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martedì 10 settembre 2013

Clamorosa notizia sul fronte FI. È questa la chiesa?

lunedì 9 settembre 2013

Clamorosa notizia sul fronte FI. È questa la chiesa?

Riprendo da Fides et Forma. Non riesco ancora a commentare. Lo farò al più presto. Intanto registro la notizia che mi riempie di amarezza per quel che mostra, in una Chiesa sempre più estraniata dalla sua Tradizione. Formulo per ora solo una domanda: che chiesa è quella che ha imbastardito quando non rinnegato la sua Tradizione millenaria?
Resta da capire cosa significa e comporta la nomina, in attesa di una qualche reazione dalla parte 'sana' dell'Ordine nonché di qualche pastore, se ancora ce ne sono rimasti degni di questo nome.

Si era inteso sin dall'inizio come sarebbe andato a finire l'affaire FFI. Uno dei traditori di p. Manelli, il mediatico p. Alfonso Bruno è stato nominato Segretario generale dell'Ordine dal Commissario dal nomen-omen p. Volpi.
A questo punto urge fare due considerazioni. Anzitutto occorre far presente che il sito immacolata.com è stato anch'esso commissariato e posto direttamente nelle mani di p. Bruno. In secondo luogo che il sito mediatrice.net non è affatto un sito "istituzionale" ma un sito di proprietà dello stesso p. Bruno dal quale lancia vari sproloqui pietistico-francescani. Tra questi ha sollevato qualche discussione un elogio del gesuita p. Dall'Oglio un autentico pazzo sacerdote che inneggiava nei mesi scorsi all'uso delle armi chimiche da parte dei ribelli contro l'esercito di Assad in Siria, come strumento di liberazione non condannabile moralmente. Non contento p. Bruno controlla anche il profilo ufficiale su Fb dei FFI, profilo sul quale pubblica le sue foto e proclami incentrati sul plurale majestatis.

Lo stesso ha anche avuto l'ardire di mettere in circolazione anche fra vaticanisti autorevoli un'immagine distorta dell'Ordine manelliano, con tanto di racconti leggendari in merito a presunte avversioni all'interno dei Frati nei confronti di papa Francesco. Con grande acume e per mera sete di potere si è compreso che il cambio di papa avrebbe potuto giocare a favore del sovvertimento all'interno dell'Ordine. Così il grande comunicatore partenopeo ha iniziato a disegnare un profilo sconveniente, da pelagiani, dei suoi confratelli e dei suoi superiori.

Il messaggio, dunque, proveniente da parte del Commissario, messaggio estendibile a tutti gli altri ordini religiosi, è: ribellatevi all'autorità e sarete premiati! Messaggio di una Chiesa sempre più invasa da cialtroni, ipocriti e sepolcri imbiancati.
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[Vedi precedenti nel blog sul "caso" dei FI:
- Perché non si può tacere
- Nota ufficiale dei FI
- Lettera del visitatore Apostolico con questionario
- Comunicato stampa Coord. summorum
- Il "caso" visto da De Mattei
- Intervista con il procuratore FI
- Questionario del commissario
- L'inascoltato appello dei FI
- Possibili risposte al questionario
L'asso nella manica del commissariamento
- Messaggio del commissario
Historia magistra vitae
- Sentire cum Ecclesia o col concilio?
- Manovre conciliariste

martedì 13 agosto 2013

Lex dubia non obligat ( francescani dell'immacolata )


Lex dubia non obligat


Lex dubia non obligat(di Roberto de Mattei) Il “caso” dei Francescani dell’Immacolata ripropone una questione di ordine canonico, morale e spirituale, spesso affiorata e talvolta “esplosa” negli anni del post-concilio: il problema dell’obbedienza ad una legge ingiusta. Una legge può essere ingiusta non solo quando viola la legge divina e naturale, ma anche quando viola una legge ecclesiastica di portata superiore. È questo il caso del Decreto dell’11 luglio 2013 con cui la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata stabilisce il commissariamento dei Francescani dell’Immacolata.
La lesione del diritto non sta nel commissariamento, ma in quella parte del Decreto che pretende obbligare i Francescani dell’Immacolata a rinunciare alla Messa secondo il Rito Romano antico. Esiste infatti, oltre alla Bolla Quo primum di san Pio V (1570), il motu proprio di Benedetto XVI Summorum pontificum (2007), ossia una legge universale della Chiesa, che concede ad ogni sacerdote il diritto di «celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa».
L’art. 2 del Motu Proprio specifica che non occorre alcun permesso né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario, per le Messe celebrate sine populo.
L’art. 3 aggiunge che non solo i singoli sacerdoti, ma «le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, sia che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori possono esercitare questo diritto». Nel caso che una singola comunità o un intero Istituto o Società volesse «compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari». Non c’è bisogno, in questo caso, di risalire ai princìpi della legge divina e naturale, basta il diritto canonico. Un eminente giurista come Pedro Lombardia (1930-1986) ricorda come il canone 135, paragrafo 2, del nuovo Diritto Canonico sancisce il principio della legalità del legiferare, nel senso che «la potestà legislativa è da esercitarsi nel modo stabilito dal diritto», specialmente dai canoni 7-22, che costituiscono il titolo dedicato dal Codice alle Leggi ecclesiastiche (P. Lombardia, Lezioni di diritto canonico, Giuffré, Milano 1986, p. 206).
Il Codice ricorda che leggi ecclesiastiche universali sono quelle «promulgate con l’edizione nella gazzetta ufficiale degli Acta Apostolicae Sedis» (can. 8); che ad esse «sono tenuti dovunque tutti coloro per i quali sono state date» (can. 12 – §1); precisa che «le leggi che stabiliscono una pena, o che restringono il libero esercizio dei diritti, o che contengono un’eccezione alla legge, sono sottoposte a interpretazione stretta» (can. 18); stabilisce che «la legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo indica espressamente, o è direttamente contraria a quella, oppure riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente »(can. 20); afferma che «nel dubbio la revoca della legge preesistente non si presume, ma le leggi posteriori devono essere ricondotte alle precedenti e con queste conciliate, per quanto è possibile» (can. 21).
L’art. 135 stabilisce infine il principio fondamentale della gerarchia delle norme, in virtù del quale «da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore». Neanche un Papa  può abrogare un atto di un altro Papa, se non con la dovuta forma. La regola incontestabile, di ordine giuridico e morale, è che prevale il diritto derivante da un ordine superiore, che riguarda una materia di maggiore importanza e più universale, e che possiede un titolo più evidente (Regis Jolivet, Trattato di filosofia. Morale, vol. I, Morcelliana, Brescia 1959, pp. 171-172).
Secondo il canone 14, inoltre, la norma canonica, per essere obbligatoria, non deve essere suscettibile di dubbio di diritto (dubium iuris), ma deve essere certa. Quando manca la certezza del diritto, vige l’assioma: lex dubia non obligat. Quando ci si trova di fronte ad un dubbio, la gloria di Dio e la salvezza delle anime prevalgono sulle concrete conseguenze  a cui può portare l’atto, sul piano personale. Il  nuovo Codice di Diritto Canonico ricorda infatti, nel suo ultimo canone, che nella Chiesa, sempre deve essere “suprema lex” la “salus animarum” (can. 1752). Lo aveva già insegnato S. Tommaso d’Aquino: «lo scopo del diritto canonico tende alla pace della chiesa e alla salvezza delle anime» (Quaestiones quodlibetales, 12, q. 16, a. 2) e lo ripetono tutti i grandi canonisti.
Nel discorso sulla “salus animarum come principio dell’ordinamento canonico, tenuto il 6 aprile 2000, il cardinale Julián Herranz, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, ha ribadito come questo è il supremo principio ordinatore della legislazione canonica. Tutto ciò presuppone una riflessione articolata, che è assente dal dibattito, perché spesso si dimentica il fondamento morale e metafisico del diritto.
Oggi prevale una concezione meramente legalista e formalista, che tende a ridurre il diritto a un mero strumento nelle mani di chi ha il potere (cfr. Don Arturo Cattaneo, Fondamenti ecclesiologici del Diritto canonico, Marcianum Press, Venezia 2011). Secondo il positivismo giuridico penetrato all’interno della Chiesa è giusto ciò che l’autorità promulga. In realtà lo Ius divinum è a fondamento di ogni manifestazione del diritto e presuppone la precedenza dello jus rispetto alla lex. Il positivismo giuridico inverte i termini e sostituisce l’esercizio della lex alla legittimità dello jus. Nella legge si vede solo la volontà del governante, e non il riflesso della legge divina, per la quale Dio è il fondamento di tutti i diritti. Egli è il Diritto vivente ed eterno, principio assoluto di tutti i diritti (cfr. Ius divinum, a cura di Juan Ignacio Arrieta, Marcianum Press, Venezia 2010).
È per questo che, in caso di conflitto tra la legge umana e quella divina, «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At. V, 29). L’obbedienza è dovuta ai superiori perché rappresentano l’autorità stessa di Dio ed essi la rappresentano  in quanto custodiscono e applicano la legge divina. San Tommaso afferma che è meglio affrontare l’immediata scomunica della Chiesa, ed esulare in terre lontane ‒ dove il braccio secolare non arriva ‒ piuttosto che obbedire ad un ordine ingiusto: «ille debet potius excommunicatione, sustinere (…) vel in alias regiones remotas fugere» (Summa Theologiae, Suppl., q. 45, a. 4, ob. 3).
L’obbedienza non è solo un precetto formale che ci spinge a sottometterci alle autorità umane: è prima di tutto una virtù che incammina verso la perfezione. Abbraccia in maniera perfetta l’obbedienza non chi ubbidisce per interesse, timore servile, o affezione umana, ma chi sceglie la vera obbedienza, che è l’unione della volontà umana con la Volontà divina. Per amore di Dio dobbiamo essere pronti a quegli atti di suprema obbedienza alla sua legge e alla sua Volontà che ci sciolgono dai legami di una falsa obbedienza, che rischia di farci perdere la fede. Purtroppo oggi vige un malinteso senso dell’obbedienza, confinante talvolta con il servilismo, in cui il timore del’autorità umana prevale sull’affermazione della verità divina.
La resistenza agli ordini illegittimi è talvolta un dovere, verso Dio e verso il nostro prossimo, che ha bisogno di gesti di esemplare densità metafisica e morale. I Francescani dell’Immacolata hanno ricevuto ed accolto da Benedetto XVI il bene straordinario della Messa tradizionale, impropriamente detta “tridentina”, che oggi migliaia di sacerdoti celebrano legittimamente un tutto il modo. Non c’è modo migliore di esprimere la loro riconoscenza a Benedetto XVI per il bene ricevuto e di manifestare allo stesso tempo il proprio sentimento di protesta verso un’ingiustizia subita, che di continuare a celebrare in tranquilla coscienza il Santo Sacrificio della Messa secondo il Rito romano antico. Nessuna legge contraria li obbliga in coscienza. Forse pochi lo faranno, ma il cedimento per evitare mali maggiori, non servirà ad allontanare la tempesta che infuria sul loro istituto e sulla Chiesa. (Roberto de Mattei)

domenica 11 agosto 2013

Protesta contro un provvedimento che reintroduce una divisione ecclesiale sulla liturgia

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frati francescani dell'immacolata (di Francesco Agnoli su Il Foglio del 31-07-2013) La notizia del commissariamento dei Francescani dell’Immacolata è senza dubbio traumatica per molte persone che conoscono da anni questa congregazione religiosa, e ne ammirano l’amore per la Chiesa e la semplicità francescana.
Che il primo provvedimento importante sotto papa Francesco sia colpire al cuore un gruppo francescano, che gode di buona salute, di numerose vocazioni e di ampio credito presso il popolo, è quantomeno paradossale! Subito viene da chiedersi come possa accadere che chi è fedele alla Chiesa venga rampognato e punito, mentre la disobbedienza, la commistione mondana di tanti prelati, rimanga ancora impunita. L’uomo della strada, ignaro della complessità delle cose, aggiunge a questo disagio, un’altra considerazione: “Ecco, dove finisce la tanto vantata continuità tra Benedetto XVI e papa Francesco!”.
Eh sì, perchè una congregazione che proprio sotto il pontificato precedente ha visto crescere il numero degli estimatori, ed è stata accolta in tante diocesi ben governate, come la Ferrara di Rabitti e la Bologna di Cafarra, viene oggi commissariata. Come è possibile questo? Come è possibile che ciò che si poteva fare sotto Benedetto, come celebrare la santa messa anche in forma latina, liberamente, sia oggi improvvisamente ed espressamente vietato ai membri di una congregazione che non ha fatto altro che aderire al Motu proprio di un pontefice? Come è possibile che una congregazione i cui membri vivono in povertà, senza mai dare occasione di scandalo, e dedicando molte delle loro risorse ai poveri (tramite la costruzione di orfanatrofi ed ospedali nei paesi più poveri), siano così duramente umiliati?
Se si vuole smarrire il popolo cattolico, gettare divisione e confusione, questo è il modo migliore. Quanti sono già oggi i cattolici che dicono: “il mio papa è Francesco”; e altri che ribattono “il mio, invece, Benedetto”? Ci si dividerà ancora, dinnanzi a questo provvedimento che la Congregazione dei religiosi, presieduta da Braz de Aviz, ha preso, a mio giudizio, con estrema superficialità e insipienza. E vi si leggerà, credo, qualcosa di più di ciò che è realmente accaduto.
Il vaticanista Sandro Magister, sempre ottimo, serio e puntuale, ha scritto al riguardo un articolo intitolato: “La prima volta che Francesco contraddice Benedetto”. Così la notizia è stata interpretata anche da molti siti e blog. Certo, se papa Francesco conosce i fatti e concorda con il commissariamento dei Francescani dell’Immacolata, qualcosa non torna.
Forse, però, la realtà è più complessa. Negli ultimi anni, infatti, padre Stefano Manelli, superiore della congregazione, aveva abbracciato con entusiasmo alcune posizioni di Benedetto XVI, dall’invito ad una considerazioni più problematica e meno retorica del concilio alla valorizzazione, accanto al rito di Paolo VI, di quello di san Pio V. Questo aveva creato contrasti più o meno espliciti con l’ala progressista della Chiesa, ma anche all’interno della Congregazione stessa. Come spesso accade, infatti, alcuni dei “vecchi” avevano avversato queste posizioni, ritenendole incomprensibili. Di qui una vera e propria guerra intestina, di cui sono stato, mio malgrado, testimone. Arrivando a vedere, con i miei occhi, che persone che facevano la guerra al fondatore, in modo subdolo e vigliacco, erano da lui protette e confermate, anche in incarichi di prestigio, non per ignoranza dei fatti, ma con una speranza: sconfiggere l’astio, la menzogna, con la bontà di un padre.
Oggi padre Stefano, a mio giudizio, paga le sue scelte tradizionali, del tutto legittime, ma anche la sua bontà, e la malizia di persone che gli stanno vicino. E che hanno iniziato a fargli guerra non sotto questo pontificato, ma sotto il precedente, anche se poi hanno approfittato di un momento di vuoto e di incertezza, come quello attuale, per affondare definitivamente il colpo.
Qualcuno sostiene che papa Francesco non sappia nulla. Altri, che papa Francesco “sa”: ma cosa vuole dire, “sapere”? Quali informazioni ha ricevuto? Da chi? E quale tempo ha potuto dedicare, tutto preso da una quantità enorme di problemi, a questa singola questione?
Quanto al tradimento, stupirsi? “Non ricordi – mi diceva recentemente un uomo della curia-, che dei benedettini cercarono di avvelenare Benedetto? E che analogo tradimento subì, oltre a Gesù, lo stesso san Francesco?”. E’ vero, e del resto san Francesco diceva ai suoi frati che la perfetta letizia sta nel sopportare, senza odio e asprezza, l’ingratitudine e la malvagità di coloro che si sono beneficati.
Probabilmente accadrà così, ancora una volta: Padre Stefano, uomo di vita santa e veramente francescana, è chiamato da Dio a sopportare questa croce, per il bene dei suoi frati. Finché non sarà chiaro -perché il tempo è galantuomo- che i Francescani dell’Immacolata sono oggi quanto di meglio la Chiesa italiana sta donando alla Chiesa universale. Quanto al papa, dopo il caso Ricca, vedrà ancora una volta quanto è dura riformare la Chiesa, con certi collaboratori.

I Francescani dell ' Immacolata sbugiardano Vatican Insider

 

Lo avevamo istintivamente pensato non appena  abbiamo  letto l'articolo di Vatican Insider: " Mentono sapendo di mentire " ! 
Ecco la frase  "inventata" ad hoc nell'articolo citato :  " I francescani dell'Immacolata sono nati invece dopo il Concilio e inoltre un sondaggio tra i frati ha dimostrato che la maggioranza di loro desidera celebrare con il rito ordinario". 
Come poteva Vatican Insider sapere con assoluta certezza il risultato di un'inchiesta che non c'è mai stata ? 
Difatti stamani, come rugiada su terra assetata di pace e di verità, è giunta la "smentita" dei bravi Frati che chiedono solo di   essere lasciati  in pace alla vita di penitenza e di preghiera  che hanno scelto
Apprezziamo che, con spirito di cristiana solidarietà,  un Giornalista di Vatican Insider  ha voluto  rassicurarci ( tramite un sms ) sulle intenzioni di Papa Francesco di non modificare il Motu Proprio "Summorum Pontificum" .
Vedremo come andrà a finire ... però finora non abbiamo letto una sola parola  sui disagi che i Fedeli, spirituamente legati al Motu Proprio che ha avuto attuazione per anni nelle parrocchie e dei Santuari retti dai Francescani dell'Immacolata, subiranno dal provvedimento restrittivo  che andrà in vigore domenica 11 agosto : un silenzio sorprendente e deludente !
Che cosa costava, e costa, dire una parola di cristiana solidarietà ai Fedeli  che a causa del provvedimento citato saranno privati della celebrazione della Santa Messa Antica? 
E' un buon comportamento "cristiano" questo ?
Anche se qualcuno rifiuta ( legittimamente ) il Rito Antico può essere egualmente animato da sentimenti generosi e benevoli per chi l`ama e ne è privato.
Fa invece piacere, infine, che i bravi Frati hanno finalmente ribadito che " l’unico portavoce ufficiale del Nostro Istituto, specialmente in questo caso assai delicato, resta il Nostro Procuratore Generale, P. Alessandro Apollonio " . 
 (Andrea Carradori)

Dal loro bel sito postiamo questa : 

In data 02 agosto 2013, il sito web vaticaninsider.lastampa.it ha pubblicato un articolo intitolato «Lombardi: "Sulla Messa in latino il Papa non contraddice Ratzinger"», firmato «La Redazione» . 
Tale articolo, dopo le affermazioni di P. Lombardi, che prende la stessa linea già da noi adottata, contiene affermazioni calunniose contro il Nostro Fondatore P. Stefano M. Manelli, affermazioni che ci sentiamo in dovere di respingere.
Nel detto articolo ci sono anche informazioni non vere o imprecise che desideriamo sottolineare.
 1) A proposito del Commissariamento del Nostro Istituto di Frati Francescani dell’Immacolato, l’anonimo giornalista scrive (neretto nostro): «La decisione di papa Bergoglio - contro la quale sono insorti alcuni gruppi tradizionalisti e che invece i religiosi hanno subito accettato - è stata motivata dal fatto che il fondatore e superiore generale, padre Stefano Manelli, aveva imposto a tutte le comunità dei francescani dell’Immacolata l’uso esclusivo della forma straordinaria della liturgia, cioè il rito antico».
La frase da noi sottolineata in neretto non corrisponde affatto al vero.
È nostro dovere rispondere, in scienza e coscienza, che in realtà, P. Stefano non solo non ha mai imposto a tutte le Comunità F.I. l’uso – tanto meno l’uso esclusivo – del Vetus Ordo, ma non vuole nemmeno che ne diventi l’uso esclusivo, e lui stesso ne ha dato l’esempio celebrando ovunque secondo l’uno o l’altro Ordo.
È bene sapere che prima, durante e dopo la Visita Apostolica (luglio 2012-luglio 2013), come pure attualmente, l’uso esclusivo o prioritario della maggior parte delle Comunità F.F.I. è il Novus Ordo (S. Messa e Breviario). P. Stefano Manelli, in qualità di Ministro Generale, unitamente al suo Consiglio Generale ha intrapreso legittimamente un’opera di promozione del Vetus Ordo nel rispetto del Motu Proprio Summorum Pontificum (2007), nel rispetto delle decisioni del Nostro Capitolo Generale del 2008 e nel rispetto dell’Istruzione Universae Ecclesiae (2011).
Con lettera Prot. 77/2011, datata 21-11-2011, il Nostro Segretario Generale, a nome del Nostro Consiglio Generale, ha divulgato a tutte le Case Mariane F.F.I., alcune norme indicative (non-precettive!) circa l’uso del Vetus Ordo e l’armonia tra il Vetus Ordo e il Novus Ordo nelle nostre Comunità e nel Nostro Istituto.
Dopo tale lettera, varie comunità hanno continuato pacificamente a privilegiare il Vetus o il Novus Ordo.
Dunque, nessuna imposizione da parte di P. Manelli.
Alcuni frati, però, hanno contestato la suddetta lettera.
Perciò, abbiamo interpellato la Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, che con R e s c r i t t o del 14-4-2012, Prot. 39/2011L, riscontrava conformità tra la medesima lettera Prot. 77/2011 e la "mens" del Santo Padre Benedetto XVI, espressa nella suddetta Istruzione Universae Ecclesiae, n° 8a. 

 2) L'anonimo giornalista di vaticaninsider, nello stesso articolo, scrive anche (neretto nostro):
«Come rito proprio (dunque esclusivo) possono poi adottarlo gli Istituti religiosi e le comunità monastiche che rientrano nella comunione con Roma dopo aver partecipato allo scisma lefebvriano, e per questo sono sottoposti alla giurisdizione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei». Rispondiamo. In realtà, è bene precisare che, nello spirito del Motu Proprio Summorum Pontificum (n° 3) e dell’Istruzione Universae Ecclesiae (n° 8a), il Vetus Ordo come rito "proprio" (esclusivo, oppure non-esclusivo, dunque, almeno "prioritario"), può essere adottato anche da Comunità Religiose non dipendenti dalla Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", e non provenienti dallo “scisma” lefebvriano. Tuttavia, non è mai stata intenzione del nostro Fondatore arrivare ad un uso esclusivo. 

 3) L’anonimo giornalista scrive anche (neretto nostro): «I francescani dell’Immacolata sono nati invece dopo il Concilio e inoltre un sondaggio tra i frati ha dimostrato che la maggioranza di loro desidera celebrare con il rito ordinario».
Rispondiamo.
Il fatto di essere nati dopo il Concilio non vieta a noi F.I. di adottare o privilegiare il Vetus Ordo.
Del resto, il Motu Proprio Summorum Pontificum (pubblicato dopo il Concilio) si rivolge anche agli Istituti di Vita Consacrata (senza precisare la loro data di nascita) e inoltre, al n° 8a dell’Istruzione Universae Ecclesiae è precisato che il Motu Proprio Summorum Pontificum si propone, anzitutto, l’obiettivo di «offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare».

In quel «tutti i fedeli» sono inclusi ovviamente anche i Religiosi.
Se, parlando di «maggioranza», l’anonimo giornalista si riferisce al dato citato nell’articolo di Alessandro Speciale del 30-07-2013, «Vaticano, commissariati i Francescani dell’Immacolata» , ossia: «in un sondaggio condotto durante la visita apostolica la stragrande maggioranza dei membri dell'ordine si erano detti non d'accordo con la celebrazione esclusivamente della messa antica, “soprattutto nella pastorale delle parrocchie in Italia e nelle missioni”», teniamo a precisare che questo dato – se vero – non attesterebbe altro che un’unità d’intenzione tra la stragrande maggioranza e il nostro Fondatore sulla questione dell’esclusività.
In ogni caso, se la «maggioranza» dei frati [Che ci risulti, non c’è stato nessun sondaggio che abbia coinvolto tutti i membri dell’Istituto. Perciò, affermazioni a base di sondaggio sul volere della maggioranza dei frati ci risultano del tutto prive di fondamento] preferisce celebrare secondo il Novus Ordo (S. Messa e Breviario), questa poteva benissimo continuare a farlo, come ha fatto finora.
Del resto, lo stesso P. Manelli celebra soprattutto il Novus Ordo (S. Messa e Breviario). 

***** 

Ferma restando la nostra obbedienza alle disposizioni della Santa Sede, tuttavia resta nostro dovere fare chiarezza onde evitare:
1°) calunnie al nostro Fondatore;
2°) ostacoli al sereno svolgimento del presente Commissariamento.
Cogliamo l’occasione per precisare anche che l’unico portavoce ufficiale del Nostro Istituto, specialmente in questo caso assai delicato, resta il Nostro Procuratore Generale, P. Alessandro Apollonio.

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AGGIUNTA

Sempre sul sito dei Francescani dell'Immacolata  questa ulteriore precisazione :


" Un'ulteriore risposta a Vatican Insider In data 03 agosto 2013, il sito web vaticaninsider.lastampa.it ha pubblicato un articolo di Andrea Tornielli intitolato «Lefebvriani, la mossa di Francesco» , in cui, oltre a parlare di tale argomento, si pretende di spiegare «Ciò che davvero è successo con i Francescani dell'Immacolata». Sarebbe questo: «Il problema all'interno dei Francescani dell'Immacolata è che i superiori avevano di fatto esteso l'uso dell'antico rito con una circolare interna, senza una discussione messa ai voti nel capitolo generale. 
L'articolo 3 del Motu proprio prescrive: «Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori desiderano celebrare la Santa Messa secondo l’edizione del Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari». 
Qui, il testo citato a prova già confuta l’affermazione dell’autore, perché non parla di capitolo generale, ma di Superiori maggiori. 
Essendo preposto all’intero Istituto, P. Stefano M. Manelli era Superiore maggiore (cf. CIC 620). 
Ma se dobbiamo parlare di capitoli generali, si sappia che nel nostro caso, il capitolo generale del 2008 ha demandato la questione al Consiglio Generale dell’Istituto. Infatti, negli atti di tale capitolo, la parte riguardante il motu proprio conclude così: « Per la differenza del calendario liturgico, infine, si aspetta un nuovo documento del Papa. Riguardo le direttive di ordine interno, il Consiglio Generale redigerà un protocollo applicativo in funzione di questo documento pontificio» (p. 50). 
Infatti, si discuteva fra noi a quel tempo se sarebbe stato possibile seguire un calendario differente (quello della forma ordinaria) nella Messa antica. 
Tale possibilità è stata definitivamente esclusa dal n. 24 dell’Istruzione Universae Ecclesiae, resa pubblica il 13-05-2011. 
In funzione di questo documento, il Consiglio Generale pubblicò la lettera Prot. 77/2011, datata 21-11-2011, di cui parla l’ultima nostra nota ufficiale. Inoltre, il medesimo articolo di Tornielli attribuisce la decisione di inviare una visita apostolica a Benedetto XVI. Ciò non è esatto: fu invece una decisione della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.

martedì 6 agosto 2013

I CATTO-TRADIZIONALISTI SCOMUNICANO IL ‘’BURLONE’’ BERGOGLIO: “BASTA CON SAMBA E GAY, SI SVILISCE IL PAPATO”

 

Gli ultraconservatori, dai Legionari di Cristo ai Lefevbriani, invece di autoflagellarsi attaccano il Papa: “E’ un burlone che anziché togliersi lo zucchetto davanti a Dio, preferisce metterlo in testa a una ragazzina. È l’ennesimo passo per desacralizzare i simboli del papato”…

  Paolo Rodari per "la Repubblica"
UNO DEI MAXISCHERMI SULLA SPIAGGIA DI COPACABANAUNO DEI MAXISCHERMI SULLA SPIAGGIA DI COPACABANA
Un sottobosco cresce nel regno di Jorge Mario Bergoglio. Gruppi di tradizionalisti, ultra-conservatori, perfino sedevacantisti, che sul web - non così sui media tradizionali - trovano l'humus in cui proliferare e di qui lanciare i propri strali contro Francesco, il papa del ritorno all'essenziale, al Vangelo che come sognava Simone Weil elimina le parole di principale ostacolo all'incarnazione di Cristo: anathema sit.
Non ci sono più scomuniche con Bergoglio, «il papa che era già un Francesco a Buenos Aires», come ha detto all'Osservatore Romano il suo amico cardinale brasiliano Claudio Hummes. A conti fatti, un problema serio per il mondo tradizionalista che sulle condanne ha costruito parte della propria fortuna. Uno dei post più decisi è del blog messainlatino.it
che si dichiara «per il rinnovamento della Chiesa nel solco della tradizione».
UN VESCOVO SCATTA UNA FOTO DELLA SPIAGGIA DI COPACABANAUN VESCOVO SCATTA UNA FOTO DELLA SPIAGGIA DI COPACABANA
Parla apertis verbis della «crisi d'identità del vescovo di Roma Francesco». E picchia duro sulla domanda che il papa si è posto sull'aereo lunedì 29 luglio di ritorno dal Brasile: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?». Parole che sono «una vera e propria crisi di identità » e che, dice convinto il blog,
«valgono molto di più dei pur miserevoli episodi del pastorale di Lampedusa, della samba episcopale di Rio, del rifiuto delle insegne pontificie...».
Perché sono «il segno tangibile di uno smarrimento esistenziale che fa letteralmente tremare i polsi e il cuore ai fedeli». Ma Santità, chiede ancora messainlatino.it,
«perdonate l'ardire, voi non siete forse il "papa"? Non avete forse le chiavi per aprire e chiudere il Regno dei Cieli?». Il sottobosco è esteso e travalica i confini nazionali.
Traditioninaction. org- «La più bella avventura del mondo è la nostra», dichiarano i moderatori - è un gruppo tradizionalista con base a Los Angeles.
UN CANE SULLE SCALE IN CUI IL PAPA HA CELEBRATO LA MESSA A COPACABANAUN CANE SULLE SCALE IN CUI IL PAPA HA CELEBRATO LA MESSA A COPACABANA
Per loro Francesco è un «burlone» che anziché togliersi lo zucchetto davanti a Dio, preferisce «metterlo in testa a una ragazzina - così fa spesso il papa quando incontra i fedeli, facendo propria una consuetudine che era anche dei suoi predecessori, ndr -, per scherzare con lei e far ridere la gente. In questo modo egli cerca di apparire come un vecchio nonno che intrattiene sua nipote e allo stesso tempo dimostra che i simboli del papato sono inutili».
PAPA FRANCESCO CELEBRA MESSA SULLA SPIAGGIA DI COPACABANA A RIO DE JANEIROPAPA FRANCESCO CELEBRA MESSA SULLA SPIAGGIA DI COPACABANA A RIO DE JANEIRO
E ancora: «Si tratta dell'ennesimo passo volto a desacralizzare i simboli del papato al fine di svilirli e poi di abolirli». Insomma, per i tradizionalisti americani quei giri in piazza San Pietro tra la folla che per Francesco non sono tempo perso ma missione, sono «tour democratico/demagogico», segno di uno stile «miserabilista».
MOLTI A COPACABANA HANNO DORMITO IN SPIAGGIA ATTENDENDO PAPA FRANCESCO COME A UN FESTIVAL ROCKMOLTI A COPACABANA HANNO DORMITO IN SPIAGGIA ATTENDENDO PAPA FRANCESCO COME A UN FESTIVAL ROCK
Il recente commissariamento dei "Francescani dell'immacolata" da parte della Congregazione dei religiosi, un ordine tradizionalista che celebra messa col rito antico, ha provocato il diniego del sito conservatore corrispondenzaromana. it. Dicono: «In una sola mossa, non vengono esautorati solo il fondatore di un ordine fiorente e i vertici che lo assistono, ma anche il motu proprio di Benedetto XVI che liberalizza la celebrazione della messa in rito gregoriano, il pontefice che lo ha emanato e, in definitiva, la messa stessa».
LA VEGL IA DI ALCUNE SUORE CHE ATTENDONO PAPA FRANCESCO A COPACABANALA VEGL IA DI ALCUNE SUORE CHE ATTENDONO PAPA FRANCESCO A COPACABANA
E ancora: «Accade che, in nome del papa », il governo dell'istituto viene trasmesso «a una minoranza di frati ribelli, di orientamento progressista, ai quali il neo-commissario si appoggerà» per «condurlo al disastro a cui fino a ora era sfuggito grazie alla sua fedeltà alle leggi ecclesiastiche e al magistero».
La galassia tradizionalista che sul web contesta il papa non è tutta in comunione con Roma, ma ne è anche fuori, uscita in parte in scia allo scisma lefebvriano, in parte alla spaccatura interna ai Legionari di Cristo dopo la cacciata di padre Marcial Maciel Degollado. Due mondi che soffiano contro il pontificato, e che già dai tempi di Ratzinger boicottano ogni slancio ecumenico.
LA FOLLA SULLA SPIAGGIA DI COPACABANA AL PASSAGGIO DELLA PAPAMOBILELA FOLLA SULLA SPIAGGIA DI COPACABANA AL PASSAGGIO DELLA PAPAMOBILE
L'avversione ha radici lontane. E nasce da quando all'interno del Celam - il Consiglio episcopale latinoamericano - il futuro papa aveva spinto per un risanamento della galassia Legionari-Regnum Christi che nelle due Americhe ha seguaci e simpatizzanti. Non a caso, è stato il conservatore National Catholic Register ad avere per Francesco parole dure. A suo dire l'elezione al soglio di Pietro è stata l'«ennesima aggiunta al mucchio delle recenti novità e mediocrità cattoliche».
IL PAPA BENEDICE UNA FAMIGLIA VESTITA CON DELLE MAGLIETTE DA CALCIOIL PAPA BENEDICE UNA FAMIGLIA VESTITA CON DELLE MAGLIETTE DA CALCIO
Fra queste mediocrità, per il sito una Fides, ci sono le messe celebrate in Brasile dove i sacerdoti hanno distribuito l'eucaristia con dei bicchieri di carta: «Il Signore un giorno chiederà conto degli innumerevoli sacrilegi compiuti da milioni di fedeli, migliaia di sacerdoti, centinaia di vescovi, decine di cardinali e forse anche da qualche papa».

giovedì 1 agosto 2013

Trionfo e tragedia: i Francescani dell’Immacolata e il crepuscolo degli Ordini. Il papa li sopprima!

ATTENZIONE: ARTICOLO AMBIGUO DEL MASTINO TRATTO DAL BLOG PAPALEPAPALE 


bianco (1)

UN DOSSIER DI PP



Era l’ordine religioso più giovane. E quello di maggior successo vocazionale. Il tutto nella più rigorosa ortodossia, alla riscoperta delle fonti francescane. Un grande futuro: dietro le spalle. A causa dei torbidi. Dall’interno dell’Ordine, in combutta con un Personaggio interno al Vaticano, parte sotto mentite spoglie il tentativo della Curia di fare pulizia etnica. Attraverso stratagemmi da “guerra sporca” e sotterranea. È un vero mandato con licenza d’uccidere.

Come? Andando a colpire i due pilastri sui quali si regge la congregazione e le numerose vocazioni: la libertà di celebrare anche in rito antico. Distruggendone così il carisma. Facendo così implodere una delle poche cose che andava a gonfie vele dentro la Cattolica.

Chi? Chi è il congiurato interno? Chi l’alto congiurato vaticano.

Perché? Mysterium iniquitatis, certo. E anche “invidia del demonio”. Piani miserabili e ambizioni meschine degli uomini di Chiesa in carriera. Ma forse qualcosa di più e di peggio.


È finito il tempo degli ordini religiosi.

DA QUI LA MIA RICHIESTA AL PAPA DI SOPPRIMERE I FRANCESCANI DELL’IMMACOLATA.

E TUTTI GLI ALTRI, compresi i suoi gesuiti: hanno fatto il loro tempo, hanno dato quanto potevano. Ora possono solo far danni.


 

di Antonio Margheriti Mastino

Sono giorni che mi mandano mail, messaggi fb, mi telefonano per domandarmi sempre la stessa cosa. Qualcosa che non è che non sia mai stata al centro dei miei pensieri: semplicemente ero felice e contento che per loro tutto andasse a gonfie vele e dunque mi sono tranquillamente occupato d’altro, forse dando troppo per scontata qualcosa che, alla prova dei fatti, non lo era affatto. Sto parlando  degli ultimi fatti dell’ordine dei Francescani dell’Immacolata, all’interno del quale è partito un moto di autodemolizione, che per la verità incubava da anni, pare.

CANDIDI COME COLOMBE E VELENOSI COME SERPENTI

In breve i fatti sono questi, almeno per come io li ho conosciuti.

Questo Ordine è nato da qualche anno, da una costola dei francescani conventuali, meditando sui testi di san Massimiliano Kolbe e rimeditando le fonti francescane. Il loro fondatore e superiore è il padre Stefano Manelli, di origine fiumana, che lo scorso maggio ha celebrato nell’amarezza i suoi 80 anni. Perché ha finalmente ricevuto il morso velenoso di un gruppuscolo di serpi che paternamente aveva allevato nel seno della sua congregazione: figli degeneri che egli ha commesso l’errore di mettere e mantenere in punti nevralgici e strategici per i suoi frati, come per esempio a Santa Maria Maggiore.


Alcuni francescani dell’Immacolata insediati a Santa Maria Maggiore, da dove sono partiti i torbidi ai danni della Comunità.

Lì ci aveva da anni fatto il nido il capo di questi sediziosi, che noi chiameremo il Superbissimo. È dal 2009 che ne sento di cotte e di crude e di terribili su di lui. Ma è rimasto là, anche grazie ad allacci sotterranei con potentati clericali vari – piuttosto ostili alla Congregazione, alla tradizione cattolica e specialmente al pontificato ratzingeriano –  che era riuscito in tutto questo tempo a costruirsi, per tramare contro “li boni frati”, ossia i suoi stessi confratelli che nella stragrande maggioranza restano fedeli al carisma e alla regola istituita dal Fondatore vivente.

“Li boni frati”, quelli miti e beati – come tanti lì dentro ce ne sono – e che ho incrociato, quando facevano il nome del Superbissimo annidato a Santa Maria Maggiore quasi s’intimidivano, abbassavano la voce, come a pronunciare il nome di un arcidiavolo, quasi fosse una bestemmia evocarlo… anzi, a dire la verità, si rifiutavano anche di fare il nome, limitandosi a indicarlo come “un confratello del quale è pietà cristiana tacerne”, e a spegnere facili entusiasmi miei nei confronti della loro congregazione, scuotendo il capo mi dicevano con rammarico che «le cose non sono così idilliache, abbiamo diverse piaghe purulente, specie a Santa Maria Maggiore e non solo: ci sono diversi fratelli il cui atteggiamento non è cristiano, la condotta disdicevole, qualcuno anche fuori di testa totale. Ma per carità cristiana mettiamo tutto a tacere, già troppa amarezza hanno dato al Padre [Manelli]».

Questa congregazione qui dei Francescani dell’Immacolata, che comprende frati, padri, suore missionarie, monache in fitta schiera, è praticamente l’unico ordine religioso di stampo classico che non solo non è in agonia terminale come tutti gli altri ordini, ma al contrario è in controtendenza assoluta.


Gli inizi: il fondatore padre Manelli e il papa beato Giovanni Paolo.

In un pugno d’anni, infatti, è cresciuto enormemente, ha moltiplicato le case, i seminaristi, novizi e novizie, le richieste di entrare a farne parte sono in crescita esponenziale. Un unicum nel mondo dei religiosi a livello mondiale. In una prospettiva futura e facendo dei calcoli ottimisti, continuando a questo ritmo, si ritroverebbero a breve a diventare la congregazione più viva, attiva e numerosa al mondo. Cosa che deve far storcere il naso a troppi, essendo la mancanza di solidarietà, di zelo e l’invidia le tare di quel che resta del mondo clericale e religioso secolarizzato, sbandato e in crisi ormai irreversibile di identità. E va da sé, di fede.

Un frutto succulento che spunta improvviso come un’oasi in mezzo un deserto immane e disseminato di scorpioni,  aspidi e parassiti, a cui la maggioranza degli incanutiti e incarogniti ordini religiosi, i rimasugli almeno, sono ridotti.

MESSORI MI DISSE: “TORNIAMO MILLE ANNI INDIETRO, A QUANDO NON C’ERANO RELIGIOSI”


Vittorio Messori, presso la “sua” abbazia di Maguzzano: “il mio pensatoio”.

Ordini a proposito dei quali, un giorno Messori mi disse una cosa. Raccontandomi dell’antichissima abbazia di Maguzzano, nei pressi del Lago di Garda, dove in un’ala ha ricavato un suo studio e a sue spese ha contribuito a restaurare parte del grande e vetusto edificio, spesso battagliando coi pochi e anziani frati che vi giacciono ancora vivi. Ebbene, Messori, mi diceva a proposito di quel che resta degli antichi ordini religiosi, carichi di anni e glorie passate e sempre più alleggeriti di vocazioni:

«Come sa, nel pensatoio in abbazia non ho voluto collegamenti a internet e posta, ma uno word “liscio”, per evitare distrazioni, già sin troppe per seguire muratori e artigiani da me ingaggiati – tra la disperazione dei frati – per ridare  un minimo di confort e di restauro al luogo. Poiché invocano la povertà, come un logoro  mantra, gli ricordo che molti, moltissimi luoghi clericali confondono la povertà con lo squallore. E squallida era Maguzzano quando la vidi la prima volta, ormai una dozzina di anni fa. Mi proposi dunque di intervenire, con grave pregiudizio dei miei risparmi ma in cambio con  grandi soddisfazioni. Do sulla voce a chi mi considera un benefattore: sono, in realtà un beneficato. Mica a tutti capita di programmare il recupero, almeno nei muri e nel verde (un uliveto con 2.000 piante, più altre meraviglie) di un’abbazia di fondazione carolingia. Insomma, un privilegio di cui sono grato». E questo per quanto riguarda il suo “pensatoio” abbaziale a Maguzzano.


Cistercensi medievali

Sul resto, infatti, aggiungeva: «Ho comunque perso ogni speranza, almeno umana: bisognerà tornare alla situazione del primo Millennio quando non c’erano che monaci (in maggioranza non sacerdoti) e preti secolari. Abbazie e diocesi:  c’est tout e c’est assez.  Constato ogni giorno che la sopravvivenza di ordini e congregazioni nate per rispondere a bisogni che non esistono più- o, almeno,  che sono stati sottratti alla Chiesa – non è una risorsa ma un problema grave, spesso purtroppo una contro-testimonianza. Una deriva verso una morte strascicata, un decesso dopo l’altro, senza possibilità di ricambio, mentre finisce come prevedevo la speranza degli ingenui che nuove “vocazioni”, si fa per dire, venissero da Africa e Asia. Dove, se si entra in seminario, è (spesso) come nelle nostre campagne fino a qualche decennio fa, dove i religiosi (mentre già c’era sentore inconscio di crisi imminente) giravano per le campagne con un camion e, in ogni cascina, assecondando il volere di genitori con troppi figli e poco pane, prelevavano un maschio e una femmina, per farne frati e suore. Ancora bambini : “vocazioni precoci”, le chiamavano…».

A TAVOLA COL PADRE MANELLI. IL PEGGIORE PRANZO DELLA MIA VITA


Il padre Manelli e un frate

LEGENDA AUREA. Intorno al 2009 avevo un progetto, del quale poi non si fece nulla, ma in caso mi serviva la collaborazione delle creature del padre Stefano Manelli: i Francescani dell’Immacolata. Tramite un frate, ottenni un incontro col fondatore. Ma prima, questo frate reputò opportuno introdurmi teoricamente alla figura del “Padre”, tratteggiandomene le qualità salienti: mi sembrò la classica legenda aurea che nei secoli scorsi si disegnava sui “santi viventi”, certi che poi, morti, sarebbero stati santi canonicamente. Mi accennò a sue qualità mistiche, doti pressappoco soprannaturali. Proveniente io dalla scuola comunista e radicale, nonché dagli studi accademici sulla storia della religiosità, il mio sguardo restò scettico: avevo un sentore di “già sentito”, di agiografia. Poi mi mise in guardia anche dall’ironia sorniona del Padre: casomai mi fossi offeso a qualche sua battuta, ché la prendessi pure io con ironia, “perché il Padre è uno a cui piace scherzare, sfottere bonariamente”. Il mio spirito, dinanzi a tale rischio, restò immoto, lo ammetto, come pressappoco era prima.

Non amo i convenevoli bigotti, e mi imbarazzavano le telefonate con questi frati che invece di “buongiorno” esordivano con un “avemaria” al quale non sapevi mai che rispondere, e alla stessa maniera si congedavano. Fatto sta che oltre all’incontro, quella mattina di una domenica di giugno, ottenni anche un invito a pranzo nella loro casa religiosa vicino via della Conciliazione.


Il fondatore e il co-fondatore

LA CASA. Osservai questa casa religiosa che avevano probabilmente in affitto. In origine forse era qualche residenza privata, molto vecchia, assai casalinga, col pavimento dissestato, i muri ammaccati, le porte malridotte e storte e consumate dal tempo, oggetti scadenti, madonnelle qua e là, libri tanti, ovunque, d’argomento teologico: una generale spartana trasandatezza campagnola nel cuore della metropoli. Non sono convinto però che si possa parlare di “squallore”, no, non lo era, neppure di vero “decoro” si può parlare: era povertà santa, gusto dell’essenziale, nella forma più rudimentale. Poi mi introdussero in uno stanzino, e qui le cose cambiarono: c’era decoro e non solo. Tutta la bellezza residuale di quell’edificio che nulla aveva di “bello” era qui accumulata, qui tutta la loro scarsissima opulenza era ben spesa e concentrata: era la stanza del Santissimo, la Cappella, con un altare a muro coram Deo, rivestito di paliotti e drappi baroccheggianti. Quel poco di prezioso che avevano, era offerto solo al loro Signore.

I FRATI. Osservai i giovani padri e novizi presenti in quella casa, attento ai tratti fisiognomici: la maggioranza erano, diciamo così, esteticamente discutibili, salvo uno, messicano, che era piuttosto avvenente, e con lui qualche novizio. Alcuni altri invece, dico la verità, mi ricordavano se non proprio il “Salvatore” de Il Nome della Rosa, dei fratacchioni di origini contadinesche con notevoli ma indefinite tare genetiche, un po’ tardi diciamo, anche nel portamento, nell’assoluta volgarità fisica: questi qui non parlavano mai, e probabilmente non avevano nulla da dire. Certi avevano una inespressività cupa e misteriosa, inquietante, ricordavano certi monaci del, ancora una volta, Nome della Rosa. Un clima docile, famigliare ma anomalo: mi sembrava d’essere precipitato indietro di secoli, in un romitorio campestre umbro del Quattrocento, in mezzo ai “poverelli” dei tempi eroici ed eretici dei movimenti francescani spiritualisti e pauperisti, ma senza ventate utopiche stavolta. Rimasi più o meno perplesso.


Il Fondatore

IL PADREPoi mi venne incontro un vecchio gigantesco, con uno zucchetto in testa, al quale (gesto assolutamente estraneo al mio modo di fare) mi chinai a baciare la mano, cosa che non avrei mai più rifatto da allora in poi. Era il padre Manelli, il fondatore. Fui portato nella “sala ricevimenti” che dava su uno sconquassato terrazzo-cortile: uno stretto sgabuzzino-deposito, altro che la “povertà” della suite del Santa Marta.

Ci accomodammo su delle panche io e il frate che mi scortava; più in là, prospiciente a noi si accomodò il monumentale padre Manelli e chiuse gli occhi. Sì, è una di quelle persone, di quei notabili che, mentre gli parli, ti mettono nella situazione imbarazzante di non capire se ti stanno ascoltando o stanno sonnecchiando. E gli occhi chiusi, le mani congiunte sul mento, non aiutavano a sciogliere il dubbio. Una situazione che nel mondo laico può essere un cosciente atto di superbia per mettere in soggezione l’ospite, ma che nel mondo religioso, e in questo ambiente angelicato specialmente, significa un’altra cosa: “ecco, adesso sono pronto ad ascoltarti, in profondità, oltre le parole”.

Forse da qui nasceva la leggenda che i fraticelli diffondevano sul loro fondatore: “Costui ha fama di leggere nel pensiero, si dice”. Ma secondo me non aveva letto nel mio pensiero, altrimenti non mi avrebbe invitato a pranzo, stante la mia allergia per le trascuratezze e i pasticciacci brutti di bassa cucina a tavola.

Approfittando del fatto che fosse a occhi chiusi, lo osservai bene: per esempio quei grandi piedi lì nei sandali, così grossi, screpolati, fra una confusione di dita accavallate. Non era tipo da pedicure. Mentre parlavo e osservavo tutto questo, pensavo non solo di non poter mai fare “voto di povertà” spinto a questi livelli di esemplarità ed ascetismo, come questi frati qui, di non essere “vocato” a certe cose, ma anche che mai sarei potuto essere un francescano dell’Immacolata. Avrei più l’indole del gesuita, semmai dell’opusdeista, ma niente è più lontano dalla mia personalità che ogni sorta di francescanesimo. Ancora lì lui, il Fondatore, con gli occhi chiusi, che certe volte neppure riapriva replicando dopo avermi ascoltato in silenzio. Salvo una volta, quando lo feci sobbalzare e spalancare gli occhi, citando “l’ortodossia di von Balthasar”. “E no, no, un momento, andiamoci piano con Balthasar, la sua ambiguità è pericolosa!”.


Il Fondatore

PRANZO. Poi arrivò il momento più difficile per lo strano personaggio schizzinoso che ero, facile a sentire oltraggiato il suo – alto – senso estetico, essendo per giunta uno storico dell’alimentazione: andare a tavola. Era imbandita nel cortile-terrazza. Il padre Manelli a capotavola, i frati e i novizi tutti intorno, io fra loro, con difronte due algidi giornalisti cattolici francesi, penne di punta di una rivista che mirava alla collaborazione tra “tradizionalisti” e “moderati”, contro le derive teologiche dei fumosi clerico-intellettuali progressisti di Francia. Piatti e bicchieri uno diverso dall’altro, forchette che sembravano aver fatto la guerra ’15-’18: una scampagnata di povertà. Già!

Quel banchetto lì sarà destinato a rimanere nella mia memoria sino alla morte, incancellabile come il peccato originale. Non ho mangiato, nel senso che non ho masticato il cibo, per non doverlo assaporare oltre: l’ho semplicemente ingoiato, come fosse una medicina.

PIETANZE. Indimenticabili le pietanze. Il primo, ad esempio: “li boni frati” avevano messo in una pentola tutti i rimasugli di pasta immaginabili, un assortimento di mezzemaniche, rigatoni, pennette; conditi con quel che avevano trovato per caso in frigo, molto burro, origano forse, formaggio, e per giunta, essendo un assortimento di paste diverse e diversi erano i tempi di cottura, mezza pasta era cruda e mezza squagliata; chiaramente con gran scialo di sale… manco grosso, ma fino. Un pappone che in casa mia non si dà neppure ai cani (encomiabile l’autocontrollo e l’atarassia di quei due laici azzimati francesi: pure loro, con la massima dignità possibile, ingoiavano il pappone, in cuor loro rimpiangendo le delicatezze della cucina gallica, ma senza darlo a vedere nei loro volti sfingei). Il sugo lo avevano ricavato dal secondo. Il secondo, appunto, che era peggio del primo: in una padella ci avevano buttato tutto insieme pelati, passati, burro, pepe, e (Signore pietà!) due chili di ogni sorta di taglio di carni (sicuramente da discount) e d’ogni razza d’animale: maiale, bovino, vitello, fegatelli, salsiccioni, di tutto di peggio. E come non bastasse, erano cotte malissimo, anzi non erano cotte affatto, e la carne era diventata dura come gomma. Un sacrilegio che gridava la vendetta di Dio. Ho ingoiato pure questa roba qui, a pericolo stavolta di strozzarmi.


Il Padre: celebra il Sacrificio di Cristo. Adesso stanno celebrando il sacrificio del Padre. E come per Gesù… ad opera del Giuda che gli sedeva accanto.

Mentre dentro di me bestemmiavo il nome del cuoco e della madre che lo aveva messo al mondo, notai un gesto sconvenientissimo per come la vedo io, ma che guardato in un’altra ottica è molto famigliare, intimo, da padre a figlio. Con assoluta naturalezza, il Padre fondatore non avendo terminato la pasta nel suo piatto, lo passò a un suo fraticello che la consumò. E così fece con la carne. Solo chi è sicuro dell’esistenza di un intimo rapporto di paternità e figliolanza può fare simili gesti a tavola. Gesti che io non potrei fare e accettare, mi dicevo, se non con un’amante: “ecco perché mai potrei essere uno di loro”.

Insomma, per farla breve: la povertà quattrocentesca non mi piace, non mi affascina, non eleva il mio spirito e semmai lo abbassa, lo immeschinisce e in definitiva mi ripugna. Mi piace la vita borghese, semplice ma borghese. Ecco: benedettino sì, francescano no; servire il Signore da signore come i benedettini sì, servirlo da straccione come i francescani (di un tempo o, in questo tempo, come solo i francescani dell’Immacolata) no. De gustibus!

A parte tutto questo, con tutte le miserie del caso, resto a tutt’oggi convinto di essere stato a tavola con una comunità di santi, viventi e futuri. Almeno il 70% lo erano. Ed è quel che conta.

CHE MISTERO BUFFO E TREMENDO QUELL’ISTINTO SUICIDA DEI RELIGIOSI


Francescani dell’Immacolata a lavoro in cucina: l’età media è bassissima.

Un giorno stavo discutendo con don Ariel Levi di Gualdo, che è ‘n’amico, e si parlava del destino di questi ordini religiosi, a cosa si erano ridotti ormai, se non valesse per loro una sorta di eterogenesi dei fini che capovolge gli intenti iniziali del fondatore e li converte nell’esatto contrario. Mi veniva da fare comparazioni cliniche: “come nel caso dell’AIDS”, dove gli anticorpi posti all’interno dell’organismo per difenderlo dai virus, nei casi di AIDS invece, quegli stessi anticorpi nati per distruggere i virus, impazziscono e si mettono a lavorare per i virus, attaccando le cellule sane e gli altri anticorpi. Sino all’omicidio-suicidio organico, del corpo che li ospita e di se stessi con esso.

Allora il padre Ariel, allevato da un grande gesuita della vecchia scuola ignaziana, mi raccontava del fatto che “se i gesuiti hanno grossi problemi a livello dottrinale, i benedettini, invece, hanno grossissimi problemi a livello morale”. Poi ad un certo punto mi disse: «Se certi giovani  gesuiti non fossero così arroganti, sordi e ideologizzati come son diventati molti di quelli nati e formatisi dagli anni Settanta in poi, se smettessero di essere così e decidessero di tornare alla loro essenza, al loro carisma ignaziano, alla regola originaria, alla missione che gli è propria, compatibilmente alla Chiesa e alla società di oggi,  quegli stessi gesuiti che s’avviano a un declino inarrestabile anno dopo anno, e ogni anno il numero dei decessi supera di dieci volte le nuove ordinazioni sacerdotali, quegli stessi gesuiti dalla sera alla mattina si ritroverebbero i noviziati pieni di novizi».


Un francescano dell’Immacolata proveniente da qualche “Estremo Nord” della terra.

A livello subliminale lo sanno quei gesuiti qual è la strada obbligata per una rinascita. Lo sanno, ma la loro patetica ostinazione senile, l’ideologismo anacronistico e protervo, il conservatorismo sessantottardo dal quale non riescono a liberarsi, tutto questo li spinge a insistere su una strada che la realtà ha dimostrato non solo essere sterile, dannosa, ma anche suicida. Corrono boriosamente incontro alla rovina con l’aria incosciente di chi sta andando a giocare nei campi del Signore.

Certo, sì, vale quel che Messori dice sempre a proposito di tutti gli ideologi: “Se la realtà dimostra che lo schema dell’ideologo è sbagliato, tanto peggio per la realtà,  è la realtà che sbaglia perché lo scheMa è ‘giusto’”. Certo. Ma qui, in questo caparbio, ostinato istinto suicida dei religiosi, c’è qualcosa di più e di peggio, di apparentemente inspiegabile e oscuro, un mistero insondabile: una mano invisibile, fatale, che non sai se muova i fili dagli abissi della “terra incognita”, oppure dall’alto dei cieli. Se è la Tentazione o è la Provvidenza che si muove, come sempre, secondo una logica imperscrutabile, che sfugge all’occhio e alla ragione umana. una sorta di cupio dissolvi: desiderio inconscio di morte.

I GLORIOSI ORDINI MONASTICI? FORSE FURONO SOPPRESSI DALLA PROVVIDENZA PIÙ CHE DA NAPOLEONE. L’IPOTESI DI UNO SCRITTORE CATTOLICO


Trionfo del monachesimo

Proprio oggi ne parlavo con uno scrittore cattolico sul perché di quell’ineluttabile destino finale rovinoso che disintegra ad un certo punto i più gloriosi ordini religiosi.  A ‘na certa, rispondendomi, se ne è uscito, apparentemente, con un paradosso: in realtà è una ipotesi vera e propria, o forse proprio una constatazione storica. Mi dice infatti questo scrittore, prendendo spunto dalle soppressioni napoleoniche di vari ordini, i contemplativi specialmente:

«Detto tra noi: le brutali soppressioni napoleoniche fecero danni come una invasione barbarica. Ma danni al patrimonio artistico e culturale, come avvenne per tanti antiche abbazie italiane, ridotte a case coloniche , quadri e sculture rubati, archivi bruciati, biblioteche disperse, campane fuse per far cannoni». E a questo punto aggiunge una cosa, che dovrebbe forse scandalizzare qualche kattolico “con la K”: «Ma, sul piano religioso, c’è da chiedersi se quella violenza non rientri nella prospettiva delle ultime parole del curato di campagna di Bernanos: “Tout est grace”, tutto è provvidenza». Le soppressioni napoleoniche e poi sabaude e massoniche e comuniste e via proseguendo come opera della Provvidenza? C’è da scandalizzarsi, certo, ma c’è parecchio da riflettere, seriamente: è una ipotesi non balzana. Rientra a pieno titolo nella storia di questo Dio dal giogo lungo e dai paradossi grandi.

Continua, lo scrittore, citando i fatti di una nota abbazia lombarda soppressa dai francesi: «In questo caso il popolo non mosse un dito per salvare i monaci, i servi delle abbazie si rallegrarono (anche se poi si accorsero che i nuovi proprietari erano peggio: da terzaroli, debitori di un terzo del raccolto, furono ridotti a mezzadri) il clero diocesano si rallegrò, i moralisti si dissero lieti per la fine di quella che a loro sembrava solo una vita di pigrizia, molti storici cattolici vi videro la necessaria interruzione  di una lunghissima agonia che – per i monaci – durava dal XIII secolo (apparizione degli ordini mendicanti, e poi via via tutti gli altri). Il benedettinismo muore con il feudalesimo e la nascita dei Comuni che non a caso edificano le loro cattedrali come risposta e sfida alle chiese abbaziali. Buona parte delle monache rifiutò di uscire dalla clausura e non accettò  il salario che era loro offerto per vivere nel mondo. La gran maggioranza dei monaci, invece, se ne andò senza far storie e accettò la paga governativa».


…e tragedia del monachesimo

Ma precisa, a riguardo dei benedettini che immaginiamo all’epoca come un bocciolo di rosa fresco e aulentissimo, che le cose stavano un tantino diversamente per quei monaci: «Erano ormai i brandelli di un mondo morente: pensiamo che Cluny, mater abbatiarum, che giunse ad avere alle sue dipendenze più di mille monasteri e tra le sue mura 900 monaci, al momento della soppressione aveva una trentina di anziani religiosi e solo tre rifiutarono di abbandonare il “mestiere” e scelsero di unirsi ai confratelli di abbazie non francesi. Intollerabile, vergognosa è invece la vendita come cava di pietra e marmi della chiesa abbaziale, la più grande chiesa del mondo dopo San Pietro:  quando vado a Cluny, mi viene da piangere, davvero, guardando il solo campanile (marginale) rimasto a testimoniare  una meraviglia scomparsa, il miglior romanico della Cristianità». Così questo noto scrittore cattolico.

TANTE VOCAZIONI PERCHÉ HANNO PROPOSTO L’EVERSIONE DELL’ORTODOSSIA


Il Fondatore durante un conferenza

Ma torniamo al trionfo e tragedia dei Francescani dell’Immacolata. Cosa sono, cosa sta succedendo, dicevamo. A cosa era dovuto il loro stupefacente successo vocazionale in questi ultimi anni?

Ad una cosa apparentemente ostica, ma in realtà la più semplice di tutte, e la più seducente per i giovani abitanti di un mondo desacralizzato ma affamato di sacro, di assoluto, di radicalità: hanno proposto ai ragazzi con una sensibilità religiosa che poteva sbocciare in una vocazione una cosa “controcorrente”, una esperienza più che di “rottura” di docilità al soffio dello Spirito, e perciò esperienza estrema, qualcosa che era “oltre” e “altro”: rivivere il gusto della Regola originaria, essere pionieri del ritorno alle origini francescane con tutte le radicalità che ciò comporta.


Suore francescane dell’Immacolata. Tante, e ce ne sono molte altre…

Hanno proposto loro la spoliazione dalla mondanità, la povertà più totale e francescana, e al contempo l’ebbrezza della bellezza, il rivestirsi della maestà di Cristo e sic introibo ad altare Dei nel culto divino. La purezza della dottrina cattolica. L’eversione dell’ortodossia. L’anarchia della fedeltà a Cristo e alla Chiesa, alternativa al conformismo corrotto del clericalismo afflitto da mondanità spirituale e vittima di mode e ideologismi. Una nuda e cruda, e proprio perciò viva e ricchissima, esperienza eminentemente cattolica. Un’oasi dentro una Chiesa che non ama più se stessa, che si scinde ogni giorno dalla sua essenza, e dunque dalla sua missione, sino all’autodemolizione.

Fra i tanti, uno dei pilastri di questa esperienza religiosa regolare, era la celebrazione “anche” della messa secondo il rito antico: “anche” perché alternavano il messale di Paolo VI a quello di Giovanni XXIII, quindi celebravano il sacrificio parimenti nelle due forme dell’unico rito romano, antico e nuovo. Ecco, questa era una delle grosse attrazioni per le vocazioni: si direbbe che la maggioranza dei padri e dei novizi sia stato attratto proprio da questa possibilità, e abbiano perciò deciso di entrare tra questi Francescani dell’Immacolata. E qua inizia il trionfo. E laddove inizia il trionfo, quello è anche il punto migliore per far partire la tragedia.

IL SUPERBISSIMO DI SANTA MARIA MAGGIORE


Il papa con alcuni dei F.I. di Santa Maria Maggiore

Molti non amano, non hanno mai amato questo piccolo capolavoro; molti altri hanno finto d’amarlo, per entrarci dentro e smagliarlo dall’interno. Bastava prendere di mira quel pilastro su cui molto si regge e senza il quale tutto cade: la liturgia “anche” nel rito antico. Legarlo con un cordone e tirare: chi dall’interno dell’edificio, chi dall’esterno. E così lentamente e poi sempre più velocemente e issando a partire dall’abdicazione di Benedetto XVI. Una vendetta postuma contro quel pontefice ancora vivo. Una corsa contro il tempo per distruggere uno dei  pochi alberi robusti e carichi di frutti di questa Chiesa disboscata degli ultimi anni. “L’invidia del demonio”, già!

È stato così che, incoraggiati da Oltretevere da alcuni potentati e lobby interne a quella sede dell’Abominio della Desolazione che è il Vaticano, in una serie di capitoli generali dell’Ordine, il Superbissimo di Santa Maria Maggiore, trascinandosi dietro una cordata di sbandati interni, ha osato, cavillando, di giocare un brutto scherzo ai confratelli, all’Ordine, alla Regola e al Fondatore. Sino allo scandalo del commissariamento.


Novizie dei F.I.

Sono arrivati non solo a tramare sotterraneamente in combutta con i corridoi della Curia dei veleni, non solo contro l’interesse della Comunità, non solo a sputare nel piatto nel quale mangiavano a sbafo da anni; ma sono giunti persino (in un primo momento con lettere anonime, poi coi torbidi, infine coi cavilli canonici) a tirare giù il pilastro della “messa antica” facendola “proibire” (che è come a un bambino di Napoli obbligarlo a parlare solo in italiano e “proibirgli” il meraviglioso dialetto partenopeo, che appartiene al suo sangue e al suo cuore, mentre l’altra lingua appartiene solo al suo cervello). Infine hanno osato l’inosabile: si sono macchiati di parricidio. Infatti, queste poche decine di congiurati al seguito del Superbissimo di Santa Maria Maggiore, contro la maggioranza di circa 800, sono riusciti a deporre e mettere da parte il santo fondatore padre Stefano Manelli. Un trauma e un suicidio, per una congregazione, decapitare il suo stesso fondatore carismatico: non si poteva iniziare un cammino in modo peggiore. C’è da riflettere.

PRECIPITARE DAL BERTONE AL BERTELLO

Anche perché questo, chiaramente, non sarebbe stato possibile se a quelli che tiravano la corda intorno al pilastro dall’interno, non si fosse aggiunto l’aiuto determinante di un mandarino vaticano che tirava dall’esterno. Il mandarino, il Superbissimo di Santa Maria Maggiore, lo ha trovato nel prossimo Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Bertello, che succederà a Bertone. Così precipitando tutti noi dal Bertone al Bertello, come dalla padella alla brace. Lasciate perdere quella marionetta che ormai in Vaticano è irriso da tutti, il prefetto dei Religiosi, il cardinale Braz Avril, definito diplomaticamente da Magister come un “confusionario”, ma che è molto peggio: un demagogo da quattro soldi che non capisce il merito delle cose che gli sono affidate e fa pasticci di continuo. Questo qui non conta niente perché non capisce niente: è una marionetta nella mani dei lupi di curia. E in questo caso è finito nella mani di Bertello.

Il cardinale Bertello, dunque, che viene dalla diplomazia, governatore di Città del Vaticano, prodotto tipico, vecchio ed eterno, dell’intramontabile establishment vaticano, lo stesso che ha affondato l’ultimo pontificato. Bertello, che così mi viene tinteggiato da un prete romano:


Il cardinale Bertello

«C’era  una cerimonia di Stato in una grande basilica romana. C’erano le massime cariche dello stato, compreso il presidente, tutti in pompa magna. A ‘na certa arriva una macchina targata SCV. Ne esce fuori un personaggio strambo, dall’aria maligna, stizzosa, trasandata: era Bertello, in veste di rappresentante ufficiale della Santa Sede, essendo nunzio in Italia. Lo osservai costernato e provandone pena e ribrezzo al contempo. In veste ufficiale, in una cerimonia pubblica solenne, si presenta quest’uomo basso e grasso, spettinato, con le braccine tozze e corte e le dita tracagnotte e pelose da sembrare un personaggio clericale uscito dalle vignette di Altan tanto da confermare, al solo guardarlo, tutte le più crasse barzellette anticlericali. Pantaloni blu male allacciati e tutti storti, camicia grigia con collarino bianco, giacca nera e spiegazzata, croce pettorale nel taschino, sgraziato nel comportarsi. Così, come un fruttarolo al mercato rionale s’è presentato. Impresentabile, stonato, fuori luogo, volgare. E questi sono i vertici della diplomazia vaticana!».

Ma veniamo al problema: i Francescani dell’Immacolata. Sappiamo dunque che, in combutta con i congiurati interni, a tirare i fili dall’esterno è proprio il cardinale Bertello. Lui, il prossimo segretario di stato, il regista occulto di questa pugnalata nella schiena della più rigogliosa congregazione religiosa. Ma perché Bertello lo fa?

Come è difficile entrare nella testa di un uomo, aprire lo scrigno del suo cuore, ammesso e non concesso che, essendo prete in carriera e cardinale – categorie anaffettive e anche, diciamo così, poco misericordiose per natura, e uso un eufemismo –, ne abbia uno. Chi può saperlo davvero: “invidia del demonio” probabilmente, per usare parole care a papa Francesco. Perché se no rompere l’unico giocattolo funzionante nella Cattolica di questi giorni? Questo ricettacolo di ardenti e abbondantissime vocazioni? Possiamo solo stabilire con certezza qual è il suo fine, restando misteriosa l’origine di questa sua idiosincrasia tanto inspiegabile, e feroce.

LA CURIA DEI VELENI LI VUOLE MORTI


Francescane d. I. alle prese con la tecnologia…

Il suo fine è uno e uno soltanto: distruggere i Francescani dell’Immacolata. Ci ha lavorato sottobanco a lungo, certosinamente, paziente e silente, lasciando alla fronda interna di fare la voce grossa: era solo questione di attendere il momento propizio per sferrare il colpo di grazia sul pomo d’Adamo della Congregazione. Il momento giusto è venuto con la fine del pontificato ratzingeriano e l’ascesa di Bertello nelle grazie del successore, presagio di potenza futura e di culmine di carriera.

Perché? Questi frati dopotutto non gli avrebbero creato alcun problema, nessun intralcio, perché allora annientarli, metterli l’un contro l’altro armati? Cosa ci avrebbe perso lui a lasciarli vivere il loro carisma in santa pace? Certamente sarebbe diventato segretario di stato ugualmente.


Un giovane F.I. celebra il supremo Sacrificio

Come sia sia, una cosa il cardinale “di Altan” ha capito: per farli implodere nel più breve tempo possibile, bisognava colpire dritto e duro, dall’interno e dall’esterno, uno dei pilastri principali, stimolo e fonte delle copiosissime vocazioni, prima che fosse troppo tardi e troppo s’allargassero: il pilastro della messa antica, possibilità fascinosissima per i giovani che vogliono entrarvi e che ci sono già dentro, come novizi o come sacerdoti. Venuto meno questo, verrà meno la ragione del loro ingresso e della loro permanenza in una congregazione particolare ma che si vorrebbe ridurre – questo vorrebbero i frondisti interni – a dei francescani come tutti gli altri. Facendo quindi venire meno la ragione della loro esistenza specifica. Cesserebbero da subito le richieste di ingresso, in molti ne uscirebbero, e quel che ne resterebbe si dividerebbe in mille fazioni sature di risentimento che si odiano e annientano tra loro, sino a scomparire tutti. No, non si vuole vessarli soltanto, snaturarli, defraudarli del loro carisma: li si vuole proprio distruggere nel peggiore dei modi. Del resto si sa che nella Cattolica da anni c’è una sorta di “caccia al cattolico”, come si sa che c’è una certa intolleranza per le cose che funzionano (specie se smentiscono lo schema dell’ideologo clericale funzionando).

IL PARRICIDIO ASSISTITO


Il sacrificio di Cristo. E quello di padre Manelli

E proprio per non fallire il colpo, hanno attaccato anche il pilastro centrale: il fondatore e superiore dei Francescani dell’Immacolata, il padre Stefano Manelli. Mettendolo con artifici legalistici in “minoranza” lui e tutta la maggioranza schiacciante che gli sta dietro; riducendolo, dunque, al silenzio e all’impotenza, e dimettendolo. La curia li vuole morti, costi quel che costi! “Invidia del demonio” ancora.

 “Bruto, anche tu figlio mio!”. Colpire un padre e lasciare orfani dei figli: un figlio ribelle che si macchia di parricidio. Una Santa Sede che invece di promuovere la giustizia, la fratellanza, la carità nella Chiesa, promuove il sopruso, i torbidi, il parricidio, il fratricidio. E allora capisci perché i due papi hanno installato nei giardini vaticani una statua del grande nemico di Satana: San Michele Arcangelo, perché, dice Francesco quasi sussurrandolo, «il demonio si è insediato qui», e “qui” sta per “Vaticano”.  I suoi servi sono tutti intorno.


Un gruppo di giovani, prendono i voti dei Francescani dell’Immacolata.

Ma al di là di tutto, una congregazione giovane che smentisce e rinnega il suo stesso fondatore, vivente, e con esso il carisma e la regola sulle quali quella  comunità si è formata, è una comunità che fa sorgere domande. Fa interrogare sulla sua natura, le sue ragioni, l’essenza, la profondità religiosa e umana della formazione dei suoi membri.  E se sono ancora degni di sopravvivere. Cosa si è allevato, dunque, fin qui? Una congregazione che decapita il suo fondatore vivente, deve avere qualcosa di sbagliato sin dall’origine. E però a cercarla questa “ragione” sfugge, perché tutto sembra più o meno in regola, troppe cose funzionavano persino troppo bene. È tutto così… così… misterioso! O forse no.

PERCHÉ  NUOVE CONGREGAZIONI NASCONO, TRIONFANO E POI SI SUICIDANO?


Maciel Degollado e il beato Giovanni Paolo, sotto il cui pontificato ha goduto di molte protezioni. Salvo di quella di Ratzinger, che però fu brutalmente zittito dalla segreteria di stato e da Sodano.

Qua ormai non è mica più una novità…

Fatto sta che in questi ultimi anni non è la prima volta che si verificano cose simili, sebbene le “ragioni” di un disastro in quei casi era chiaro. Ci sono stati di recente, per esempio, i casi di due congregazioni toccate dal “successo”, che andavano a gonfie vele mentre tutte le altre annaspavano, sulla cresta dell’onda mentre altre ne erano state travolte, in controtendenza rispetto a tutto il panorama dei religiosi ovunque dispersi: avevano carisma giovane e forte, seducente per i giovani, ricchissimo di vocazioni, in continua crescita. E nonostante ciò all’improvviso sono affondate. Qualcosa vorrà dire…

Prendi i Legionari di Cristo da una parte,  la Famiglia Monastica Fraternità di Gesù dall’altra, dedita alla contemplazione e all’agricoltura, tanto che sotto Giovanni Paolo II, stante il loro successo vocazionale, si era deciso di affidargli addirittura la storica abbazia di San Paolo Fuori le Mura, che da sempre era in mano ai benedettini, ormai ridotti a poche unità di vecchi e stanchi monaci. Sembravano il futuro della Chiesa, nel segno dell’ortodossia. Ma… ma… che è successo?

Nel primo caso, il fondatore dei Legionari, Maciel Degollado sappiamo tutti che fine ha fatto: decapitatosi con le sue stesse mani, ha lasciato orfani e in crisi gravissima di identità e credibilità i suoi discepoli, tanto che ormai sembrano precipitati in una crisi irreversibile: se viene a cadere il pilastro del fondatore tutto crolla. Quanto a quegli altri, la Fraternità di Gesù, pure questi si sono arenati subito, dopo l’iniziale successo, in scandali d’ogni sorta, tant’è che la Santa Sede nel 2010 ha soppresso definitivamente la congregazione. Sic transit gloria mundi!

Ma scandali e immoralità nei Francescani dell’Immacolata non ce ne sono, e posso ben dirlo io che li ho visti da vicino e non solo ho un sesto senso a fiutare situazioni ambigue, ma ho una repulsione e una idiosincrasia radicale per le immoralità nel clero. Da questo punto di vista sono puliti come creature in fasce.

MYSTERIUM INIQUITATIS

Il papa sopprima i Francescani dell’Immacolata, e gli altri: Deus vult! Forse…

Clarisse dei F.I.

Ma allora? Forse c’è da domandarsi se non sia finito davvero il tempo di grazia (e intendo proprio quello concesso da Cristo perché si svolgesse un compito a Lui gradito) degli ordini religiosi e del clero regolare.

Se Cristo non abbia deciso di archiviare per “missione compiuta” questo capitolo grandioso e ricchissimo che ormai appartiene alla storia Chiesa, e che tanto è stato utile nei secoli scorsi, determinante spessissimo.

Se, magari, il problema non è questo o quel fondatore, o regola, o carisma, ma piuttosto è proprio ancora l’esistenza di congregazioni religiose; se cioè non sono queste ad essere sbagliate, ma è il tempo quello sbagliato, perché non è più il loro, perché quel “loro” tempo è passato e non tornerà.


Francescana dell’Immacolata: preghiera, cultura e lavoro.

Se non sia questo, adesso, il tempo di fare a meno delle congregazioni religiose, se non sia del tutto inutile crearne di nuove mentre una dopo l’altra si chiudono le vecchie.

Se per caso non si debba, come io auspico, sopprimere definitivamente tutte le congregazioni religiose, e salvare solo qualche ordine monastico contemplativo, le clausure. O almeno, lasciarle morire tutte nel più breve tempo e con la massima dignità possibili, rifiutando di autorizzarne di nuove. Forse è venuto davvero il tempo del laicato impegnato, che sostituisce non il clero secolare, bensì proprio quello regolare. Io ne sono convinto.

C’è da riflettere… e molto!

I Francescani dell’Immacolata al “bivio”. Un bivio che in realtà è una curva della morte che li manderà fuori strada, schiantandosi, frantumandosi in mille pezzi e morendo. È davvero tutta opera d’uomo? Solo opera del Vaticano e dei congiurati? È davvero solo opera del demonio? E se fosse opera della “Provvidenza”, come ipotizzava pocanzi lo scrittore cattolico?


Un F.I. in missione

Certo, c’è il germe che dalle origini i francescani si portano nel sangue, il germe della scissione; certo, ci sono le debolezze e le vanità umane sulle quali gioca il Divisore per antonomasia e i suoi servi in Vaticano; certo, c’è anche il fattore di una grossa fetta di questi francescani che sono – come dicevo a qualcuno al telefono poco fa che mi domandava trafelato – psicologicamente “scarti umani”, tipi i più improbabili. Certo. E c’è anche il mysterium iniquitatis.

C’è qualcosa di oscuro e luminoso al contempo, ineluttabile in ogni caso, una mano invisibile che atterra ciò che gli uomini suscitano. E che esprimo così: sono convinto che la storia degli ordini religiosi sia una storia finita, chiusa, hanno dato tutto quanto potevano: ora resta solo il fondo imbevibile della bottiglia di vino invecchiato. Stop: ad un certo punto, nella Chiesa le cose che nascono, crescono, poi muoiono inesorabilmente, e i rami secchi si tagliano e non si piange sul ramo seccato: ha servito l’albero finché ha avuto linfa. A ricordarci che “l’Albero” non è nostro ma del Padrone del giardino; a confermarci che tutto e tutti nella Chiesa sono importanti, ma nessuno è necessario, e quando qualcuno si convince d’esserlo, diventa solo dannoso. Non tagliare via il ramo secco significa ritardare la crescita dell’albero e impedire lo spuntare di nuovi germogli.


All’organo

Cos’è questo inspiegabile, improvviso, oscuro istinto suicida interno all’ordine dei Francescani dell’Immacolata se non la conferma di questo dato fatale?

La storia degli ordini religiosi è storia che appartiene al passato, è storia finita, dunque. E il revival a cui si è assistito in questo “nuovo” Ordine Francescano, con tante vocazioni, in un tripudio di sana dottrina, non poteva essere una resurrezione, ma quella fase che durante l’agonia taluni chiamano la “migliorìa della morte”, dove l’agonizzante sembra improvvisamente e miracolosamente riacquistare tutte le sue forze e guarire persino. Ma è solo l’ultima crudele illusione, l’attimo che precede il collasso definitivo e la morte.

Fiat!

 

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