il permesso di “videre Petrum”, negato a tutti gli altri, come aveva negato al Papa stesso da potersi recare lui a Gaza, per “motivi di sicurezza”... Nell’omelia egli ha detto: «Ci siamo raccolti qui sotto il Monte degli Ulivi, dove Nostro Signore pregò e soffrì, dove pianse per amore di questa città e per il desiderio che essa potesse conoscere “la via della pace” (Lc XIX, 42) […]. Come successore di Pietro, ho ripercorso i suoi passi per proclamare il Signore Risorto in mezzo a voi […], che siete collegati in una linea ininterrotta con quei primi discepoli che incontrarono il Signore Risorto […]. Trovandomi qui davanti a voi, desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti di voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto». Poi ha aggiunto una riflessione importante sulla pietra tombale del S. Sepolcro: «Torniamo spesso a questa tomba vuota. Riaffermiamo la nostra fede nella vittoria della Vita […]. Gesù è risorto, alleluia! Egli è veramente risorto, alleluia!».
 
● Questa frase mi sembra significativa, poiché qualcuno nei giorni appena passati si era - forse giustamente - meravigliato che il Papa non andasse a Gaza, probabilmente senza sapere che non dipendeva da lui, ma da Israele, ed aveva predetto che tale “omissione di soccorso” da parte del Papa sarebbe stata una pietra tombale posta definitivamente sulla Chiesa di Cristo. Ora, già 2000 anni or sono, i Giudei fecero rotolare una pietra tombale sul S. Sepolcro e vi misero dei soldati a guardia, ma la pietra fu rovesciata dagli Angeli quando Gesù risuscitò da morte e vinse il male tramite la sua apparente sconfitta in croce. Il cristianesimo è la religione della vittoria tramite la perdita anche, e soprattutto, della propria vita. Quindi non c’è pietra che tenga. La storia – se non il catechismo – dovrebbe avercelo insegnato: la Chiesa è cresciuta e si è rafforzata proprio quando sembrava essere annientata. Le “gaffes”, e peggio ancora, gli errori degli uomini di Chiesa, specialmente del clero e della Gerarchia, sono la prova provata della sua indefettibilità, come pure diceva il cardinal Consalvi a Napoleone: “Maestà, lasci perdere, neanche noi preti siamo riusciti in milleottocento anni a distruggere la Chiesa romana, non è cosa da uomo, neppure lei ci riuscirà”, e Napoleone non vi riuscì…, dovrebbe insegnare qualcosa anche a noi, se non siamo affetti da “sindrome napoleonica”, che è molto pericolosa, per noi e non per la Chiesa. Certamente noi cristiani siamo “papisti”, dacché Cristo la sua unica vera Chiesa l’ha fondata su Pietro e i suoi successori (i Papi) e ci distinguiamo dai protestanti e da tutte le sette eretiche o scismatiche, le quali non ritengono - diversamente da Cristo - Pietro come loro principio e fondamento con un vero primato di giurisdizione. Ciò, senza negare i fatti “poco belli” che i Papi possono aver commesso come uomini o dottori privati o le ambiguità ed errori che possono sussistere nell’insegnamento non normativo - e quindi non infallibilmente assistito - del Papa, ad esempio il concilio “pastorale” Vaticano II. Non occorre, perciò, cambiar religione o Chiesa, davanti allo sfacelo spirituale che si è abbattuto contro l’ambiente cattolico, il rimedio non è Budda, né Maometto e neppure il “Libero Pensiero”.
Il mercoledì 13, in mattinata, il Papa ha celebrato davanti alla Basilica della Natività ed ha ricordato «dal giorno della sua nascita, Gesù è stato “segno di contraddizione” (Lc II, 34) e continua ad esserlo anche oggi. […] Qui a Betlemme, nel mezzo di ogni genere di contraddizioni».
Nel primo pomeriggio dello stesso giorno, Benedetto XVI è giunto al “Caritas baby hospital” di Betlemme, ove ha detto ai piccoli degenti: «Vi saluto affettuosamente nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo, “che è morto, ed è risorto, e sta alla destra di Dio ed intercede per noi” (Rom VIII, 34) […]. Il Papa è con voi! Oggi egli è con voi in persona, ma ogni giorno egli accompagna spiritualmente ciascuno di voi nei suoi pensieri e nelle sue preghiere, chiedendo all’Onnipotente di vegliare su di voi». Infine ha concluso, significativamente, richiamandosi alla Madonna di Fatima e ricordando la sua promessa: «Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà!».
 
● Anche questo richiamo non è casuale, infatti solo l’intervento divino, davanti al male che sembra trionfare anche in ambiente ecclesiale, può rimettere le cose al loro posto, non gli uomini, per quanto importanti e potenti essi siano. Il Papa ne è consapevole e ci rincuora colla certezza finale della vittoria, che sarà però preceduta da un grave castigo divino, come disse la Madonna a Fatima nel 1917 (cfr. Antonio Socci, Il quarto segreto di Fatima, Milano, Rizzoli, 2006, severamente critico nei confronti di Giovanni XXIII e dell’attuale cardinale Segretario di Stato dello stesso Benedetto XVI).
Nel tardo pomeriggio del 13 Benedetto XVI ha visitato il campo profughi di Aida ed ha detto di esprimere «la mia solidarietà a tutti quei Palestinesi senza casa, che bramano di poter tornare ai luoghi natii, o di vivere permanentemente in una patria propria. […] So che molte famiglie sono divise – a causa di imprigionamento di membri della famiglia o di restrizioni alla libertà di movimento – […]. Siate certi che tutti i profughi Palestinesi nel mondo, […] sono costantemente ricordati nelle mie preghiere. […] Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato palestinese indipendente, restano incompiute […]. Il muro, è tragico che vengano tuttora eretti dei muri».
 
● Anche qui, gli “atei devoti” che pensavano di aver vinto avendo dalla loro l’intellettuale o il professore Joseph Ratzinger, si son dovuti ricredere, dacché Benedetto XVI non è indifferente alle sorti dei Palestinesi e si è pronunciato chiaramente per la nascita di uno Stato Nazionale Palestinese libero ed indipendente. È il “mistero” del duplice elemento che caratterizza Cristo, Chiesa e Papa. Attenzione a non separarli, ma a “distinguere per unire”. Non si può negare la formazione immanentistico-kantiana di Ratzinger, ma neppure lapidarlo - in odio al Papato e al Papismo - ad ogni parola che dice o omette di dire. Caveamus! Come Cristo è la “pietra d’angolo, rigettata dal costruttore, ma che schiaccia tutti coloro i quali inciampano contro di lei”, così il Papa è il Vicario in terra della “pietra d’angolo” e “chi tocca il Papa in quanto tale, muore” (Pio XI). Nei tre casi di Cristo, della Chiesa e del Papa non vale, sempre e soltanto, l’aut-aut, ma alcune volte anche l’et-et. Quindi è lecito mostrare storicamente le eventuali lacune (anche dottrinali) di alcuni Papi, purché lo si faccia con oggettività ed educazione, proprio come san Paolo: “Ho resistito in faccia a Pietro, poiché era reprensibile”; è reprensibile ed è Papa, “et-et”.
 
 
Le origini del problema palestinese attuale
 
Uno studioso ebreo, Israel Shahak, ha scritto vari libri sul razzismo o il fondamentalismo dello Stato ebraico (Le racisme de l’Etat d’Israel, Guy Authier, Paris, 1975; The jewish fundamentalism in Israel, London, Pluto Press, 1999); in italiano possediamo la traduzione di Storia ebraica, il peso di tre millenni, CLS, Verrua Savoia, 1997. In questo breve articolo mi baserò su quest’ultimo suo libro.
 
Lo Shahak spiega come il fondamentalismo giudaico sia di capitale importanza, non solo religiosa, ma politico-militare nello Stato ebraico, in Medio Oriente e anche negli Usa. Infatti “fondamentalismo”, in senso stretto, è una corrente esegetica del Calvinismo americano del XVIII secolo, la quale asserisce tutt’oggi che bisogna tornare all’esegesi rabbinica, che interpreta le profezie dell’Antico Testamento in senso strettamente materiale e terreno e fare di essa il “fondamento” della religione calvinista, donde il nome The Foondamenthals o “fondamentalismo”.
 
In base a questa dottrina gli ebrei di oggi pretendono di avere ancora il diritto, divinamente conferitogli, di possedere la Terra di Palestina e di distruggere i non facenti parte del popolo eletto: gli arabi e i pochi cristiani che ancora ci vivono. Lo Shahak scrive che ai soldati israeliani vengono dati dei piccoli compendi del Talmud, che incitano all’odio e alla violenza verso l’arabo, e definisce il fondamentalismo ebraico come “la certezza che la dottrina del Talmud è valida ancora oggi e per sempre”. Elio Toaff (Essere ebreo, Milano, Bompiani, 1994) insegna che il Talmud è ancor oggi l’origine dell’ebraismo moderno. Padre Joseph Bonsirven (Dictionnaire de Théologie Catholique, 1911-31), ebreo e rabbino, convertito al cattolicesimo, scrive che “nel Talmud vi sono delle deviazioni: l’elezione d’Israele che è la Nazione unica e santa, separata da tutte le altre, il che conduce ad uno smisurato orgoglio etnico che facilmente diventa razzismo.
 
L’anima del Talmud è il disprezzo per il goy o non-ebreo”. Infatti, “Ebraismo è il termine che definisce la vita religiosa di Israele, il popolo eletto di Dio. […], è lo stile di vita seguito dal popolo ebraico. […], un popolo che vive secondo le proprie tradizioni religiose ed è fedele all’alleanza con Dio, che lo distingue” (Lawrernce E. Sullivan, La tradizione religiosa dell’Ebraismo, Milano, Jaca Book, 2007, p. 7). “Gli ebrei religiosi riconoscono se stessi come un popolo fuori dal comune a causa dell’elezione e della Torah, […]. Sono un popolo fatto uscire dall’ordinario, […]” (Ibidem, pp. 24-25). Inoltre, “Che cosa fa degli Ebrei di tutto il mondo un solo popolo? […] Il fatto di appartenere a una stirpe, una razza o una cultura?
 
La risposta potrebbe essere tutto questo […]. L’ebraismo non nasce tanto come una nuova fede religiosa, quanto piuttosto come appartenenza a una famiglia, la famiglia di Abramo” (Daniel Taub, ABC per conoscere l’Ebraismo, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2008, p. 5). Infine, lo Shahak mostra come la differenza tra sinistra e destra israeliana sia solo accidentale: entrambe dipendono dai partitini religiosi ultra ortodossi e super nazionalisti, che arrivano anche al 25 % dei suffragi. Essi vorrebbero che la Halachà fosse legge dello Stato ebraico.
 
Quando nel 1917 vi fu la dichiarazione Balfour e nel 1922 il “Libro bianco”, la Santa Sede, tramite L’Osservatore Romano, 30 giugno 1922, scrisse che “la difesa dei popoli indigeni era minacciata dalle aspirazioni sioniste”. Inoltre previde che “l’argine arabo è inconsistente, non arresterà neppure di un metro l’avanzata del sionismo, la home o ‘focolare’ ebraico diverrà un fuoco” (L’Osservatore Romano, 14 novembre 1924). La Civiltà Cattolica, organo-portavoce della Segreteria di Stato vaticana, scrisse: “l’attuazione integrale del sionismo è ingiusta: i sionisti invadono arrogantemente la Palestina che è la casa degli arabi, per impiantarvi la loro home, espellendone gli antichi e pacifici abitatori e legittimi possessori” (1922, III, p. 117). Essa propose, quindi, la soluzione della questione palestinese: “il rimedio per riportare la pace in Palestina è la partenza della massa degli ebrei e il totale abbandono dell’idea dello Stato d’Israele” (1938, II, p. 81).
 
Oggi, realisticamente, dopo sessanta anni di occupazione della Palestina, non si può pretendere la cessazione dello Stato d’Israele, ma è giusto che la Palestina sia anch’essa un vero Stato indipendente, con libero accesso al suo mare, al suo cielo e libero collegamento interno. Tuttavia la “stampa” politicamente corretta ci presenta i Palestinesi in generale e specialmente il partito che ha vinto le elezioni nel gennaio 2006, Hamas, come un’organizzazione fondamentalista in religione e terroristica in politica, che non vuol riconoscere l’esistenza dello Stato ebraico. Invece le cose non stanno esattamente così. Gianni Valente, in “Limes”, 5/2007, Gli arabi cristiani temono più Israele di Hamas, dimostra che vi sono stati numerosi cristiani e anche dei sindaci cristiani eletti nelle liste di Hamas.
 
Inoltre il Patriarca di Gerusalemme, mons. Fuàd Twàl, ha detto: “gli elettori cristiani hanno contribuito alla vittoria elettorale di Hamas del gennaio 2006.
Padre Pizzaballa, Custode francescano della Terra Santa, ha confermato la piena disponibilità cattolica a collaborare con Hamas. Infine Valente spiega come Hamas non voglia un governo religioso, ma civile citando un’intervista del leader stesso di Hamas, Hanyèh al Washington Post nel febbraio 2006.
Hamas è un partito confessionale o di ispirazione musulmana, ma non fondamentalista. La stessa idea è stata espressa da Amhad Jusif, sempre di Hamas, a “Limes” 1/2009, ossia se Israele si ritira nel territorio che aveva occupato nel 1948 (48 %) e lascia l’ulteriore 22 % occupato nel 1967 alla Palestina, allora Hamas riconoscerà lo Stato d’Israele, poiché il 23 % di terra palestinese, divisa in due (Gaza e Cisgiordania, senza accesso al mare, al cielo e libera circolazione interna) non può essere chiamata Stato, ma campo di concentramento o di ‘sterminio’ (vedi Gaza dicembre 2008-gennaio 2009) e nessuno può chiedere ad Hamas o ai Palestinesi di accettare volentieri di essere internati e sterminati.
 
Conclusione
 
La natura del sionismo, movimento de jure laico e de facto religioso, è “tendenzialmente fondamentalista” (I. Shahak): per far politica in Israele è vantaggioso essere (stati) o generali dello ‘tsahal’ o rabbini, sia quanto al Likud sia quanto ai laburisti. Quindi il sionismo è un fondamentalismo che non si vuol riconoscere come tale, poiché la maggior parte dei mezzi di comunicazione sta nelle mani degli Usa, di Israele e del giudeo-americanismo, i quali vogliono farci credere che l’unico fondamentalismo sia arabo. Invece, come abbiamo visto, il fondamentalismo nasce in ambiente calvinista americano e tocca l’apice nello Stato ebraico.
I discorsi di Benedetto XVI in Terra Santa ce lo hanno ricordato, piaccia o no.
 
Basteranno a ridare pace alla Terra di Palestina? Non penso e neppure il Papa lo pensa, infatti si è richiamato alla promessa della Madonna di Fatima: “Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà!”.
 
don Curzio Nitoglia
 
18 maggio 2009
 
 
 

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