giovedì 1 agosto 2013

Trionfo e tragedia: i Francescani dell’Immacolata e il crepuscolo degli Ordini. Il papa li sopprima!

ATTENZIONE: ARTICOLO AMBIGUO DEL MASTINO TRATTO DAL BLOG PAPALEPAPALE 


bianco (1)

UN DOSSIER DI PP



Era l’ordine religioso più giovane. E quello di maggior successo vocazionale. Il tutto nella più rigorosa ortodossia, alla riscoperta delle fonti francescane. Un grande futuro: dietro le spalle. A causa dei torbidi. Dall’interno dell’Ordine, in combutta con un Personaggio interno al Vaticano, parte sotto mentite spoglie il tentativo della Curia di fare pulizia etnica. Attraverso stratagemmi da “guerra sporca” e sotterranea. È un vero mandato con licenza d’uccidere.

Come? Andando a colpire i due pilastri sui quali si regge la congregazione e le numerose vocazioni: la libertà di celebrare anche in rito antico. Distruggendone così il carisma. Facendo così implodere una delle poche cose che andava a gonfie vele dentro la Cattolica.

Chi? Chi è il congiurato interno? Chi l’alto congiurato vaticano.

Perché? Mysterium iniquitatis, certo. E anche “invidia del demonio”. Piani miserabili e ambizioni meschine degli uomini di Chiesa in carriera. Ma forse qualcosa di più e di peggio.


È finito il tempo degli ordini religiosi.

DA QUI LA MIA RICHIESTA AL PAPA DI SOPPRIMERE I FRANCESCANI DELL’IMMACOLATA.

E TUTTI GLI ALTRI, compresi i suoi gesuiti: hanno fatto il loro tempo, hanno dato quanto potevano. Ora possono solo far danni.


 

di Antonio Margheriti Mastino

Sono giorni che mi mandano mail, messaggi fb, mi telefonano per domandarmi sempre la stessa cosa. Qualcosa che non è che non sia mai stata al centro dei miei pensieri: semplicemente ero felice e contento che per loro tutto andasse a gonfie vele e dunque mi sono tranquillamente occupato d’altro, forse dando troppo per scontata qualcosa che, alla prova dei fatti, non lo era affatto. Sto parlando  degli ultimi fatti dell’ordine dei Francescani dell’Immacolata, all’interno del quale è partito un moto di autodemolizione, che per la verità incubava da anni, pare.

CANDIDI COME COLOMBE E VELENOSI COME SERPENTI

In breve i fatti sono questi, almeno per come io li ho conosciuti.

Questo Ordine è nato da qualche anno, da una costola dei francescani conventuali, meditando sui testi di san Massimiliano Kolbe e rimeditando le fonti francescane. Il loro fondatore e superiore è il padre Stefano Manelli, di origine fiumana, che lo scorso maggio ha celebrato nell’amarezza i suoi 80 anni. Perché ha finalmente ricevuto il morso velenoso di un gruppuscolo di serpi che paternamente aveva allevato nel seno della sua congregazione: figli degeneri che egli ha commesso l’errore di mettere e mantenere in punti nevralgici e strategici per i suoi frati, come per esempio a Santa Maria Maggiore.


Alcuni francescani dell’Immacolata insediati a Santa Maria Maggiore, da dove sono partiti i torbidi ai danni della Comunità.

Lì ci aveva da anni fatto il nido il capo di questi sediziosi, che noi chiameremo il Superbissimo. È dal 2009 che ne sento di cotte e di crude e di terribili su di lui. Ma è rimasto là, anche grazie ad allacci sotterranei con potentati clericali vari – piuttosto ostili alla Congregazione, alla tradizione cattolica e specialmente al pontificato ratzingeriano –  che era riuscito in tutto questo tempo a costruirsi, per tramare contro “li boni frati”, ossia i suoi stessi confratelli che nella stragrande maggioranza restano fedeli al carisma e alla regola istituita dal Fondatore vivente.

“Li boni frati”, quelli miti e beati – come tanti lì dentro ce ne sono – e che ho incrociato, quando facevano il nome del Superbissimo annidato a Santa Maria Maggiore quasi s’intimidivano, abbassavano la voce, come a pronunciare il nome di un arcidiavolo, quasi fosse una bestemmia evocarlo… anzi, a dire la verità, si rifiutavano anche di fare il nome, limitandosi a indicarlo come “un confratello del quale è pietà cristiana tacerne”, e a spegnere facili entusiasmi miei nei confronti della loro congregazione, scuotendo il capo mi dicevano con rammarico che «le cose non sono così idilliache, abbiamo diverse piaghe purulente, specie a Santa Maria Maggiore e non solo: ci sono diversi fratelli il cui atteggiamento non è cristiano, la condotta disdicevole, qualcuno anche fuori di testa totale. Ma per carità cristiana mettiamo tutto a tacere, già troppa amarezza hanno dato al Padre [Manelli]».

Questa congregazione qui dei Francescani dell’Immacolata, che comprende frati, padri, suore missionarie, monache in fitta schiera, è praticamente l’unico ordine religioso di stampo classico che non solo non è in agonia terminale come tutti gli altri ordini, ma al contrario è in controtendenza assoluta.


Gli inizi: il fondatore padre Manelli e il papa beato Giovanni Paolo.

In un pugno d’anni, infatti, è cresciuto enormemente, ha moltiplicato le case, i seminaristi, novizi e novizie, le richieste di entrare a farne parte sono in crescita esponenziale. Un unicum nel mondo dei religiosi a livello mondiale. In una prospettiva futura e facendo dei calcoli ottimisti, continuando a questo ritmo, si ritroverebbero a breve a diventare la congregazione più viva, attiva e numerosa al mondo. Cosa che deve far storcere il naso a troppi, essendo la mancanza di solidarietà, di zelo e l’invidia le tare di quel che resta del mondo clericale e religioso secolarizzato, sbandato e in crisi ormai irreversibile di identità. E va da sé, di fede.

Un frutto succulento che spunta improvviso come un’oasi in mezzo un deserto immane e disseminato di scorpioni,  aspidi e parassiti, a cui la maggioranza degli incanutiti e incarogniti ordini religiosi, i rimasugli almeno, sono ridotti.

MESSORI MI DISSE: “TORNIAMO MILLE ANNI INDIETRO, A QUANDO NON C’ERANO RELIGIOSI”


Vittorio Messori, presso la “sua” abbazia di Maguzzano: “il mio pensatoio”.

Ordini a proposito dei quali, un giorno Messori mi disse una cosa. Raccontandomi dell’antichissima abbazia di Maguzzano, nei pressi del Lago di Garda, dove in un’ala ha ricavato un suo studio e a sue spese ha contribuito a restaurare parte del grande e vetusto edificio, spesso battagliando coi pochi e anziani frati che vi giacciono ancora vivi. Ebbene, Messori, mi diceva a proposito di quel che resta degli antichi ordini religiosi, carichi di anni e glorie passate e sempre più alleggeriti di vocazioni:

«Come sa, nel pensatoio in abbazia non ho voluto collegamenti a internet e posta, ma uno word “liscio”, per evitare distrazioni, già sin troppe per seguire muratori e artigiani da me ingaggiati – tra la disperazione dei frati – per ridare  un minimo di confort e di restauro al luogo. Poiché invocano la povertà, come un logoro  mantra, gli ricordo che molti, moltissimi luoghi clericali confondono la povertà con lo squallore. E squallida era Maguzzano quando la vidi la prima volta, ormai una dozzina di anni fa. Mi proposi dunque di intervenire, con grave pregiudizio dei miei risparmi ma in cambio con  grandi soddisfazioni. Do sulla voce a chi mi considera un benefattore: sono, in realtà un beneficato. Mica a tutti capita di programmare il recupero, almeno nei muri e nel verde (un uliveto con 2.000 piante, più altre meraviglie) di un’abbazia di fondazione carolingia. Insomma, un privilegio di cui sono grato». E questo per quanto riguarda il suo “pensatoio” abbaziale a Maguzzano.


Cistercensi medievali

Sul resto, infatti, aggiungeva: «Ho comunque perso ogni speranza, almeno umana: bisognerà tornare alla situazione del primo Millennio quando non c’erano che monaci (in maggioranza non sacerdoti) e preti secolari. Abbazie e diocesi:  c’est tout e c’est assez.  Constato ogni giorno che la sopravvivenza di ordini e congregazioni nate per rispondere a bisogni che non esistono più- o, almeno,  che sono stati sottratti alla Chiesa – non è una risorsa ma un problema grave, spesso purtroppo una contro-testimonianza. Una deriva verso una morte strascicata, un decesso dopo l’altro, senza possibilità di ricambio, mentre finisce come prevedevo la speranza degli ingenui che nuove “vocazioni”, si fa per dire, venissero da Africa e Asia. Dove, se si entra in seminario, è (spesso) come nelle nostre campagne fino a qualche decennio fa, dove i religiosi (mentre già c’era sentore inconscio di crisi imminente) giravano per le campagne con un camion e, in ogni cascina, assecondando il volere di genitori con troppi figli e poco pane, prelevavano un maschio e una femmina, per farne frati e suore. Ancora bambini : “vocazioni precoci”, le chiamavano…».

A TAVOLA COL PADRE MANELLI. IL PEGGIORE PRANZO DELLA MIA VITA


Il padre Manelli e un frate

LEGENDA AUREA. Intorno al 2009 avevo un progetto, del quale poi non si fece nulla, ma in caso mi serviva la collaborazione delle creature del padre Stefano Manelli: i Francescani dell’Immacolata. Tramite un frate, ottenni un incontro col fondatore. Ma prima, questo frate reputò opportuno introdurmi teoricamente alla figura del “Padre”, tratteggiandomene le qualità salienti: mi sembrò la classica legenda aurea che nei secoli scorsi si disegnava sui “santi viventi”, certi che poi, morti, sarebbero stati santi canonicamente. Mi accennò a sue qualità mistiche, doti pressappoco soprannaturali. Proveniente io dalla scuola comunista e radicale, nonché dagli studi accademici sulla storia della religiosità, il mio sguardo restò scettico: avevo un sentore di “già sentito”, di agiografia. Poi mi mise in guardia anche dall’ironia sorniona del Padre: casomai mi fossi offeso a qualche sua battuta, ché la prendessi pure io con ironia, “perché il Padre è uno a cui piace scherzare, sfottere bonariamente”. Il mio spirito, dinanzi a tale rischio, restò immoto, lo ammetto, come pressappoco era prima.

Non amo i convenevoli bigotti, e mi imbarazzavano le telefonate con questi frati che invece di “buongiorno” esordivano con un “avemaria” al quale non sapevi mai che rispondere, e alla stessa maniera si congedavano. Fatto sta che oltre all’incontro, quella mattina di una domenica di giugno, ottenni anche un invito a pranzo nella loro casa religiosa vicino via della Conciliazione.


Il fondatore e il co-fondatore

LA CASA. Osservai questa casa religiosa che avevano probabilmente in affitto. In origine forse era qualche residenza privata, molto vecchia, assai casalinga, col pavimento dissestato, i muri ammaccati, le porte malridotte e storte e consumate dal tempo, oggetti scadenti, madonnelle qua e là, libri tanti, ovunque, d’argomento teologico: una generale spartana trasandatezza campagnola nel cuore della metropoli. Non sono convinto però che si possa parlare di “squallore”, no, non lo era, neppure di vero “decoro” si può parlare: era povertà santa, gusto dell’essenziale, nella forma più rudimentale. Poi mi introdussero in uno stanzino, e qui le cose cambiarono: c’era decoro e non solo. Tutta la bellezza residuale di quell’edificio che nulla aveva di “bello” era qui accumulata, qui tutta la loro scarsissima opulenza era ben spesa e concentrata: era la stanza del Santissimo, la Cappella, con un altare a muro coram Deo, rivestito di paliotti e drappi baroccheggianti. Quel poco di prezioso che avevano, era offerto solo al loro Signore.

I FRATI. Osservai i giovani padri e novizi presenti in quella casa, attento ai tratti fisiognomici: la maggioranza erano, diciamo così, esteticamente discutibili, salvo uno, messicano, che era piuttosto avvenente, e con lui qualche novizio. Alcuni altri invece, dico la verità, mi ricordavano se non proprio il “Salvatore” de Il Nome della Rosa, dei fratacchioni di origini contadinesche con notevoli ma indefinite tare genetiche, un po’ tardi diciamo, anche nel portamento, nell’assoluta volgarità fisica: questi qui non parlavano mai, e probabilmente non avevano nulla da dire. Certi avevano una inespressività cupa e misteriosa, inquietante, ricordavano certi monaci del, ancora una volta, Nome della Rosa. Un clima docile, famigliare ma anomalo: mi sembrava d’essere precipitato indietro di secoli, in un romitorio campestre umbro del Quattrocento, in mezzo ai “poverelli” dei tempi eroici ed eretici dei movimenti francescani spiritualisti e pauperisti, ma senza ventate utopiche stavolta. Rimasi più o meno perplesso.


Il Fondatore

IL PADREPoi mi venne incontro un vecchio gigantesco, con uno zucchetto in testa, al quale (gesto assolutamente estraneo al mio modo di fare) mi chinai a baciare la mano, cosa che non avrei mai più rifatto da allora in poi. Era il padre Manelli, il fondatore. Fui portato nella “sala ricevimenti” che dava su uno sconquassato terrazzo-cortile: uno stretto sgabuzzino-deposito, altro che la “povertà” della suite del Santa Marta.

Ci accomodammo su delle panche io e il frate che mi scortava; più in là, prospiciente a noi si accomodò il monumentale padre Manelli e chiuse gli occhi. Sì, è una di quelle persone, di quei notabili che, mentre gli parli, ti mettono nella situazione imbarazzante di non capire se ti stanno ascoltando o stanno sonnecchiando. E gli occhi chiusi, le mani congiunte sul mento, non aiutavano a sciogliere il dubbio. Una situazione che nel mondo laico può essere un cosciente atto di superbia per mettere in soggezione l’ospite, ma che nel mondo religioso, e in questo ambiente angelicato specialmente, significa un’altra cosa: “ecco, adesso sono pronto ad ascoltarti, in profondità, oltre le parole”.

Forse da qui nasceva la leggenda che i fraticelli diffondevano sul loro fondatore: “Costui ha fama di leggere nel pensiero, si dice”. Ma secondo me non aveva letto nel mio pensiero, altrimenti non mi avrebbe invitato a pranzo, stante la mia allergia per le trascuratezze e i pasticciacci brutti di bassa cucina a tavola.

Approfittando del fatto che fosse a occhi chiusi, lo osservai bene: per esempio quei grandi piedi lì nei sandali, così grossi, screpolati, fra una confusione di dita accavallate. Non era tipo da pedicure. Mentre parlavo e osservavo tutto questo, pensavo non solo di non poter mai fare “voto di povertà” spinto a questi livelli di esemplarità ed ascetismo, come questi frati qui, di non essere “vocato” a certe cose, ma anche che mai sarei potuto essere un francescano dell’Immacolata. Avrei più l’indole del gesuita, semmai dell’opusdeista, ma niente è più lontano dalla mia personalità che ogni sorta di francescanesimo. Ancora lì lui, il Fondatore, con gli occhi chiusi, che certe volte neppure riapriva replicando dopo avermi ascoltato in silenzio. Salvo una volta, quando lo feci sobbalzare e spalancare gli occhi, citando “l’ortodossia di von Balthasar”. “E no, no, un momento, andiamoci piano con Balthasar, la sua ambiguità è pericolosa!”.


Il Fondatore

PRANZO. Poi arrivò il momento più difficile per lo strano personaggio schizzinoso che ero, facile a sentire oltraggiato il suo – alto – senso estetico, essendo per giunta uno storico dell’alimentazione: andare a tavola. Era imbandita nel cortile-terrazza. Il padre Manelli a capotavola, i frati e i novizi tutti intorno, io fra loro, con difronte due algidi giornalisti cattolici francesi, penne di punta di una rivista che mirava alla collaborazione tra “tradizionalisti” e “moderati”, contro le derive teologiche dei fumosi clerico-intellettuali progressisti di Francia. Piatti e bicchieri uno diverso dall’altro, forchette che sembravano aver fatto la guerra ’15-’18: una scampagnata di povertà. Già!

Quel banchetto lì sarà destinato a rimanere nella mia memoria sino alla morte, incancellabile come il peccato originale. Non ho mangiato, nel senso che non ho masticato il cibo, per non doverlo assaporare oltre: l’ho semplicemente ingoiato, come fosse una medicina.

PIETANZE. Indimenticabili le pietanze. Il primo, ad esempio: “li boni frati” avevano messo in una pentola tutti i rimasugli di pasta immaginabili, un assortimento di mezzemaniche, rigatoni, pennette; conditi con quel che avevano trovato per caso in frigo, molto burro, origano forse, formaggio, e per giunta, essendo un assortimento di paste diverse e diversi erano i tempi di cottura, mezza pasta era cruda e mezza squagliata; chiaramente con gran scialo di sale… manco grosso, ma fino. Un pappone che in casa mia non si dà neppure ai cani (encomiabile l’autocontrollo e l’atarassia di quei due laici azzimati francesi: pure loro, con la massima dignità possibile, ingoiavano il pappone, in cuor loro rimpiangendo le delicatezze della cucina gallica, ma senza darlo a vedere nei loro volti sfingei). Il sugo lo avevano ricavato dal secondo. Il secondo, appunto, che era peggio del primo: in una padella ci avevano buttato tutto insieme pelati, passati, burro, pepe, e (Signore pietà!) due chili di ogni sorta di taglio di carni (sicuramente da discount) e d’ogni razza d’animale: maiale, bovino, vitello, fegatelli, salsiccioni, di tutto di peggio. E come non bastasse, erano cotte malissimo, anzi non erano cotte affatto, e la carne era diventata dura come gomma. Un sacrilegio che gridava la vendetta di Dio. Ho ingoiato pure questa roba qui, a pericolo stavolta di strozzarmi.


Il Padre: celebra il Sacrificio di Cristo. Adesso stanno celebrando il sacrificio del Padre. E come per Gesù… ad opera del Giuda che gli sedeva accanto.

Mentre dentro di me bestemmiavo il nome del cuoco e della madre che lo aveva messo al mondo, notai un gesto sconvenientissimo per come la vedo io, ma che guardato in un’altra ottica è molto famigliare, intimo, da padre a figlio. Con assoluta naturalezza, il Padre fondatore non avendo terminato la pasta nel suo piatto, lo passò a un suo fraticello che la consumò. E così fece con la carne. Solo chi è sicuro dell’esistenza di un intimo rapporto di paternità e figliolanza può fare simili gesti a tavola. Gesti che io non potrei fare e accettare, mi dicevo, se non con un’amante: “ecco perché mai potrei essere uno di loro”.

Insomma, per farla breve: la povertà quattrocentesca non mi piace, non mi affascina, non eleva il mio spirito e semmai lo abbassa, lo immeschinisce e in definitiva mi ripugna. Mi piace la vita borghese, semplice ma borghese. Ecco: benedettino sì, francescano no; servire il Signore da signore come i benedettini sì, servirlo da straccione come i francescani (di un tempo o, in questo tempo, come solo i francescani dell’Immacolata) no. De gustibus!

A parte tutto questo, con tutte le miserie del caso, resto a tutt’oggi convinto di essere stato a tavola con una comunità di santi, viventi e futuri. Almeno il 70% lo erano. Ed è quel che conta.

CHE MISTERO BUFFO E TREMENDO QUELL’ISTINTO SUICIDA DEI RELIGIOSI


Francescani dell’Immacolata a lavoro in cucina: l’età media è bassissima.

Un giorno stavo discutendo con don Ariel Levi di Gualdo, che è ‘n’amico, e si parlava del destino di questi ordini religiosi, a cosa si erano ridotti ormai, se non valesse per loro una sorta di eterogenesi dei fini che capovolge gli intenti iniziali del fondatore e li converte nell’esatto contrario. Mi veniva da fare comparazioni cliniche: “come nel caso dell’AIDS”, dove gli anticorpi posti all’interno dell’organismo per difenderlo dai virus, nei casi di AIDS invece, quegli stessi anticorpi nati per distruggere i virus, impazziscono e si mettono a lavorare per i virus, attaccando le cellule sane e gli altri anticorpi. Sino all’omicidio-suicidio organico, del corpo che li ospita e di se stessi con esso.

Allora il padre Ariel, allevato da un grande gesuita della vecchia scuola ignaziana, mi raccontava del fatto che “se i gesuiti hanno grossi problemi a livello dottrinale, i benedettini, invece, hanno grossissimi problemi a livello morale”. Poi ad un certo punto mi disse: «Se certi giovani  gesuiti non fossero così arroganti, sordi e ideologizzati come son diventati molti di quelli nati e formatisi dagli anni Settanta in poi, se smettessero di essere così e decidessero di tornare alla loro essenza, al loro carisma ignaziano, alla regola originaria, alla missione che gli è propria, compatibilmente alla Chiesa e alla società di oggi,  quegli stessi gesuiti che s’avviano a un declino inarrestabile anno dopo anno, e ogni anno il numero dei decessi supera di dieci volte le nuove ordinazioni sacerdotali, quegli stessi gesuiti dalla sera alla mattina si ritroverebbero i noviziati pieni di novizi».


Un francescano dell’Immacolata proveniente da qualche “Estremo Nord” della terra.

A livello subliminale lo sanno quei gesuiti qual è la strada obbligata per una rinascita. Lo sanno, ma la loro patetica ostinazione senile, l’ideologismo anacronistico e protervo, il conservatorismo sessantottardo dal quale non riescono a liberarsi, tutto questo li spinge a insistere su una strada che la realtà ha dimostrato non solo essere sterile, dannosa, ma anche suicida. Corrono boriosamente incontro alla rovina con l’aria incosciente di chi sta andando a giocare nei campi del Signore.

Certo, sì, vale quel che Messori dice sempre a proposito di tutti gli ideologi: “Se la realtà dimostra che lo schema dell’ideologo è sbagliato, tanto peggio per la realtà,  è la realtà che sbaglia perché lo scheMa è ‘giusto’”. Certo. Ma qui, in questo caparbio, ostinato istinto suicida dei religiosi, c’è qualcosa di più e di peggio, di apparentemente inspiegabile e oscuro, un mistero insondabile: una mano invisibile, fatale, che non sai se muova i fili dagli abissi della “terra incognita”, oppure dall’alto dei cieli. Se è la Tentazione o è la Provvidenza che si muove, come sempre, secondo una logica imperscrutabile, che sfugge all’occhio e alla ragione umana. una sorta di cupio dissolvi: desiderio inconscio di morte.

I GLORIOSI ORDINI MONASTICI? FORSE FURONO SOPPRESSI DALLA PROVVIDENZA PIÙ CHE DA NAPOLEONE. L’IPOTESI DI UNO SCRITTORE CATTOLICO


Trionfo del monachesimo

Proprio oggi ne parlavo con uno scrittore cattolico sul perché di quell’ineluttabile destino finale rovinoso che disintegra ad un certo punto i più gloriosi ordini religiosi.  A ‘na certa, rispondendomi, se ne è uscito, apparentemente, con un paradosso: in realtà è una ipotesi vera e propria, o forse proprio una constatazione storica. Mi dice infatti questo scrittore, prendendo spunto dalle soppressioni napoleoniche di vari ordini, i contemplativi specialmente:

«Detto tra noi: le brutali soppressioni napoleoniche fecero danni come una invasione barbarica. Ma danni al patrimonio artistico e culturale, come avvenne per tanti antiche abbazie italiane, ridotte a case coloniche , quadri e sculture rubati, archivi bruciati, biblioteche disperse, campane fuse per far cannoni». E a questo punto aggiunge una cosa, che dovrebbe forse scandalizzare qualche kattolico “con la K”: «Ma, sul piano religioso, c’è da chiedersi se quella violenza non rientri nella prospettiva delle ultime parole del curato di campagna di Bernanos: “Tout est grace”, tutto è provvidenza». Le soppressioni napoleoniche e poi sabaude e massoniche e comuniste e via proseguendo come opera della Provvidenza? C’è da scandalizzarsi, certo, ma c’è parecchio da riflettere, seriamente: è una ipotesi non balzana. Rientra a pieno titolo nella storia di questo Dio dal giogo lungo e dai paradossi grandi.

Continua, lo scrittore, citando i fatti di una nota abbazia lombarda soppressa dai francesi: «In questo caso il popolo non mosse un dito per salvare i monaci, i servi delle abbazie si rallegrarono (anche se poi si accorsero che i nuovi proprietari erano peggio: da terzaroli, debitori di un terzo del raccolto, furono ridotti a mezzadri) il clero diocesano si rallegrò, i moralisti si dissero lieti per la fine di quella che a loro sembrava solo una vita di pigrizia, molti storici cattolici vi videro la necessaria interruzione  di una lunghissima agonia che – per i monaci – durava dal XIII secolo (apparizione degli ordini mendicanti, e poi via via tutti gli altri). Il benedettinismo muore con il feudalesimo e la nascita dei Comuni che non a caso edificano le loro cattedrali come risposta e sfida alle chiese abbaziali. Buona parte delle monache rifiutò di uscire dalla clausura e non accettò  il salario che era loro offerto per vivere nel mondo. La gran maggioranza dei monaci, invece, se ne andò senza far storie e accettò la paga governativa».


…e tragedia del monachesimo

Ma precisa, a riguardo dei benedettini che immaginiamo all’epoca come un bocciolo di rosa fresco e aulentissimo, che le cose stavano un tantino diversamente per quei monaci: «Erano ormai i brandelli di un mondo morente: pensiamo che Cluny, mater abbatiarum, che giunse ad avere alle sue dipendenze più di mille monasteri e tra le sue mura 900 monaci, al momento della soppressione aveva una trentina di anziani religiosi e solo tre rifiutarono di abbandonare il “mestiere” e scelsero di unirsi ai confratelli di abbazie non francesi. Intollerabile, vergognosa è invece la vendita come cava di pietra e marmi della chiesa abbaziale, la più grande chiesa del mondo dopo San Pietro:  quando vado a Cluny, mi viene da piangere, davvero, guardando il solo campanile (marginale) rimasto a testimoniare  una meraviglia scomparsa, il miglior romanico della Cristianità». Così questo noto scrittore cattolico.

TANTE VOCAZIONI PERCHÉ HANNO PROPOSTO L’EVERSIONE DELL’ORTODOSSIA


Il Fondatore durante un conferenza

Ma torniamo al trionfo e tragedia dei Francescani dell’Immacolata. Cosa sono, cosa sta succedendo, dicevamo. A cosa era dovuto il loro stupefacente successo vocazionale in questi ultimi anni?

Ad una cosa apparentemente ostica, ma in realtà la più semplice di tutte, e la più seducente per i giovani abitanti di un mondo desacralizzato ma affamato di sacro, di assoluto, di radicalità: hanno proposto ai ragazzi con una sensibilità religiosa che poteva sbocciare in una vocazione una cosa “controcorrente”, una esperienza più che di “rottura” di docilità al soffio dello Spirito, e perciò esperienza estrema, qualcosa che era “oltre” e “altro”: rivivere il gusto della Regola originaria, essere pionieri del ritorno alle origini francescane con tutte le radicalità che ciò comporta.


Suore francescane dell’Immacolata. Tante, e ce ne sono molte altre…

Hanno proposto loro la spoliazione dalla mondanità, la povertà più totale e francescana, e al contempo l’ebbrezza della bellezza, il rivestirsi della maestà di Cristo e sic introibo ad altare Dei nel culto divino. La purezza della dottrina cattolica. L’eversione dell’ortodossia. L’anarchia della fedeltà a Cristo e alla Chiesa, alternativa al conformismo corrotto del clericalismo afflitto da mondanità spirituale e vittima di mode e ideologismi. Una nuda e cruda, e proprio perciò viva e ricchissima, esperienza eminentemente cattolica. Un’oasi dentro una Chiesa che non ama più se stessa, che si scinde ogni giorno dalla sua essenza, e dunque dalla sua missione, sino all’autodemolizione.

Fra i tanti, uno dei pilastri di questa esperienza religiosa regolare, era la celebrazione “anche” della messa secondo il rito antico: “anche” perché alternavano il messale di Paolo VI a quello di Giovanni XXIII, quindi celebravano il sacrificio parimenti nelle due forme dell’unico rito romano, antico e nuovo. Ecco, questa era una delle grosse attrazioni per le vocazioni: si direbbe che la maggioranza dei padri e dei novizi sia stato attratto proprio da questa possibilità, e abbiano perciò deciso di entrare tra questi Francescani dell’Immacolata. E qua inizia il trionfo. E laddove inizia il trionfo, quello è anche il punto migliore per far partire la tragedia.

IL SUPERBISSIMO DI SANTA MARIA MAGGIORE


Il papa con alcuni dei F.I. di Santa Maria Maggiore

Molti non amano, non hanno mai amato questo piccolo capolavoro; molti altri hanno finto d’amarlo, per entrarci dentro e smagliarlo dall’interno. Bastava prendere di mira quel pilastro su cui molto si regge e senza il quale tutto cade: la liturgia “anche” nel rito antico. Legarlo con un cordone e tirare: chi dall’interno dell’edificio, chi dall’esterno. E così lentamente e poi sempre più velocemente e issando a partire dall’abdicazione di Benedetto XVI. Una vendetta postuma contro quel pontefice ancora vivo. Una corsa contro il tempo per distruggere uno dei  pochi alberi robusti e carichi di frutti di questa Chiesa disboscata degli ultimi anni. “L’invidia del demonio”, già!

È stato così che, incoraggiati da Oltretevere da alcuni potentati e lobby interne a quella sede dell’Abominio della Desolazione che è il Vaticano, in una serie di capitoli generali dell’Ordine, il Superbissimo di Santa Maria Maggiore, trascinandosi dietro una cordata di sbandati interni, ha osato, cavillando, di giocare un brutto scherzo ai confratelli, all’Ordine, alla Regola e al Fondatore. Sino allo scandalo del commissariamento.


Novizie dei F.I.

Sono arrivati non solo a tramare sotterraneamente in combutta con i corridoi della Curia dei veleni, non solo contro l’interesse della Comunità, non solo a sputare nel piatto nel quale mangiavano a sbafo da anni; ma sono giunti persino (in un primo momento con lettere anonime, poi coi torbidi, infine coi cavilli canonici) a tirare giù il pilastro della “messa antica” facendola “proibire” (che è come a un bambino di Napoli obbligarlo a parlare solo in italiano e “proibirgli” il meraviglioso dialetto partenopeo, che appartiene al suo sangue e al suo cuore, mentre l’altra lingua appartiene solo al suo cervello). Infine hanno osato l’inosabile: si sono macchiati di parricidio. Infatti, queste poche decine di congiurati al seguito del Superbissimo di Santa Maria Maggiore, contro la maggioranza di circa 800, sono riusciti a deporre e mettere da parte il santo fondatore padre Stefano Manelli. Un trauma e un suicidio, per una congregazione, decapitare il suo stesso fondatore carismatico: non si poteva iniziare un cammino in modo peggiore. C’è da riflettere.

PRECIPITARE DAL BERTONE AL BERTELLO

Anche perché questo, chiaramente, non sarebbe stato possibile se a quelli che tiravano la corda intorno al pilastro dall’interno, non si fosse aggiunto l’aiuto determinante di un mandarino vaticano che tirava dall’esterno. Il mandarino, il Superbissimo di Santa Maria Maggiore, lo ha trovato nel prossimo Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Bertello, che succederà a Bertone. Così precipitando tutti noi dal Bertone al Bertello, come dalla padella alla brace. Lasciate perdere quella marionetta che ormai in Vaticano è irriso da tutti, il prefetto dei Religiosi, il cardinale Braz Avril, definito diplomaticamente da Magister come un “confusionario”, ma che è molto peggio: un demagogo da quattro soldi che non capisce il merito delle cose che gli sono affidate e fa pasticci di continuo. Questo qui non conta niente perché non capisce niente: è una marionetta nella mani dei lupi di curia. E in questo caso è finito nella mani di Bertello.

Il cardinale Bertello, dunque, che viene dalla diplomazia, governatore di Città del Vaticano, prodotto tipico, vecchio ed eterno, dell’intramontabile establishment vaticano, lo stesso che ha affondato l’ultimo pontificato. Bertello, che così mi viene tinteggiato da un prete romano:


Il cardinale Bertello

«C’era  una cerimonia di Stato in una grande basilica romana. C’erano le massime cariche dello stato, compreso il presidente, tutti in pompa magna. A ‘na certa arriva una macchina targata SCV. Ne esce fuori un personaggio strambo, dall’aria maligna, stizzosa, trasandata: era Bertello, in veste di rappresentante ufficiale della Santa Sede, essendo nunzio in Italia. Lo osservai costernato e provandone pena e ribrezzo al contempo. In veste ufficiale, in una cerimonia pubblica solenne, si presenta quest’uomo basso e grasso, spettinato, con le braccine tozze e corte e le dita tracagnotte e pelose da sembrare un personaggio clericale uscito dalle vignette di Altan tanto da confermare, al solo guardarlo, tutte le più crasse barzellette anticlericali. Pantaloni blu male allacciati e tutti storti, camicia grigia con collarino bianco, giacca nera e spiegazzata, croce pettorale nel taschino, sgraziato nel comportarsi. Così, come un fruttarolo al mercato rionale s’è presentato. Impresentabile, stonato, fuori luogo, volgare. E questi sono i vertici della diplomazia vaticana!».

Ma veniamo al problema: i Francescani dell’Immacolata. Sappiamo dunque che, in combutta con i congiurati interni, a tirare i fili dall’esterno è proprio il cardinale Bertello. Lui, il prossimo segretario di stato, il regista occulto di questa pugnalata nella schiena della più rigogliosa congregazione religiosa. Ma perché Bertello lo fa?

Come è difficile entrare nella testa di un uomo, aprire lo scrigno del suo cuore, ammesso e non concesso che, essendo prete in carriera e cardinale – categorie anaffettive e anche, diciamo così, poco misericordiose per natura, e uso un eufemismo –, ne abbia uno. Chi può saperlo davvero: “invidia del demonio” probabilmente, per usare parole care a papa Francesco. Perché se no rompere l’unico giocattolo funzionante nella Cattolica di questi giorni? Questo ricettacolo di ardenti e abbondantissime vocazioni? Possiamo solo stabilire con certezza qual è il suo fine, restando misteriosa l’origine di questa sua idiosincrasia tanto inspiegabile, e feroce.

LA CURIA DEI VELENI LI VUOLE MORTI


Francescane d. I. alle prese con la tecnologia…

Il suo fine è uno e uno soltanto: distruggere i Francescani dell’Immacolata. Ci ha lavorato sottobanco a lungo, certosinamente, paziente e silente, lasciando alla fronda interna di fare la voce grossa: era solo questione di attendere il momento propizio per sferrare il colpo di grazia sul pomo d’Adamo della Congregazione. Il momento giusto è venuto con la fine del pontificato ratzingeriano e l’ascesa di Bertello nelle grazie del successore, presagio di potenza futura e di culmine di carriera.

Perché? Questi frati dopotutto non gli avrebbero creato alcun problema, nessun intralcio, perché allora annientarli, metterli l’un contro l’altro armati? Cosa ci avrebbe perso lui a lasciarli vivere il loro carisma in santa pace? Certamente sarebbe diventato segretario di stato ugualmente.


Un giovane F.I. celebra il supremo Sacrificio

Come sia sia, una cosa il cardinale “di Altan” ha capito: per farli implodere nel più breve tempo possibile, bisognava colpire dritto e duro, dall’interno e dall’esterno, uno dei pilastri principali, stimolo e fonte delle copiosissime vocazioni, prima che fosse troppo tardi e troppo s’allargassero: il pilastro della messa antica, possibilità fascinosissima per i giovani che vogliono entrarvi e che ci sono già dentro, come novizi o come sacerdoti. Venuto meno questo, verrà meno la ragione del loro ingresso e della loro permanenza in una congregazione particolare ma che si vorrebbe ridurre – questo vorrebbero i frondisti interni – a dei francescani come tutti gli altri. Facendo quindi venire meno la ragione della loro esistenza specifica. Cesserebbero da subito le richieste di ingresso, in molti ne uscirebbero, e quel che ne resterebbe si dividerebbe in mille fazioni sature di risentimento che si odiano e annientano tra loro, sino a scomparire tutti. No, non si vuole vessarli soltanto, snaturarli, defraudarli del loro carisma: li si vuole proprio distruggere nel peggiore dei modi. Del resto si sa che nella Cattolica da anni c’è una sorta di “caccia al cattolico”, come si sa che c’è una certa intolleranza per le cose che funzionano (specie se smentiscono lo schema dell’ideologo clericale funzionando).

IL PARRICIDIO ASSISTITO


Il sacrificio di Cristo. E quello di padre Manelli

E proprio per non fallire il colpo, hanno attaccato anche il pilastro centrale: il fondatore e superiore dei Francescani dell’Immacolata, il padre Stefano Manelli. Mettendolo con artifici legalistici in “minoranza” lui e tutta la maggioranza schiacciante che gli sta dietro; riducendolo, dunque, al silenzio e all’impotenza, e dimettendolo. La curia li vuole morti, costi quel che costi! “Invidia del demonio” ancora.

 “Bruto, anche tu figlio mio!”. Colpire un padre e lasciare orfani dei figli: un figlio ribelle che si macchia di parricidio. Una Santa Sede che invece di promuovere la giustizia, la fratellanza, la carità nella Chiesa, promuove il sopruso, i torbidi, il parricidio, il fratricidio. E allora capisci perché i due papi hanno installato nei giardini vaticani una statua del grande nemico di Satana: San Michele Arcangelo, perché, dice Francesco quasi sussurrandolo, «il demonio si è insediato qui», e “qui” sta per “Vaticano”.  I suoi servi sono tutti intorno.


Un gruppo di giovani, prendono i voti dei Francescani dell’Immacolata.

Ma al di là di tutto, una congregazione giovane che smentisce e rinnega il suo stesso fondatore, vivente, e con esso il carisma e la regola sulle quali quella  comunità si è formata, è una comunità che fa sorgere domande. Fa interrogare sulla sua natura, le sue ragioni, l’essenza, la profondità religiosa e umana della formazione dei suoi membri.  E se sono ancora degni di sopravvivere. Cosa si è allevato, dunque, fin qui? Una congregazione che decapita il suo fondatore vivente, deve avere qualcosa di sbagliato sin dall’origine. E però a cercarla questa “ragione” sfugge, perché tutto sembra più o meno in regola, troppe cose funzionavano persino troppo bene. È tutto così… così… misterioso! O forse no.

PERCHÉ  NUOVE CONGREGAZIONI NASCONO, TRIONFANO E POI SI SUICIDANO?


Maciel Degollado e il beato Giovanni Paolo, sotto il cui pontificato ha goduto di molte protezioni. Salvo di quella di Ratzinger, che però fu brutalmente zittito dalla segreteria di stato e da Sodano.

Qua ormai non è mica più una novità…

Fatto sta che in questi ultimi anni non è la prima volta che si verificano cose simili, sebbene le “ragioni” di un disastro in quei casi era chiaro. Ci sono stati di recente, per esempio, i casi di due congregazioni toccate dal “successo”, che andavano a gonfie vele mentre tutte le altre annaspavano, sulla cresta dell’onda mentre altre ne erano state travolte, in controtendenza rispetto a tutto il panorama dei religiosi ovunque dispersi: avevano carisma giovane e forte, seducente per i giovani, ricchissimo di vocazioni, in continua crescita. E nonostante ciò all’improvviso sono affondate. Qualcosa vorrà dire…

Prendi i Legionari di Cristo da una parte,  la Famiglia Monastica Fraternità di Gesù dall’altra, dedita alla contemplazione e all’agricoltura, tanto che sotto Giovanni Paolo II, stante il loro successo vocazionale, si era deciso di affidargli addirittura la storica abbazia di San Paolo Fuori le Mura, che da sempre era in mano ai benedettini, ormai ridotti a poche unità di vecchi e stanchi monaci. Sembravano il futuro della Chiesa, nel segno dell’ortodossia. Ma… ma… che è successo?

Nel primo caso, il fondatore dei Legionari, Maciel Degollado sappiamo tutti che fine ha fatto: decapitatosi con le sue stesse mani, ha lasciato orfani e in crisi gravissima di identità e credibilità i suoi discepoli, tanto che ormai sembrano precipitati in una crisi irreversibile: se viene a cadere il pilastro del fondatore tutto crolla. Quanto a quegli altri, la Fraternità di Gesù, pure questi si sono arenati subito, dopo l’iniziale successo, in scandali d’ogni sorta, tant’è che la Santa Sede nel 2010 ha soppresso definitivamente la congregazione. Sic transit gloria mundi!

Ma scandali e immoralità nei Francescani dell’Immacolata non ce ne sono, e posso ben dirlo io che li ho visti da vicino e non solo ho un sesto senso a fiutare situazioni ambigue, ma ho una repulsione e una idiosincrasia radicale per le immoralità nel clero. Da questo punto di vista sono puliti come creature in fasce.

MYSTERIUM INIQUITATIS

Il papa sopprima i Francescani dell’Immacolata, e gli altri: Deus vult! Forse…

Clarisse dei F.I.

Ma allora? Forse c’è da domandarsi se non sia finito davvero il tempo di grazia (e intendo proprio quello concesso da Cristo perché si svolgesse un compito a Lui gradito) degli ordini religiosi e del clero regolare.

Se Cristo non abbia deciso di archiviare per “missione compiuta” questo capitolo grandioso e ricchissimo che ormai appartiene alla storia Chiesa, e che tanto è stato utile nei secoli scorsi, determinante spessissimo.

Se, magari, il problema non è questo o quel fondatore, o regola, o carisma, ma piuttosto è proprio ancora l’esistenza di congregazioni religiose; se cioè non sono queste ad essere sbagliate, ma è il tempo quello sbagliato, perché non è più il loro, perché quel “loro” tempo è passato e non tornerà.


Francescana dell’Immacolata: preghiera, cultura e lavoro.

Se non sia questo, adesso, il tempo di fare a meno delle congregazioni religiose, se non sia del tutto inutile crearne di nuove mentre una dopo l’altra si chiudono le vecchie.

Se per caso non si debba, come io auspico, sopprimere definitivamente tutte le congregazioni religiose, e salvare solo qualche ordine monastico contemplativo, le clausure. O almeno, lasciarle morire tutte nel più breve tempo e con la massima dignità possibili, rifiutando di autorizzarne di nuove. Forse è venuto davvero il tempo del laicato impegnato, che sostituisce non il clero secolare, bensì proprio quello regolare. Io ne sono convinto.

C’è da riflettere… e molto!

I Francescani dell’Immacolata al “bivio”. Un bivio che in realtà è una curva della morte che li manderà fuori strada, schiantandosi, frantumandosi in mille pezzi e morendo. È davvero tutta opera d’uomo? Solo opera del Vaticano e dei congiurati? È davvero solo opera del demonio? E se fosse opera della “Provvidenza”, come ipotizzava pocanzi lo scrittore cattolico?


Un F.I. in missione

Certo, c’è il germe che dalle origini i francescani si portano nel sangue, il germe della scissione; certo, ci sono le debolezze e le vanità umane sulle quali gioca il Divisore per antonomasia e i suoi servi in Vaticano; certo, c’è anche il fattore di una grossa fetta di questi francescani che sono – come dicevo a qualcuno al telefono poco fa che mi domandava trafelato – psicologicamente “scarti umani”, tipi i più improbabili. Certo. E c’è anche il mysterium iniquitatis.

C’è qualcosa di oscuro e luminoso al contempo, ineluttabile in ogni caso, una mano invisibile che atterra ciò che gli uomini suscitano. E che esprimo così: sono convinto che la storia degli ordini religiosi sia una storia finita, chiusa, hanno dato tutto quanto potevano: ora resta solo il fondo imbevibile della bottiglia di vino invecchiato. Stop: ad un certo punto, nella Chiesa le cose che nascono, crescono, poi muoiono inesorabilmente, e i rami secchi si tagliano e non si piange sul ramo seccato: ha servito l’albero finché ha avuto linfa. A ricordarci che “l’Albero” non è nostro ma del Padrone del giardino; a confermarci che tutto e tutti nella Chiesa sono importanti, ma nessuno è necessario, e quando qualcuno si convince d’esserlo, diventa solo dannoso. Non tagliare via il ramo secco significa ritardare la crescita dell’albero e impedire lo spuntare di nuovi germogli.


All’organo

Cos’è questo inspiegabile, improvviso, oscuro istinto suicida interno all’ordine dei Francescani dell’Immacolata se non la conferma di questo dato fatale?

La storia degli ordini religiosi è storia che appartiene al passato, è storia finita, dunque. E il revival a cui si è assistito in questo “nuovo” Ordine Francescano, con tante vocazioni, in un tripudio di sana dottrina, non poteva essere una resurrezione, ma quella fase che durante l’agonia taluni chiamano la “migliorìa della morte”, dove l’agonizzante sembra improvvisamente e miracolosamente riacquistare tutte le sue forze e guarire persino. Ma è solo l’ultima crudele illusione, l’attimo che precede il collasso definitivo e la morte.

Fiat!

 

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